di Mario Benedetti

La strada

Anni che non dovrebbero più, ore che non dovrebbero
prendermi i giorni, le settimane, i mesi. Il tempo
portato addosso, il sosia a cui chiedo di aiutarmi.

Con la sedia di mio padre gioca la bambina che non conosco.
Adesso è sua. Gioca con quelli che diventeranno i suoi ricordi.

Tutto è una distanza sola. Le fermate sono da rimettere a posto.
Sollevare dei pesi, deporli. Lo sguardo s’iscurisce nella forma
di una porta marcita dove abita una signora anziana da sola.

Il sosia ascolta mia madre non morta, parla di mio fratello
o gli scrive. Pensa al protrarsi della vita che mi sopravvive.

.

L’eco

Le parole sono nelle storie che mi hai fatto vedere.
Quanto non è mai visto, e quanto non si dice oggi!
Va avanti fidandosi il corpo cieco e obbligato a stare.

La tua mano non cerca i funghi.
La tua mano si è chiusa gli occhi con i cerotti.
Lo vedi? Cosa si può fare?

(25 agosto 2010)

.

***

Il mio nome ha sbagliato a credere nella continuità
commossa, i suoi luoghi intimi antichi, la mia storia.
Le parole hanno fatto il loro corso.
Gli ospedali non hanno corsie. Dal cimitero dei cani
vicino alla discarica di Limbiate escono i morti al guinzaglio.
Non si addensa nulla, si disperde al telefono il mio petto.
Le parole hanno fatto il loro corso.
Sei  solo stanco, ripete, una voce qualunque.

.

***

Quante parole non ci sono più.
Il preciso mangiare non è la minestra.
Il mare non è l’acqua dello stare qui.
Un aiuto chiederlo è troppo.
Morire e non c’è nulla vivere e non c’è nulla, mi toglie le parole.
E non ci sono salti, mani che insieme si tengano
alla corda, sorrisi, carezze, baci. Una landa impronunciabile
è il letto nella casa di riposo dei morenti,
agitata, negli spasmi del sentire di vivere ancora.
In provincia di Udine, Codroipo, i malati ai due polmoni,
i pantaloni larghi, i visi con la pelle attaccata alle ossa,
i nasi a punta non sono la storia da raccontare, né i ricordi.
Arido sapere, arido sentire.
E io dico, accorgetevi, non abbiate solo vent’anni,
e una vita così come sempre da farmi solo del male.

(2 agosto 2011)

12 thoughts on “Poesie 2008-2011

  1. “Gioca con quelli che diventeranno i suoi ricordi.” : tutto il senso è già qui, in questo presente che diventa, precocemente, fluida memoria.

    Grazie per queste poesie che ribaltano il tempo e non lo lasciano scorrere invano.

  2. A volte i casi della vita sono proprio strani. Il 25 agosto di ormai 35 anni fa nasceva mia sorella. Che bel caso.
    Conosco le sue poesie grazie ad un Professore illuminato che ho avuto il piacere di seguire all’Università. Grazie. A tutti e due.

  3. Queste due poesie sono bellissime. Mi fanno venire in mente varie riflessioni: ne riporto alcune, in ordine un po’ sparso.

    Innanzitutto, mi sembra che “La strada” e “Eco” segnino una continuità con alcuni testi di “Umana gloria”. Ad esempio: “Lo sguardo s’iscurisce nella forma / di una porta marcita dove abita una signora anziana da sola.”; “Le parole sono nelle storie che mi hai fatto vedere.”, mi ricordano molto questi altri versi (tratti dalla raccolta del 2004): “ E io vorrei le parole per dire gli occhi” , “Questo guardare le mani | rigirandole | o lo sguardo per andare | tra le tante voci”.
    Lo sguardo, la vista, sembra essere di nuovo ciò che struttura l’intera poesia. Le parole servono a tradurre la forma, l’immagine delle cose; ma a questa si intreccia il ricordo, la memoria. I piani temporali sono sovrapposti, proprio perché filtrati dallo sguardo e dal suo tempo interiore, quello stesso che in “Pitture nere su carta” è definito “un tempo senza tempo”.

    “Morire e non c’è nulla vivere e non c’è nulla, mi toglie le parole”: la scrittura di Benedetti sembra di nuovo esplorare un limite, volendo descrivere la morte, la solitudine, una vita che “sopravvive”. E – purtroppo? – ci riesce benissimo.

  4. negazione, sbarramento clinico, vistosa impotenza: questa è la morte. e Mario Benedetti la comprime in tre versi quotidiani, così vicini, così familiari che fanno piangere.

    ‘bellissime’ non basta: insufficienza di un superlativo.

  5. Le tue poesie, Mario, negano la parola e la riconquistano. Gli occhi di chi ha vissuto molte vite si schiudono sopra la realtà e ne colgono un misto di ingenuità e di dolore. Ma le crepe che si vedono sono segni intelleggibili: la parola, semplice, si è appoggiata su di esse e ha trasformato l’esperienza di dolore in coraggio dello sguardo. Grazie.

  6. Sono molto belle. E ricordate insieme aiutano a capire molte cose. Una fra queste molte: “Quante parole non ci sono più./ Il preciso mangiare non è la minestra./ Il mare non è l’acqua dello stare qui./ Un aiuto chiederlo è troppo./ Morire e non c’è nulla vivere e non c’è nulla, mi toglie le parole./ E non ci sono salti, mani che insieme si tengano/ alla corda, sorrisi, carezze, baci.”. Sono molto belle, nella loro chiarezza e verità di stile.
    Un cordiale saluto

  7. E’ poesia cupa, spinosa e bellissima, dove prende vita qualcosa che non si può medicare.

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