di Nicanor Parra
[Esce la prossima settimana per Bompiani L’ultimo spegne la luce, un’antologia di versi del poeta cileno Nicanor Parra, a cura di Matteo Lefèvre. Proponiamo una selezione di testi e la prefazione di Lefèvre].
Epitaffio
Statura nella media,
La voce né sottile né profonda,
Primo figlio di un maestro elementare
E di una sarta di retrobottega;
Magro fin dalla nascita
Pur se devoto della buona tavola;
dalle guance scavate
e dalle orecchie piuttosto ingombranti;
Con un volto squadrato
Nel quale gli occhi si aprono a stento
E un naso da pugilatore creolo
Scende a una bocca da idolo azteco
– Tutto questo condito
Da una luce tra il perfido e l’ironico –
Né troppo furbo né scemo completo
Io fui così: un misto
Di buon olio da tavola e di aceto
Un insaccato d’angelo e di bestia!
EPITAFIO
De estatura mediana,
Con una voz ni delgada ni gruesa,
Hijo mayor de un profesor primario
Y de una modista de trastienda;
Flaco de nacimiento
Aunque devoto de la buena mesa;
De mejillas escuálidas
Y de más bien abundantes orejas;
Con un rostro cuadrado
En que los ojos se abren apenas
Y una nariz de boxeador mulato
Baja a la boca de ídolo azteca
—Todo esto bañado
Por una luz entre irónica y pérfida—
Ni muy listo ni tonto de remate
Fui lo que fui: una mezcla
De vinagre y de aceite de comer
¡Un embutido de ángel y bestia!
*
Paesaggio
Guarda la gamba umana che pende dalla luna
Come pianta che cresce verso il basso
Quella gamba temibile che galleggia nel vuoto
Illuminata appena dal bagliore
Della luna e dall’aria dell’oblio!
PAISAJE
¡Veis esa pierna humana que cuelga de la luna
Como un árbol que crece para abajo
Esa pierna temible que flota en el vacío
Iluminada apenas por el rayo
De la luna y el aire del olvido!
*
I vizi del mondo moderno
I delinquenti moderni
Sono autorizzati a incontrarsi giornalmente in parchi e giardini.
Provvisti di potenti occhiali e di orologi da tasca
Saccheggiano i chioschi con il favore della morte
E installano i propri laboratori tra i roseti in fiore.
Da lì controllano fotografi e mendicanti che deambulano nei dintorni
Cercando di innalzare un piccolo tempio alla miseria
E se si presenta l’opportunità arrivano a possedere un lustrascarpe malinconico.
La polizia intimorita fugge da questi mostri
In direzione del centro della città
Dove scoppiano i grandi incendi di fine anno
E un valoroso incappucciato impone il mani in alto a due madri della carità.
I vizi del mondo moderno:
L’automobile e il cinema sonoro,
Le discriminazioni razziali,
Lo sterminio dei pellerossa,
I trucchi dell’alta finanza,
La catastrofe degli anziani,
La tratta clandestina delle bianche realizzata da sodomiti internazionali,
L’autocompiacimento e la gola,
Le Pompe Funebri,
Gli amici personali di sua eccellenza,
L’esaltazione del folklore a categoria dello spirito,
L’abuso di stupefacenti e di filosofia,
Il rammollirsi degli uomini baciati dalla fortuna,
L’autoerotismo e la crudeltà sessuale,
L’esaltazione dell’onirico e del subconscio a scapito del senso comune,
La fiducia esagerata nei sieri e nei vaccini,
L’esaltazione del fallo,
La politica internazionale a gambe aperte sponsorizzata dalla stampa reazionaria,
La brama smisurata di potere e di lucro,
La corsa all’oro,
La fatidica danza dei dollari,
La speculazione e l’aborto,
La distruzione degli idoli,
Lo sviluppo eccessivo della dietistica e della psicologia pedagogica,
Il vizio del ballo, della sigaretta, dei giochi d’azzardo,
Le gocce di sangue che di solito si trovano tra le lenzuola dei freschi sposini,
La follia del mare,
La agorafobia e la claustrofobia,
La disintegrazione dell’atomo,
L’umorismo sanguinario della teoria della relatività,
Il delirio del ritorno nel ventre materno,
Il culto dell’esotico,
Gli incidenti aeronautici,
Le incinerazioni, le purghe di massa, i passaporti ritirati,
E tutto questo perché sì,
perché dà la vertigine,
L’interpretazione dei sogni
E la diffusione della radiomania.
Come è dimostrato,
Il mondo moderno si compone di fiori artificiali,
Che si coltivano in campane di vetro simili alla morte,
È formato da stelle del cinema,
E da sanguinari pugilatori che combattono alla luce della luna,
È composto da uomini usignolo che controllano la vita economica dei paesi
Mediante alcuni meccanismi facili da spiegare;
Essi vestono generalmente di nero come i precursori dell’autunno
E si alimentano di radici e di erbe selvatiche.
Intanto i dotti, mangiati dai topi,
Si putrefanno negli scantinati delle cattedrali,
E le anime nobili sono braccate implacabilmente dalla polizia.
Il mondo moderno è una grande cloaca:
I ristoranti di lusso sono gremiti di cadaveri digestivi
E di uccelli che volano pericolosamente a bassa quota.
E non è tutto: Gli ospedali sono pieni di impostori,
Per non parlare degli eredi dello spirito che stabiliscono le loro colonie nell’ano di pazienti appena operati.
Gli industriali moderni soffrono a volte l’effetto dell’atmosfera avvelenata,
Accanto alle macchine tessili sono soliti ammalarsi dello spaventoso mal di sogno
Che li trasforma alla lunga in una specie di angeli.
Negano l’esistenza del mondo fisico
E si vanagloriano di essere dei poveri figli del sepolcro.
Tuttavia, il mondo è stato sempre così.
La verità, come la bellezza, non si inventa né si perde
E la poesia risiede nelle cose o è semplicemente un miraggio dello spirito.
Riconosco che un terremoto ben congegnato
Può mettere fine in pochi secondi a una città ricca di tradizioni
E che un minuzioso bombardamento aereo
Abbatte alberi, cavalli, troni, musica.
Ma che importa tutto questo
Se nel frattempo la ballerina più grande del mondo
Muore povera e abbandonata in un piccolo villaggio del sud della Francia
La primavera restituisce all’uomo una parte dei fiori scomparsi.
Cerchiamo di essere felici, raccomando io, succhiando la miserabile costola umana.
Estraiamo da essa il liquido innovatore,
Ognuno secondo le proprie inclinazioni personali.
Aggrappiamoci a questo relitto divino!
Boccheggianti e spaventosi
Succhiamo queste labbra che ci fanno impazzire;
Il dado è tratto.
Aspiriamo questo profumo snervante e distruttivo
E viviamo un giorno in più la vita degli eletti:
Dalle loro ascelle estrae l’uomo la cera necessaria per forgiare il volto dei suoi idoli.
E dal sesso della donna la paglia e il fango dei suoi templi.
Per tutto questo
Coltivo un pidocchio sulla mia cravatta
E sorrido agli imbecilli che scendono dagli alberi.
LOS VICIOS DEL MUNDO MODERNO
Los delincuentes modernos
Están autorizados para concurrir diariamente a parques y jardines.
Provistos de poderosos anteojos y de relojes de bolsillo
Entran a saco en los kioscos favorecidos por la muerte
E instalan sus laboratorios entre los rosales en flor.
Desde allí controlan a fotógrafos y mendigos que deambulan porlos alrededores
Procurando levantar un pequeño templo a la miseria
Y si se presenta la oportunidad llegan a poseer a un lustrabotas melancólico.
La policía atemorizada huye de estos monstruos
En dirección del centro de la ciudad
En donde estallan los grandes incendios de fines de año
Y un valiente encapuchado pone manos arriba a dos madres de la caridad.
Los vicios del mundo moderno:
El automóvil y el cine sonoro,
Las discriminaciones raciales,
El exterminio de los pieles rojas,
Los trucos de la alta banca,
La catástrofe de los ancianos,
El comercio clandestino de blancas realizado por sodomitas internacionales,
El autobombo y la gula,
Las Pompas Fúnebres,
Los amigos personales de su excelencia,
La exaltación del folklore a categoría del espíritu,
El abuso de los estupefacientes y de la filosofía,
El reblandecimiento de los hombres favorecidos por la fortuna,
El autoerotismo y la crueldad sexual,
La exaltación de lo onírico y del subconsciente en desmedro del sentido común,
La confianza exagerada en sueros y vacunas,
El endiosamiento del falo,
La política internacional de piernas abiertas patrocinada por la prensa reaccionaria,
El afán desmedido de poder y de lucro,
La carrera del oro,
La fatídica danza de los dólares,
La especulación y el aborto,
La destrucción de los ídolos,
El desarrollo excesivo de la dietética y de la psicología pedagógica,
El vicio del baile, del cigarrillo, de los juegos de azar,
Las gotas de sangre que suelen encontrarse entre las sábanas de los recién desposados,
La locura del mar,
La agorafobia y la claustrofobia,
La desintegración del átomo,
El humorismo sangriento de la teoría de la relatividad,
El delirio de retorno al vientre materno,
El culto de lo exótico,
Los accidentes aeronáuticos,
Las incineraciones, las purgas en masa, la retención de los pasaportes,
Todo esto porque sí,
Porque produce vértigo,
La interpretación de los sueños
Y la difusión de la radiomanía.
Como queda demostrado,
El mundo moderno se compone de flores artificiales,
Que se cultivan en unas campanas de vidrio parecidas a la muerte,
Está formado por estrellas de cine,
Y de sangrientos boxeadores que pelean a la luz de la luna,
Se compone de hombres ruiseñores que controlan la vida económica de los países
Mediante algunos mecanismos fáciles de explicar;
Ellos visten generalmente de negro como los precursores del otoño
Y se alimentan de raíces y de hierbas silvestres.
Entretanto los sabios, comidos por las ratas,
Se pudren en los sótanos de las catedrales,
Y las almas nobles son perseguidas implacablemente por la policía.
El mundo moderno es una gran cloaca:
Los restaurantes de lujo están atestados de cadáveres digestivos
Y de pájaros que vuelan peligrosamente a escasa altura.
Esto no es todo: Los hospitales están llenos de impostores,
Sin mencionar a los herederos del espíritu que establecen sus colonias en el ano de los recién operados.
Los industriales modernos sufren a veces el efecto de la atmósfera envenenada,
Junto a las máquinas de tejer suelen caer enfermos del espantoso mal del sueño
Que los transforma a la larga en unas especies de ángeles.
Niegan la existencia del mundo físico
Y se vanaglorian de ser unos pobres hijos del sepulcro.
Sin embargo, el mundo ha sido siempre así.
La verdad, como la belleza, no se crea ni se pierde
Y la poesía reside en las cosas o es simplemente un espejismo del espíritu.
Reconozco que un terremoto bien concebido
Puede acabar en algunos segundos con una ciudad rica en tradiciones
Y que un minucioso bombardeo aéreo
Derribe árboles, caballos, tronos, música.
Pero qué importa todo esto
Si mientras la bailarina más grande del mundo
Muere pobre y abandonada en una pequeña aldea del sur de Francia
La primavera devuelve al hombre una parte de las flores desaparecidas.
Tratemos de ser felices, recomiendo yo, chupando la miserable costilla humana.
Extraigamos de ella el líquido renovador,
Cada cual de acuerdo con sus inclinaciones personales.
¡Aferrémonos a esta piltrafa divina!
Jadeantes y tremebundos
Chupemos estos labios que nos enloquecen;
La suerte está echada.
Aspiremos este perfume enervador y destructor
Y vivamos un día más la vida de los elegidos:
De sus axilas extrae el hombre la cera necesaria para forjar el rostro de sus ídolos.
Y del sexo de la mujer la paja y el barro de sus templos.
Por todo lo cual
Cultivo un piojo en mi corbata
Y sonrío a los imbéciles que bajan de los árboles.
*
Le montagne russe
Durante mezzo secolo
La poesia è stata
Il paradiso del sommo cretino.
Finché non giunsi io
E costruii le mie montagne russe.
Salite, se vi va,
Non sarà colpa mia se scenderete
Sputando sangue da bocca e narici.
LA MONTAÑA RUSA
Durante medio siglo
La poesía fue
El paraíso del tonto solemne.
Hasta que vine yo
Y me instalé con mi montaña rusa.
Suban, si les parece.
Claro que yo no respondo si bajan
Echando sangre por boca y narices.
*
Donne
La donna impossibile,
La donna di due metri di altezza,
La signora di marmo di Carrara
Che non fuma e non beve,
La donna che non vuole mai spogliarsi
Per paura di rimanere incinta,
La vestale intoccabile
Che non sarà una madre di famiglia,
La donna che respira con la bocca,
La donna che è arrivata
Vergine alla camera nuziale
Ma che poi si comporta come un uomo
Quella che si è spogliata in simpatia
(Perché le piace la musica classica)
La roscia che è finita a testa in giù,
Quella che si dà solo per amore,
La fanciulla che guarda con un occhio,
Quella che si fa possedere solo
Sul divano, sull’orlo dell’abisso,
Quella che odia gli organi sessuali,
Quella che copula solo col cane,
La donna che fa finta di dormire
(Il marito la scruta col fiammifero),
La donna che si dà perché le gira,
Perché l’oblio, perché la solitudine…
Quella che è giunta casta alla vecchiaia,
La insegnante miope,
La segretaria dagli occhiali scuri,
La signorina pallida e occhialuta
(Questa del fallo non vuole saperne),
Tutte queste valchirie,
Tutte queste matrone venerande
Con quelle loro labbra grandi e piccole
Finiranno per farmi uscire pazzo.
MUJERES
La mujer imposible,
La mujer de dos metros de estatura,
La señora de mármol de Carrara
Que no fuma ni bebe,
La mujer que no quiere desnudarse
Por temor a quedar embarazada,
La vestal intocable
Que no quiere ser madre de familia,
La mujer que respira por la boca,
La mujer que camina
Virgen hacia la cámara nupcial
Pero que reacciona como hombre,
La que se desnudó por simpatía
(Porque le encanta la música clásica)
La pelirroja que se fue de bruces,
La que sólo se entrega por amor,
La doncella que mira con un ojo,
La que sólo se deja poseer
En el diván, al borde del abismo,
La que odia los órganos sexuales,
La que se une sólo con su perro,
La mujer que se hace la dormida
(El marido la alumbra con un fósforo),
La mujer que se entrega porque sí,
Porque la soledad, porque el olvido…
La que llegó doncella a la vejez,
La profesora miope,
La secretaria de gafas oscuras,
La señorita pálida de lentes
(Ella no quiere nada con el falo),
Todas estas walkirias,
Todas estas matronas respetables
Con sus labios mayores y menores
Terminarán sacándome de quicio.
*
Atto di indipendenza
Indipendentemente
Dai disegni della Chiesa Cattolica
Mi dichiaro paese indipendente.
A quarantanove anni di età
Un cittadino ha pieno diritto
Di ribellarsi contro la Chiesa Cattolica.
Che mi inghiotta la terra se mento.
La verità è che mi sento felice
All’ombra di queste acacie in fiore
Fatte a misura del mio corpo.
Straordinariamente felice
Alla luce di queste farfalle fosforescenti
Che sembrano tagliate con le forbici
Fatte a misura della mia anima.
Mi perdoni il Comitato Centrale.
Santiago del Cile
Addì ventinove di novembre
Dell’anno mille novecento sessanta tre:
Nel pieno possesso delle mie facoltà.
ACTA DE INDEPENDENCIA
Independientemente
De los designios de la Iglesia Católica
Me declaro país independiente.
A los cuarentaynueve años de edad
Un ciudadano tiene perfecto derecho
A rebelarse contra la Iglesia Católica.
Que me trague la tierra si miento.
La verdad es que me siento feliz
A la sombra de estos aromos en flor
Hechos a la medida de mi cuerpo.
Extraordinariamente feliz
A la luz de estas mariposas fosforescentes
Que parecen cortadas con tijeras
Hechas a la medida de mi alma.
Que me perdone el Comité Central.
En Santiago de Chile
A veintinueve de noviembre
Del año mil novecientos sesenta y tres:
Plenamente consciente de mis actos.
*
Padre nostro
Padre nostro che sei nei cieli
Pieno di ogni tipo di problemi
Con la fronte accigliata
Come se fossi un uomo comune e ordinario
Non pensare più a noi.
Comprendiamo che soffri
Perché non riesci ad aggiustare le cose.
Sappiamo che il Demonio non ti lascia mai in pace
Decostruendo ciò che costruisci
Egli ride di te
Ma noi invece piangiamo con te:
Non preoccuparti del suo riso diabolico.
Padre nostro che sei dove sei
Circondato da angeli sleali
Sinceramente: non soffrire più per noi
Devi renderti conto
Che una divinità non è infallibile
E che noi perdoniamo tutto quanto.
PADRE NUESTRO
Padre nuestro que estás en el cielo
Lleno de toda clase de problemas
Con el ceño fruncido
Como si fueras un hombre vulgar y corriente
No pienses más en nosotros.
Comprendemos que sufres
Porque no puedes arreglar las cosas.
Sabemos que el Demonio no te deja tranquilo
Desconstruyendo lo que tú construyes.
Él se ríe de ti
Pero nosotros lloramos contigo:
No te preocupes de sus risas diabólicas.
Padre nuestro que estás donde estás
Rodeado de ángeles desleales
Sinceramente: no sufras más por nosotros
Tienes que darte cuenta
De que los dioses no son infalibles
Y que nosotros perdonamos todo.
*
Manifesto
Signore e signori
Questa è la nostra ultima parola
—La nostra prima e ultima parola—:
I poeti sono scesi dall’Olimpo.
Per i nostri padri
La poesia è stata un oggetto di lusso
Ma per noi
È un bene di prima necessità:
Non possiamo vivere senza poesia.
A differenza dei nostri padri
—E dico questo con tutto il rispetto—
Noi sosteniamo
Che il poeta non è un alchimista
Il poeta è un uomo come tanti
Un muratore che costruisce un muro:
Un costruttore di porte e finestre.
Noi conversiamo
Nel linguaggio di tutti i giorni
Non crediamo in segni cabbalistici.
E un’altra cosa:
Il poeta sta lì
Perché l’albero non cresca storto.
Questo è il nostro messaggio.
Noi denunciamo il poeta demiurgo
Il poeta Bacarozzo
Il poeta Topo di Biblioteca.
Tutti questi signori
—E dico questo con molto rispetto—
Devono essere processati e giudicati
Per aver costruito castelli in aria
Per aver sprecato lo spazio e il tempo
Componendo sonetti alla luna
Per aver messo insieme parole a caso
All’ultima moda di Parigi.
Per noi no:
Il pensiero non nasce in bocca
Nasce nel cuore del cuore.
Noi ripudiamo
La poesia con gli occhiali scuri
La poesia di cappa e spada
La poesia dal cappello a larghe falde.
Auspichiamo al contrario
La poesia a occhio nudo
La poesia a seno scoperto
La poesia a testa nuda.
Non crediamo alle ninfe né ai tritoni.
La poesia dev’essere questo:
Una ragazza circondata di spighe
O non essere assolutamente nulla.
Ebbene, sul piano politico
Loro, i nostri nonni più immediati
I nostri buoni nonni più immediati!
Si rifransero e quindi si dispersero
Passando per il prisma di cristallo.
Alcuni diventarono comunisti.
Io non so se lo furono davvero.
E se anche furono veri comunisti
Quello che so è una cosa:
Non furono poeti popolari
Furono dei rispettabili poeti borghesi.
Tocca dire le cose come stanno:
Solamente qualcuno
Seppe arrivare al cuore del suo popolo.
Ogni volta che poterono
Si dichiararono a parole e a fatti
Contro la poesia a tesi
Contro la poesia del presente
Contro la poesia proletaria.
E accettiamo che furono comunisti
Ma la loro poesia fu un disastro
Surrealismo di seconda mano
Decadentismo di terza mano
Vecchie assi restituite dal mare.
Poesia aggettiva
Poesia nasale e gutturale
Poesia arbitraria
Poesia copiata dai libri
Poesia basata
Sulla rivoluzione della parola
Su circostanze opportune e fondate
Sulla rivoluzione delle idee.
Poesia del circolo vizioso
Per una mezza dozzina di eletti:
«Libertà assoluta di espressione».
Oggi ci facciamo la croce domandando
Perché avranno mai scritto quelle cose
Per spaventare il piccolo borghese?
Tempo perduto in modo miserabile!
Il piccolo borghese non reagisce
Se non quando si tratta dello stomaco.
Non lo spaventi mica con le poesie!
La situazione è questa:
Mentre loro credevano
In una poesia del crepuscolo
In una poesia della notte
Noi propugnamo
La poesia dell’alba.
Questo è il nostro messaggio
Gli splendori della poesia
Devono giungere a tutti equamente
La poesia basta per tutti.
Nient’altro, compagni
Noi condanniamo
—E questo sì che lo dico con rispetto—
La poesia del piccolo dio
La poesia della vacca sacra
La poesia del toro furioso.
Alla poesia delle nuvole
Noi opponiamo
La poesia della terraferma
—Mente fredda, cuore caldo
Siamo terrafermisti ostinati—
Contro la poesia da caffè
La poesia della natura
Contro la poesia da salotto
La poesia della pubblica piazza
La poesia di protesta sociale.
I poeti sono scesi dall’Olimpo.
*
MANIFIESTO
Señoras y señores
Ésta es nuestra última palabra
—Nuestra primera y última palabra—:
Los poetas bajaron del Olimpo.
Para nuestros mayores
La poesía fue un objeto de lujo
Pero para nosotros
Es un artículo de primera necesidad:
No podemos vivir sin poesía.
A diferencia de nuestros mayores
—Y esto lo digo con todo respeto—
Nosotros sostenemos
Que el poeta no es un alquimista
El poeta es un hombre como todos
Un albañil que construye su muro:
Un constructor de puertas y ventanas.
Nosotros conversamos
En el lenguaje de todos los días
No creemos en signos cabalísticos.
Además una cosa:
El poeta está ahí
Para que el árbol no crezca torcido.
Éste es nuestro mensaje.
Nosotros denunciamos al poeta demiurgo
Al poeta Barata
Al poeta Ratón de Biblioteca.
Todos estos señores
—Y esto lo digo con mucho respeto—
Deben ser procesados y juzgados
Por construir castillos en el aire
Por malgastar el espacio y el tiempo
Redactando sonetos a la luna
Por agrupar palabras al azar
A la última moda de París.
Para nosotros no:
El pensamiento no nace en la boca
Nace en el corazón del corazón.
Nosotros repudiamos
La poesía de gafas obscuras
La poesía de capa y espada
La poesía de sombrero alón.
Propiciamos en cambio
La poesía a ojo desnudo
La poesía a pecho descubierto
La poesía a cabeza desnuda.
No creemos en ninfas ni tritones.
La poesía tiene que ser esto:
Una muchacha rodeada de espigas
O no ser absolutamente nada.
Ahora bien, en el plano político
Ellos, nuestros abuelos inmediatos
¡Nuestros buenos abuelos inmediatos!
Se refractaron y se dispersaron
Al pasar por el prisma de cristal.
Unos pocos se hicieron comunistas.
Yo no sé si lo fueron realmente.
Supongamos que fueron comunistas
Lo que sé es una cosa:
Que no fueron poetas populares
Fueron unos reverendos poetas burgueses.
Hay que decir las cosas como son:
Sólo uno que otro
Supo llegar al corazón del pueblo.
Cada vez que pudieron
Se declararon de palabra y de hecho
Contra la poesía dirigida
Contra la poesía del presente
Contra la poesía proletaria.
Aceptemos que fueron comunistas
Pero la poesía fue un desastre
Surrealismo de segunda mano
Decadentismo de tercera mano
Tablas viejas devueltas por el mar.
Poesía adjetiva
Poesía nasal y gutural
Poesía arbitraria
Poesía copiada de los libros
Poesía basada
En la revolución de la palabra
En circunstancias de que debe fundarse
En la revolución de las ideas.
Poesía de círculo vicioso
Para media docena de elegidos:
«Libertad absoluta de expresión».
Hoy nos hacemos cruces preguntando
Para qué escribirían esas cosas
¿Para asustar al pequeño burgués?
¡Tiempo perdido miserablemente!
El pequeño burgués no reacciona
Sino cuando se trata del estómago.
¡Qué lo van a asustar con poesías!
La situación es ésta:
Mientras ellos estaban
Por una poesía del crepúsculo
Por una poesía de la noche
Nosotros propugnamos
La poesía del amanecer.
Éste es nuestro mensaje
Los resplandores de la poesía
Deben llegar a todos por igual
La poesía alcanza para todos.
Nada más, compañeros
Nosotros condenamos
—Y esto sí que lo digo con respeto—
La poesía de pequeño dios
La poesía de vaca sagrada
La poesía de toro furioso.
Contra la poesía de las nubes
Nosotros oponemos
La poesía de la tierra firme
—Cabeza fría, corazón caliente
Somos tierrafirmistas decididos—
Contra la poesía de café
La poesía de la naturaleza
Contra la poesía de salón
La poesía de la plaza pública
La poesía de protesta social.
Los poetas bajaron del Olimpo.
*
Un antipoeta alla corte della poesia
di Matteo Lefèvre
Se c’è un poeta latinoamericano che gode di un credito indiscusso per l’originalità, la qualità e la irriverente costanza del suo impegno letterario, questi è senz’altro Nicanor Parra. E proprio irriverenza e umanità, a sentire Harold Bloom, hanno sempre rappresentato le cifre caratterizzanti di questo straordinario autore cileno.
Nato nel 1914 e morto appena un anno e mezzo fa, nel gennaio del 2018, nei suoi centoquattro anni di vita e nei suoi ottant’anni circa di scrittura Parra ha saputo condurre agli estremi le possibilità della creatività in versi, inaugurando il “genere” dell’antipoesia e riuscendo a scardinare dall’interno il sistema delle lettere sudamericane grazie a una beffarda, ostinata azione corrosiva. Ed è andato anche oltre: da questa violazione, dal lavorìo ai fianchi di Calliope e dei suoi sacerdoti e adepti, ha dato vita a un nuovo modo di concepire la scrittura lirica, alimentando una musa prosaica in grado di accogliere nel suo regno quanto in precedenza da esso era proscritto poiché intollerabile a livello di linguaggio e di argomento, inaudito in termini di motivi e protagonisti. Eppure, proprio a partire da contenuti “indicibili”, da tematiche profane e ordinarie, dall’ostentata materialità dei moventi è sorto nel giro di pochi anni un nuovo corso per la poesia ispanoamericana, una direttrice fresca e inconclusa che dall’estremità del Cile ha presto raggiunto tutta l’America latina. In questo senso, Parra è davvero uno di quei felici esempi di poeti che hanno fatto sobbalzare e irritare tutti, ma che allo stesso tempo, progressivamente, sono riusciti a farli ricredere, a convincere della validità delle loro proposte sia l’establishment letterario sia il pubblico che li guardava dapprima con sospetto; parliamo dei fautori della tradizione e insieme dei rappresentanti delle varie avanguardie e delle generazioni più giovani, di conservatori e progressisti, Accademia e bohème, critici professionisti ed ermeneuti d’occasione, insomma di tutta la fiumara delle lettere e dei suoi emissari. Ma che cos’è l’antipoesia? Ci torneremo più avanti nel dettaglio, per ora basti sapere che è tutto ciò che reagisce e si contrappone alla poesia tradizionalmente intesa; è un’erosione profonda e consapevole e insieme un gioco disincantato che frantuma l’integrità dell’io lirico e tutte le sue certezze, che devasta i territori della retorica e dello stile. In questo panorama Parra ha saputo crearsi uno spazio proprio, una riconoscibilità e una “reputazione” che dagli anni cinquanta del secolo scorso ad oggi non lo ha mai abbandonato: la sua fama, anzi, è andata crescendo nel corso dei decenni grazie alle scommesse vinte di volta in volta dal suo genio spericolato, da una penna mordace che ha saputo aggredire con gustosa sfrontatezza e ironia le convinzioni – letterarie, sociali, religiose – dell’umanità del suo tempo; e ciò inizialmente in rapporto alla propria terra di origine, il Cile, per poi tracimare verso il resto del continente e anche oltre, dall’universo yankee fino alla vecchia Europa. In questo lungo corso l’opera di Parra rimane sostanzialmente “inclassificabile”, poiché sfugge anche solo alla tentazione della tassonomia, appare come qualcosa di informe (non nel senso di “senza forma”, ma con una forma cangiante e certamente mai chiusa, meno che mai definitiva) e si sviluppa lungo un itinerario sempre provvisorio, privo di coordinate troppo precise: al netto di una produzione pluridecennale, sono più i punti di fuga che gli ormeggi, più i salti nel vuoto che gli appigli, più gli azzardi che le rendite, in un percorso creativo che spazia dalla parola scritta all’artefacto, dall’artigianato linguistico a quello propriamente materico, nella sua tridimensionalità tangibile e visiva, dalle suggestioni naïves alle risorse dell’innovazione tecnico-scientifica. Il tutto in un’alternanza di codici e registri, in un coacervo di umori e personaggi spesso contraddittori che vagano tra i versi senza una rotta prestabilita, senza alcun sentore di unitarietà.
Nicanor Parra Sandoval, come detto, nasce nel 1914 a San Fabián de Alico, vicino a Chillán, nella regione centrale del Paese, da una famiglia della piccola borghesia di provincia. Per via del lavoro del padre, maestro di scuola e musicista, Nicanor e i suoi fratelli, tra cui spicca la personalità della sorella Violeta, la celebre cantante, si spostano da un luogo all’altro per diversi anni, finché nel 1932 il poeta si trasferisce a Santiago, dove finisce le scuole e inizia gli studi universitari di matematica e fisica. In questi anni si definisce anche la sua personalità intellettuale, giacché nella capitale ha modo di conoscere i frutti migliori della cultura novecentesca, dalle “glorie” locali – tra gli altri Vicente Huidobro, Pablo de Rokha, Gabriela Mistral e il giovane Neruda – alle avanguardie spagnole ed europee, fino al Surrealismo e alla Generazione del ’27, quella di Alberti e Lorca. A questa stagione di apprendistato ed embrionale esplorazione artistica risale la prima raccolta dell’autore, Cancionero sin nombre (1937), frutto acerbo di una vocazione ancora incerta, derivativa, innervata di temi e ritmi tradizionali che poi il poeta arriverà perfino a rinnegare. A partire dagli anni quaranta, invece, la sua scrittura si arricchisce di nuovi spunti che gli giungono dal mondo anglosassone, tra Stati Uniti e Inghilterra, dove l’autore trascorre periodi di studio e insegnamento universitario e ha modo soprattutto di aprirsi a nuove, fertili suggestioni letterarie: T.S. Eliot, Ezra Pound e soprattutto Walt Withman gli schiudono, per esempio, la prospettiva del verso libero e di un canto affrancato da contenuti canonici e sostenuto in molti casi da un vocabolario e da uno stile a tratti completamente de-retoricizzati. Questa nuova visione rappresenta un vento fresco e sferzante nell’universo delle lettere cilene e si riflette soprattutto nella raccolta che consacra Parra come autore, Poemas y antipoemas (1954), in cui si offre un primo campionario dell’antipoesia che ne mette in luce le caratteristiche linguistiche e tematiche, il sistema illocutivo e la logica frammentaria e insolente. La critica, naturalmente, accoglie quest’opera con curiosità e insieme con diffidenza, ma dopo di essa il poeta segue ormai con costanza questa rotta innovativa e negli anni a seguire dà alla luce altri libri che ne confermano il talento “eversivo” e gli conferiscono un riconoscimento sempre più ampio in tutta l’America latina. È così che nel giro di pochi decenni la sua produzione si fa sempre più prolifica: si va dalle sillogi singole – tra le molte, segnaliamo qui Versos de salón (1962), Canciones rusas (1967), Sermones y prédicas del Cristo de Elqui (1977), Chistes para desorientar a la policía (1983), Hojas de Parra (1985), Poemas para combatir la calvicie (1993), Discursos de sobremesa (2006) – ai diversi volumi comprensivi o riepilogativi che ne hanno consacrato la fama negli ultimi anni, come Obras completas & algo + (2006-2011, in due tomi) e la recente antologia intitolata El último apaga la luz (2017). In tutti questi libri, ognuno con la sua specificità, l’autore non ha mai smesso di mettersi in gioco, arrivando a mescolare la scrittura vera e propria con altri espedienti artistici: si veda, per esempio, il caso dei già ricordati Artefactos (1972), in cui la poiesis va oltre la parola scritta e si manifesta nella sua evidenza visiva e perfino materiale. È a fronte di una simile congerie di opere e suggestioni che la critica ha progressivamente riconosciuto Parra come uno dei poeti più significativi delle lettere latinoamericane, un punto di riferimento assoluto e alternativo rispetto ai “miti” culturali e ideologici del secondo Novecento; uno scrittore che ha saputo restare fedele a sé stesso e al suo sperimentalismo provocatorio e impenitente passando attraverso le più diverse stagioni che hanno contraddistinto il “secolo breve”, dagli entusiasmi socialisti alle dittature e ai successivi rivoli e riflussi, e declinando in più direzioni la forza dialettica della proposta antipoetica, dalla relazione con la vita quotidiana e con la volubile società contemporanea ai sogni senza tempo e agli idoli passeggeri di quest’ultima, dai mezzi di comunicazione di massa fino alle nuove frontiere del progresso tecnologico.
È ora di osservare da vicino in che cosa consista esattamente l’antipoesia. Per parecchio tempo i critici hanno dibattuto su questo fenomeno giungendo a formulare ipotesi distinte, a volte convergenti, a volte in palese contrasto tra loro, ma tutte tese a cercare urgentemente risposte dinanzi a un’operazione che, come dicevamo, fin dai suoi primi sviluppi, tra gli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, causò un disorientamento notevole nel mondo ordinato e per certi versi “ingessato” della poesia cilena. Da qui l’iniziale scetticismo della critica ufficiale, quella delle riviste e delle pagine culturali dei giornali, che mostrava una certa resistenza nei confronti di forme e contenuti sconosciuti alla tradizione autoctona, di una creazione letteraria che nella sua attitudine scavalcava di netto l’esempio delle Avanguardie storiche, inaugurando una concezione totalmente “laica” della poesia che non suggeriva peraltro alcun credo alternativo e si faceva beffe in maniera sfacciata dei motivi, degli stilemi e delle strategie consolidate. I versi di Nicanor Parra mettevano in crisi un sistema che in Cile si era retto per decenni su un comodo, rassicurante equilibrio degli opposti, su un pantheon di figure accreditate che rappresentavano sia la linea conservatrice sia il suo rovesciamento più o meno polemico in nome di uno stanco epigonismo delle correnti primonovecentesche oppure di una poesia organica al dogma politico e sociale di turno. Per intenderci, da un lato resistevano vecchi moduli modernisti accanto ai temi senza tempo della lirica (amore, morte, Dio, natura ecc.), abbinati spesso al culto delle radici storiche del paese e dell’intero continente, dalla mitologia indigena ai luoghi selvaggi della Patagonia; dall’altro si trascinavano stancamente linee di scrittura e compromesso che riprendevano una sperimentazione ormai trita oppure gli assiomi propugnati dall’ideologia, specialmente quella socialista, che cominciava a dare alla letteratura patria anche una visibilità su scala globale. Gli esempi più chiari di quanto stiamo dicendo sono rappresentati con un buon margine di approssimazione da Gabriela Mistral e Pablo Neruda, non a caso entrambi premi Nobel nel giro di pochi lustri (rispettivamente nel 1945 e nel 1971). Prima donna e primo autore latinoamericano a ricevere il prestigioso riconoscimento, la Mistral, che per giunta aveva da sempre associato la produzione creativa all’impegno sul fronte pedagogico ed emancipazionista, assurge presto ad autentico monumento nazionale e il suo canto si fa interprete del paesaggio, dei costumi e delle carenze ataviche dell’intero Sudamerica, accampandosi in un orizzonte di emozionata rivendicazione e ordinato progressismo. Neruda, dal canto suo, dopo gli esordi sotto l’influenza modernista e post-simbolista, fin dalle sue prese di posizione rispetto alla Guerra Civile spagnola (1936-39) era divenuto un’icona dell’internazionalismo comunista, il poeta militante per eccellenza, un intellettuale che tra incarichi diplomatici, esili, ritorni e soggiorni all’estero aveva dato a sé stesso e alla realtà del suo paese una dimensione planetaria; il tutto, comunque, senza mai trascurare, accanto ai versi battaglieri, anche una produzione più classica legata all’amore e alla celebrazione della sua terra. È in questo scenario contraddistinto da “mostri sacri” e poeti ufficiali – di una ufficialità spesso controversa e perfino avversata, va detto, a causa delle congiunture politiche che si susseguirono quasi istericamente fino agli anni di Allende e al colpo di stato di Pinochet – che si fa strada la “rivolta” antipoetica di Parra. Secondo Hugo Montes Brunet, uno dei più attenti interpreti del Novecento cileno, tre sono le caratteristiche che accomunano l’antipoesia: rivoluzione, rinnovamento e ricostruzione. E in effetti fin dagli inizi le opere parriane propongono un radicale cambiamento di prospettiva non solo per la poesia in sé, ma anche per il ruolo del poeta, che non sembra più avere un crisma particolare né aspira a farsi interprete di responsabilità etiche o intellettuali precise: l’antipoeta è un personaggio sgangherato e marginale, e prova ne sono gli alter ego d’autore che si aggirano tra i versi, presenze evanescenti e personaggi grotteschi contraddistinti da un sentore di precarietà assoluta, ma insieme anche individui dotati di un’inattesa carica vitale; una carica che tuttavia scaturisce da motivazioni crasse e comunque ben diverse dai nobili sentimenti ipostatizzati dalla lirica tradizionale. Sì, perché i protagonisti dell’antipoesia, quando non vagano del tutto alla deriva, sono guidati dal desiderio sessuale più che dal trasporto amoroso, da una fame picaresca più che dalla coscienza di classe, dal culto dell’opportunità materiale più che da qualsiasi anelito trascendente. Nell’opera di Parra sfila dunque un’umanità sbilenca, spesso senza storia e senza memoria, una moltitudine di figure antieroiche che fanno dei bisogni primari e di un’esistenza ordinaria, triviale, la propria bandiera; e tra costoro si inserisce anche lo stesso autore, il quale nei suoi vari “autoritratti” si definisce perlopiù come un individuo sgangherato, un uomo “qualunque”, materiale e prosaico, un soggetto dimesso, nient’altro che un «docente di un liceo oscuro», un impiegato «abbrutito dalla cantilena / di cinquecento ore a settimana». L’antipoeta è tutto fuorché un modello da seguire, men che meno un “vate”, un “martire” delle lettere oppure delle idee; a tratti sembra avere venature crepuscolari, ma in realtà è più che altro un circense non troppo dotato, e anche i suoi interlocutori e comprimari si muovono nel sottobosco di una marginalità priva di qualsiasi fascino “maledetto” o scapigliato: sono preti volgari, ruffiane, puttanieri, vecchie zie fastidiose, saltimbanchi, donnette piccolo-borghesi e senza grazia ecc. E in questo affresco spietato si fanno apprezzare soprattutto alcuni personaggi che spiccano per stravaganza e con cui Parra dà corpo alle sue prove più mature, lasciandoli a volte sul palcoscenico per interi libri, come nel caso dei Sermones y prédicas del Cristo de Elqui: qui il protagonista è tutt’altro che un messia consapevole o ispirato, bensì un improbabile imbonitore da show radiotelevisivo. Ma accanto a questi tipi bizzarri e senza qualità nei versi troviamo anche presenze fantasmatiche, dalle Mummie ai Moai, le criptiche statue monolitiche dell’Isola di Pasqua, angeli e demoni di segno indefinito e spesso sovrapponibile che contrappuntano le riflessioni umane sottolineandone la volubilità, la transitorietà strutturale e generando un’ottica completamente distorta rispetto agli ideali del passato e dell’attualità, siano essi di tipo antropologico, filosofico o politico. In altri casi, per bocca delle sue maschere il poeta si rivolge direttamente al pubblico, incalzandolo e arringandolo senza mezzi termini; ma lo fa senza coinvolgerlo in qualsivoglia progetto culturale o sociale e trascinandolo piuttosto in ragionamenti frivoli e di bassa lega oppure avvertendolo provocatoriamente dell’inanità della scrittura e degli effetti nocivi dei suoi versi. È quanto emerge, per esempio, nelle varie Avvertenze al lettore, testi paradossali e paradigmatici in cui l’antipoeta, lungi dal voler trasmettere verità o intenzioni concrete, afferma serenamente che la sua poesia può anche «non portare da nessuna parte»; oppure si limita a sciorinare tutta una serie di divieti semiseri, parodia di segno negativo dei grandi proponimenti della poesia impegnata e allo stesso tempo inquietante caricatura delle proibizioni di regime: «È vietato pregare, starnutire / Sputare, elogiare, inginocchiarsi / Venerare, ululare, espettorare / […] Scomunicare, inoculare, esprimersi /Armonizzare, fuggire, arrestare. / È severamente vietato correre. /È vietato fumare e fornicare». Il lettore dell’antipoesia, secondo Parra, deve prepararsi a suo rischio e pericolo a un’esperienza futile e spericolata simile a quella delle Montagne russe: «Salite, se vi va, / Non sarà colpa mia se scenderete / Sputando sangue da bocca e narici». Tuttavia, come abbiamo accennato, questa scrittura non ha soltanto una pars destruens; vuole anche essere rinnovamento, ricostruzione letteraria, punto di partenza per un autentico new deal della lirica, del suo linguaggio e delle sue finalità. È da quest’idea che nasce il celebre Manifesto, che all’inizio degli anni sessanta, sia pur in chiave eccentrica, stabilisce i principi di un compromesso creativo che da un lato rifiuta gli usi e gli obiettivi datati delle patrie lettere, dall’altro instaura una nuova concezione della poesia e del poeta, ormai riportato sulla terra e calato nel magma della quotidianità, del suo vocabolario e dei suoi moventi:
Signore e signori
Questa è la nostra ultima parola
—La nostra prima e ultima parola—:
I poeti sono scesi dall’Olimpo.
Per i nostri padri
La poesia è stata un oggetto di lusso
Però per noi
È un bene di prima necessità:
Non possiamo vivere senza poesia.
A differenza dei nostri padri
—E dico questo con tutto il rispetto—
Noi sosteniamo
Che il poeta non è un alchimista
Il poeta è un uomo come tanti
Un muratore che costruisce un muro:
Un costruttore di porte e finestre.
Noi conversiamo
Nel linguaggio di tutti i giorni
Non crediamo in segni cabbalistici.
Il valore essenziale della poesia, qui accostato a un «bene di prima necessità», è ricondotto nell’alveo della normalità, delle urgenze concrete dell’essere umano e coincide altresì con un provvidenziale abbassamento della “missione” dell’artista, a cui non si tributa un sovrappiù di responsabilità morale o anche solo estetica rispetto alla massa; nell’antipoesia non c’è spazio per alchimie linguistiche e concettuali né per alcun privilegio di casta, poiché il poeta «è un uomo come tanti», è aperto alla vita, al lavoro e alla lingua di tutti i giorni. È un discorso, quest’ultimo, che rappresenta una novità non da poco nel panorama latinoamericano degli anni cinquanta e sessanta, in cui la letteratura rimaneva ben salda in mano a pochi, selezionati autori e interpreti, i vecchi “maestri” e i loro discepoli più o meno brillanti, tutti perlopiù asserragliati nel fortino dell’Accademia o del Partito. Superato il sospetto e anche lo scetticismo iniziali, tuttavia, a poco a poco i libri di Parra cominciano a diventare opere di riferimento, a volte addirittura di culto, sia tra gli addetti ai lavori che tra il pubblico, e l’antipoesia si fa cifra identitaria per la lirica del Novecento ultimo e anche per quella più recente, dall’epoca delle dittature ai giorni nostri.
Varie e diversificate sono le tematiche scelte in quest’opera di demitizzazione della poesia e dei suoi riti tradizionali. Fin dalle raccolte iniziali, al centro della scena troviamo in primo luogo il discorso metaletterario: oltre ai componimenti già citati e che descrivono il ruolo e la vocazione del soggetto, sono numerosi i testi in cui l’autore fornisce una mappa della sua creatività e offre spunti di quella possiamo definire una “antipoetica”, che per di più si costruisce piuttosto come una serie di note a-sistematiche (Appunti sulla lezione dell’antipoesia), di suggestioni transitorie o di motivi estemporanei (Sette). Sono coordinate minime, instabili, con cui Parra delimita o, per meglio dire, schiude il territorio della sua creatività e ne modula, più per sottrazione che per accumulazione, e in un perpetuo, mutevole divenire, le caratteristiche. Ma in una prospettiva simile si inserisce anche il gioco intertestuale, che al di là dei riferimenti più nascosti si manifesta nella citazione, nell’evocazione esplicita di opere, autori e personalità della tradizione latinoamericana e perfino della più ristretta scena cilena: è così che nei versi di Parra fanno la loro apparizione, in ordine sparso, Alonso de Ercilla e Gabriela Mistral, Octavio Paz e Juan Rulfo, Ernesto Cardenal, Tomás Lago, “Che” Guevara e molti altri. Un altro motivo ricorrente in numerosi componimenti è certamente quello di un’irreligiosità tenace giocata tra gli estremi della blasfemia e di un radicale anticlericalismo con cui l’autore getta una luce sinistra sulla Chiesa (Atto di indipendenza), sui ministri del culto (Disordine nel cielo) e sulle icone stesse dell’immaginario cristiano (Padre nostro, Agnus dei ecc.), calate a volte, queste ultime, in situazioni inconsuete (Discorso del buon ladrone) o trasfigurate in personaggi insignificanti o improbabili, come il già ricordato Cristo d’Elqui. In altri frangenti, invece, emerge lo spirito propriamente “scientista” del poeta, che con humour più misurato fa spazio a ritratti burlescamente distopici del progresso (Progetto di treno istantaneo, L’uomo immaginario), del futuro (Giardino zoologico) e dei mali dell’umanità, questi ultimi immortalati, per esempio, nel rosario idiosincratico de I vizi del mondo moderno; ma su questa falsariga vale la pena ricordare anche il Soliloquio dell’individuo, sghemba storia dell’uomo che si conclude con il sarcastico augurio di un ritorno allo stato primordiale. Connaturato alla vocazione antipoetica è senz’altro anche il tema del sesso, evocato nella sua carnalità più immediata (Donne), a tratti divertitamente esibita (Come vi stavo dicendo) e perfino “religiosa” (La croce), e polemicamente contrapposto a quello dell’eros sia nella sua variante platonica sia in quella più romantica e appassionata, potremmo dire “nerudiana”. L’amore tradizionalmente inteso, anzi, diviene spesso oggetto di un’ironia feroce che fa leva sia sulla sfrontatezza guascona del poeta (È oblio; Consultorio sentimentale) sia sulla sua incostanza irredimibile (Lettere a una sconosciuta). Lo specchio deformante attraverso cui Parra guarda la realtà illumina poi anche l’argomento politico, al quale tuttavia l’antipoeta non concede particolare credito, riducendolo spesso al livello di un discurso de sobremesa, una conversazione da farsi a tavola dopo mangiato, o addirittura della chiacchiera da bar. È in questa chiave che si affacciano tra le sue poesie le questioni dell’attualità internazionale (Yuri Gagarin; Notiziario 1957) o i problemi interni del suo paese (Regola del tre; Cile ecc.), che sono trattati con tagliente disinvoltura e spesso hanno ricadute anche nella implacabile disamina della società non solo cilena (Vita da cani; Inflazione; Il piccolo borghese). Infine, vale la pena spendere due parole anche sul tema della morte che, vista l’estrema longevità del poeta, diventa a un certo punto una sorta di vero e proprio amuleto nelle sue mani: ne nascono testi gustosi (ad es. L’anti-Lazzaro) in cui l’autore, insensibile a qualsiasi scaramanzia, sembra quasi invocarla, arrivando a definirsi il suo «promesso sposo» e a sentirsi ingiustamente trascurato da colei che gli appare come «la più smorfiosa di tutte» (La morte supersonica), la ragazza che mai gli si concede.
Al netto degli argomenti e dei personaggi che popolano i suoi versi, la “rivoluzione” di Parra si concretizza anche per l’eterodossia radicale che si manifesta a livello di registro e di stile, all’interno dei quali si compie il rinnovamento più profondo della lingua poetica cilena del XX secolo. La magniloquenza propria della tradizione viene completamente stravolta all’interno del genere antipoetico, poiché i versi includono un lessico immanente, prosaico, un tono e una sintassi colloquiale che non obbediscono a nessun modello e provengono da una sorta di “idioletto” terragno e personalissimo tutt’altro che rassicurante. Il linguaggio lacera così non solo le strutture consolidate in seno alle lettere, ma anche l’universo in cui si muovono autore e lettore, di cui si fa puntuale analogo formale; e questo universo è uno spazio disgregato, così come frammentati sono i discorsi e i diversi “io” che appaiono nei testi, il tutto in nome di una vera e propria anti-retorica nella quale si mescolano – con provocatoria promiscuità – lacerti di conversazione e vocabolario colto, lessico popolare, fraseologia di strada ed evocazioni letterarie, apostrofi volgari e vocativi sorvegliati. Questa lirica è pertanto anche il teatro di una spaccatura del corpo linguistico che mette continuamente in discussione la sua natura di esperienza, non approdando mai a una metodica univoca nel suo percorso né a dettami di poetica monolitici, trascendenti; né tantomeno flirta con alcuna ideologia predeterminata. Di fatto, gli antipoemas non sviluppano mai compiutamente i moduli da cui traggono l’origine e lo stimolo creativo poiché scelgono prevalentemente il collage delle parti e la dissonanza, l’alternarsi delle voci e delle opinioni: ciò che si apprezza nei versi di Parra è proprio una polifonia iridescente, l’andirivieni grandguignolesco e pasticciato di parole, idee, umori, ricordi, in nome di un principio e della sua contraddizione. Il che ovviamente ha ripercussioni anche sul piano ritmico, tra il ricorso a formule tradizionali che ancora in parte permangono nelle prime raccolte del poeta – si prendano ad esempio gli ottosillabi delle sezioni iniziali di Poemas y antipoemas (1954) e in La cueca larga (1958), così come la solida alternanza di endecasillabi e settenari dei Versos de salón (1962) o ancora il saltuario ricorso a misure regolari nelle sillogi successive – e il graduale distanziamento dalla metrica consolidata con l’approdo al verso lungo e quasi prosastico (Improvvisazioni più o meno premeditate) oppure brevissimo e a tratti centellinato (si vedano in particolare Solo e Neve). E a ciò si aggiunga la presenza nei testi di numeri e altri simboli matematici (ad es. + in luogo di più; x in luogo di per) che interrompono il flusso della comunicazione lirica e spezzano altresì l’andamento, le cadenze dell’insieme. Tra i componimenti di questo tipo si vedano in particolare alcune liriche degli anni ottanta e novanta (Missione compiuta; Scambi ecc.) nonché il “poemetto” intitolato Mai Mai Peñi (Discurso de Guadalajara), scritto, quest’ultimo, in occasione della consegna del prestigioso Premio “Juan Rulfo”, vinto da Parra nel 1991; anche se l’esempio più provocatorio dell’utilizzo di segni grafici in luogo di elementi grammaticali è costituito sicuramente da I 4 sonetti dell’Apocalisse, nei cui versi campeggiano esclusivamente croci (†††† ††† ††††† †† †† †††††† †††).
L’importanza tributata a Parra nell’universo letterario dell’America latina non ha purtroppo trovato il medesimo riscontro nel mondo italiano. Per decenni, di fatto, nel nostro paese il protagonista della lirica ispanica è stato quasi esclusivamente Neruda, il quale, come detto, ha spopolato sia come poeta politico che come cantore dell’esperienza amorosa, raccogliendo una fascia piuttosto ampia di pubblico e cavalcando in maniera impetuosa il boom della letteratura sudamericana che si registra tra gli anni sessanta e settanta. Neruda, in effetti, fin dal dopoguerra viene considerato la stella internazionale della poesia di lingua spagnola, e ciò grazie alla sua instancabile capacità autopromozionale, alle inquiete vicende biografiche e anche agli interessi del Partito Comunista. Nonostante i riconoscimenti autorevoli, per esempio, Gabriela Mistral in Italia ha sempre goduto di un’attenzione mediatica ed editoriale molto minore in confronto al suo più smaliziato allievo, il quale è stato sempre al centro della scena, omaggiato e tradotto con un ritmo incalzante che il Nobel del 1971, il colpo di stato di Pinochet del ’73 e la sua morte in quegli stessi giorni non hanno fatto altro che incrementare. Parra, al contrario, è rimasto sostanzialmente una presenza oscura, quasi intangibile, a cui né una prima traduzione delle Antipoesie già nel 1974, nella “bianca” di Einaudi, né, in tempi più recenti, un’antologia di nicchia (Le montagne russe: poesie scelte, Medusa, 2008) hanno contribuito a restituire la giusta luce. Varie sono le ragioni di questo silenzio, di questa ricezione mancata. In primo luogo, sotto il profilo storico è evidente che l’esperimento radicale dell’antipoesia non poteva avere il medesimo impatto in termini di novità in un’Italia che negli anni sessanta aveva già conosciuto la sfida e l’esperienza militante della Neoavanguardia e si preparava alla stagione “libertaria” dei festival del decennio successivo. Più in generale, poi, al di là di ogni interpretazione critica, uno dei fattori decisivi alla base della sostanziale assenza di molti poeti ispanoamericani dai nostri cataloghi risiede senza dubbio nella progressiva disaffezione del pubblico italiano alla poesia, che appunto ha il suo riflesso nella proscrizione che la lirica ha sofferto in seno alle case editrici più importanti. Nella fattispecie, comunque, tale allontanamento si associa altresì alla diminuzione del generale interesse dei nostri lettori verso la realtà iberoamericana, il che si deve ascrivere anche a ragioni politiche, allo sgretolamento dei blocchi ideologici del secondo Novecento, con la fine del comunismo sovietico e la riconversione dei regimi militari a cavallo degli anni ottanta e novanta (la legge per la democrazia in Cile, ad esempio, entra in vigore proprio nel 1990). Non si creda, ad ogni modo, che dalle soglie del duemila a oggi non continui a esistere un “mercato” italiano per le letterature del Sudamerica, circostanza confermata dalla nascita di diversi editori di settore nei decenni ultimi; nondimeno, il primato assoluto della narrativa sugli altri generi tradizionali ha fatto sì che i poeti d’oggi (e di ieri) scomparissero di fatto dai radar degli agenti letterari e, conseguentemente, dagli investimenti editoriali più consistenti. Pur tra queste difficoltà strutturali, tuttavia, non sono pochi i poeti contemporanei cileni pubblicati in Italia negli anni a noi più vicini – da Raúl Zurita a Óscar Hahn, da Antonio Arévalo ad Andrés Morales, da Santiago Elordi a Germán Carrasco, dal Colectivo Casagrande alla generazione più giovane –, ma la loro diffusione resta molto limitata, sorte toccata anche a Parra, il quale, pur rappresentando uno scrittore di culto per almeno due generazioni di autori latinoamericani, ha riscosso ben poco interesse nel nostro paese al di fuori dell’universo della critica e degli specialisti. Da qui, dunque, l’opportunità di questa nuova antologia che si prefigge di rilanciarne la figura, di recuperare la sua produzione e di inquadrarla in una prospettiva storica, dagli esordi dell’antipoesia fino alle sillogi più recenti e alle liriche “disperse”, inserite nell’ultima sezione dei Calcetines huachos (Calzini spaiati); un’antologia che vuole rendere omaggio e giustizia a un poeta coraggioso e tenace che non ha mai smesso di scrivere fino a pochi giorni dalla morte. Nasce con tali auspici il presente volume, una opera grossa, come direbbe lo stesso Parra, che merita di essere portata alla luce anche solo perché in Italia forse non abbiamo mai avuto un poeta così: un autore in grado di predicare fieramente nel deserto e di non prendere mai troppo sul serio né sé stesso né il suo pubblico e men che meno il mondo che lo circonda, si tratti del sistema politico-sociale o di quello letterario. Da noi, in effetti, la poesia novecentesca, almeno nelle sue linee più note e riconoscibili, è stata fin troppo “seria” anche nella sovversione, ma questa è giusto una sensazione, niente più, e peraltro è argomento che qui non ci compete. L’antipoesia, in fin dei conti, si fonda proprio sulla sospensione del giudizio, su uno scetticismo programmatico e un principio di contraddizione esibito fino al capriccio, su una diminutio morale del ruolo del poeta e anche del critico, del tono e degli argomenti del loro discorso.
Due parole, infine, sui criteri che abbiamo stabilito di seguire nella selezione dei contenuti del presente volume. L’esigenza iniziale è stata, come detto, quella di ricostruire l’itinerario proprio dell’antipoesia: a questo principio si deve pertanto l’esclusione integrale di Cancionero sin nombre, raccolta rinnegata dallo stesso autore e perlopiù espunta anche dalle antologie “spagnole” della sua opera. Il nostro libro si apre perciò con i primi testi in cui si definisce la nuova vocazione dell’autore e procede in modo cronologico attraverso le raccolte più significative degli anni sessanta, settanta e ottanta con la declinazione e la consacrazione del fenomeno, per giungere poi alla produzione ultima, in cui Parra, lungi da qualsiasi tentazione nostalgica, continua a mantenere fede al suo stile dissacrante. Alla base del progetto c’è principalmente una volontà divulgativa, pertanto al pubblico italiano si è inteso offrire innanzitutto un campionario emblematico di quest’opera e nel volume trovano spazio perlopiù i componimenti più fortunati e riconoscibili dell’autore, dal già ricordato Manifesto alle varie Avvertenze al lettore, dalle Domande all’ora del tè a Le montagne russe, fino a L’uomo immaginario. E a tali parametri più “obiettivi” si deve aggiungere anche il gusto personale di chi scrive, poiché, se è vero che all’antologo spetta il compito di disegnare una traiettoria critica, è altrettanto vero che la selezione porta inevitabilmente in primo piano quei componimenti che appaiono più riusciti e rappresentativi dal suo punto di vista. Tutto ciò, inoltre, anche alla luce dell’impegno traduttivo, poiché nella fattispecie chi ha curato l’antologia è responsabile anche della versione italiana dei testi. In quest’ottica, in prima istanza abbiamo dedicato una particolare attenzione alla partitura ritmica delle liriche: dinanzi ai componimenti più formalizzati, costruiti rigorosamente sulle misure costanti dell’endecasillabo, del settenario singolo e doppio (l’alessandrino alla spagnola) e anche dell’ottosillabo, abbiamo riproposto in linea di massima le stesse cadenze di partenza, e non per mero omaggio all’ortodossia metrica, bensì per restituire anche in italiano ai versi il loro incedere genuino, la loro incalzante musicalità. Proprio i rapporti interni alla forma e sostanza dell’espressione – dai suoni ai giochi verbali – hanno rappresentato uno scoglio non sempre agevole da superare in italiano e perciò in certi casi abbiamo optato per riformulare calembours, non-sense e modi di dire, cercando di ricreare prevalentemente l’effetto provocato dagli originali in uno spettro che va dall’ironia più sottile al sarcasmo mordace, dall’umorismo scanzonato al motteggio e all’invettiva blasfema. Con la stessa intenzione “mimetica” abbiamo mirato a riprodurre la sintassi e il tono conversazionale di certi testi nonché i differenti, altalenanti registri che popolano il lessico poetico, dal vocabolo colloquiale a quello arcaico, colto, dai cilenismi e dagli americanismi più evidenti, che spesso abbiamo lasciato nella loro immediatezza culturale e comunicativa, ai termini prosaici e perfino volgari. Il tutto, in ogni caso, in un insieme che speriamo possa schiudere ai lettori italiani tutta la rigogliosa ricchezza dell’opera di Parra, un poeta longevo ma soprattutto un “ribelle” duraturo e ostinato, il celebrante di un instancabile falò delle vanità e delle verità che non risparmia niente e nessuno, dalla scienza alla politica, dalle classi alte alla plebe, dai valori spirituali ai costumi quotidiani, dalla poesia all’antipoesia stessa.
© 2019 Giunti Editore S.p.A. / Bompiani