cropped-resy5.jpgdi Corrado Stajano

[Questo articolo è uscito sul «Corriere della sera» del 24 aprile scorso].

C’è la lettera, l’ultima, ai compagni, di un ragazzo partigiano di Parma, Giordano Cavestro, studente di 18 anni, fucilato dai fascisti repubblichini il 4 maggio 1944 a Bardi, che riletta oggi riempie di dolore e di commozione per le sue speranze tradite: “Se vivrete tocca a voi rifare questa povera Italia che è così bella, che ha un sole così caldo, le mamme così buone e le ragazze così care. La mia giovinezza è spezzata, ma sono sicuro che servirà da esempio”.

E’ servita da esempio quella giovane morte? Questa nostra di oggi non sembra davvero l’Italia che sognarono i partigiani discesi dalle montagne il 25 aprile 1945.

La crisi economico-finanziaria, con i 3 milioni di disoccupati, il 38,7 dei giovani senza lavoro, i quasi 3 milioni di precari, gli esodati, le fabbriche piccole e medie che ogni giorno chiudono sono i dati crudeli della condizione del Paese. Ma l’incuria dura da decenni di cattivi governi, il paesaggio è devastato, in nome della speculazione. Della bellezza non si tiene alcun conto; la situazione idrogeologica è perennemente precaria, si parla delle alluvioni e dei terremoti soltanto al momento degli eventi, poi cala il silenzio, come all’Aquila, con il suo centro storico dopo quattro anni desolatamente abbandonato. Per la cultura, musei, biblioteche, archivi, teatri, che dovrebbe essere un forno sempre acceso, l’Italia è all’ultimo posto in Europa per i suoi investimenti e al penultimo per l’istruzione. E’ questo il paese sognato dagli uomini e dalle donne della Resistenza dopo i disastri del fascismo e della guerra?

Le commemorazioni possono anche essere di maniera, stucchevoli, ma nei momenti gravi della vita nazionale come questo che stiamo vivendo, un 8 settembre della democrazia, è necessario e doveroso, invece, ripensare alle proprie radici per poter ricominciare, ripetere con pazienza che la Repubblica è figlia della Resistenza al fascismo, anche se si è fatto di tutto, in questi anni, per negare in modo beffardo l’evidenza tentando continuamente di dimenticare e di cancellare la Costituzione che, come scrisse padre David Maria Turoldo, è il Vangelo della Repubblica.

Che festa grande fu quel 25 aprile entrare nelle città liberate, tra la folla che applaudiva, i ragazzi che sventolavano bandiere, rosse, azzurre, tricolori, con le campane che suonavano a distesa. Era finita. I partigiani arrivarono spesso prima degli americani, degli inglesi, dei neozelandesi, dei polacchi. A Genova i tedeschi chiesero la resa al Corpo volontari della libertà e le brigate partigiane sfilarono lungo via XX settembre scortando migliaia di prigionieri dell’esercito nazista catturati o arresi. A Milano fu la divisione garibaldina dell’Oltrepò comandata da Italo Pietra, il futuro direttore del “Giorno”, a liberare la città entrando da Porta Ticinese. Che emozione per quei ragazzi diventati adulti tra le asperità della guerra di montagna contro un nemico che da sempre ha le armi nel sangue. Carlo Smuraglia, Presidente dell’Anpi, giurista insigne, partigiano, poi nell’Esercito italiano di liberazione, ha raccontato alla tv come fu naturale allora per lui, studente di vent’anni alla Normale di Pisa, scegliere la parte della libertà e della giustizia. Più semplice che per un giovane di oggi.

E dopo? Non andò di certo come doveva, con la guerra fredda che divise di nuovo il mondo, gli ostruzionismi, i maccartismi, la cancellazione delle garanzie, le discriminazioni, il revisionismo impudico ancora oggi in azione. La vittoria sul fascismo non è stata mai digerita del tutto da strati non piccoli della società. Nell’estate del 2011, il governo Berlusconi che negava ancora l’esistenza della crisi, boccheggiante, con l’acqua alla gola, tentò di abolire la festa del 25 aprile e anche il Primo maggio e il Due giugno. Di recente un leader del Movimento 5 stelle, Roberta Lombardi, non ha scritto che il fascismo ebbe un altissimo senso dello Stato? Il fascismo buono. Tutti uguali, carnefici e vittime. E Luciano Violante, eletto nel 1996 presidente della Camera, non riabilitò benevolo, nel discorso ufficiale a Montecitorio, i “ragazzi di Salò”? (Tutti i morti sono uguali, ma sono ben diverse le ragioni per cui sono caduti: i partigiani, per la liberazione dell’Italia, i fascisti al servizio dei tedeschi invasori, spesso anche più feroci di loro nei rastrellamenti).

La crisi non è soltanto economico-finanziaria, ma è una crisi culturale, politica, antropologica di tutta una classe dirigente. Occorre intervenire subito con coraggio, ma ci vorranno anni, forse generazioni, per ricomporre una società che riabbia dignità e rispetto per se stessa.

Tra passato e presente. Se si pensa chi furono gli uomini della Costituzione, appartenenti a tutte le forze politiche – Luigi Einaudi, Lelio Basso, Piero Calamandrei, Alcide De Gasperi, Giuseppe Dossetti, Amintore Fanfani, Giorgio La Pira, Nilde Iotti, Emilio Lussu, Concetto Marchesi, Aldo Moro, Costantino Mortati, Umberto Terracini, Palmiro Togliatti – può essere umiliante un paragone con l’oggi.

Il 4 marzo 1947, Piero Calamandrei fece all’Assemblea Costituente un discorso che ha mantenuta intatta tutta la sua contemporaneità. Concluse così: “Che cosa diranno i posteri di questa nostra Costituzione? Seduti su questi scanni è stato  tutto un popolo di morti , di quei morti che noi conosciamo ad uno ad uno, caduti nelle nostre file, nelle prigioni e sui patiboli, sui monti e nelle pianure, nelle steppe russe e nelle sabbie africane, nei mari e nei deserti, da Matteotti a Rosselli, da Amendola a Gramsci, fino ai giovinetti partigiani”.

[Immagine:  Il CLN sfila a Milano, 25 aprile 1945].

20 thoughts on “Crisi e Resistenza

  1. Bellissimo articolo. Grazie. E non importa se le “commemorazioni possono anche essere di maniera, stucchevoli”. Che qualcuno abbia ancora il coraggio di dirle queste cose “stucchevoli”, soprattutto contro certi revisioni impudichi – io userei parole più forti, ma non importa – a uso e consumo dello squallore politico contemporaneo, è cosa buona e giusta. Rimettiamo al centro Antifascismo e Resistenza. E chi se ne frega se ci diranno che siamo vecchi e superati: stiamo freschi se il nuovo sono elementi come Roberta Lombardi! Preferisco il “vecchio” Calamandrei.

  2. Oltre ad essere bello è anche vero questo articolo di uno dei nostri più grandi giornalisti. Certo lascia molto amaro in bocca, ma dobbiamo ripartire da quei valori, con umiltà, pazienza e rabbia, sì anche con rabbia, per ridare dignità a noi stessi e a un paese corrotto dal danaro e dalle merci dove sono caduti tutti gli edifici di pensiero novecenteschi. Comunque grazie Stajano!

  3. “Rimettiamo al centro Antifascismo e Resistenza“.

    Sì, e al più presto possibile.

    Se c’è ancora un respiro di speranza, può uscire solo da quei polmoni.

  4. Non vorrei essere importuno, ma non riesco a stare zitto.
    Sono passati 70 (settanta!) anni dalla fine della IIGM, e ancora non si riesce, noi italiani, a trovare un minimo di equilibrio e di sincerità su queste vicende.
    C’è riuscito il generale Franco, mai stato celebre per la sua generosità, a dare sepoltura onorata ai suoi nemici politici in una guerra civile più atroce e sanguinosa della nostra (Valle de los Caìdos), ma noi no!

    Possibile che si debba leggere sul Corriere della Sera, nel 2013,
    “Tutti i morti sono uguali, ma sono ben diverse le ragioni per cui sono caduti: i partigiani, per la liberazione dell’Italia, i fascisti al servizio dei tedeschi invasori, spesso anche più feroci di loro nei rastrellamenti”? Cioè una frase nella quale ci sono più bugie che parole? Faccio l’elenco.

    1) I morti non sono affatto tutti uguali, tranne che per i becchini. L’eventuale giudizio sui morti dipenderà da come hanno vissuto; suggerisco a chi ne avesse voglia, di darlo caso per caso, e non all’ingrosso.

    2) I partigiani hanno combattuto per tante ragioni, tra le quali “la liberazione d’Italia” è statisticamente minoritaria. La maggioranza dei partigiani era comunista, e combatteva per una rivoluzione sociale che in Italia non si è verificata, come ad esempio in Grecia, perché a Yalta fu deciso altrimenti da Stalin, Roosevelt e Churchill.

    3) I tedeschi non erano “invasori” scesi da Marte, ma alleati dello Stato italiano che in seguito al noto voltafaccia settembrino di Vittorio Emanuele III prima si esfiltrò, poi rovesciò le alleanze. I fascisti repubblichini combatterono a fianco dei tedeschi per a) restare fedeli all’ideologia fascista e alla nazione italiana così come la intendevano b) evitare che i tedeschi, comprensibilmente un po’ seccati per il voltafaccia monarchico, trattassero anche peggio la popolazione italiana, prospettiva più che probabile visti i precedenti altrove c) per non mancare alla parola data, cioè per non disonorarsi. Commisero certamente atrocità, a fianco dei tedeschi e da soli. Dal canto loro i partigiani si resero colpevoli, in alcune occasioni, di simmetriche atrocità, come avviene *sempre* nelle guerre civili; alcuni di loro ne commisero anche a guerra finita. Nel frattempo, gli angloamericani e i francesi, loro sì invasori a tutti gli effetti in quanto potenze nemiche dello Stato italiano fino al 1944, anche dopo l’armistizio non lanciarono dai bombardieri mazzi di fiori sulla popolazione civile, non si astennero dallo sprofondare nel marasma economico le zone da loro occupate facendo circolare le monete d’occupazione, e non invitarono alle tombole parrocchiali le italiane che gli capitava di incontrare in zona d’operazioni e altrove. Detto en passant, le FFAA americane sono ancora qui, sul territorio italiano.
    4) quanto ai fascisti “al servizio dei tedeschi invasori”, essi lo erano certamente, se per “servizio” si intende l’oggettiva subordinazione dettata dal rapporto di forze fra RSI e III Reich. In questo senso, le formazioni partigiane erano altrettanto “al servizio” degli angloamericani, altrettanto invasori, e senza i quali non avrebbero fatto un graffio sui blindati della Wehrmacht. Se il “servizio” del subordinato si nobilita in volontaria adesione grazie alla condivisione dell’ideologia della potenza dominante, ciò vale tanto per la RSI quanto per la Resistenza, anche se soprattutto nel caso della Resistenza si dovrà distinguere fra l’adesione di alcune formazioni partigiane (minoritarie) alle ideologie democratico-liberali dell’Impero Britannico e degli USA, e l’adesione (maggioritaria) di altre formazioni partigiane all’ideologia comunista dell’URSS.

    Sul fascismo, do un giudizio storico negativo. Mi risulta però che il fascismo e il nazismo siano fenomeni storici conclusi e non riproponibili, a meno che qualcuno non creda sul serio alla leggenda di Berlusconi erede dell’eterno fascismo, o adesso a quella di Roberta Lombardi nuovo avatar del fascio littorio.
    Mi risulta invece che l’antifascismo in totale e permanente assenza di fascismo esiste eccome, e serve a giustificare (elenco incompleto):
    a) la partecipazione italiana all’aggressione all’Irak (“Saddam Hussein dittatore fascista”)
    b) la partecipazione italiana all’aggressione alla Libia (“Gheddafi dittatore fascista”)
    c) l’accurata fotocopiatura di ogni disposizione e volontà del Dipartimento di Stato USA, ad esempio l’acquisto di 90 F35, notorie bare volanti che costano un occhio (“potenza antifascista”)
    d) la demonizzazione degli avversari politici del centrosinistra, tanto più utile e comoda in quanto le politiche estera ed economica di centrosinistra e controdestra differiscono meno della zuppa e del panbagnato (“Berlusconi fascista”, “Grillo fascista”, etc.)
    e) la santificazione degli eredi del PdA quali i giornalisti di “Repubblica” e il CdA di Mediobanca, i famosi “laici antifascisti”
    f) e, conseguenza del punto precedente, l’intenzionale rimescolamento delle carte che mette in un mazzo solo i coraggiosi che sul serio presero le armi contro il fascismo e i tedeschi, e i badogliani che organizzarono con tanta preveggenza il voltafaccia antifascista dell’8 settembre al nobile scopo di salvarsi la pelle e le proprietà mettendosi al servizio delle potenze vincitrici: ad esempio, la fam. Agnelli e la maggior parte della Confindustria italiana.

  5. Temo che alcuni tra coloro che sono intervenuti prima di me, facciano un grave torto all’articolo. Questo mettere assieme resistenza ed antifascismo, costituisce a mio parere un grave errore.
    L’antifascismo ha costituito per metà secolo l’alibi per le peggiori porcherie, in fondo bastava poco per farsi considerare veri democratici, bastava appunto non avere leggi razziali, eliminare lo squadrismo, come tutta la retorica del regime, cose di questo tipo.
    Oggi in cui un parlamento di gentuccia si appresta a dare la fiducia ad un governo a cui non si vede come rifiutare il termine antifascista, un governo a cui si è giunti con una procedura vergognosa, messa lì dai traditori che hanno svenduto l’Italia alle grandi banche e finanziarie estere, mettere assieme resistenza ed antifascismo credo che sia un errore gravissimo.
    Coloro che pregiandosi del termine antifascista si sono messi assieme dopo decenni di finta competizione, sono gli stessi verso cui il popolo deve assumere un atteggiamento di resistenza, e la prima condizione perchè questa resistenza non costituisca la solita buffonata che serve ancora più a depredare questo paese nelle sue componenti più povere, sta nello specificare chi sta da questa parte e chi è il nemico rispetto a cui opporre un atteggiamento di resistenza attiva.
    Sicuramente, il governo appena insediato sta dalla parte opposta, così come tutti i parlamentari che con le motivazioni più improbabili oggi daranno il loro voto di fiducia.

    Colgo l’occasione per segnalare agli scettici sull’importanza del fattore estero nella rielezione di Napolitano e la successiva nascita di un governo di grande coalizione, le performance dei mercati finanziari oggi: neanche questo è sufficiente per capire a chi convenga il governo Letta/Napolitano?

  6. Ho sentito troppe volte ripetere “questa non è l’Italia che sognavamo”.
    Sinceramente mi deprime e anche irrita sempre un po’, perché anche se fosse vero – e magari o sicuramente lo è – mi fa sentire solo un pezzo di relitto dopo il naufragio sballottato dalle onde, nonché un epigono rincoglionito. Posso dire, a 30 anni, che non ci sto?

    Ripartiamo dai valori della Resistenza e della Costituzione, nulla da eccepire, ma dopo aver stabilito questo legame poetico, testimoniale, ideale tra i padri e noi, poi il lavoro duro sarà sempre e ancora quello di dare non solo passione, ma conoscenza profonda del guazzabuglio del cuore umano e della storia, dove la Costituzione non è un valore eterno, ma storico, e la Resistenza non un Incarnazione della giustizia sulla terra, ma un evento fondativo di un’identità, di nuovo, storica: questo allo scopo di dare non solo passione ma comprensione delle cose, dunque migliore capacità d’azione (che è quello che conta).
    Sempre ammesso che agire sia facile come una volta: prendere il fucile e salire in montagna è una scelta estrema – si può morire -, ma è una scelta puntuale, semplice, o sei di qua o di là. Oggi a chi fra noi è resistente si pongono scelte così chiare e nette?

    Il 25 aprile ho visto un bel documentario su RaiStoria, spezzoni di discorsi commemorativi della Liberazione dal primissimo dopoguerra a oggi. Il tentativo di dire che “tutti i morti sono uguali” (anzi, in particolare le parole del futuro papa Montini erano “davanti alla morte tutti sono uguali”) è già dei primi anni, mica solo l’oblio di noi figli smemorati. Quindi anche questa lamentela non regge.
    Sarà che fin dalle origini il nostro mito fondativo nazionale non è stato un mito fondativo nazionale, sarà che non ci si può alzare il 24 luglio ’43 fascisti e risvegliarsi il 25 democratici? E non credo che sia un problema solo italiano, ho come il sospetto che qualcosa di hitleriano resti ancora nel sangue dei tedeschi, anche se da loro l’argomento è castamente custodito sotto le spoglie del tabù e del rimosso. Facile essere tutti francesi se il mito fondativo è lontano due secoli e mezzo, un po’ più più difficile se sta alle nostre spalle l’altroieri.

    Ripetere quella frase serve a poco, perché è un attimo, e ti diventa da poetica, retorica. Riflettere, piuttosto, sui motivi per i quali si sogna una cosa, e si finisce per ottenerne un’altra. L’inghippo sta lì.

  7. Con tutto il rispetto che posso ancora avere per Corrado Stajano (ho ancora in mente il disegno di Franco Serantini sul suo libro “Il sovversivo”…), questo suo ( e anche per il giornale su cui viene pubblicato…) non è un «bellissimo articolo».
    È troppo sbilanciato sul lato della nostalgia antifascista *d’antan*, della *sacralizzazione* di quel moto storico (padre Turoldo benedicente…) e troppo, ma davvero troppo, reticente sull’oggi e su come *attualizzare* la lezione della Resistenza, che è compito urgente ( e non solo degli storici, ma di tutti noi, come ho già scritto in un commento precedente sul post di Daniela Brogi).
    È vero che Stajano si lamenta dei revisionismi, i quali o hanno ridotto la Resistenza a immagine trionfalistica di cartapesta tacendo sul ruolo dei “liberatori” anglo-americani (in proposito Quazza o Pavone sono state delle mosche bianche del tutto inascoltate dagli storiografi dell'”arco cotituzionale”) o l’hanno usata ad ogni cambio di stagione politica per compromessi e inciuci di meschino cabotaggio o l’hanno demonizzata perché “violenta” (Pansa et alii).
    Ma Stajano tace soprattutto sul «dopo», facendo un mucchio indistinto e generico di ostruzionismi, maccartismi, etc. E senza mai scrivere – per carità! – « i nomi degli amici e quelli dei nemici» sia di ieri che di oggi (come chiedeva sempre di fare Fortini…).
    Se la cava purtroppo dando una bacchettata a Luciano Violante e una a Roberta Lombardi. Come se la dichiarazione estemporanea e magari sciocca di una ragazza appena entrata in parlamento avesse la stessa gravità o lo stesso peso politico delle dichiarazioni ponderate e – queste sì – revisioniste di un navigato leader da decenni onnipresente sulla scena. Se la cava con un compassionevole e vago «non andò di certo come doveva» ( ma quando mai la storia va “come doveva”?). E, pur auspicando che si intervenga «con coraggio», non dice una parola sulle scelte che vanno facendo Napolitano, Monti, il PD (e – adesso vedremo – il “giovane” Letta…).
    Sono queste scelte coraggiose?
    Ricompongono la società, etc.?
    Uno solo dei presenti oggi in Parlamento può essere accostato, senza far ridere o far venire il prurito alle mani, a quelli che nomina come «uomini della Costituzione» (anche qui mescolando più del dovuto, ma lasciamo perdere..)?
    Amici, prima di commentare e applaudire, andatevi almeno a leggere un buon manuale di storia.

  8. @ Buffagni, Cucinotta, Abate

    Grazie di esistere, siamo qui per imparare.
    Noi si viaggia per questi lidi sempre e solo nella speranza di incontravi e di leggervi.
    Non abbandonateci!

    p.s.

    Alla prima occasione, mi piacerebbe tanto invitarvi tutti e tre per cena…

  9. Abate, Cucinotta, Buffagni, non so se andrei a cena da uno che si chiama conte Ugolino, chissà il menù… ;-)

    (@ conte Ugolino o Ugolino Conte: chiarisco che non c’è nulla di insinuante nella frase precedente. Solo, se invita qualcuno a cena, cambi nickname!)

    @ Buffagni. Tenga fermo quello che ho scritto nel mio commento precedente, però… lei chiede un giudizio sostanzialmente sovrastorico, che dispensi sovranamente torti e ragioni da ambo le parti. Mi sta bene in sede di riflessione, però lei pretende di equiparare tutto e tutti sul piano storico, pratico (dunque, in ultima analisi, etico). E no, questo non lo si può fare. Per la semplice ragione che abbiamo bisogno del giudizio negativo sugli invasori tedeschi e sui repubblichini per evitare che qualcuno si senta autorizzato a tingere svastiche su tombe ebraiche e ad alzare braccia nel saluto romano negli stadi.
    E’ ancor più difficile di come la mette lei: bisogna insegnare ad essere assolutamente spregiudicati nell’analisi storica, smettendo di credere alla lotta fra angeli e demoni, senza cadere però nel relativismo cinico. Una parte giusta c’è stata, non foss’altro che per il fatto che oggi io e lei possiamo scrivere liberamente queste cose in pubblico.

  10. @ Daniele Lo Vetere

    Caro giovanotto, mi consenta, mi tocca correggere non uno bensì due suoi evidenti errori: in merito alla mia identità, il primo (affatto veniale: qui non le era dato sapere); un po’ più grave il secondo, in quanto rimanda direttamente alla lettura e all’interpretazione del mio commento (entrambe frettolose, anzi che no).

    Dunque (e sperando che la Direzione abbia la bontà di perdonarmi questo increscioso O.T.):

    1) Che lei ci creda o no, Ugolino Conte è proprio il mio nome all’anagrafe (se non si risolvesse in una invereconda auto-promozione, le suggerirei di chiedere informazioni sul mio conto alla segreteria dell’Università di Montpellier, dove ho insegnato per anni). Vabbe’, ormai l’ho scritto, pardonnez-moi.

    2) Io non mi sono mai sognato di invitare a cena i nostri magnifici tre, legga bene: li ho semplicemente invitati per cena. Non so se mi spiego…

    Tornando I.T., invece, le confesso che lei mi è simpatico e che ammiro molto il suo giovenile ardore: non è da tutti voler convincere Buffagni di “qualcosa” e, per di più, invitarlo a non essere sostanzialmente sovrastorico nei giudizi. Lei mi sembra pieno di energie e di speranze che, mi consenta, potrebbe investre su obiettivi un po’ più, come dire?, alla portata

  11. Caro Conte,
    non le conviene invitarmi per cena: sono vecchio e coriaceo, le resterei sullo stomaco.

    Caro Lo Vetere,
    stia tranquillo che sono meno difficile da convincere di quanto suggerisca il sunnominato Conte.
    Per la verità, io non vorrei un giudizio “sovrastorico”, vorrei un giudizio “storico” e non ideologico sul Fascismo, sulla Resistenza e sull’Antifascismo.
    Il fatto è che mentre non è tanto difficile formulare un giudizio storico su, mettiamo, interventismo e neutralismo nella IGM, formularlo su fascismo e resistenza lo è, e molto, perché il fascismo, la resistenza, l’antifascismo, sono tuttora utili strumenti ideologici per il conflitto politico e culturale, nazionale e internazionale di oggi.
    Se vuole il mio parere, che conta fin lì, in merito alla “parte giusta” nella IIGM, glielo do volentieri: la parte meno peggiore, cioè tradotto in linguaggio politico la parte giusta, è quella che ha vinto: perché se avesse vinto l’altra, stanti i rapporti di forza fra Italia e Germania si sarebbe realizzato il progetto politico nazista, che presentava aspetti affatto inaccettabili, quali il suprematismo razziale e non solo.
    Questa è, in pillola, la mia valutazione storico-politica in bianco e nero sul merito della questione. Se poi andiamo sulle sfumature di grigio, che non butterei via, potrei accennare al fatto che la vittoria della “parte giusta” ha avuto alcune conseguenze poco simpatiche: l’asservimento politico e culturale d’Europa in generale e d’Italia in particolare, e la supremazia mondiale degli Stati Uniti, potenza che non mi pare incarnare il Bene (chi lo pensasse, è invitato a interrogare le ombre incollate ai muri di Hiroshima e Nagasaki) più altre cosette culturali che ometto per brevità.
    Nel giudizio storico che auspico, mi piacerebbe che ci fosse l’accettazione definitiva che il fascismo italiano è, appunto, italiano: cioè una legittima manifestazione, politicamente erronea e sconfitta, del meglio e non del peggio della cultura italiana. Che insomma i fascisti erano a pieno titolo italiani tanto quanto gli antifascisti, che il fascismo fa a pieno titolo parte della nostra storia, e non solo come eterno babau e pretesto.
    Io direi che sarebbe ora di piantarla con questo giochetto, iniziato dal fascismo e poi proseguito dall’antifascismo, in base al quale ci sono gli italiani veri e gli italiani falsi, la vera Italia e la falsa Italia, il popolo delle scimmie e il popolo dei moralmente ineccepibili.
    Poi, mi piacerebbe anche che i caduti della R.S.I., in quanto italiani che hanno combattuto per ragioni politicamente sbagliate, ma non tutte eticamente riprovevoli e infami (anzi: a chi combatte per una causa che sa perduta, io un bonus etico io glielo darei subito) venissero ricordati onorevolmente, con cimiteri, lapidi, commemorazioni, dibattiti pubblici nei quali i loro discendenti, e coloro che ancora ne condividono la cultura politica, venissero autorizzati a dire, con piena libertà, e in un dialogo anche asperrimo con i discendenti dei loro avversari e coloro che ne condividono la cultura politica, tutte, ma proprio *tutte* le loro ragioni politiche, culturali, umane.
    Mi piacerebbe che questi morti venissero sepolti con tutti gli onori. Onorare un morto non vuole dire dargli ragione o condividere tutti i suoi pensieri e tutti i suoi atti, vuole dire *riconoscerlo come uno di noi*.
    Il *noi* può indicare la comune umanità: non si butta via un uomo morto come una carcassa di cane. Oppure, il *noi* può indicare la comune appartenenza a una stirpe, una nazione, una polis, una cultura: se non vado errato, questo discorsetto non lo faccio io per primo. Remember Sofocle? L’Antigone? Polinice? Era buono Polinice? Politically correct? A me non risulta. Eppure, Antigone insiste per rendergli gli onori funebri. E’ una revisionista, Antigone? Una fascista? Non mi risulta neanche questo.
    Mi risulta invece che secondo Sofocle, la violazione della legge sacra che impone di rendere onore ai propri morti anche quando si comportino non solo da ribelli, ma da criminali, ha come conseguenza la peste. E qui si aprirebbe un interessante discorso su come si manifesti, oggi, in Italia, quella peste. Ma di questo, magari, alla prossima puntata.
    Questa la chiudo segnalandole che il discorso di Montini, che davanti alla morte siamo tutti uguali, non significa la stessa cosa del “tutti i morti sono uguali” di Stajano. Per Montini, sulla soglia della morte c’è lo sguardo e il giudizio di Dio. E’ davanti a quello sguardo e a quel giudizio che siamo tutti uguali, perché Dio “non fa differenza di persone”, e perché “tutti i punti sono equidistanti dal Cielo”.

  12. Buffagni, ci sono dei passaggi del suo *commento* semplicemente deliranti e abominevoli, che solo una malintesa idea di “tolleranza” e di “confronto” può permetterle di esprimere qui.

    Scegliendo fior da fiore:

    Poi, mi piacerebbe anche che i caduti della R.S.I., in quanto italiani che hanno combattuto per ragioni politicamente sbagliate, ma non tutte eticamente riprovevoli e infami (anzi: a chi combatte per una causa che sa perduta, io un bonus etico io glielo darei subito) venissero ricordati onorevolmente, con cimiteri, lapidi, commemorazioni, dibattiti pubblici nei quali i loro discendenti, e coloro che ancora ne condividono la cultura politica, venissero autorizzati a dire, con piena libertà, e in un dialogo anche asperrimo con i discendenti dei loro avversari e coloro che ne condividono la cultura politica, tutte, ma proprio *tutte* le loro ragioni politiche, culturali, umane.

    Non si preoccupi, comunque, vedrà che qualcuno dei *sinistri* con cui lei è solito interloquire amabilmente in questo blog, spaziando da Sofocle ai quesiti di Marzullo, le terrà “democraticamente” bordone. A me, in tutta sincerità, viene da vomitare (e non ho nemmno cenato) al solo pensiero – e in quel pensiero c’è la memoria di mio padre, di mio nonno e delle migliaia e migliaia di *italiani* consegnati alle ss da quegli *italiani* a cui lei riconoscerebbe un *bonus etico*: inviati nei campi di concentramento o sterminati casa per casa nei paesini dell’Appennino.

    Buffagni, se ne faccia una ragione: la radice dei mali di questo paese, tutti, è proprio nel buco nero rappresentato dalla mancanza di un “redde rationem”, di una presa di distanza radicale, alle origini della storia repubblicana, da questa fogna: un buco nero che ha permesso ai repubblichini e ai loro “degni” discendenti di cambiare casacca senza troppo dare nell’occhio e di prendere possesso del paese sotto altre bandiere, sotto altre insegne, con altre parole d’ordine…

    Adieu.

  13. @ Buffagni. In effetti su Montini avrei dovuto dire (e volevo dire) non “in particolare”, ma “più precisamente le parole del futuro papa Montini erano…”. Sfumatura non da poco, anche se credo che a quell’epoca già dir quello fosse ardito revisionismo.
    Se riesce a fare cimiteri con i caduti fascisti e contemporaneamente evitare che questo dia la stura ai graffiti e braccia alzate di cui sopra, concesso, i morti di morte violenta mi fanno tutti tale pietà che non mi piace buttare gli uni nella fossa comune e coprire di ghirlande gli altri.
    Ma non ci riuscirà, e le identità nella storia continueranno a costruirsi soprattutto per distinzione dal nemico (mi pare lei citi Schmitt a volte, ecco).

    @ Conte. Che dire? Perdoni il giovenile errore… e grazie della risposta garbata.

  14. Caro Conte,
    io ho dei parenti che hanno combattuto con la RSI, e degli altri che hanno combattuto con i partigiani. Altri non hanno combattuto né di qua né di là. Qualcuno dei combattenti ci ha anche lasciato la pelle. Non gli è successo di incontrarsi sul campo o nel corso di un’esecuzione, ma poteva succedere. Non sono il solo. Se parla con i suoi conoscenti, vedrà che qualcuno lo trova anche lei.
    Poi, se l’ho fatta vomitare mi dispiace. Mi chiedo, però, in quale modo lei avrebbe auspicato che si svolgesse il “redde rationem”. Farli fuori tutti, seppellirli nella calce viva, cancellarne i dati anagrafici, le fotografie? Eventualmente sterminare anche le famiglie per evitare futuri contraccolpi? Guardi che i fascisti erano tanti, almeno finché le cose parevano andar bene. Tra di loro c’era anche l’attuale Presidente della Repubblica, all’epoca non infante.
    La santa memoria di suo padre, nessuno le chiede di rinnegarla; né sono tanto sciocco o insensibile da chiederle di perdonare i suoi assassini, se è stato ucciso: lei ha tutto il diritto di odiarli per sempre.
    In Italia, però, c’è altra gente che ricorda, con la stessa sua commozione, il proprio padre che ha combattuto dall’altra parte, e che forse ha combattuto con onore, e forse è stato ucciso senza necessità militare. Gli vogliamo permettere di onorarlo pubblicamente, questo morto benché sconfitto? Una tomba gliela diamo? Le sue ragioni, la sua storia le ascoltiamo? Non ci basta averlo sconfitto e ammazzato, lo dobbiamo per forza infamare fino alla fine dei tempi? Sputare sulla sua tomba, pisciare sulla sua memoria, trattarlo da sadica merda anche se fosse stato un uomo sincero e coraggioso?
    Ci fa bene questo accanimento nella vendetta che non ci fa rischiare neanche un raffreddore? Ci aiuta a essere migliori, più coraggiosi, più buoni, più intelligenti? Tiene chiuso il buco nero? Questa vendetta a costo zero ce la impongono le ombre dei morti, sennò si scatenano le Furie? Mah.

  15. Gli ultimi interventi di Buffagni mi sollecitano “imperiosamente” a puntualizzare meglio il senso di quanto ho scritto che credevo, evidentemente a torto, che fosse chiaro.
    Quando io parlo criticamente dell’antifascismo, non intendo affatto minimizzare la mia personale avversione per il fascismo, non è questo che è in discussione, ma l’insignificanza dello stesso termine “antifascismo” che sappiamo poi essere stato usato ampiamente da Berlinguer come trampolino di lancio della politica del compromesso storico.
    In linea di principio, sono contrario a coloro che si qualificano in senso negativo, l’antifascismo di ieri e l’antiberlusconismo di qualche ora fa (l’antiberlusconismo di oggi non lo posso più dire, dopo l’insediamento del governo Letta/Napolitano, è anch’esso cosa del passato). Mi chiedo insomma chi possa contentarsi di definirsi solo sulla base dell’essere contro qualcosa e qualcuno, non sarebbe preferibile, anzi indispensabile, definirsi in riferimento a contenuti in positivo, in scelte esplicite ed inequivocabili?
    Che quindi ora si evochi l’antifascismo, lo trovo francamente del tutto inadeguato, mentre richiamare la necessità di una nuova resistenza, questo sì che mi pare un punto fondamentale, purchè naturalmente si chiarisca tra i resistenti a cosa si resiste. Secondo me, bisogna resistere all’onda neoliberista che non ammette compromessi di sorta. Se questo parlamento non si affretta a ripristinare il testo costituzionale prima dell’introduzione dell’obbligo di bilancio, se non ci si piega alla riduzione rigida del debito statale a colpi del 5% l’anno concordata in sede europea, se non si smette di accettare gli stolti dettami della germania in termini di un rigore incomprensibile, non v’è salvezza, ci si affosserà qualunque sia l’abilità del manovratore di turno.
    Purtroppo, ciò farà saltare l’eurozona, non è che mi faccia piacere, ma la cosa è nei fatti, abbiamo una scelta drastica, spazi per funambolismi economici ormai non ce n’è più, è finita l’ora dei pannicelli caldi, o si cambia strada e lo si fa celermente, oppure si va verso il disastro. Stento a comprendere quale strada in qualche misura intermedia venga immaginata dai vari riformatori che si succedono su questo blog, solo rimanendo sul generico, è possibile avanzare proposte che nella realtà non esistono.

    Detto questo, devo anche aggiungere che non capisco di cosa si lamenti Buffagni. Vorrei proprio sapere dove egli vede questo eccesso di vendetta verso i fascisti. Qui, i riciclati del dopoguerra sono la maggioranza, lei cita Napolitano, io potrei citare Scalfari, ma chissà quanti democristiani aderivano al partito fascista, credo più della metà. Chi ha voluto, ha cambiato casacca ed è stato prontamente perdonato, non mi pare che ci siano stati eccidi di fascisti, singoli casi di omicidi senz’altro sì, ma concentrati comunque nei primi mesi dopo la liberazione.
    No, mi pare di capire che lei si lamenta dell’impossibilità di celebrare (di osannare?) i fascisti più coerenti, che a volte coincidono con quelli più feroci. Ma mi scusi, Buffagni, nella storia, quando mai lo sconfitto può pretendere di essere equiparato al vincitore? A me può suscitare una certa solidarietà umana la coerenza di un fascista, ma egli dovrebbe essere il primo a non lamentarsi delle conseguenze ovvie della sua coerenza, essere coerenti permette di guardarsi allo specchio la mattina senza provare vergogna, ma ha anch’esso un prezzo. L’alternativa sarebbe quella di rivalutare il fascismo, non credo che lei non se ne renda conto, e le pare una cosa possibile? Lei crede davvero che una repubblica nata sulla sconfitta del fascismo, possa di colpo equiparare torti e ragioni? Voglio essere esplicito, a me pare tutto il contrario, che la neonata repubblica italiana sia stata perfino troppo benevola ed indulgente verso coloro che aderirono a un regime che tante vittime ha fatto nel proprio paese, che tanti danni ha provocato all’Italia.
    Infine, non capisco il senso con cui lei tende a sottolineare che il fascismo è qualcosa di squisitamente italiano. In verità, tra le due guerre, ben pochi paesi europei furono risparmiati dal propagarsi di forze politiche che si richiamavano al fascismo, ed almeno in quattro nazioni oltre l’Italia il fascismo conquistò il potere. Si trattò cioè di un movimento politico eccezionalmente forte, non di roba nostrana, quasi parte del folklore italiano.
    Proprio per la capacità in passato dimostrata di fare proseliti, non credo che possiamo uscircene semplicemente ricordando che “siamo tutti figli di mamma”.

  16. Caro Cucinotta,
    le rispondo brevemente.
    Io desidero che si smetta di infamare in blocco i fascisti che aderirono alla R.S.I. Non ho obiezioni di sorta a un giudizio politico e storico anche molto duro su fascismo e RSI. Ho forti obiezioni alla espulsione dei fascisti e della RSI dal novero dell’umanità in generale (“fascismo male assoluto”) e dell’appartenenza a pieno titolo alla nazione e alla cultura italiana in particolare (“popolo delle scimmie”, “uomini e no”, “servi dell’invasore tedesco”, “rivelazione dei mali atavici dell’Italia e del popolo italiano arretrato e orbo di riforma protestante”, etc.).
    Queste forti obiezioni si riducono a una: gli italiani sono una comunità nazionale che ha una storia, una tradizione e un destino comune, all’interno dei quali ci sono, come è naturale, conflitti anche molto aspri (siamo specializzati in guerre civili); ma è molto importante, perché questa comunità continui ad esistere e non solo a esistere, ma a cercare il suo posto nel mondo e a cambiare, se possibile per il meglio, che essa sappia riconoscere e accogliere in sé *come propri fratelli* anche gli sconfitti, anche i devianti, anche i ribelli.
    Il che non significa perdonare (atto intimo quant’altri mai, che spetta eventualmente alla persona offesa); né annegare le differenze nel volemose bbene o nel tifo per la nazionale di calcio; né dare un giudizio storico e politico positivo di esperienze politiche negative. Significa riconoscere questi sconfitti, devianti, ribelli, come appartenenti al *noi* con il quale si designa la comunità nazionale, e di conseguenza trattarli con rispetto: seppellire i loro morti, lasciarli parlare. Perché chi disprezza, rimuove, colpisce di interdetto una parte del *noi* a cui appartiene e in cui si riconosce, disprezza, rimuove, colpisce di interdetto una parte di se medesimo. Dicono gli psicologi che fa male, che destruttura, che ha gravi conseguenze di lungo periodo.
    Il discorso non vale esclusivamente per i fascisti e il fascismo. Volendo risalire indietro nel tempo, potrei dire le stesse cose per i resistenti legittimisti all’unificazione (“i briganti”) gli anarchici che giunsero a uccidere un re (“i terroristi”); o per parlare di tempi più prossimi a noi, per chi negli anni Settanta, a destra e a sinistra, scelse la lotta armata.
    Il caso del fascismo è però il più macroscopico, perché la Repubblica italiana, autodefinendosi nella carta costituzionale “antifascista”, si è simbolicamente legata a un morto insepolto, infamato e rimosso dalla comune appartenenza alla comunità nazionale; e perché l’antifascismo è tuttora uno strumento ideologico della lotta politica nazionale e internazionale.
    Mi piacerebbe che si prendesse esempio dalla Spagna, che costruendo la Valle de los Caìdos, dove sono sepolti insieme i nemici politici di una guerra civile nella quale sadiche atrocità, massacri all’ingrosso e al dettaglio, crimini di guerra contro i civili si sono sprecati da ambo le parti, ha dimostrato di sapere che cosa sia e quali doveri elementari abbia una comunità nazionale.
    Dovrei dire “tutto qui”, ma in Italia questo “tutto qui” è, semplicemente, impossibile. Veda, come minimo esempio, in che tono mi replica più sopra una persona intelligente e istruita come Conte: “ci sono dei passaggi del suo *commento* semplicemente deliranti e abominevoli, che solo una malintesa idea di “tolleranza” e di “confronto” può permetterle di esprimere qui.”
    Sintesi: infamia eterna ed eterna damnatio memoriae non solo per i fascisti, ma anche per chi, senza essere fascista, suggerisce di smetterla di infamarli. Fine pena mai. Ci fosse un reale pericolo fascista, potrei capire. Ma lei lo vede? Io no.
    Quanto all’italianità del fascismo. Certo il fascismo italiano è uno dei molti fascismi nati tra le due guerre (anche se è il primo in ordine cronologico a conquistare il potere, e per questo fa da modello a tutti gli altri). L’Italia non sta sotto vetro, e dunque anche il fascismo, come le altre culture politiche, ha rapporti con le culture politiche di altri paesi. Il fascismo è anche, però, peculiarmente italiano, nel bene e nel male; e infatti intende compiere il risorgimento, e superare i limiti dello Stato liberale. Gentile appartiene a pieno titolo, come Croce e come Gramsci, alla filosofia idealistica italiana. Di nuovo, tutto qui.
    Per chiudere. Possibile che approviamo (giustamente) la politica di riconciliazione nazionale promossa, a conflitto ancora rovente, dal Presidente Mandela in Sudafrica, e ci scandalizziamo se uno propone la stessa cosa per il fascismo italiano, a settant’anni dalla sua irreversibile sconfitta?

  17. La morte di un uomo è sempre un evento doloroso ma durante gli eventi bellici può verificarsi. Quello che è stucchevole nell’articolo è il tipo di cultura odierna egemone in Italia che si limita a rinverdire vecchie ideologie, a deprecare il revisionismo(come se nella storia ci fosse qualcosa di definitivo): questo continuo guardare indietro riesuma vecchi muri e impedisce il superamento di quel periodo bellico e l’inizio di un cammino autenticamente democratico, dignitoso, come sa fare una nazione davvero moderna. Il che non significa dimenticare il proprio patrimonio storico, al contrario, metabolizzarlo criticamente ed essere capace di andare avanti.

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