di Louise Glück (trad. Francesca Mazzotta)
[Pubblichiamo una scelta di testi da Vita Nova di Louise Glück, nella traduzione inedita di Francesca Mazzotta].
FORMAGGIO
Il mondo
fu intero perché
andò in frantumi. Quando andò in frantumi,
allora sapemmo cosa era.
Non si rimarginò mai.
Ma nelle fessure profonde, apparvero mondi più piccoli:
fu una buona cosa che gli esseri umani li creassero;
gli esseri umani sanno di cosa hanno bisogno,
meglio di qualsiasi dio.
Lungo Huron Avenue diventarono
un blocco di negozi; diventarono
Fishmonger, Formaggio. Qualunque cosa
fossero o vendessero, essi erano
simili nella loro funzione: essi erano
visioni di salvezza. Come
un’ultima dimora. I venditori
erano come genitori; apparvero
per vivere lì. Nel complesso,
più gentili di genitori.
Affluenti
che alimentavano un grande fiume: ho avuto
tante vite. Nel mondo provvisorio,
ho sostato dove stava il frutto,
pianure di ciliegie, clementine,
sotto i fiori di Hallie.
Ho avuto tante vite. Alimentando
un fiume, il fiume
alimentando un enorme oceano. Se l’essere
diventa invisibile, è scomparso?
Fiorii. Vissi
non del tutto sola, sola
ma non del tutto, mentre estranei
si agitavano intorno a me.
Questo è ciò che il mare è:
esistiamo nel segreto.
Ho avuto vite prima di questa, steli
di uno spruzzo di fiori: diventarono
una sola cosa, tenuti da un nastro al centro, un nastro
visibile sotto la mano. Sopra la mano,
il futuro a ramificarsi, steli
culminanti in fiori. E il pugno stretto –
ciò sarebbe l’essere nel presente.
CASTIGLIA
Boccioli arancio che soffiano sopra Castiglia
bambini che elemosinano spiccioli
Conobbi il mio amore sotto un arancio
o forse era un’acacia
o forse non era il mio amore?
Lessi questo, quindi sognai questo:
può il risveglio restituire ciò che mi accadde?
Le campane di San Miguel
vibranti in lontananza
i suoi capelli nelle ombre albini
Sognai questo,
significa forse che non accadde?
Deve forse accadere nel mondo perché sia reale?
Sognai tutto, la storia
divenne la mia storia:
lui giaceva al mio fianco,
la mia mano sfiorò la pelle della sua spalla
mezzogiorno, quindi primo pomeriggio:
in lontananza, il suono di un treno
ma non era il mondo:
nel mondo, una cosa accade definitivamente, assolutamente,
la mente non può cancellarla.
Castiglia: suore che camminano appaiate per il giardino buio.
Fuori, le mura dei Santi Angeli
bambini che elemosinano spiccioli
Quando mi svegliai stavo piangendo,
ciò non è forse reale?
Conobbi il mio amore sotto un arancio:
ho dimenticato
soltanto i fatti, non l’implicazione –
c’erano bambini da qualche parte, in lacrime, chiedendo spiccioli
Sognai tutto, mi donai
del tutto e per tutto il tempo
E il treno ci ricondusse
prima a Madrid
poi nei Paesi Baschi.
NIDO
Un uccello stava facendo il suo nido.
Nel sogno, lo guardavo da vicino;
nella mia vita, stavo tentando di essere
una testimone non una teoreta.
Il luogo dove inizi non determina
il luogo dove finisci: l’uccello
prese quanto scovò nel cortile,
i suoi materiali basilari, nervosamente
scrutando il cortile spoglio nella primavera precoce;
spingendo tra i rottami presso il muro a sud
qualche ramoscello col becco.
Un’immagine
di solitudine: la piccola creatura
che viene fuori con niente. Poi
rametti secchi. Trasportando, uno a uno,
i rametti al nascondiglio.
Era tutto per il momento.
Prese quel che c’era:
il materiale disponibile. Lo spirito
non era abbastanza.
E dopo tessé come la prima Penelope
ma verso una fine diversa.
Come poteva intrecciare? Intrecciava,
cautamente ma disperatamente, i pochi rametti
senza alcuna elasticità, alcuna flessibilità,
scegliendo quelli da quanto si sgretolava, quanto recalcitrava.
Primavera precoce, tarda desolazione.
L’uccello volteggiò nel cortile spoglio facendo
fatica a sopravvivere
di ciò che gli rimaneva.
Aveva il suo compito:
figurarsi il futuro. Volando qua e là fermamente,
trasportando con pazienza piccoli rametti verso la solitudine
dell’albero esibito nel gelo immobile
del mondo esterno.
Non avevo niente con cui costruire.
Era inverno: non potevo immaginare
niente se non il passato. Non potevo nemmeno
immaginare il passato, se arrivò a tanto.
E non sapevo come giunsi qui.
Chiunque altro di gran lunga oltre.
Io ero indietro all’inizio
a un certo punto nella vita non riusciamo a ricordare gli inizi.
L’uccello
radunò i rametti sul melo, congiungendo
ogni parte aggiunta con la massa preesistente.
Ma quando ci fu d’improvviso una massa?
Prese quanto trovò dopo che le altre cose
erano finite.
Gli stessi materiali – perché dovrebbe importare
che finiscano poi? Gli stessi materiali, la stessa
merce limitata. Ramoscelli marroni,
spezzati e caduti. E in uno,
un filo di lanugine gialla.
Poi fu primavera ed ero inspiegabilmente felice.
Sapevo dove mi trovavo: sulla Broadway con le mie buste della spesa.
Frutta primaverile nei negozi: le prime
ciliegie da Formaggio. L’inizio
della forsizia.
Dapprima ero in pace.
Dopo fui contenta, soddisfatta.
E dopo sprazzi di gioia.
E la stagione mutò – per tutti noi,
ovviamente.
E come sbirciai fuori la mia mente crebbe più acuta.
E ricordo bene
la catena delle mie risposte,
mentre i miei occhi si fissavano su tutto
dal rifugio del sé nascosto:
prima, lo amo.
Dopo, lo posso utilizzare.
ELLSWORTH AVENUE
La primavera
discese. O forse si dovrebbe dire
sorse? Si dovrebbe dire forse si sollevò?
A casa dei Butlers,
il nocciolo in fiore.
Dunque doveva essere
febbraio inoltrato.
Pallido
giallo dell’anno nuovo,
inesperto colore. Luccichio
del ghiaccio sopra la terra tenue.
Pensai: fermati adesso, volendo dire
fermati qui.
Riferendomi alla mia vita.
La primavera dell’anno: il giallo –
verde della forsizia, i parchi
ripopolati d’erba nuova –
il nuovo
protetto sempre, la cosa nuova
dotata del proprio preciso riparo, della propria metallica
targa, delimitata
da una corda bianca.
Perché noi desideriamo che viva,
un verde pallido
che orla le oscure forme esistenti.
Tardo
sole invernale. O primavera?
Il sole primaverile
così presto? Schermato
da un rigoglio di forsizia. Ci guardavo
direttamente dentro o all’incirca dentro –
Di là dalla strada, un bambino
lanciò il suo cappello per aria: il nuovo
che sempre ascende, i freschi
precari colori che si arrampicano e salgono,
alternando
blu e oro:
Ellsworth Avenue.
Una striata
astrazione del pensiero umano
trionfale sopra arbusti morti.
La primavera
discese. O forse si dovrebbe dire
sorse daccapo? O si dovrebbe dire forse
eruppe dalla terra?
IL MISTERO
Divenni una creatura di luce.
Sedevo in un vialetto in California;
le rose erano color idrante; un bimbo
sfilava nel suo passeggino giallo, producendo
suoni gorgoglianti tipo pesce.
Sedevo su una sedia pieghevole
leggendo Nero Wolf per la ventesima volta,
un mistero che è diventato rilassante.
Lo so chi sono gli innocenti; ho acquisito in una certa
misura
il genio del maestro, nella cui mente duttile
il tempo si muove in due direzioni: indietro
dall’azione al movente
e oltre fino alla giusta soluzione.
Cuore impavido, non tremare mai più:
l’unica ombra è quella del palmo stretto
che non ti può racchiudere del tutto.
Diversamente dalle ombre dell’est.
La mia vita mi ha portato tanti posti,
molti dei quali assai oscuri.
Mi ha preso alla sprovvista,
spingendomi da dietro,
da un mondo all’altro, come
il bimbo tipo pesce.
Ed era tutto completamente arbitrario,
privo di una forma distinguibile.
Le minacce e le domande appassionate,
la vecchia ricerca di giustizia,
devono essere rimaste proprio deluse.
Eppure vidi cose magnifiche.
Divenni piuttosto radiosa alla fine;
mi portavo il mio libro ovunque,
come uno studente entusiasta
aggrappandomi a questi misteri semplici
tanto che potrei far tacere dentro me
le estreme accuse:
chi sei e qual è il tuo scopo?