di Massimo Raffaeli
Un grande storico, Pierre Vidal-Naquet, scrisse che con i negazionisti non si deve parlare ma aggiunse che è necessario studiare, tuttavia, quanto costoro vanno da decenni diffondendo, cioè una pletora di menzogne, di omissioni e distorsioni più o meno inavvertitamente recepite dal senso comune: lo stesso Vidal-Naquet ne concluse che “nella società dello spettacolo e dell’immagine un tentativo di sterminio su carta si sostituisce allo sterminio reale” e infatti, alludendo a un tragica parodia, egli definì i negazionisti degli Eichmann di carta. Al riguardo molto utile, suffragato da fittissime pagine di bibliografia internazionale, nitido nella esposizione come nel taglio interpretativo, esce ora Il negazionismo. Storia di una menzogna (Editori Laterza, “Storia e Società”, pp. 216, € 20.00), uno studio monografico di Claudio Vercelli, ricercatore presso l’Istituto “Gaetano Salvemini” di Torino e già firmatario, oltre che di testi sulla storia israeliana, di notevoli contributi in materia di Shoah, quali Tanti olocausti. La deportazione e l’internamento nei campi nazisti (Giuntina 2005) e Triangoli viola. Le persecuzioni e la deportazione dei testimoni di Geova nei Lager nazisti (Carocci 2012).
La monografia di Vercelli muove dai tratti sintomatici della pratica negazionista (svalutazione della tradizione storiografica; travisamento delle fonti; rovesciamento dell’onere della prova; riscrittura delirante, in senso etimologico, della storia medesima) e fornisce del fenomeno la seguente definizione: “Il negazionismo va quindi letto sotto una doppia luce: sul piano metodologico e contenutistico, come l’aggressione preordinata all’agire dello storico […]; sul piano politico e ideologico, come la prosecuzione, sotto mentite spoglie, di un discorso di legittimazione del nazismo attraverso la cancellazione dei tratti più aberranti e impresentabili della sua storia”. Tale quadro, ripartito per aree geolinguistiche, è valevole almeno fino alla caduta del Muro di Berlino e agli anni novanta del secolo scorso, laddove il ricorso all’archetipo dell’antisemitismo (i Protocolli dei Savi di Sion e l’annessa teoria di un complotto planetario) serve da un lato a negare l’esistenza delle camere a gas, ritenute un falso costruito dal “sionismo internazionale”, dall’altro a vittimizzare la Germania nazista e invece ad incolpare dei massimi crimini gli eserciti alleati, su tutti l’Armata Rossa. Non è un caso che la Francia, il paese dell’affaire Dreyfus e la matrice culturale di ogni orientamento fascista (ci hanno insegnato gli studi di Zev Sternhell), sia anche la culla del negazionismo. Vercelli dà conto, in proposito, delle fisionomie più rilevanti: Maurice Bardèche, storico del cinema e scrittore poligrafo, cognato di Robert Brasillach, che esordisce nell’immediato dopoguerra con una produzione vittimistica (La lettre à Francois Mauriac, del ’47, e Nurenburg ou la terre promise, del ’48, entrambi pubblicati in rete da siti dichiaratamente neonazisti), cui si lega la verbosa produzione di Paul Rassinier, prima comunista e socialista poi anarco-pacifista, ex deportato a Buchenwald e Dora, nei cui scritti (da Le mensonge d’Ulysse, ’50, a Le Drame des juifs européens, ’64) si insinua la tesi per cui la seconda guerra mondiale e il sistema concentrazionario altro non sarebbero se non una risposta al “bellicismo” ebraico.
Entrambi gli autori sono fra i battistrada di un negazionismo che viene coniugandosi o ibridandosi tanto, a destra, con le posizioni del nascente e presto trionfante revisionismo alla Nolte (su questo l’ottimo Pier Paolo Poggio, Nazismo e revisionismo storico, manifestolibri 1991) quanto, a sinistra, con una lettura riduzionista ed economicistica della Shoah (e si vedano, da noi, i testi di Cesare Saletta propiziati dalle analisi dogmatiche, rozzamente schematiche, nientemeno di Amadeo Bordiga): qui, fra gli anni sessanta e ottanta, maturano gli esiti più tristemente noti di Robert Faurisson, di Paul Guillaume e di un filosofo passato dal marxismo all’islamismo, Roger Garaudy, che nel suo Les myths fondateurs de la politique israeliénne (’95) annuncia un passaggio di fase decisivo nella pratica del negazionismo, così sintetizzato da Vercelli: “Lo sterminio degli ebrei veniva definito come un ‘mito sionista’ alimentato ad arte per giustificare la politica coloniale ed espansionista dello stato di Israele equiparabile a quella nazista. […] L’intera politica internazionale e i media occidentali, inoltre, affermava l’autore, sarebbero condizionati da una lobby il cui obiettivo è quello di favorire Israele economicamente e militarmente. Su Norimberga ritornava per affermare che servì per distogliere l’attenzione collettiva dai crimini alleati”. Dunque cambiano le tecniche, ora di più raffinata insinuazione (è il caso, in Italia, del prolifico Carlo Mattogno) e talora di accademica compunzione (come nel caso, viceversa, dei pubblicisti americani) ma cambia soprattutto l’orizzonte d’attesa, quando in Francia la cultura della nouvelle droite al vecchio arnese dell’antigiudaismo religioso e dell’antisemitismo biologico preferisce posizioni identitarie, organiciste e differenzialiste à la Alain de Benoist (ci ha ben spiegato Francesco Germinario in La destra dei dei, Bollati Boringhieri 2002) dove continua a fermentare sottotraccia l’idea dell’ebreo virus ed elemento corruttore di una civiltà.
Nel rinnovato senso comune, specie all’indomani dell’11 settembre, lo schema negazionista mantiene Israele sia nel ruolo di stato abusivo, usurpatore, sia nella funzione di assoluto mandante (così mistificando e permutando le nozioni di “ebraismo” “sionismo”, “Stato di Israele” e “governo di Israele”) dopo aver sostituito silenziosamente nella parte della vittima la Germania con il mondo islamico, arabo e segnatamente con la Palestina occupata. La saldatura fra l’archeologia negazionista e il fanatismo islamista non dà luogo a una bibliografia in senso specifico (perché tra i numerosi testi censiti da Vercelli è difficile individuare un’autonoma fisionomia d’autore) ma semmai alimenta il dilagare di pamphlet, proclami, tabelle e brossure per così dire didattiche, insomma tutta una letteratura di risulta, zeppa di stereotipi forgiati in Occidente e di falsi smaccati i cui primi destinatari sono i naviganti in Internet. (Quanto a ciò, la rete deborda di pornografia antisemita e di aperti incitamenti all’odio razziale, ben visibili nel sito italiano di “Radio Islam” che contiene, fra l’altro, l’integrale in pdf del libello Contra judaeos di Telesio Interlandi – 1938, pietra angolare del razzismo fascista – e una lista evidentemente delatoria – fotocopia de Gli ebrei in Italia. Tutti i cognomi delle famiglie ebraiche, A.R.I.A. 1938, opuscolo a suo tempo attribuito a Giovanni Preziosi – dove viene tuttora additata l’origine di chi ha scritto il presente volume sul negazionismo come quella di colui che lo sta recensendo). Scrive Vercelli: “Il negazionismo antimondialista si crea da sé le fonti documentarie, manifestando un sostanziale disinteresse per quella ricerca documentaria che ha contraddistinto alcuni autori delle vulgate precedenti […] Politicamente si alimenta dell’intreccio tra il neopopulismo, il vecchio terzomondismo e il comunitarismo”. Ciò rende ancora più pericolosi e se possibile più immondi, qui e ora, gli Eichmann di carta.
[Questo articolo è già uscito su «Alias – il manifesto»].
[Immagine: Gerhard Richter, Onkel Rudi (gm)].
troppi ismi.
I negazionisti saranno “Eichmann di carta” e avranno torto marcio e assoluto, ma come si fa a prestare fede sulla parola a chi lo sostiene quando i suoi avversari non possono rispondergli pubblicamente senza rischiare la galera?
Che affidabilità e correttezza scientifica può avere la ricerca storica, se gli storici accettano che gli Stati definiscano la verità storica ufficiale e sanzionino pesantemente chi se ne discosta?
Va bene così perché stavolta la verità storica ufficiale è quella vera e buona e i sanzionati sono i falsari cattivi? E la prossima?
@buffagni: non è che per amore della «ricerca storica» si possano propalare delle falsità impunemente. Se io scrivo qualcosa di falso e offensivo su una persona la legge mi punisce mentre se insulto e dileggio (dandogli dei mentitori) i sopravvissuti e le vittime della più grande tragedia umana allora lo posso fare impunemente? Mi sembra una bella ipocrisia,
In realtà gli storici hanno sempre scritto molte falsità, in modo più o meno consapevole. Il fatto che gli intellettuali di regime possano nascondersi dietro lo scudo del reato d’opinione va a loro vergogna, e alla lunga finirà per convalidare le tesi dei negazionisti, vere o false che siano…
a GAB.
No, scusi, non ci siamo, e l’ipocrisia non c’entra proprio niente.
Qui non è in ballo la calunnia nei riguardi dei sopravvissuti allo sterminio nazista, qui sono in ballo l’affidabilità della ricerca storica e la libertà di parola, pensiero e insegnamento.
La ricerca storica, su qualsiasi evento, si fa criticando liberamente le fonti, comprese le testimonianze dirette, e le tesi che riteniamo sbagliate non, ripeto *non* si criticano mandando in galera chi le sostiene, anche se sono sbagliate ed eticamente deplorabili. Ma scherziamo?
Se gli Stati avocano il monopolio della verità storica, e il diritto di decidere quali fonti sono criticabili e quali no, lei mi spiega che accidenti di ricerca storica ne procede? Questo è il metodo della “quinta operazione” (L. Kolakowski) in vigore nei paesi del patto di Varsavia, quella in cui prima si stabilisce il risultato, poi si inseriscono i fattori.
Le piacerebbe che si seguisse lo stesso metodo scientifico anche nella ricerca medica, ingegneristica, etc.? Lei si farebbe curare da un sistema sanitario che funziona secondo questi criteri? Ci salirebbe su un un ponte costruito da ingegneri che non possono criticare i coefficienti di resistenza dei materiali, se ci trovano un errore?
Oggi che tutti si dicono liberali, possibile che risultino così strani e incomprensibili i principi liberali più elementari?
Sollevare un argomento-macigno come questo su un blog che va sempre troppo spedito e salta da un tema all’altro, e senza mai imporne uno importante – che dico – almeno una settimana, magari sollecitando anche commenti non estemporanei?
Che azzardo!
Comunque, a chi avesse voglia di approfondire la questione mi limito a segnalare un mio vecchio resoconto di lettura proprio del libro di Pier Paolo Poggio citato da Raffaeli: Nazismo e revisionismo storico, manifestolibri 1991:
http://www.poliscritture.it/index.php?option=com_content&view=article&id=313:i-quaderni-di-ipsilon-nella-zona-grigia-della-storiografia-del-900&catid=2:storia-adesso&Itemid=15
E a stralciare un brano ben più coraggioso di tanti discorsetti “antirevesionistici” del “solito” (per me) F. Fortini. E’ tratto da EXTREMA RATIO (Garzanti, Milano 1990) e riportato più ampiamente nell’Appendice del mio vecchio resoconto:
«Due anni fa, venne recitato a Milano il testo teatrale L’i-
struttoria di Peter Weiss, montaggio di verbali di un processo
contro criminali nazisti celebrato a Francoforte. Una istituzio-
ne culturale tedesca mi invitò a parlarne in pubblico. Scrissi il
mio intervento e ritenni opportuno mostrarlo, per un parere
preventivo, a chi me lo aveva richiesto. Il mio cortese ospite mi
informò di un vivo dibattito che ignoravo, allora in corso in
Germania, sulle tesi cosiddette revisioniste, sostenute dalla au-
torità dello storico Nolte (ma anche da personaggi, come si suol
dire, infrequentabili) e avversate da una delle massime figure
dell’attuale pensiero tedesco, Habermas.
«Alcune parti delle mie pagine – mi disse – avrebbero po-
tuto venir interpretate come di appoggio alle tesi, politicamente
equivoche, dei cosiddetti revisionisti. Questi avrebbero voluto
combattere l’idea di una mostruosa (e quindi diabolico-divina)
singolarità storica dello sterminio nazista degli ebrei e accredi-
tarne una di sostanziale identità (per barbarie se non per meto-
do) fra quelle ed altri grandi massacri di popolazioni civili, in-
clinando ad associare a quelli nazisti i crimini dell’era stalinia-
na, anzi, di tutti gli eventi successivi all’Ottobre 1917. Quanto
a me, oltre ai grandi eccidi di Amburgo, Dresda, Hiroshima e
Nagasaki, ricordavo il macello di milioni di slavi compiuto dai
nazisti e, più in genere, la distruzione di popoli interi e culture
compiute dal colonialismo e dalle rivoluzioni industriali del-
l’Occidente. Non fa grande differenza sopprimere due genera-
zioni di esseri umani in cinque o in cinquant’anni.
«Convenni col cortese interlocutore, tolsi, attenuai. Ma quel
che pensavo allora, ancora oggi lo penso anche se mi dispiac-
que sapermi in disaccordo con chi tanta maggiore autorità del-
la mia aveva nell’argomento, cioè un uomo dall’altezza intel-
lettuale e morale di Primo Levi.
«La questione è quella delle radici dei sistemi autoritari. Fin-
ché ci si limiterà a parlare di “personalità autoritaria”, in ter-
mini di sociologia freudiana, temo si farà poca strada. Si ridefi-
niscano le nozioni di consenso, di democrazia rappresentativa,
di finalità della politica; si cerchi di farlo, evitando le sedi (che
non sono solo i parlamenti e i mass-media) dove le menzogne
siedono in scranno, convenzionali e necessarie. Per questa pe-
riodica e quindi relativa e provvisoria “verifica del linguaggio”
si discriminino gli interlocutori e i destinatari con un atto preli-
minare, che è già politico; e non si pretenda ad una ingannevo-
le universalità. Penso ad alcuni nodi della riflessione storico-po-
litica, che porta i nomi (simbolici, naturalmente) di Arendt,
Bloch, Merleau Ponty, Adorno, Lukàcs, Sartre, Weil, Althus-
ser, Bateson, Marcuse, Foucault. Quella della generazione che
nel ventennio successivo alla guerra si interrogò sul cinquan-
tennio precedente. Rimuovendo (non senza qualche buona ra-
gione) quelle “letture del mondo”, il pensiero successivo si è pe-
rò guardato dal sostituirle con altre interpretazioni. Ha esorciz-
zato un mezzo secolo, nella illusione di possedere così le chiavi
del successivo. Nei confronti di una storia intollerabile ha emes-
so una propria “dichiarazione di inesistenza”, degna di Alice
nel Paese delle Meraviglie.
Ringraziato Abate per l’intervento perspicuo e la bella citazione di Fortini, e aggiungo una cosetta.
Io una religione ce l’ho già, il cattolicesimo, e conoscendola dall’interno so che le religioni, in specie le rivelate, possono avere gravi effetti collaterali (leggere attentamente le istruzioni, pubblicate in gran copia a partire dal XVII sec. e reperibili gratuitamente in tutte le biblioteche).
Uno degli effetti collaterali indesiderati più noti e studiati è la pretesa di imporre, per mezzo del braccio secolare, la credenza in alcune formulazioni dogmatiche ritenute coincidere con la verità.
Per farla corta e semplice: con le leggi antinegazionismo si tratta un evento storico, lo sterminio nazista degli ebrei, come un dato rivelato e un dogma.
A voi sembra una buona idea?
@ abate
Per dirla col suo Fortini, sempre meglio essere Alice nel paese delle meraviglie che un ebreo convertitosi alla confessione valdese subito dopo la promulgazione delle leggi razziali.
nulla di strano: nella religione dell’Olocausto ci sono tutti i crismi del monoteismo ebraico: non è altro che la riedizione della schiavitù d’Egitto, la cui interpretazione è che la ragione ce l’hanno gli ebrei che si sono infiltrati in Egitto, e non gli egiziani che vogliono riconquistare la loro terra…
@ Alice
Lei sarà giovane di sicuro. Aspettiamo di vedere quali saranno le sue “conversioni”.
@ Buffagni
Io la sua stessa religione ce l’avevo, ma ho preferito allontanarmene anche ( e non solo) per le ragioni profonde a cui lei accenna. No, credo che mai i dogmi, anche quanto democratico-capitalistici (Cfr. tesi di Agamben), siano una buona cosa. Siamo, purtroppo, nella scomodissima posizione degli eretici. Probabilmente non riusciremo a vedere il crollo della nuova religione capitalistica, ma solo a testimoniare questa – dolorosa (per moltissimi), necessaria (per i cinici in posizioni di forza) – combustione a fuoco lento di corpi sociali e politici che potevano (potrebbero ancora?) costruire una civiltà più decente.
@ commentatori tutti
Scusate, ma si stava parlando di negazionismo o di revisionismo storico?
Di negazionismo o dell’inestricabile nodo israelo-palestinese?
Forse non so più leggere, ma il pezzo di Raffaeli mi pareva chiaro.
Il Bianconiglio
ad Apocalisse 23.
L’uso politico-ideologico che la dirigenza israeliana fa dello sterminio nazista e della “religione olocaustica” è certamente questo che lei descrive, di giustificare il colonialismo ebraico in Palestina.
L’uso politico-ideologico che ne fanno le dirigenze occidentali o occidentaliste mi sembra quello di giustificare la perenne tutela statunitense sull’Europa, e in particolare sulla Germania. La potenza antifascista per antonomasia (l’URSS, principale autrice della sconfitta tedesca nella IIGM, è stata espunta dal quadro, come dimostra anche “La vita è bella” di Benigni, dove, a dispetto della realtà storica, Auschwitz viene liberata dai tank USA) garantisce che non si manifesti, in Europa, un nuovo avatar del “male assoluto”, altro concetto non storico-filosofico ma teologico.
Aggiungo che l’adesione alla religione olocaustica non presenta inconvenienti. Non richiede infatti mutamenti alla condotta di vita, partecipazione a riti, etc.: basta il pensiero, e l’adesione interiore a una visione del mondo ufficialmente condivisa dalle principali potenze occidentali.
Caro Lo Vetere,
lei ha ragione, ma come si fa a parlare di un libro sul revisionismo e sul negazionismo o di un articolo che lo recensisce senza parlare anche del fatto che i negazionisti e i revisionisti finiscono in galera per quel che scrivono?
Che se un commentatore di questo sito volesse, sciaguratamente, schierarsi dalla parte di questi autori, rischierebbe gravi sanzioni penali?
Se non altro per fair play, mi sembra inevitabile tirare in ballo la questione, non le pare?
Che i negazionisti vadano in galera mi sembra un imperdonabile spreco di danaro pubblico. Io li assegnerei ai servizi socialmente utili.
Che la comunità degli storici – e non gli Stati Generali della Verità – vogliano mettere le dovute distanze tra sé e i negazionisti, è una forma di giusta profilassi: altrimenti sarebbe come pretendere che un chirurgo e un pranoterapeuta si lascino considerare sullo stesso piano in campo medico. Solo al pranoterapeuta potrebbe far piacere.
Si tratta di due mestieri differenti, per una spiccia questione di metodi e di credibilità.
Il negazionista – in quanto tale – è uno che vuole spacciarsi per storico per propagandare i soliti liquami psicotici. Quindi, non è il negazionista che va tutelato, ma va tutelato il diritto di ciascuno di dimostrare che il frutto dei suoi studi non è un demenziale e nocivo adulteramento delle verità storiche, ma la volontà di contribuirvi grazie alle sue scoperte, riflessioni e ricostruzioni.
Siccome l’articolo di Raffaeli ha per oggetto i negazionisti e non agli storici revisionisti per quanto controversi, credo che ragionevolmente non si possa che condividere con lui un senso di allarme e di nausea verso i contemporanei Eichmann-di-carta. Detto ciò, certo non si può vietare per legge che ci siano quelli che hanno un debole pure per gli Eichmann in carne e ossa.
Ah, e per capire se uno è un negazionista e non uno storico controverso non è mica difficile: basta leggere quel che scrive senza staccare il cervello.
Non bisogna dimenticare che i peggiori nemici della libertà di espressione sono quelli che la sfruttano proditoriamente, per pervertirla dall’interno e piegarla alle loro incitazioni all’odio di parte. E solo una cattiva coscienza non saprebbe discernere al primo colpo d’occhio tra diritto e abuso di parola.
@Antonio Coda
parli come un frate dell’Inquisizione…
“E solo una cattiva coscienza non saprebbe discernere al primo colpo d’occhio tra diritto e abuso di parola” (Coda)
Povero Marx (Ideologia tedesca) e povero Freud (Il disagio della civiltà)!
A volte dal modo con cui si contrasta il Nemico si può vedere di che stoffa è il presunto Amico del popolo, del diritto, della verità, ecc.
Lasciando agli storici seri (di cui più mi fido) un giudizio sui negazionisti, si deve dire col senno del poi che in troppi “liquami psicotici” (da quelli degli eretici, alle streghe, ai “nemici del popolo”) abbiamo dovuto riconoscere aspetti rimossi della cosiddetta “civiltà”.
Caro Antonio,
a quel che dice Abate aggiungo solo che le auguro di non trovarsi mai dalla parte sbagliata del famoso colpo d’occhio nel quale lei pare riporre tanta fiducia.
Fossi in lei e in chi la pensa come lei, mi preoccuperei parecchio quando a difendere le libertà liberali restano solo un cattolico come me, e un marxista come lui.
@Apocalisse 23: se me lo dice uno col tuo nick che ricordo un inquisitore, temo che devo starci. Non li frequento, quindi niente di più probabile che io li emuli senza saperlo.
@Abate: lo so che la tentazione di essere i più puri tra gli impuri, o i più impuri tra i puri, è quella a cui è più bello non resistere, però io non la farei ogni volta così epocale. Ben vengano i liquami psicotici per quel che insegnano, in quanto liquami psicotici però.
Perché – mi pare, ma poi io sono rozzo, e svirgolo presto – qui non si stia parlando di Giordano Bruno a cui si mette la mordacchia, ma di robaccia dalla qualità scientifica dello spamm.
Però, siccome sono veramente poco ferrato in materia e ho letto per lo più le critiche dei critici ai negazionisti, se qualcuno mi sa dire di chi stiamo parlando (autori e opere, dico) e chi si trova ad essere ingiustamente trattato, io non chiedo di meglio che conoscerli, proprio per evitare di cadere nel pregiudizio del buon giudizio.
Però, se vogliamo restare sul pratico, le tesi negazioniste di cui so io sono sbobbe della peggior propaganda antisemita o simili.
Niente esclude che conosca solo le peggiori. O, questa poi, le migliori e quindi figurarsi le altre.
Scusi, Antonio, ma qui che cosa c’entra la qualità delle tesi dei negazionisti? Qui c’entra il fatto che il controllo qualità glielo fanno i tribunali, le recensioni la galera.
Guardi che una volta cominciato, non si sa quando si finisce.
Le segnalo inoltre che per un Giordano Bruno bruciato, sul rogo è finita tanta gente poco raccomandabile che sosteneva tesi deliranti, rispetto alle quali la teologia cattolica si situava su un piano infinitamente superiore. Con questo, a lei il rogo sembra una buona idea? Ci pensi su.
Segnalo il testo più organico che conosco personalmente, perché vorrei fugare ogni dubbio sia di pretestuosità sia di livore dottrinario:
“Negare la storia. L’olocausto non è mai avvenuto: chi lo dice e perché” di Shermer Michaele Grobman Alex.
Buffagni, mi creda, il mio tentativo è di tenere il dialogo su “quote più normali”.
Non sono informato, ma roghi non me ne risultano; licenizamenti per chi ha fatto del suo incarico universitario un megafono per diffondere le sue teorie personali e propagandistiche sì.
Sia chiaro: per me tutti devono poter pubblicare tutto e devono poi assumersene la responsabilità.
Perché il mio rovello, mi rendo conto, può essere diverso da quello altrui. Secondo lei Buffagni chi opera con intenzioni ideologiche per inquinare delle verità storiche (non dico sia l’unico caso possibile, ma io mi riferisco a questo caso specifico qui) va indicato in quanto tale per evitare plagi e deformazioni o no?
Nel caso direi di spostarci dai principi alle sostanze del dibattito, proprio per evitare si creino delle erronee contrapposizioni. Qui non c’è una divisione di pareri tra chi è pro e chi è pronto la libertà di espressione, ma ci si domanda come qual è la condotta auspicabile da tenere contro dei falsari.
Se poi deve valere il motto: nessuno è falsario, ciascuno è storico a modo suo; finisce che ce la rimeniamo sulle parole, senza poi curarci più di tanto dei tanto deprecati “fatti”.
I miei saluti né cattolici né marxisti ma spero ben accetti uguale!
@Antonio Coda:
riguardi il testo da lei citato:
http://www.centrostudilaruna.it/negarelastoria.html
@ Apocalisse. Ma che bella recensione lei invita a leggere, e dalla nicchia comoda e oscura del nickname. Dunque le camere a gas non ci sono mai state. Sono talmente convinto che si debba essere dialogici e civili con tutti che mi resta un residuo di inibizione a dirle (e non glielo dirò) che lei dovrebbe vergognarsi. O almeno firmarsi con nome e cognome e assumersi la stessa responsabilità che mi prendo io.
@ Buffagni e (parzialmente) Abate. La discussione dev’essere libera, nessuno va carcerato per reati d’opinione ecc… Ma visto che succede a titillare i sospetti e gli scetticismi quando di parlava di negazionismo? Non di altro, non di fallibilità degli storici e di abusi ideologici del passato, ma di NEGAZIONISMO? Che uno s’inventa l’Apocalisse in cui le camere a gas non esistono, il negazionismo diventa revisionismo, posso sovrapporre la Shoah a egizi ed ebrei e a israeliani e palestinesi.
Apocalisse, se lei crede a quella recensione linkata, povero lei: le parole hanno un senso e lì si parla impropriamente, abusivamente, inaccettabilmente di “revisionismo”: no, quello è un’altra roba. Pensare significa distinguere, in primo luogo. Lei non distingue. Finisca pure lei il sillogismo.
Mi spieghi un po’: i testimoni in vivo, gli scrittori, Primo Levi, che non hanno ricostruito un fatto con tutta l’ipoteticità fallibile della storiografia ma che hanno vissuto sulla propria carne quell’orrore che sono? Dei ciarlatani? Dei megalomani?
C’è un limite etico a qualsiasi discussione, e lei con il suo suggerimento di lettura l’ha oltrepassata. Anche chi s’è messo a fare il minuetto di decostruzione storica si prenda un pezzo della sua responsabilità (minuetto legittimo, legittimissimo, ma bisogna farsi carico anche degli effetti delle proprie affermazioni, specie in relazione al contesto in cui le si fa: l’ho già fatto notare nel primo intervento, non si inizia una discussione sul revisionismo quando Raffaeli parlava di ben altro, ben altro).
L’indignato Bianconiglio
Caro Lo Vetere,
se Apocalisse 23 ritiene che le camere a gas non siano mai esistite e che lo sterminio nazista non sia avvenuto, sbaglia: se poi l’errore sia colposo o doloso non lo so, e non mi importa, perché come diceva Lenin, non esiste il sincerometro.
Un po’ difficile però richiamarlo a presentarsi con nome e cognome, visto che rischia sanzioni penali.
Per me, il limite etico della discussione sta qui: che la discussione storica e ideologica deve essere libera.
Chi “opera con intenzioni ideologiche per inquinare le verità storiche” (Coda) non è il solo Apocalisse 23 o i negazionisti: c’è una fila da qui fino a Shanghai, e nella fila ci mettiamo, se vogliamo essere onesti, anche il Tribunale di Norimberga, anche chi dice che Hiroshima e Nagasaki sono state cosa buona e giusta, e pure le dirigenze sioniste, d’Israele o della diaspora, che sfruttano strumentalmente lo sterminio nazista per giustificare le loro politiche coloniali.
Di tutta questa fila, io non vorrei mettere in galera nessuno per quello che dice: vorrei poter discutere anche aspramente con lui, senza che alla discussione seguano imputazioni, condanne, etc., per me o per lui.
Chiedo troppo? Evidentemente sì.
E concludo con un rilievo di elementare buon senso: alla persona mediamente intelligente e diffidente, le sanzioni contro i negazionisti fanno sorgere il sospetto che abbiano ragione, se non in tutto almeno in parte: perché pare un po’ strano che in una società dove si può dire praticamente tutto, sia proibito dire proprio quello.
“Quanto al massacro degli Ebrei, molte nozioni fondamentali devono essere completamente corrette. Le cifre proposte dalla storiografia ufficiale sono da rivedere da cima a fondo. Il termine di “genocidio” non conviene più. La questione dei campi di sterminio è putrefatta. L’attuale forma, pur tuttavia trionfante, della presentazione dell’universo dei campi è condannata. Tutto ciò che è stato così inventato attorno a delle sofferenze troppo reali è destinato alle pattumiere della storia”
(“Entretien avec Jean-Claude Pressac”, dans V. Igounet, “Histoire du négationnisme en France”, Seuil, Paris 2009, pp. 651-652).
“Nessun serio storico negherebbe che ci sono lacune o incertezze – circa fatti, numeri, luoghi, motivi, procedure e molto altro ancora – che circondano la storia del genocidio. Lo studioso serio del soggetto, dunque, tratta il genocidio come un campo di studio in cui disaccordo e discussione, anche circa i più indicibili aspetti – per esempio il numero delle vittime, o la natura e l’estensione dell’uso del gas Zyklon B – sono naturali e indispensabili. Non può ridurre la sua funzione essenzialmente alla denuncia, o alla definizione e alla difesa di una versione accettata della verità. Eppure è proprio questo il pericolo in alcune letture dell’Olocausto appassionatamente sostenute, specialmente quelle versioni che hanno, a partire dagli anni ’60, sempre più trasformato la tragedia del popolo ebreo dell’Europa continentale durante la Seconda guerra mondiale nel mito legittimante per lo stato di Israele e la sua politica. Come ogni mito legittimante, esse trovano la realtà scomoda. Di più, ogni critica del mito (o delle politiche da esso legittimate) è destinata ad essere bollata come qualcosa di simile alla ‘negazione dell’Olocausto'”.
(E. Hobsbawm, “La politica accieca gli storici”, “La Repubblica”, 28 marzo 2000).
“Sources for the study of the gas chambers are at once rare and unreliable.
(…)
Most of what is known is based on the depositions of Nazi officials and executioners at postwar trials and on the memory of survivors and bystanders. This testimony must be screened carefully, since it can be influenced by subjective factors of great complexity.
(…)
There is no denying the many contradictions, ambiguities, and errors in the existing sources.
From 1942 to 1945, certainly at Auschwitz, but probably overall, more Jews were killed by so-called ‘natural’ causes than by ‘unnatural’ ones”.
(Arno J. Mayer, “Why Did the Heavens Not Darken? The ‘Final Solution’ in History”, New York, Pantheon, 1988, pp. 362 sgg.)
@Apocalisse 23: io continuo a non essere affatto uno specialista, ma credo che Carlo Mattogno rappresenti in pieno l’Eichmann-di-carta a cui si riferisce l’articolo di Raffaeli.
Facendo un passo in avanti, se ho ben capito, commentatori quali Buffagni e Abate, non condividendo affatto certe tesi negazioniste, si preoccupano di tutelare comunque il diritto di ciascuno di esprimere le sue.
Allora, da parte mia credo non ci dovrebbe essere legge che impedisca a qualcuno di scrivere che Napoleone era alto un mentro e ottanta e che nei Mondiali di Calcio la Nazionale Italiana non ha mai perso una finale. Basta riconoscere il suo fare ciao-ciao con la mano a quella parte del consorzio umano che, romanticamente?, cerca di fondarsi su un principio di ragionevolezza.
Chi invece vuole contrabbandare come conoscenza storica condivisa una sua visione che non rispetta i criteri della disciplina, non sta semplicemente offrendo una sua opinione, ma sta cercando di falsare il risultato di un lavoro di studio mondiale, questo sì, che supera la critica incrociata e conferma i suoi risultati.
Credo che qui non si stia tenendo conto dal valore specifico del lavoro dello storico. Provo a dirlo con il primo accostamento che mi viene a mente: nessuno può impedirmi di incollare su una bottiglia una etichetta con su scritto – Sciroppo miracoloso per la ricrescita dei capelli!.
Sepperò di questo gioco ne faccio un commercio, compio una frode.
Ecco, i negazionisti – a mio parere – commettono delle frodi. E fan peggio che promettere invano di far crescere i capelli laddove non ne cresceranno: inquinano alla radice quei pochi capelli che ci sono sterminando anche quelli.
Leggo adesso il commento di Buffagni e:
@Buffagni: non so come ragionino le persone mediamente intelligenti, ma il suo sillogismo padre di tutte le derive paranoiche non mi sembra si fondi su niente di pacatamente logico.
Sarebbe utile se lei mi dicesse a chi pensa quando parla di negazionisti che han fatto la versione ufficiale e incontrastata di Norimberga, dell’atomica sul Giappone eccetera eccetera, perché, a quel che ne so io, gli eccessi e le storture di Norimberga furono denunciate fin dal primo istante (mi viene subito in mente la Arendt), critiche sull’atomica sganciata dagli States non mi sembra manchino, in primo luogo da parte di intellettuali americani, e neanche tenera mi sembra la critica al sionismo, spesso da parte di commentatori israeliani.
Quindi, sempre per capire di chi stiamo parlando, e dato per buono che non si parla di Mattogno – eh, i cognomi, alle volte – chi sono gli altri “negazionisti” subdolamente definiti così e per insabbiare quali contributi storici?
Altrimenti, ripeto, si parla per fare fumo e basta.
I miei saluti,
Antonio Coda
Buffagni,
1) per effetto di quale legge chi rinvii ad una recensione potrebbe essere perseguito? Ripeto, rinviare a, non scrivere. Per cui, reitero l’invito a parlarsi faccia faccia o fra e-personalità anagrafiche. Poi anche a me, come a Coda, non risulta che scrivere libri (o recensioni) sia reato, quale che ne sia il contenuto.
2) dove sta la censura? I post, credo moderati da Raffaeli stesso, sono, come vede, quasi tutti su di un versante. Magari, non so, Raffaeli sta censurando i contro-negazionisti… La discussione, qui, mi pare assai libera.
Vedo che molti illustri stranieri intervengono a ribadire che si può fare un uso ideologico della storia, anzi che la storia è ideologia. Ma va?
E però spigolo, per chi non l’avesse letta, una frase della recensione succitata:
“Una parte del libro di Mattogno è poi dedicata alla famosa questione delle camere a gas, di cui la storiografia ufficiale ribadisce la finalità omicida, sebbene il funzionamento delle camere a gas a questo scopo fosse estremamente macchinoso e del tutto inadatto a esecuzioni di massa. Alcuni studi hanno mostrato come questi locali fossero verosimilmente destinati alla disinfestazione del vestiario”.
E’ chiaro qual è il punto?
Chi è sopravvissuto allo sterminio e l’ha raccontato che peso ha? Anche lui o lei ha redatto discutibili bibliografie, ha torturato Hess per estorcergli la verità comoda ai vincitori, ha usato fonti in traduzione, come dice l’autore delle parole ributtanti qui sopra?
@Buffagni, il sospetto che sorge in me è diverso ed è che coloro che si lasciano irretire da un meccanismo paranoico come quello descritto da lei ( parafrasabile in: “Li ostacolano? significa che i negazionisti hanno la verità e non vogliono che la diffondano!) non sono quelli mediamente intelligenti ma quelli mediamente ignoranti e perciò maggiormente seducibili da ricostruzioni che hanno più del romanzesco che dello storico, e che tante volte sono anche i seguaci più ambiti e addestrabili da parte di certe ideologie che i propri feticci metastorici non li hanno revisionati mai ma proprio mai.
Le sarei grato se volesse chiarimi a chi si riferisce quando parla di negazionisti che han fatto la versione ufficiale e incontrastata di Norimberga, dell’atomica sul Giappone eccetera eccetera, perché, a quel che ne so io, gli eccessi e le storture di Norimberga furono denunciate fin dal primo istante (mi viene subito in mente la Arendt), critiche sull’atomica sganciata dagli States non mi sembra manchino, in primo luogo da parte di intellettuali americani, e neanche tenera mi sembra la critica al sionismo, spesso da parte di commentatori israeliani.
Non vorrei che gira e rigira l’unico obiettivo dei sedicenti negazionisti sia negare la tragedia storica dell’Olocausto. Evento – ci mancherebbe – continuamente indagabile e oggetto di studio e mai di aderenza cieca, ma ce ne passa, eh e quanto ce ne passa, dal cercare il maggior numero di informazioni esatte e correttive su questo evento al tentativo di inficiare, tramite un particolare, la storia generale acquisita.
Sarà sempre per caso, ma questi negazionisti infine piacciono ai movimenti politici più antisemiti e violenti in giro per l’Europa e dintorni. Perciò non ritenerli del tutto innocui secondo me non guasta affatto.
I miei saluti,
Antonio Coda
Replico a Lo Vetere e Coda.
1) Non dico che qui qualcuno zittisca o minacci. Dico solo una cosa elementare: che se un tizio qualsiasi pubblica qui (o altrove) una tesi negazionista, e la firma con nome e cognome, rischia una querela ai sensi della legge Mancino, di perdere il lavoro, etc. E’ questo che non mi sta bene. Sto banalmente tifando per la libertà di parola, pensiero, insegnamento. Se c’è bisogno che spieghi perché, lo faccio, ma forse non ce n’è bisogno.
2) L’uso strumentale e in senso deteriore ideologico della ricerca storica, ma più in generale di tutto, è inevitabile, specialmente in un quadro giuridico liberale. Che ci siano effetti collaterali indesiderati e indesiderabili è più che vero. Se ci fosse una reale e quasi unanime unità di valori condivisi, si potrebbe anche pensare di introdurre una censura sistematica: che ha i suoi effetti indesiderabili anch’essa. Ma l’unità suddetta non c’è. Dunque io direi che, a conti fatti, conviene tenersi il quadro giuridico liberale, con tutti i suoi pericoli e difetti. Però, se ce lo vogliamo tenere ce lo teniamo tutto: e quindi lasciamo liberi di esprimersi e pubblicare, senza sanzioni di sorta, anche i negazionisti, dei quali sarà poi lecito dire tutto il male che si pensa.
3) La mia opinione personale sui negazionisti è la seguente (non li ho studiati, ne so qualcosa e basta). Tolti i casi di malafede, che esisteranno come esistono in tutti gli schieramenti, i negazionisti probabilmente trovano condivisibili alcune posizioni e realizzazioni del nazismo; ma trovando affatto inaccettabile che ci si proponga e si realizzi l’annientamento di popoli interi, negano che sia avvenuto. In sintesi, e alla buona: con la Endlosung, Hitler l’ha fatta troppo grossa anche per chi lo apprezza, il quale per non rinnegarlo nega che sia colpevole dello sterminio degli ebrei.
4) Quanto ai revisionisti (dei quali sono altrettanto poco esperto) direi anzitutto che la revisione storica, di qualsiasi periodo storico, è la costante e non l’eccezione della ricerca. Controproducente impedirla per legge. Alle tesi mal fondate o peggio si ribatte con la critica, e non con le persecuzioni giudiziarie o d’altro tipo.
5) Non ci siamo capiti su Norimberga e sul resto. Citavo Norimberga e l’opinione corrente sul lancio delle atomiche come esempio di manipolazione ideologica, da parte dei vincitori e dell’opinione ufficiale che a loro si riferisce, di una valutazione storica. Per esempio, se lei sente in giro, vedrà che l’opinione corrente sulle atomiche USA è che gli americani furono costretti a sganciarle per necessità militari, per evitare le centinaia di migliaia di morti che sarebbe costato uno sbarco in forze su suolo giapponese. E’ la tesi che fu diffusa all’epoca dai centri dirigenti USA, però è falsa: il Giappone stava chiedendo l’armistizio, e la sua flotta non era più in grado di mostrare la bandiera, dopo la sconfitta delle Midway: per ridurre il Giappone alla resa, sarebbe bastato a) dal pdv militare, un blocco navale b) dal pdv politico, rinunciare alla richiesta di resa incondizionata e accettare la permanenza sul trono dell’imperatore (che poi fu concessa, perché altrimenti il Giappone sarebbe stato ingovernabile).
Quanto precede, non per dire che i nazi sono buoni e gli americani sono cattivi, ma per dire che i popoli male assoluto non esistono, e che quando ci sono in ballo grandi interessi politici, gli Stati mentono a tutto spiano e grazie ai vasti mezzi di cui dispongono, fanno accettare come ovvietà le loro menzogne.
E’ un’ottima cosa che queste menzogne siano dimostrate per tali, e criticate. E’ stato possibile farlo perché gli storici che hanno dimostrato, per esempio, la falsità della tesi ufficiale in merito alle atomiche USA, non hanno rischiato la galera per farlo, e una volta pubblicate le loro ricerche non sono stati perseguitati. Avranno magari avuto dei fastidi, perso delle buone opportunità di lavoro, etc., ma non ci hanno rischiato (e perso) tutto. Il personale che svolge la ricerca storica non viene selezionato come i piloti tokkotai (i kamikaze), e dunque gli storici non sono tenuti all’estremo coraggio, al fiat veritas et pereat historicus. Lasciamoli lavorare senza ricattarli.
a scanso di equivoci il mio nickname rimanda al mio blog…
non voglio essere scambiato per un vile, i vigliacchi sono quelli che si inventano reati di pensiero per tappare la bocca agli avversari…
“If these people want to speak, let them. It only leads those of us who do research to re-examine what we might have considered as obvious. And that’s useful for us. I have quoted Eichmann references that come from a neo-Nazi publishing house. I am not for taboos and I am not for repression.”
(Raul Hilberg, citato da Christopher Hitchens, “Hitler’s ghost”, “Vanity Fair”, giugno 1996, pp. 72-74).
infatti ho visto, non mi riferivo a lei personalmente.
@ buffagni
“1) Non dico che qui qualcuno zittisca o minacci. Dico solo una cosa elementare: che se un tizio qualsiasi pubblica qui (o altrove) una tesi negazionista, e la firma con nome e cognome, rischia una querela ai sensi della legge Mancino, di perdere il lavoro, etc.”
Scusi Buffagni, ma dov’è che nella legge Mancino si parla di negazionismo?
Vediamo di capir bene.
Prendiamo in considerazione una affermazione contenuta nella pagina linkata dalla persona che si fa chiamare Apocalisse 23.
“Alcuni studi hanno mostrato come questi locali fossero verosimilmente destinati alla disinfestazione del vestiario, tuttavia la credenza popolare nelle camere a gas omicide è talmente diffusa e radicata che viene tenuta in vita anche per non deludere le folle di turisti che visitano i campi!”
Ora, a quell’indirizzo c’è una recensione al libro “Negare la storia? Olocausto: la falsa ‘convergenza delle prove'”.
Formuliamo questa ipotesi: il libro negazionista diventa un successo. Centinaia di migliaia di copie vendute. Diffusione tra i giovani, soprattutto.
Altri libri che contrappongono solidi argomenti alle tesi del libro negazionista vendono invece molto poco.
Risultato: le tesi negazioniste vengono accettate da un gran numero di lettori di quel libro (centinaia di migliaia).
Escono poi altri libri che contrappongono solidi argomenti alle tesi negazioniste. Questi non vendono.
Vengono pubblicati articoli, fatti magari anche programmi nella televisione che raccontano la vicenda del libro e contrappongono solidi argomenti alle tesi dei negazionisti. Non li legge, non li guarda nessuno.
Risultato: le tesi negazioniste restano la vulgata per un gran numero di lettori di quel libro (centinaia di migliaia).
Si vedono i primi effetti…
Domanda: avrebbe senso perseguire l’autore del libro negazionista?
Ulteriore domanda: chi “tifa” per la libertà di parola (Buffagni), “tifa” anche per gli effetti che la libertà di parola può avere in questa ipotesi?
“Formuliamo questa ipotesi: il libro negazionista diventa un successo” (dm)
Le pare verosimile? Può indicarmi la grande casa editrice che punterebbe su un libro negazionista (che è poi la condizione essenziale per farlo diventare un successo)?
E allora che senso ha formulare da parte sua una simile ipotesi?
(Appena posso reintervengo…)
@ abate
“Lei sarà giovane di sicuro. Aspettiamo di vedere quali saranno le sue “conversioni”.
Non sono poi tanto giovane, e comunque penso che, in materia di conversioni, sia difficile fare peggio. Dio me ne scampi. Notavo poi che, nell’illuminante citazione da lei riportata, mancano all’appello i svariati milioni di persone condannate a morte o crepate nei gulag sotto Stalin. Comunque questa discussione in calce al post è abbastanza priva di senso, perché in Italia il reato di negazionismo non esiste. Non si capisce bene il senso degli interventi suoi e di Buffagni, se non per una curiosa coincidentia oppositorum le cui radici sono probabilmente più antiche delle vostre stesse persone.
Un fatto è significativo, a prescindere. Gli autori cosiddetti “negazionisti” hanno spesso pubblicato per primi alcuni documenti. Così ha fatto Faurisson con i piani della costruzione di Auschwitz, così Irving con le trascrizioni dei messaggi in codice dei nazisti compiute dall’intelligence britannica.
E’ stato Irving a far notare che non è rimasto, e forse non è mai esistito, un ordine scritto di Hitler relativo allo sterminio, e la storiografia ha dovuto, pur se in modo riluttante, prenderne atto, tanto che sono nate due correnti, intenzionalismo e funzionalismo (secondo quest’ultima, il progetto della Endloesung si sarebbe diffuso ed imposto attraverso “an incredible meeting of minds”, ossia praticamente per via telepatica).
Faurisson ha fatto notare le discrepanze e le incongruenze, evidenti, fra le diverse versioni (almeno tre) del Diario di Anna Frank. Proprio le osservazioni di Faurisson (è Hilberg stesso ad ammetterlo) hanno indotto gli studiosi ad apprestare un’edizione critica non del “Diario”, ma dei “Diari di Anna Frank”. Tutto ciò non significa affatto che la Shoah sia solo “une gigantesque escroquerie”; una conclusione del genere rischia appunto di essere “istigazione all’odio razziale” (ma di “industria dell’Olocausto” parla anche un autore non negazionista, ed ebreo, come Finkelstein); ma induce a credere che anche i cosiddetti negazionisti possano dare un contributo alla ricerca storica.
I Totenbucher di Auschwitz, restituiti da Gorbaciov alla Germania, sono stati pubblicati e studiati esclusivamente dai “negazionisti”, e sono visti dalla storiografia ufficiale con un certo imbarazzo, ma non possono essere ignorati.
I libri di Mattogno, per quanto drastici e preconcetti nelle conclusioni, sono documentatissimi. I documenti, che egli pubblica per la prima volta, sul trattamento sanitario ad Auschwitz (tanto Elie Wiesel quanto Primo Levi furono ricoverati e curati nell’ospedale del campo, come essi stessi raccontano) non possono essere ignorati, anche se certo non vanno interpretati nel senso unilaterale e fazioso in cui li interpreta Mattogno.
Ennio Abate:
“Le pare verosimile? Può indicarmi la grande casa editrice che punterebbe su un libro negazionista (che è poi la condizione essenziale per farlo diventare un successo)?”
Non è vero che l’investimento da parte di una “grande casa editrice” sia la “condizione essenziale” (nel senso di: necessaria) al grande successo di un libro. E questo è evidente.
Pertanto, il resto del suo intervento è trascurabile.
@dm
Interessante il suo intervento: posso allora iscriverla nel movimento antiliberale (di cui io faccio parte, naturalmente, non l’ho mai nascosto).
Perchè, aldilà dell’argomento specifico di cui si parla, lei ha fatto un meraviglioso intervento contro il liberalismo, me l’annoto, magari lo posso usare in altri contesti.
ad Alice
l’art. 1 della legge Mancino recita: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, […] è punito: a) con la reclusione fino a un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.
Non ci vuole molto a comprendere nella fattispecie di reato alle tesi negazioniste. E’ già avvenuto in Italia che un insegnante di liceo illustrasse agli alunni, insieme alle tesi prevalenti sullo sterminio nazista, anche le tesi negazioniste e revisioniste, e si ritrovasse imputato in tribunale, sospeso dal lavoro, etc.
a dm
Tifo per la libertà di parola e ne accetto le conseguenze, anche spiacevoli, anche gravi.
Un esempio. Come molte persone in Italia e nel mondo, non solo cristiane, ritengo che la legalizzazione dell’aborto sia un grave errore politico che non solo autorizza un vero e proprio sterminio di innocenti, ma contribuisce a oscurarne la reale natura nelle coscienze, tramutandolo in una routine e addirittura in una manifestazione di libertà e di progresso morale.
Mentre lo sterminio del popolo ebraico è avvenuto nel passato, e per fortuna non se ne rischia una ripetizione nel presente e nel prevedibile futuro, quest’altro sterminio è in corso e anzi, si estende e riceve crescenti consensi ufficiali.
Se domani chi la pensa come me andasse al governo, non vorrei che varasse una legge che sanziona l’espressione delle posizioni favorevoli all’aborto, e farei quanto sta in me perché questo non accadesse.
Nelle nostre società convivono culture e visioni dell’uomo non solo diverse, ma incompatibili, non solo avverse ma nemiche. Se chi detiene il potere si mette a proibire e sanzionare pesantemente le visioni del mondo avverse, il risultato è a) una tirannia b) una guerra civile che non è detto si limiti sempre al piano simbolico e ideologico.
Per evitare queste due conseguenze, decisamente spiacevoli, non vedo altra via che garantire a tutti la libertà di parola e pubblica espressione del pensiero.
@ Buffagni
Si sbaglia. Con quel testo di legge, mai nessuno storico negazionista potrebbe essere condannato, se non altro in via definitiva, ma probabilmente neanche in primo grado, da un tribunale. Il diritto per fortuna è una cosa un po’ più seria della critica letteraria. Assimilando il negazionismo a questo testo di legge, è lei che ne riconosce implicitamente (inconsciamente?) la matrice antisemita. Quanto all’insegnante di cui parla, mi sembra del tutto normale che sia stato sospeso dall’insegnamento.
@Buffagni,
al solito finisco per rivolgermi a lei perché lei ha comunque, per me, il merito di assumere su di sé la responsabilità dei suoi convincimenti. Va da sé che il mio rispondere a lei non significa renderla l’unico destinatatio delle le mie critiche o obiezioni eventuali.
Dunque, di mio posso aggiungere – e concludere, perché credo ciascuno abbia esaurito i suoi argomenti e che si stiano mandando avanti i nostri istinti intellettuali – che se qualcuno propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero se istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, tutto mi sembra stia facendo tranne che lo storico.
Credo in questo dialogo si tenti di rendere equivoco il confine tra diritto all’espressione e diritto ad affermare scientemente il falso. E che si sottovaluti il valore fondativo della disciplina storica.
Non so se per lei poco cambia se uno insegna che la Seconda Guerra mondiale l’hanno vinta i tedeschi e non gli americani: partendo da un documento ufficiale e arzigongolandoci su, le strategie retoriche della paranoia ci hanno dimostrato che non è infondato neppure sospettare che in realtà Hitler oggi sia da qualche parte a godersi una pensione dorata.
Io reputo l’istituto della istruzione – tanto più se è quella pubblica – alla base di una società. Se un insegnante di matematica vuole convincere i suoi alunni che uno per uno fa due, io voglio sia cacciato fuori a calci. Se un insegnante di storia vuole convincere i suoi alunni che i nazisti mica volevano uccidere gli ebrei, io voglio sia cacciato fuori a calci.
Se lo stesso insegnante di matematica o lo stesso insegnante di storia vogliono scrivere i loro deliri più o meno lucidi su un libro e vogliono provare a pubblicarlo, è loro diritto. Se uno sente che in quelle pubblicazioni si sia messa all’opera la propaganda dell’odio razziale, etnico, nazionale e religioso, ha il diritto di denunciarlo.
Perché qui non si deve fingere una terzietà inesistente. Essere persone libere significa saper difendere la propria e l’altrui libertà da coloro che la attentano ricattando la falsa coscienza altrui: io non ho nessun problema ad affermare che un nazista, un fascista, un comunista, un qualsiasi seguace di teorie sanguinarie deve essere messo in condizioni di non fare, o di non replicare, il male di cui è capace. Io le menate del bene che per essere bene deve essere martire – di provenienza religiosa? non so – non le ho mai condivise. Per me il bene o sa difendersi dal male o è male esso stesso. Il resto sono sofismi da quinta colonna.
Ah, non so quali adesivi questo mia ragionare mi farà guadagnare, certo i ricatti dei benpensanti tolleranti a modo loro non mi hanno mai fatto gola ma solo maldipancia.
I miei saluti a tutti!,
Antonio Coda
ad Alice.
Non sono un giurista, posso sbagliarmi. Se è come lei dice, meglio così, un altro motivo per *non* varare leggi specificamente antinegazioniste in Italia. E’ poi probabile che alcuni o molti negazionisti e/o siano antisemiti; probabile anche che, antisemiti o no che siano in effetti, per tali vengano fatti passare dai loro avversari: ci risiamo con l’inesistente sincerometro di Lenin. (En passant, “antisemiti” è parola imprecisa e fuorviante, visto che semiti sono anche altri popoli oltre all’ebraico. Qui parliamo di antigiudaismo, che nel caso nazista è una forma di razzismo biologico dalla quale si dedusse la necessità della Endlosung).
Non trovo invece *normale*, ma sbagliato e grave, che un insegnante sia sospeso se illustra ai suoi studenti *anche* le posizioni negazioniste o revisioniste, insieme alle prevalenti. L’insegnante manca al suo dovere se indottrina, propaganda, distorce la realtà dei fatti, etc. L’obiettività sarà anche un’idea regolativa irraggiungibile, ma certo colpire di interdetto e sanzionare pesantemente l’illustrazione di tesi che non sono sostenute solo dal mago Otelma e da pazzi criminali analfabeti non mi sembra obiettivo.
Torno sull’esempio precedente dell’aborto. In Italia l’aborto è legale. Molti italiani, per esempio l’attuale Ministro degli Esteri, ritengono gli antiabortisti come minimo dei dinosauri, ma a volte anche degli ipocriti, dei nemici delle donne, del progresso civile e dei diritti umani, dei favoreggiatori dell’aborto clandestino e dunque corresponsabili delle sue vittime, e via dicendo.
Se un insegnante illustra ai suoi alunni le posizioni contrarie alla legalizzazione dell’aborto (che le condivida personalmente o meno) secondo lei va sospeso dall’insegnamento?
O di converso, se in un domani le posizioni si rovesciassero e l’aborto venisse di nuovo proibito dalla legge dello Stato, l’insegnante che illustrasse ai suoi alunni le posizioni dei favorevoli alla legalizzazione andrebbe punito?
Lo stesso vale per la legalizzazione della droga, per i matrimoni omosessuali, per la maternità surrogata, l’eutanasia, e chi più ne ha più ne metta.
E’ evidente che per parlare a dei ragazzi di queste materie ci vuole tatto, ed è anche evidente che in certe occasioni, è forse meglio non parlarne proprio, per ragioni di opportunità. Un conto però è richiamare alla prudenza e al buon senso, un conto spedire in galera o licenziare. Le rammento che la legge non è uno strumento sottile e delicato, perché si accompagna sempre all’uso della forza contro i trasgressori. un conto è un richiamo o un invito, un conto sono i carabinieri che ti vengono a prendere a casa. Cerchiamo di ricordarlo, se non altro perché oggi a te, domani a me.
erratum corrige:
E’ poi probabile che alcuni o molti negazionisti e/o REVISIONISTI siano antisemiti
@ Buffagni
Mi scusi, ma se per ogni evento storico trattato si dovesse illustrare il principio del conflitto delle interpretazioni, i programmi di storia delle superiori sarebbero attuabili in un arco non di cinque ma di cinquecento anni. Se un docente sceglie di illustrare questo nobile principio proprio in riferimento allo sterminio degli ebrei, sorge il dubbio legittimo che un po’ antisemita lo sia, e comunque fa prova di un arbitrio pedagogico tale da giustificare, secondo me, l’allontanamento dall’insegnamento. Il caso dell’aborto e gli altri da lei citati non c’entrano nulla, perché trattasi di tema civici e non storiografici. E comunque la tranquillizzo, in galera in Italia, per queste e tante altre cose, non ci va nessuno.
Mi scusi anche lei, ma qui il problema non è se l’insegnante abbia fatto bene o male a illustrare le tesi negazioniste, il problema è se lo si deve licenziare, e a mio parere no, non lo si deve sospendere o licenziare. Magari sarà anche un po’ antisemita come lei dice, ma sui forse non si licenziano gli insegnanti. In dubio pro reo, no?
La questione se perseguire o no il negazionismo non è una semplice questione di interpretazione storiografica d’un evento: se lo fosse, nessuno si sognerebbe di imputare in tribunale i negazionisti. Anche sullo sterminio armeno ci sono tesi storiche contrapposte, una delle quali dice che si trattò di un genocidio coscientemente perseguito, e l’altra dice di no: però, in Italia e in generale in Europa nessuno fa una piega se un insegnante riporta entrambe le tesi (neanche se ne sostiene la negazionista, per la verità).
E’, evidentemente, una questione ideologica e politica rilevante e d’attualità, nella quale uno Stato decide che chi sostenga una posizione diversa dalla ufficiale deva essere punito severamente. Ecco perché c’entrano anche l’aborto, eccetera: perché il modello può essere replicato, il precedente fondare una pratica corrente.
Chi passa anni e anni della propria vita cercando di dimostrare che la Shoah non sia mai esistita non è antisemita. Certo, molto convincente. La realtà è che, come la recente mania complottarda c’insegna, dati su dati su dati finiscono per dare una parvenza di veridicità a tutto, anche alle più grandi e vergognose eresie. Pubblicare e dare spazio a simili tesi (ché di questo si parla) non può che dare ulteriore vigore al sempre più forte ritorno dell’odio antiebraico (tipico dei periodi di crisi) sia esso di matrice islamistica, cattolica o agnostica. Tanto più che, a causa del noto fenomeno cognitivo detto del “confermation bias”, il pubblico in generale e quello ben disposto verso quest tesi in particolare tende a prendere per buono ciò che legge senza preoccuparsi della sua veridicità. Altra nota tecnica è quella di estrapolare frasi dal proprio contesto originale per rafforzare le proprie tesi. Non importa che il senso generale dello scritto dica l’opposto della capziosa citazione perché l’obbiettivo è quello di creare una superficiale plausibilità della tesi negazionista. Ancora meglio allora se la citazione estrapolata deriva da testi di storici o intellettuali d’origine ebraica perché “se lo dicono loro…”, come se non esistessero al mondo persone che per mille motivi (risentimento ecc.) s’accaniscono contro la propria stessa famiglia/origine/gente. In conclusione lasciamo perdere le ciance su libertà d’espressione o di ricerca e si dicano le cose come stanno, chi odia gli ebrei e crede che la Shoah sia un mito lo dica e si risparmi ore di noiose letture.
Roberto Buffagni, il suo “Tifo per la libertà di parola e ne accetto le conseguenze, anche spiacevoli, anche gravi.” non si capisce dove voglia aggrapparsi. La libertà di espressione è di fatto vincolata. Le chiedo scusa per la caduta nel puerile, ma altrimenti non se ne esce. Se io vado alla televisione e dichiaro: Buffagni è un ladro, o un pedofilo, o uno stupratore, o qualunque altra parola che dia la stura a una serie di altre parole e di azioni che possano nuocerle, vengo sanzionato. Esistono insomma – ancora scusi per la puerilità – gli aspetti performativi del linguaggio o, più genericamente, gli effetti. In tutte le società, compresa la nostra, perdoni la puerilità, è sulla base degli effetti che si valuta l’ammissibilità di un determinato esercizio della libertà di parola. Nella ponderazione degli effetti ci sono: gli altri. Consolidato ciò, e mi scusi etc etc, è inutile sbandierare la libertà di parola come farebbe un bambino nel suo solipsismo da fase genitale. La valutazione riguarda qui il limite etico (gli altri) che gli effetti della libertà di parola possono (o potrebbero con molta probabilità) valicare. Agitare la bandiera e ficcarsi nel gioco di analogie per difendere l’assurdo e l’impossibile logico è fuorviante, oltre che godibile.
Caro dm,
sì, “è sulla base degli effetti che si valuta” fino a che punto concedere la libertà di parola, e infatti, se lei mi diffama o se incita a farmi fuori posso adire le vie legali per difendermi. E fin qui ci siamo.
Non mi risulta che le tesi negazioniste o revisioniste constino esclusivamente in queste fattispecie di reato.
Mi risulta – e mi scuso se non sono particolarmente al corrente, non coltivo letture negazioniste o revisioniste – che constino in interpretazioni di un evento storico. Sono sbagliate? Sono deplorevoli? Sono eticamente riprovevoli, false, malvage, aggiunga lei l’aggettivo che preferisce? Bene, diamo per scontato che siano così, ma non diamo per scontato che chi le sostiene vada perseguito legalmente. Se diffamano o incitano all’aggressione di persone, le si persegua per i reati che configurano. Se dicono stupidaggini o falsità, le si critichi e se ne dimostri l’erroneità. Se dicono cattiverie, le si riprovi.
Quanto al solipsismo e alla fase genitale, mah, è anche questa un’interpretazione possibile del liberalismo. Voltaire, Stuart Mill, Constant e Tocqueville ne saranno un po’ sorpresi, ma hanno visto di peggio.
Non so se ci ha fatto caso, ma io qui sto difendendo il diritto del più debole, il diritto delle minoranze: anche il diritto di aver torto; e sto ricordando a tutti che lo Stato – ogni Stato – è una macchina da guerra, alla quale non è prudente consegnare i nostri pensieri e la nostra libertà di esprimerli.
In un sito dove scrivono tante persone che pensano, parlano, scrivono e pubblicano per professione e per passione, mi sembra che un discorso come questo dovrebbe essere un’ovvietà. Evidentemente, mi sbaglio.
Ritorno sull’esempio dell’aborto, che mi sembra particolarmente chiaro. Se “è sulla base degli effetti che si valuta l’ammissibilità di un determinato esercizio della libertà di parola” ai favorevoli alla legalizzazione dell’aborto va immediatamente tappata la bocca con gravi sanzioni, perché l’effetto di quel che dicono è la morte di centinaia di migliaia di bambini innocenti.
E’ d’accordo? Non è d’accordo perché secondo lei l’aborto legale è un bene, per mille motivi più o meno condivisibili e fondati? Ne parliamo? E come facciamo a parlarne se quando lei apre bocca io la posso querelare e lei, perso il lavoro ed evitato come un lebbroso da amici e conoscenti, si ritrova davanti a un giudice che le commina qualche anno di prigione? Le sembra un dialogo filosofico ideale? Che ne direbbe Habermas?
Lei forse è persuaso di non poter mai correre questi pericoli, perché idiozie riprovevoli come quelle dei negazionisti non le sosterrebbe mai, e perché concorda con i principi e gli usi della società attuale, dalla quale si sente protetto, anche contro teppisti come i negazionisti, gli antisemiti, eccetera.
Se la ricorda la filastrocca del pastore Niemoller?
“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
ed io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare.
Guardi che i nazisti non hanno l’esclusiva di questi scherzetti. Sono capacissimi di giocare a questo gioco anche i governi democratici.
Due cose, la prima specificamente @ Buffagni.
1) è il caso di documentare le affermazioni di ciascuno, non le pare? Faccia lei i nomi di insegnanti delle superiori che siano stati licenziati per aver illustrato tesi negazioniste a scuola: e, preciso, per quello e non per altro. Se no non si capisce più niente.
Io conosco solo due casi recenti legati a questi temi.
– L’insegnante che avrebbe detto all’allieva ebrea “se fossi stata ad Auschwitz saresti stata attenta” (e che, leggo in rete su Repubblica di Roma, davanti alla comunità ebraica romana avrebbe aggiunto “quello era un posto dove regnava l’ordine”). Uso il condizionale perchè so che le frasi riportare dai giornali raramente sono letterali e che il contesto è il messaggio. Ammesso che non la lettera, ma il senso di quelle frasi fosse quello che qui a tutti pare, capirà che si tratta di allusioni minacciose: la libertà di opinione e lo studio della storia sine ira, ne converrà, qui non c’entrano un bel niente.
– L’insegnante di liceo che scriveva sulla sua pagina Facebook (qui la fonte è decisamente attendibile) che avrebbe voluto compiere un attentato alla sinagoga della sua città, sparare ai “negroni” che spacciano, applicare i metodi di Mengele alle donne di Se non ora quando. Converrà che la libertà d’opinione e di studio spassionato non c’entrano manco stavolta. Tra l’altro, prima che si autodenunciasse postando queste frasi su Facebook l’insegnante era stato cautelativamente invitato dal dirigente scolastico a mettersi in mutua. Altro che licenziamento. (By the way, la mia opinione è che il dirigente abbia fatto bene, mettendolo in condizione di non nuocere intellettualmente agli studenti, ma senza scatenare i polveroni mediatici in cui non si capisce più niente e ci si divide poi, pregiudizialmente e senza conoscere i fatti, fra innocentisti e colpevolisti).
Perché ha ragione, i riflessi condizionati di tipo anti-anti-sionista esistono, come quelli anti-anti-omofobi ecc… Pubblicamente ci sono un imbarazzo e una suscettibilità sul tema che spesso offuscano la possibilità di discutere senza pregiudizi, almeno a livello di opinione pubblica.
Però saprà meglio di me che a dire in un luogo pubblico come questo che ci sono insegnanti che vengono licenziati per le ragioni da lei addotte – e per una legge che punisce l’istigazione al razzismo, non certe tesi storiche –, senza raccontare precisamente perché, come, percome e quando, qualcuno finisce per crederci, senza bisogno di altre prove. Per la ragione del prof. Umberto Equo qui sopra.
2) Bisognerebbe parlare di negazionismo a scuola. Credo sia altamente istruttivo per comprendere due o tre cose.
Per esempio, ci aiuta a capire che qualcuno è spinto a scrivere soprattutto dalla volontà di smascherare complotti (nei casi peggiori internazionali e giudaici, nei migliori, della “storiografia ufficiale”), di far di tutte le parole altrui una nube di menzogne spazzata via solo dalle proprie, le uniche che mettano infine in una qualche verità, in un rapporto immediato con la realtà, con i fatti;
che abbiamo bisogno di sapere, di avere certezze ultime e definitive e che amiamo che un “esperto” ci prenda per mano, ci porti in disparte e che ci dica “io so, ho studiato i documenti senza i pregiudizi di quegli altri; ora anche tu saprai: ma guardali ora, i tuoi simili, imbecilli illusi, irretiti dalle parole della universale menzogna del vincitore, del peloso buono e corretto, dell’ideologo ufficiale”;
che gli uomini hanno una naturale propensione alla metafisica e trasformano un orrore stillato quotidianamente, minuscolo atto dopo minuscolo atto, un orrore storico, nel male assoluto, e che c’è chi – perché per lui sapere non ha nulla dell’atto etico, ma è solo un gesto di rivalsa, di travaso di bile, di gusto brutale della dissacrazione e di reazione paranoica – si infila nelle numerose crepe di questo bisogno, ne mette in luce i fin troppo facili schematismi, le polarizzazioni demoni-angeli (un ragazzo, a scuola, non riusciva a credere che siano esistiti i kapò, che ci fossero ebrei che sperando così di sopravvivere, o di avere un miglior trattamento, ottenessero una posizione di potere e di arbitrio su altri ebrei) e lascia intendere che se tutto ciò è falso, falsi sono anche i fatti su cui tutto ciò è costruito.
I fatti storici certo non stanno lì a portata di mano. Recuperarli è un lavoro faticoso, indefesso e infinito. Ma tra chi, consapevole dei propri pregiudizi, della propria fallibilità, della propria finitezza, si è posto in ascolto di essi, li ha lasciati essere per quello che sono – ha constato che “qualcosa di orribile è stato”, fosse anche un male accidentale, un concorso assurdo di mille piccole responsabilità o di mille piccoli atti di mancata assunzione di responsabilità – e chi sovradetermina la ricerca di quei fatti del proprio assioma “nulla di orribile è stato” e cerca ogni genere di pezza d’appoggio per dimostrarlo, c’è un abisso etico e scientifico che nessun frainteso liberalismo delle opinioni può colmare. Il primo è l’atteggiamento di chi cerca insieme ad altri la verità, il secondo no, perché è quello di chi punta solo a stanare il nemico.
A lei che sostiene che tutte le opinioni hanno uguale diritto di essere espresse, faccio notare che ciò non è possibile, soprattutto nello spazio della scuola. Perché non posso dire a degli studenti: io vi presento le tesi di tutti, poi voi scegliete, per la semplice ragione che gli studenti non sono in grado di scegliere. Dovrò prendere posizione e dire che alcune cose non possono essere dette. E’ una misura etica e come tutte le misure etiche non ha confini certi e legislativamente definibili. Però è una misura che esiste.
Poi, temo che il suo diritto di parola non funzioni neanche nella società, perché è un’astrazione. Saprà meglio di me che non tutti gli uomini possono essere messi a contatto con certe idee, perché qualcuno le usa male, molto male; infatti gli sfugge la differenza tra libertà di parola e verità di parola: per lui che tutto possa esser detto, anche le scemenze, equivale a dire che tutto allora è vero.
Prevedo l’obiezione: chi stabilirà le opinioni legittime? Lo so, è una bella gatta da pelare. Ma non nascondiamoci dietro un dito: il problema dell’uso che della libertà si fa e degli effetti che la mia libertà ha sugli altri è un problema enorme e il liberalismo è insufficiente.
Pensavo ad Antonio Caracciolo. Non ho controllato, e l’ho fatto diventare un insegnante di liceo mentre si tratta di un docente universitario. Mi scuso dell’errore, e a parziale scusante aggiungo che non intendevo discutere un caso che conosco a grandi linee solo attraverso la stampa, ma esemplificare un pericolo.
Che il liberalismo non basti, e abbia, come la democrazia, il peculiare difetto di essere formalistico, lo ritengo più che vero. Più che vero anche che certi testi, messi in mano a persone non mature, sono bombe innescate con un detonatore molto sensibile. Come lei sa, la critica al formalismo liberale è tradizionale nel pensiero cattolico. La conosco e la condivido. Personalmente, ritengo che molte delle cose che correntemente si pubblicano e si esprimono siano più dannose del gas nervino (anche le tesi razziste e antisemite, certo).
Il problema, però, è che la dimensione metapolitica nella quale si formano le credenze, i valori, insomma i contenuti che possono riempire le procedure liberali e democratiche, è una cosa assai delicata. Le verità ufficiali protette con sanzioni giuridiche vi entrano come il proverbiale elefante nella cristalleria: lo strumentalismo è non solo possibile ma garantito al 100%, perché ogni gruppo di pressione si mette a giocare al gioco “tappiamo la bocca all’avversario prima che l’avversario tappi la bocca a noi”. A questo gioco, il vincente non è chi è più preoccupato del vero ma chi è più forte.
Come dicevo più sopra, se vivessimo in una società nella quale vi fosse un’etica e una visione del mondo condivisa da una larghissima maggioranza, i rischi della pratica censoria sarebbero minori (anche se non sparirebbero). Però, non è così.
Inoltre, è in corso, negli ultimi anni, una trasformazione in senso oligarchico delle democrazie occidentali, e una restrizione delle libertà personali giuridicamente garantite. Io dico, stiamo attenti a non concedere agli Stati un potere che si prendono anche troppo volentieri, e che sono bravissimi ad estendere.
il liberalismo ha tanti difetti e aporie; ma la sua battaglia contro la dittatura delle maggioranze (o delle minoranze ben organizzate sulle maggioranze disorganizzate) è una buona battaglia.
a proposito della filastrocca citata:
http://www.centrostudilaruna.it/la-legge-della-vergogna.html
PRECISAZIONE (IN RITARDO) N.1
@ Alice
Che ha scritto:«Notavo poi che, nell’illuminante citazione [di Fortini] da lei riportata, mancano all’appello svariati milioni di persone condannate a morte o crepate nei gulag sotto Stalin.»
L’atteggiamento di Fortini rispetto allo stalinismo non può essere liquidato riducendo, come oggi è di moda, il giudizio storico su un’epoca al conteggio dei morti. Fortini in proposito non è stato mai “negazionista” (per restare in clima con questa discussione) né in silenzio. Basterebbe rileggere i suoi libri (sempre più introvabili purtroppo). Lei è disposto a verificarlo? Allora le suggerirei come minimo:
– da *F. Fortini, Saggi ed epigrammi*(a cura di Luca Lenzini, Mondadori, Milano 2003): * Le mani di Radek* (p. 115); * Che cos’è il comunismo* (p.1653);
– da *F. Fortini, Questioni di frontiera (Einaudi, Torino 1977): *Del disprezzo per Solženicyn* (pagg. 155-167); *Al di là del dissenso* (p.168).
E, se riuscisse a procurarselo (ma potrei scannerizzarlo e farglielo avere tramite LPLC…), *Non mi basta la contemplazione atterrita della contraddizione* in *Potere e opposizione nelle società post-rivoluzionarie* (p. 109), Quaderno n.8 de “il manifesto” 1978.
Infine su «Poliscritture» n.9 , gennaio 2013 può leggere *Una difficile allegoria. Franco Fortini e l’Unione Sovietica* di Alessandra Reccia, che offre una visione aggiornata di quel rapporto.
PRECISAZIONI (IN RITARDO) N. 2
@ Buffagni
1.
Condivido le sue critiche alle leggi sull’antinegazionismo, che a me sembrano mirate a tenere la spazzatura sotto il tappeto forse per il timore di fare i conti con il problema di cui il negazionismo è un semplice sintomo. M’interrogherei, però più a fondo.
Come mai, delle verità storicamente accertate sulla Shoah, provvisorie come tutte le verità scientificamente supportate e non riducibili a «un dato rivelato» o a un «dogma» “democratico” o ai mitologemi diffusi soprattutto dai mass media, vengono oggi così facilmente ignorate o denigrate?
Mi pare che il problema sia ben impostato da uno studioso del negazionismo, Francesco Germinario, che scrive:
«Il fatto che da più di un decennio sociologi, storici e filosofi siano impegnati nella discussione della necessità di mantenere la memoria della Shoah, è quanto meno rivelatore del fatto che tale memoria attraversa una crisi e che ricordare diventa sempre più difficile. E’ una crisi dovuta solo
all’esaurimento biologico della generazione dei testimoni? A me pare che ci sia anche un aspetto di
natura storica. A ben vedere la fecondazione della memoria è assicurata dalla sua trasmissione: una
memoria che riposa su sé stessa è autoreferenziale e sterile. Il processo di trasmissione è ostacolato
da una lettura degli eventi scorsi diffusa – di natura quasi epocale – in cui scompaiono le specificità
e le caratteristiche del passato storico. Questa valorizzazione delle specificità dei tempi storici è
semmai demandata allo specialismo dello storico, il quale comunque vede emarginato il proprio
sapere specialistico nell’intricato reticolo del rapido fluire delle informazioni. La condizione diffusa
è quella in cui le specificità e le caratteristiche del passato storico evaporano, in cui il passato è
schiacciato sul presente. Per dire meglio, non si riesce ad immaginare un passato diverso dal
presente, non fosse altro perché diviene difficile immaginare un futuro diverso dal presente. E’ il
medesimo concetto di «Storia», almeno quale comprensione dell’azione degli uomini in spazi e
tempi differenti, ad essere pesantemente messo in discussione, perché il tempo e lo spazio vengono
ambedue declinati al presente, con conseguenze naturalmente disastrose per la comprensione del
passato medesimo. Questo, quando semmai viene percepito o conosciuto (in genere, attraverso il
documento visivo), lo è in una dimensione neomitica, che si pensa abbia dilacerato, ovvero non
abbia mai avuto dei rapporti di continuità col presente. La condizione storica in cui si vive sembra
caratterizzata dalla convinzione di non essere figli di qualcuno; e dunque non sospettiamo che il
presente sia anche figlio di un passato determinato. Ne consegue che ciò che è stato, non possa mai
riprodursi, certo in forme nuove e a danno di altri. Ebbene, il rischio è che, sconfitto ed emarginato
dalle sue stesse menzogne, il negazionismo trovi proprio in questa condizione storica il terreno in
cui radicarsi».
(http://www.osservatorioantisemitismo.it/public/NE01.pdf)
2. Ho meno fiducia di lei nei «principi liberali più elementari». Per quanti sforzi si facciano, anche le nostre discussioni non si svolgono sotto l’asettica campana di vetro teorizzata da Habermas. Che «la ricerca storica, su qualsiasi evento, si [faccia] criticando liberamente le fonti, comprese le testimonianze dirette, e le tesi che riteniamo sbagliate» è un auspicio, un ideale di riferimento, fa parte del lato umano e universale dell’onesto e serio ricercatore, ma spesso succede tutt’altro.
Quanti storici sono partigiani (spesso ottusi) di un’ideologia? Certo, in tempi “normali”, non ci troviamo di fronte a «Stati [che sfacciatamente] avocano il monopolio della verità storica, e il diritto di decidere quali fonti sono criticabili e quali no», ma è successo sistematicamente quando certi rapporti di forza consolidati si sono incrinati. E poi molti ostacoli trovano gli storici per accedere a certi archivi custoditi dalle burocrazie di Stato. Altrimenti la verità su certe stragi – mi limito solo a nominare Piazza Fontana – sarebbe saltata fuori.
Credo, dunque, che quel tanto di verità raggiunto da alcuni settori della ricerca storica sia stato quasi sempre conquistato contro le intromissioni degli Stati o aggirando i condizionamenti di settori influenti dello Stato, di tutti gli Stati. Vedi il caso dello storico israeliano Ilan Pappé, che ha rimesso in discussione l’analisi delle cause dell’esodo palestinese presentate da Benny Morris. Vedi la storia dell’Urss ai tempi di Stalin. Vedi da noi la stessa storiografia dei partiti. Dobbiamo perciò trovarci faticosamente gli storici di cui fidarci per sostenere la nostra ricerca di verità. ( E mi permetto per l’ennesima volta di richiamare l’attenzione sul Brecht delle «Cinque difficoltà per chi scrive la verità»: http://moltinpoesia.blogspot.it/2012/11/ennio-abate-sulle-cinque-difficolta-per.html).
3.
Pur condividendo la sua difesa del diritto alla parola per tutti (anche per i negazionisti), la trovo però astratta e di principio. Siamo in un contesto in cui diritti fino ai ieri riconosciuti sono annullati di fatto. Che ne è, ad esempio, del diritto al lavoro? Per il diritto alla parola, sì, in teoria non possiamo mai dire con certezza da dove può spuntare una verità significativa. Può essercene un po’ anche in uno storico negazionista? In teoria sì. E vale la pena di andare a vedere. E infatti sia Raffaeli che Vidal Nacquet invitano a questo. (Che poi lo facciano o altri lo facciano con scrupolo è tutto da accertare…). Dato questo stato di crisi, trovo sensate le obiezioni che le hanno mosso Coda o Lo Vetere. Né insisterei con chi rifiutasse di andare a vedere cosa dicono i negazionisti e non volesse sprecare il suo tempo in analisi che gli paiono dubbie o dilettantesche o truffaldine, preferendo più solide ricerche. Da qui ad auspicare o a chiedere o ad approvare la galera per i negazionisti c’è un bel salto.
4.
Lei ha usato una poesia di Brecht, volgendola a favore dei negazionisti, oggi “perseguitati”.
A parte l’accertamento della entità della loro persecuzione, riconosco solo che c’è uno squilibrio tra l’uso della parola che si possono permettere oggi i negazionisti (simpatizzanti dei vinti) e l’uso della parola di cui dispongono gli altri, i fautori dell’uso politico della Shoah fatto dai vincitori.
5.
Sullo sfondo resta un problema più rilevante. Secondo me, non potremmo avere mai una memoria condivisa (se non su aspetti secondari) sulla guerra condotta nella prima metà del Novecento dai nostri padri – fascisti e nazisti da una parte; comunisti e democratici dall’altra. Ci sono stati dei vinti e dei vincitori. E noi, figli o nipoti, che ripercorriamo quelle vicende intellettualmente ed emotivamente non potremo mai espungere o appianare la durezza, la tragicità e la disumanità di quel conflitto cruento e armato. Forse possiamo solo tentare di capirlo meglio, restando – non nascondiamocelo – o dalla parte di quei vinti o dalla parte dei vincitori. O nell’incertezza. Lo si sente vede anche in questa improvvisata discussione. Che dimostra da una parte la persistenza nella memoria della pesantezza di quello scontro. Ma ci avverte pure della impossibilità di riproporlo così com’era.
6.
Perché non possiamo dimenticare che noi pure stiamo dentro altri conflitti, diciamo pure “controllabili” (per ora) e non ancora estremi, ma che hanno anch’essi una loro durezza, tragicità e disumanità (cosa sono le “guerre democratiche”?). Quindi, *oltre* le divisioni dei padri o addirittura *super partes* non ci siamo. Anche se – e non solo a me – leggere gli scontri reali d’oggi come una ripetizione di quello tra fascisti e antifascisti appare una parodia.
7.
È in corso da parte di molti un attraversamento e distanziamento serio dal conflitto dei nostri padri. E credo che le posizioni espresse autonomamente sia da lei che da me su questo blog lo provino. (E non c’è, non ci può essere, se ci muoviamo sul piano storico e non lo abbandoniamo, nessuna curiosa *coniunctio oppositorum*, come paventa @Alice).
Avanziamo però a tentoni verso il futuro.
I fronti opposti di un epoca (fascismo e comunismo) non esistono più. Sono avvenuti mutamenti di fondo (la fine della Germania nazista, la fine dell’Urss) che hanno innestato a livello simbolico processi di necessaria revisione sia nella (ex) sinistra (o nelle “due destre”, come suggerisce Revelli…) sia nella (ex) destra.
Queste revisioni dove ci porteranno?
Due le ipotesi:
– a un abbraccio, a uno *scurdammece ro passate*, a una memoria (magari annacquata) ma finalmente condivisa, come auspicano o suggeriscono certe autorità politiche e culturali di questo Paese;
– al ripresentarsi dei precedenti, tragici, conflitti in nuove forme.
Io vedo più probabile questa seconda, preoccupante, ipotesi. E da qui un invito a non sottovalutare il negazionismo come possibile cavallo di Troia di altro. Il negazionismo è per ora una delle tante ideologie, magari rozza e per ora minoritaria. Ma se una potente lobby o influenti settori politico-economici decidessero di sostenerla e forze sociali inquiete o allo sbando si dovessero organizzare attorno ad esso?
PRECISAZIONI (IN RITARDO) N. 3
@ Lo Vetere
Non so se ha abbia letto il resoconto del libro di Poggio a cui rimandava il link. Non lo pretendo. Ma perché lanciare accuse di «minuetto di decostruzione storica» e di voglia di «titillare i sospetti e gli scetticismi»?
Raffaeli parla di “ben altro”? Intende dire che dovevamo parlare solo di negazionismo e non di revisionismo storico, per impedire ai negazionisti di intrufolarsi nella truppa più nobile dei revisionisti storici?
A me non pare un gran danno che il discorso si sia allargato. Cosa può succedere?
Succede che ‘Apocalisse’ faccia un po’ di pubblicità sul LPLC a uno storico negazionista, che è già del resto sul Web. Ora non è che, avendo la storiografia anche seria dei buchi, noi tutti finiamo per preferire un Mattogno a un Collotti. Fino a prova contraria io mi fido – come lei credo – degli storici bravi non di quelli mediocri; e condivido quanto scrive uno di loro:
«il problema vero è capire se la lettura del passato è fondata dal punto di vista delle fonti e delle interpretazioni che esse legittimano. Quindi non è rilevante tanto discutere se una tesi sia revisionista o no, quanto ragionare se essa dia conto di ciò che è avvenuto in modo più fondato, più convincente e con una base documentaria maggiore, se interpreti correttamente le evidenze che vengono dalle fonti rispetto alle visioni in precedenza correnti. Non si può discutere di tesi storiografiche senza tenere conto della base documentaria, su cui esse si fondano, della sua esaustività e del mondo in cui essa viene interpretata».
(Brunello Mantelli, I fascismi dell’Europa dell’Ordine Nuovo 1940-1945, in «Lezioni sul revisionismo storico», pag. 106, Fondazione Luigi Micheletti- Cox 18 Books, Calusca CityLights, 1999)
Ma il suo intervento mi suggerisce di porre ( a tutti non solo a lei) un po’ di domande:
– “noi” (e chi sia questo “noi” va chiarito…) dobbiamo, visto il pericolo presente o futuro rappresentato dal negazionismo, aggrapparci alla democrazia occidentale assolvendola delle sue malefatte?
– dobbiamo tenerci la visione liberale (il solito “meno peggio”), anche se fa acqua da tutte le parti?
– possiamo dire, dimostrandolo, che certe falsità le propalano anche le autorità democratiche e spesso anche i loro storici autorevoli e affermati?
– possiamo, al contempo, contrastare (con buon argomenti) il negazionismo e criticare (con buoni argomenti) *questa* democrazia?
– o dobbiamo silenziare la nostra critica per non confonderci col negazionista, che anche lui critica *questa* democrazia?
– e, se le tesi negazioniste sono assunte da uno Stato (mettiamo l’Iran di Ahmadinejād), dobbiamo allarmati buttarci nelle braccia degli Usa, approvando e partecipando alle loro “guerre democratiche”?
E, infine, visto che lei si preoccupa per i suoi studenti come facevo io pure quando insegnavo nella scuola pubblica, possiamo chiederci per responsabilità di quali forze politiche anche “amiche” i giovani o gli studenti (persino universitari) annaspano laggiù in un pauroso abisso di analfabetismo politico? E come pensiamo di tirarli fuori? Con la censura preventiva delle posizioni errate? Stabilendo in anticipo (“noi” chi? lo Stato? i partiti di appartenenza? le chiese di appartenenza?) di quali verità “controllate” debbano nutrirsi le menti dei nostri studenti, invase e frastornate dal rumore di fondo dei mass media o del Web?
Insomma, la scuola dovrebbe dare una verità storica documentata (questo è l’unico controllo accettabile), come dice sopra Mantelli, ma quale migliore antidoto ai rischi del pericolo negazionista o revisionista o altro, se non la capacità di criticare noi innanzitutto e di allenare gli studenti al pensiero critico?
Caro Abate,
grazie per la replica molto articolata e meditata. Le rispondo cercando di fare una sintesi di quel che penso sugli argomenti da lei sollevati.
Io difendo “i principi elementare del liberalismo” come difendo la buona educazione e la cortesia. Né i principi elementari del liberalismo né la buona educazione e la cortesia mi paiono la chiave del mondo e la soluzione dell’enigma uomo, però senza si respira veramente male.
Sia i principi elementari del liberalismo sia la buona educazione sono lievi increspature sul mare del mondo; possono risultare dal moto di grandi correnti sottomarine o da una bava effimera di vento, essere il fiore di una civiltà in cui sono ancor vivi le qualità e i valori aristocratici e cavallereschi, o l’equivalente della cravatta.
Quindi non si può “credere” nei principi elementari del liberalismo, come non si può “credere” nella buona educazione. Il verbo credere, se lo si prende sul serio, ha bisogno di un complemento un po’ più solido.
Lo studio della storia insegna subito una cosa: che chi ha la forza, comanda su chi non ce l’ha. Il corollario n. 1 è che chi ha la forza, ha anche la forza di scrivere la storia, e di segnare sulla lavagna i buoni e i cattivi. Da questa constatazione elementare non è consigliabile prescindere, perché ci dice una verità, anche se non ci dice *tutta* la verità.
A integrazione di questa verità, ci sarebbero le verità che si possono ricavare dallo studio dell’uomo, questo strano coso. Una delle verità che se ne possono ricavare è che lo strano coso non riesce a contentarsi della verità suddetta: che a decidere in ultima istanza sia sempre la forza. Per quanto schiacciante e himalayana sia la raccolta delle prove a favore, lo strano coso non riesce a metterci una pietra sopra e a dirsi “va bè, il mondo va così”. Persino le civiltà che nascono direttamente dalla forza nella sua espressione più immediata, cioè le civiltà guerriere, non riescono a contentarsi di picchiare più forte e finiscono sempre per raffinarsi, per aspirare a qualcosa di più e di meglio, per rendersi le cose più difficili, in buona sostanza per complicarsi la vita quando proprio non ce ne sarebbe bisogno.
Ecco, qui c’è una porticina, chiusa a doppia mandata, scassinando la quale forse si potrebbe cominciare a sbirciare qualcosa dell’enigma uomo. il grande sogno infantile di tutti gli uomini, della forza sposata alla giustizia e alla misericordia, è certo responsabile di una lunghissima filza di errori, colpe, massacri, svarioni politici, utopie rovinose, però, come dire? E’ segno di buon carattere.
Quanto precede, sia inteso come premessa metodologica, tanto per capirsi.
Quanto al resto, molto brevemente anche qui. Non si può avere memoria condivisa di un conflitto sanguinoso, mai: per il semplice motivo che il sangue, specie quello versato, non è acqua. Si può considerare un conflitto concluso, constatare che la killing zone, oggi, non è più lì; e si può, sempre, rispettare il nemico. Sembra poco, ma è moltissimo. Quando non riusciamo a rispettare il nemico, c’è sempre qualcosa sotto: qualcosa che marcisce, che puzza, che contagia anche noi (effetti collaterali del disprezzo sono l’orgoglio e la cecità).
Le ragioni strumentali, ideologiche e politiche, della damnatio memoriae teologico-politica dei fascismi sono abbastanza chiare (intendiamoci, ci sono anche le ragioni buone e vere). A giudicare lo scontro politico attuale con la chiave fascismo/antifascismo, secondo me non ci si capisce niente. Lo scontro politico e ideologico principale di oggi verte, come del resto sempre, sull’idea che ci facciamo dell’uomo. Le distanze fra i contendenti sono oggi molto maggiori di quel che furono al tempo degli scontri, violentissimi, del Novecento. Non ho idea se lo scontro si esprimerà, nel prevedibile futuro, anche o soprattutto sul piano militare. Direi di no, perché la superiorità militare USA è tale che nessuno può permettersi di sfidarla seriamente; il che non significa che il conflitto sia meno grave e le conseguenze di minor momento. C’è invece una diversità sostanziale rispetto al Novecento: che gli eserciti non si sono ancora formati e schierati, perché le divergenze di fondo su che cosa sia l’uomo non si sono ancora formulate in ideologie coerenti, incardinate in potenze storiche reali. Viviamo insomma “tempi interessanti”, cioè un periodo di transizione e trasformazione delle costellazioni di idee e forze. Posso sbagliarmi, ma non credo che una resurrezione dei fascismi sia un pericolo. Una forte reazione “populista” contro le politiche oligarchiche e mondialiste è certo una possibilità – che io, per inciso, vedrei con favore – e certo qualche finestra e magari qualche testa la potrebbe rompere, ma con i fascismi c’entrerebbe davvero nulla: semmai c’entrerebbe con i nazionalismi, che sono cosa affatto diversa, per quanto nazionalismi e fascismi si siano, in alcuni casi, alleati (ma si sono anche combattuti).
@ Abate.
Forse lei non si fa infinocchiare dalle storiografie alternative di storici sedicenti tali. Qualcun altro però sì.
Non sa quanto spesso mi tocchi dover spiegare a gente con la laurea che il video-documentario Zeitgeist non è lo svelamento di secoli di menzogne e che Il codice da Vinci non è un romanzo storico che spiega che il Vaticano ci ha tenuto per secoli nascosta la natura dell’eterno femminino incarnato nella Maddalena.
Volevo solo che due o tre cose fossero chiare al lettore medio che passasse di qui per caso. Uno dei miei tanti tic pedagogici.
Caro Lo Vetere,
lei dev’essere un ottimo insegnante, e fa benissimo a temere che qualcuno, anche istruito, abbocchi a balle colossali.
Goebbels lo sapeva molto bene, e lo diceva anche: “Quanto più grossa la bugia, tanto più facile crederci”.
E in effetti è così: chi ha la forza, ha anche i mezzi per far credere quel che desidera non dico a tutti, ma a vaste maggioranze; specialmente oggi che i media sono tanto pervasivi.
Esempio contemporaneo. Per promuovere la legge sul femminicidio, sui media si è sentita e letta centinaia di volte la formula “il femminicidio è la prima causa di morte in Italia” (l’ho sentito dire anche stamattina su “Prima Pagina di Radiotre) cioè una falsità e una scemenza enormi e sfacciate, molto più difficili da credere della tesi che la terra è piatta e che il sole ci gira intorno, che almeno concordano con l’immediata esperienza. Per credere che il femminicidio è la prima causa di morte in Italia, bisogna invece dimenticarsi un dato elementare dell’esperienza, e cioè che di solito la gente che conosciamo muore anzitutto per malattia e vecchiaia, poi (a notevole distanza statistica) per incidente e infine (in percentuale infinitamente minore) per omicidio. Se poi uno va a vedere le statistiche, si accorge che la vittime di omicidio sono in larghissima maggioranza uomini.
Bene. In una conversazione su questo sito, una persona non solo istruita, ma intelligente, civile, onesta e colta come Manuel Cohen, un poeta di valore, mi ha replicato sostenendo, senz’altro in buonafede, questa gigantesca balla.
Secondo lei, oggi chi ce l’ha, la forza di far abboccare alle balle più colossali? I nazisti? Sono loro, la principale influenza politico-ideologica sui media, e dunque il pericolo da cui guardarsi?
E concludo chiedendole: è dunque una buona idea accrescere i poteri di chi già detiene la maggiore influenza sulle istanze educative e sui media, attribuendogli il diritto di sanzionare giuridicamente le opinioni e le interpretazioni storiche? Così facendo, è prevedibile che ci verranno ammannite più verità o più bugie?
Caro Buffagni,
temo di non potere proprio considerare come fa lei il liberalismo come una forma di buona educazione. Lei poi, ci crede davvero, come può farlo visto che ritiene che il criterio che ha sempre governato la politica sia la forza?
C’è, anche se a volte non è chiaro a tutti, un’antropologia che sottende una certa concezione politica, e lei si deve decidere tra Hobbes e Locke, non vedo proprio come intenda conciliarli. Se è pessimista sulla natura umana, non può far finta di seguire Locke e il suo liberalismo, non può davvero credere che l’uomo per natura sia un essere libero e che quindi lo stato si deve ritrarre, si deve rendere minimo per preservare questa libertà primigenia.
Il liberalismo non è, nessuno lo può sostenere davvero, quella teoria politica che garantisce la libertà d’espressione, come se prima della rivoluzione francese ci fosse davvero l’impossibilità di esprimersi, come se fosse stata inaugurata dal liberalismo, questa la definirei la mitologia del liberalismo.
Il liberalismo è la teoria politica che si basa sul concetto di mercato, per cui tutto è mercato, che ha una tale concezione ottimista dell’uomo da ritenere che, tolti gli ostacoli connessi ai pregiudizi derivanti dall’ignoranza, l’uomo allontanerebbe da sé ogni comportamento malvagio, raggiungerebbe spontaneamente, proprio in virtù del fatto che è stato tolto il freno, il bene, la società nella libera competizione tra i propri cittadini, pervenisse al proprio perfezionamento.
Se quindi il bene è il frutto spontaneo della libera competizione, la società non richiede nessuna condivisione di un’etica collettiva, anzi questa diventa un ostacolo al libero dispiegamento delle sorti progressive dell’umanità, che la società si limiti a formulare poche disposizioni legislative la cui funzione in fondo è solo quella di garantire che la competizione sia davvero libera, mentre ogni etica viene affidata alle morali individuali,. L’etica è a tutti gli effetti un affare privato, una specie di mania o forse di ossessione personale che in fondo condiziona la libertà “assoluta” del singolo individuo (e peggio per lui se non ne riesce a fare a meno!).
Scherzavo prima con “dm” dandogli dell’antiliberale, perché giustamente a mio parere, riteneva che il successo di consensi (egli si riferiva ai lettori, ma in realtà è un concetto del tutto generale) non corrisponde ad un criterio accettabile di qualità. Il fatto è che è impossibile pensare ad una persona come fosse un’entità priva di valori di riferimento, l’uomo è un essere morale. L’errore è credere che la fonte della morale individuale stia in un luogo misterioso, che stia da sempre nella sua coscienza, abbia insomma una genesi interna all’individuo. Se si convenisse che la morale di ciascuno di noi è sempre un affare sociale, che la sua fonte stia nella comunità, allora si capirebbe come esiste un ethos, e questo ethos è una cosa preziosa che non può essere abbandonata al mercato. Se un singolo individuo ha una sua graduatoria di valori, non ha senso stabilire che una comunità non debba averla, l’avrà comunque, solo che sarà scelta dai pochi che dispongono del potere.
Un esempio a mio modo di vedere significativo, è quello che si gioca sull’educazione alimentare. I veri liberali sostengono che lo stato non deve in alcun modo influenzare le abitudini alimentari della gente, proprio in nome del libero mercato, che però, è questo è il paradosso, impone alle multinazionali alimentari di influenzare loro le nostre abitudini alimentari. Il paradosso è quindi costituito dal fatto che lo stato deve lasciare che gli interessi economici delle imprese alimentari spingano i propri cittadini ad alimentarsi in modo non ottimale. Insomma, se lo stato si ritrae, non è che garantisce la libertà dei singoli individui, ma garantisce il potere di condizionamento dei potenti di turno.
E’ chiaro che questo breve scritto, nelle sue esigenze di sintesi estrema, finisce per dare un quadro del tutto insoddisfacente di una questione di così vasta portata, ma quantomeno ho provato qui a stabilire alcuni punti di riferimento (e naturalmente, l’ho usata spudoratamente per parlare di un argomento che così tanto mi interessa).
Caro Cucinotta,
grazie per la replica. La filosofia non è il mio forte, ma cercherò di risponderle meglio che posso. Non sono “pessimista” sulla natura umana, perché sono cristiano. Cerco di essere, nella tradizione cristiana, realistico. Penso che nell’uomo ci siano più male di quel che dice Hobbes, più bene di quel che dice Locke, che non sono i miei maestri. Concordo pienamente con lei sul ruolo indispensabile della comunità nella fondazione dell’etica, anche se, da cristiano, penso che esista anche un rapporto personale e intimo tra la persona e Dio, dal quale tutto, comunità compresa, nasce.
Penso anche che lo Stato, quale coronamento della comunità e sua spina dorsale, sia indispensabile, e chiamato a svolgere la funzione di freno (nel linguaggio della tradizione cristiana, di kathecon) contro l’insorgere del disordine e del male. Resta però vero che lo Stato, come ogni espressione strutturata della potenza, è soggetto a disordinarsi, e a impiegare per il male la forza di cui dispone: esattamente come avviene per l’individuo singolo. Ecco perché ritengo anche che sia importante porre limiti e freni al potere dello Stato e della legge sugli individui. Questa mi pare una acquisizione perenne del liberalismo classico, come ad esempio formulata in Tocqueville.
Ritengo che il liberalismo sia manchevole o senz’altro errato e dannoso sotto due profili: uno, il liberismo economico, e l’altro, la preminenza assoluta che conferisce all’individuo sulla società, come ad esempio formulata da M. Thatcher nella sua celebre frase “La società non esiste, esistono gli individui”.
Il liberalismo pratico, cioè a dire il capitalismo nelle varie forme e configurazioni che ha assunto nel tempo, e in particolare l’odierna, tende a dissolvere le comunità naturali tutte; il che reputo un grande male. Le cose oggi stanno in modo tale, che una comunità politica nella quale vi sia un sentimento comune delle fondamentali realtà della vita e una comune visione di che cosa sia l’uomo non esiste, e non può esistere. Anche questo è un male: ma le cose stanno, purtroppo, così. E stando così le cose, non è realistico né prudente permettere agli Stati e in generale alle istanze politiche di imporre con la forza della legge verità ufficiali: neanche se ci fossero dettate dagli angeli. Garantire la libertà di pensiero e parole non garantisce affatto che questi pensieri e queste parole saranno pensieri e parole di verità. Garantisce però un minimo spazio in cui pensiero e parola non siano direttamente minacciati dalla forza. E’ poco? E’ poco. E’ però un poco assai prezioso. Non rinunciamoci come se fosse nulla.
“se lo stato si ritrae, non è che garantisce la libertà dei singoli individui, ma garantisce il potere di condizionamento dei potenti di turno.” (Cucinotta)
Appunto. Ma fa quasi lo stesso anche quando non si “ritrae”.
Perciò, per avere almeno la mente libera essendo le pratiche inceppate, mi chiedo: non sarebbe il caso di fare dei nuovi pensierini sullo Stato usando quei vecchi arnesi abbandonati sui quali si leggono a stento i nomi di Marx, Lenin, Gramsci, etc.?
@ Buffagni.
I pericoli da cui guardarsi vengono da molte direzioni: ma ogni cosa a suo tempo.
Non ho molto più da aggiungere alla discussione.
Caro Abate,
innazitutto ci tengo a precisare che condivido la gran parte dei suoi interventi (quelli che lei autodefinisce “in ritardo”), soprattutto quello in risposta a Buffagni.
Dissento invece, come probabilmente lei sa già, sul giudizio sul marxismo e sulla sua utilità nella presente situazione politica (ma non confondiamo tra marxismi e marxisti, con i quali ogni collaborazione è naturalmente benvenuta).
Ho sempre una certa ritrosia a parlare di marxismo perchè è mia convinzione che proprio questo parlare di marxismi vari non vada bene.
Ci sono dei punti fondamentali che mi hanno allontanato dal marxismo, ma che i marxisti a tutti i costi trovano sempre il modo di tentare di minimizzare, basandosi nelle loro argomentazioni proprio sulla pluralità delle interpretazioni del pensiero di Marx, come delle evoluzioni nalla prassi dei suoi insegnamenti. Tra le altre obiezioni al marxismo, v’è quindi anche questa duttilità che ne fa un oggetto inafferabile, modo eccellente per difendersi dalle critiche, ma anche fonte del pericolo di renderlo un oggetto misterioso e quindi fruibile nei modi più improbabili da chiunque ne abbia voglia.
Visto che però lei mi chiede se non sia il caso di usare gli strumenti del marxismo, io le rispondo che certamente v’è molto che può essere utilizzato, ma proprio in quanto ciò venga fatto prescindendo dal pensiero di Marx.
V’è in effetti una ragione in più che consiglia di smetterla di proporsi come marxisti, ed è che questa parola non ha più appeal soprattutto per le generazioni più giovani.
Insomma, se ho robuste ragioni teoriche per non aderire al pensiero di Marx, e contemporaneamente penso che si tratti ormai di una corrente di pensiero non spendibile nella pratica politica, perchè mai secondo lei dovrei servirmene se non nelle forme vaghe e saltuarie di fonte di esperienze di opposizione al pensiero dominante?
Caro Cucinotta,
io non mi “propongo come marxista” e noterà che volutamente non ho usato i termini ‘marxismo’ o ‘marxismi’. Proprio per tenermi (e tenere i miei possibili interlocutori su LPLC) a distanza dai sofismi, bizantinismi, scolasticismi che hanno prosperato per oltre un secolo su quei nomi e hanno sprecato intelligenze che potevano essere meglio impiegate.
Ritengo invece utile reinterrogare almeno alcune delle principali opere di Marx, Lenin, Gramsci (e vari altri) alla luce dei problemi che – diciamo per cautela – ci pare di dover affrontare. E uno di questi è proprio lo Stato, un oste con cui non si fanno mai i conti fino in fondo; e di cui, quando facciamo le nostre proposte più o meno innovative, ci sfugge la vera fisionomia.
Da qui il mio accenno malizioso ai sunnominati ( e fuori moda) che qualcosa di non generico sul tema avevano detto.
Tenga presente poi che sarò uno dei non molti che in Italia si sforza ancora di seguire con attenzione (e senza sposarle o farne una bandiera) tutte le revisioni in corso del pensiero di Marx. Da quelle di un Gianfranco La Grassa a quelle di Costanzo Preve a quelle di molti altri studiosi di diversa provenienza e orientamento, che, se una cosa hanno in comune, è proprio il rifiuto delle vecchie scolastiche marxisteggianti.
Leggere Marx, Lenin, Gramsci, ecc. semplicemente come “classici”?
Persino questa è una prospettiva più interessante che ignorarli.
C’è tanto da imparare anche da una lettura di questo tipo. Specie per chi non ha mai letto uno dei loro libri.
Non hanno più appeal?
Ma quando mai chi vuol farsi una cultura critica se la costruisce seguendo le mode?
E poi per chi questi pensatori non hanno più appeal? Per i pubblici televisivi, per il ceto politico arruffone e corrotto che ci governa, per gli americanizzati coi paraocchi.
Non sono più spendibili nella pratica politica?
Ma la “spesa” è quella che vogliamo fare noi o quella che ci suggeriscono o ci impongono di fare altri?
@Abate
Però, lei deve leggermi con attenzione.
Io non dico che seguo le mode, dico una cosa differente.
Prendiamo Costanzo Preve che lei cita esplicitamente e certo conosce molto più di me.
Ebbene, per quel poco che ho letto di Preve, a me non sono chiari i motivi per cui egli pretenda ancora di definirsi marxiano, a me sembrano più di natura sentimentale.
Ora, io potrei fare come Preve, visto che a parte i fondamenti filosofici (la cui importanza certo non voglio ignorare). mi riconosco abbastanza in molti aspetti del suo pensiero, e dichiaramri marxiano, ma preferisco non farlo, mostrare quella che considero una maggiore coerenza, e presentarmi come un ambientalista, con i propri antenati e maestri certamente, ma in un tentativo di mescolare in maniera inedita filoni di pensiero anche abbastanza differenti.
Lo faccio anche perchè la mia non vorrebbe essere un’attività puramente accademica, e qui torno a quello che già scrissi, se spero una spendibilità delle mie idee nella politica praticata, mi devo porre il problema anche dell’etichetta, solo di quella sia chiaro, non della sostanza.
@ Cucinotta
Per ‘marxiano’ penso che s’intenda ‘ studioso di Marx’ o che fa riferimento a un Marx non imbalsamato dalle scolastiche. Preve lo è e non vedo che ci sia di male a definirsi tale.
Lei preferisce di no e anche questo va bene. Se nel suo essere ambientalista anche le buone idee di quell’antenato si fanno sentire è tutto di guadagnato. Ma, in genere e per quel che ne so io, molto ambientalismo sulla questione dello Stato ignora o ha voltato le spalle a tutti i pensatori da me citati.
Caro Abate,
non credo che ci interessi la scelta di Preve di definirsi marxiano, che però non significa studioso di Marx ma seguace del pensiero di Marx (mentre il marxismo è legato all’interpretazione che ne diedero prima Engels e poi Lenin). Si tratta con tutta evidenza di una scelta del tutto rispettabile, che intende in realtà nel suo caso sposare il primo Marx, quello che aveva riformulato le teorie hegeliane (il Marx dei manoscritti storico-filosofici insomma). Come rispetto la scelta di preve, credo che si possa rispettare la scelta differente di altri.
Per quanto poi riguarda l’ambientalismo, siamo proprio agli albori nello sviluppo di un coerente pensiero ambientalista. Detto con tutta franchezza, ritengo che il livello di elaborazione teorica di queste teorie politiche sia assai modesto, e senza falsa modestia credo che il libro che ho scritto, seppure letto da poche persone, costituisca un valido tentativo di fornire all’ambientalismo un contesto teorico più complessivo che superi un certo dilettantismo che ancora mi pare dominare in questo settore politico.
Quindi, in prima approssimazione credo anch’io che il problema dello stato o se si vuole del potere sia stato molto sottovalutato dal pensiero ambientalista dominante. A differenza però dei marxismi, qui siamo ancora all’alba dell’elaborazione teorica, ed in qualche misura c’è una situazione esattamente opposta nei due casi, in uno, riguardante Marx, si rischia di condurre elaborazini teoriche che appaiono sempre più fini a sè stesse nella loro estrema sofisticazione e prese di distanza, mentre nell’ambientalismo ce ne vorrebbe di discussioni e di rielaborazioni, di riflessioni teoriche, ed invece tale dibattito stenta a decollare. La mia esperienza strettamente personale è che non ci sia il clima adatto, che si dia quasi tutto per scontato fino al punto da considerare lo stesso porre dubbi o il volere riorganizzare un certo discorso come tempo perso se non addirittura come un atto ostile alla causa ambientalista.
Ultimamente, ho maturato l’opinione che senza mettere in crisi l’ideologia liberale, questa inquini in maniera pericolosa ogni genere di pensiero politico. Avremo così il marxismo liberale, come si può considerare il marxismo post-68, ed ora perfino l’ambientalismo liberale, una vera iattura.
Forse, mettere in crisi il liberalismo risulta sul piano teorico la cosa più importante, quella che potrebbe cambiare veramente la politica.
Caro Cucinotta,
avevo accolto con simpatia gli inizi del “movimento dei verdi” in Italia (seconda metà degli anni ’80: Cernobyl, “Sole che ride”, Lista verde, etc.). Mi ero documentato sui libri di Laura Conti, Enzo Tiezzi, Barry Commoner, Marcello Cini; e seguito buona parte del dibattito sull’ecomarxismo. Ma, oltre alla delusione per i comportamenti pratico-politici dei vari leader, sono stato sempre più respinto dalla tendenza a staccare, anziché integrare, i risultati delle ricerche scientifiche da quelli delle ricerche storico-antropologiche (in particolare l’estrema conflittualità delle formazioni sociali e politiche in cui oggi viviamo). Col risultato che tra gli ecologismi abbondano – dico cautamente: mi pare – le tendenze mitizzanti, apocalittiche, neo-millenaristiche, che trovo quasi insopportabili.
P.s.
Come fa un ‘seguace del pensiero di Marx’ a non essere ‘studioso di Marx’?
Caro Abate,
i libri che lei cita non sono libri di politica, sono libri di ecologia, si tratta con tutta evidenza di cose del tutto differenti, e sarebbe vano chiedere a un libro che ha pretese scientifiche, di dare contributi significativi sul piano politico. Io stesso, che pure per motivi professionali ho competenze di ecologia, non mi arrischio a mescolare i due distinti aspetti di questi miei interessi.
Mi colpisce che lei dichiara di non sopportare le tesi catastrofiste, visto che non è che su simili argomenti ci si possa regolare sulla base di una specie di gusto personale. Le tesi catastrofiste possono ben essere frutto di fantasie prive di fondamento, oppure al contrario essere solidamente fondate, e questo è tutto ciò che dovrebbe contare per darne un giudizio razionale.
La natura fondamentalmente ottimistica del marxismo, sulla scia del resto della filosofia hegeliana, temo che renda non assimilabili marxismo ed ambientalismo tra loro. Al fondo, c’è sempre una differente antropologia che ritengo sia una disciplina trascurata e sottovalutata.
Infine, dubito che per essere seguace di Marx bisogna necessariamente esserne uno studioso, ma in ogni caso, io intendevo il contrario, che uno studioso di Marx non è necessariamente un suo seguace, in questo senso mi sembrava che la dichiarazione di essere marxiano sia molto più che la dichiarazione di essere interessati a studiare Marx, significa averne sposato le tesi di fondo.
@ Cucinotta
Penso sia buona cosa interrompere per ora questo nostro dialogo su temi non inerenti all’argomento del post e di riprenderlo al momento in cui LPLC dovesse proporre un post sull’ambientalismo o l’ecologismo. Un caro saluto.
Questo e’ il blog giusto per tutti coloro che vogliono capire qualcosa su questo argomento. Trovo quasi difficile discutere con te (cosa che io in realta’ vorrei… haha). Avete sicuramente dato nuova vita a un tema di cui si e’ parlato per anni. Grandi cose, semplicemente fantastico!