cropped-harbor_20101.jpgdi Adelelmo Ruggieri

Alla fine scoprirai che tu sei di qualche parte. Come si dice in un’espressione francese ‘Tu es le fils de quelqu’un’. Non sei un vagabondo, sei di qualche parte, di qualche paese, di qualche luogo, di qualche paesaggio.

Grotowski

Quest’anno le mareggiate invernali hanno sfasciato la spiaggia circa a metà del suo tratto, fra il muro paraonde a nord e l’inizio tre chilometri dopo della sfilza di scogliere frangiflutti in fila indiana a sud. Ogni anno le mareggiate la sfasciano in un punto differente. Saremo un centinaio di persone. Una decina di famiglie si sono acquartierate sparse per il picnic. Sono le tre. Le vettovaglie non sono ancora finite. I bambini corrono felici. Disegnano archi di coniche e segmenti rettilinei che s’irradiano dagli ombrelloni segnaposto. Una luce grigio pastello molto chiaro perlacea fodera tutto allo stesso modo. Gli ombrelloni non occorrevano, ma stanno aperti con le loro fantasie e loro strisce a marcare l’intimità dei piccoli territori familiari. La temperatura è buona. Non c’è vento. I camminatori saremo una ventina. Alcuni sulla strada di breccia di là della quale cominciano i campi verdi. Altri a metà della spiaggia. Lungo la riva è difficile. È che lì ci sono i pescatori. La maggioranza con la canna da pesca alta e il filo teso che ci passi sotto. Ma inframmezzati a questi ci sono altri con la canna da pesca appoggiata bassa sopra un qualche sostegno di fortuna. Attento al filo! Mi hanno appena detto. Non c’è vento. Non riesco a capire come fanno a stare tanto in tensione i fili. Ci sono anche un ragazzo e una ragazza che camminano paralleli e distanti tra di loro tre metri. Lei tiene un secchiello da mare a tinta unita. Lui rovista tra i sassi con un attrezzo radente. Mi era capitato già di vedere questa scena, ma non mi ero chiesto cosa fosse. Ma oggi è il Primo maggio. I tempi sono quelli che sono e pare non ci sia modo di cambiarli in meglio, ma circola un’aria a suo modo lieta fra tutti noi che siamo qui. Mi fermo. Li aspetto. Chiedo al ragazzo che è quell’attrezzo. “È un metal detector. ”Cosa? Un metal detector? “Sì, che pensavi che era? Un aratro?” Hai trovato qualcosa? “Ferraccio. L’oro non c’è più.” La stagione è iniziata solo oggi, a settembre magari qualcosa di meglio delle ferraglie si trova. “No, solo ferraccio, tanto a maggio che a settembre. L’oro non c’è più.” Mentre mi parla capisco quanto fosse sprovveduta la mia domanda. Allora sorrido. Sorride anche lui. Li vedo allontanarsi al loro passo parallelo. Mi siedo.

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Mi siedo. Ho con me “Prove di libertà”, il nuovo libro di Stefano Dal Bianco. L’ho già letto una volta ma oggi mi sembrava una buona occasione per rileggerlo. Lavoro e libertà stanno insieme. Sto scorrendo l’indice: “Do. Dalla gabbia – Re. Lontano dagli occhi – Mi. Aforismi di lavoro – Avvocato del diavolo – Fa. Cinismi e cattiverie – Sol. Una vita già vista – La. Vedute sul paesaggio – Si. Libertà – Essere umani”. Lo guardo non poco sorpreso. Avevo dimenticato che nel libro ci fosse tanto in evidenza il “lavoro”. Oppure lo ricordavo ma solo inavvedutamente e per questo l’ho preso. Non lo so. Ho aperto il libro a pag. 93; la nota della sezione è il “Si”. È l’ultimo segno della scala maggiore – è la nota sensibile. La poesia si chiama “Età della vita”: “C’è un’età della vita/ in cui si rarefanno le amicizie/ e quelle poche/ o per l’assenza di un progetto vero/ o per il marcio dei costumi/ o per l’accettazione di un inganno si opacizzano.// Contemporaneamente come cani/ si fanno banali e sempre più innocenti/ le morti degli anziani:/ maestri parenti genitori ignari/ a diventare cibo per la luna./ Di tutta questa empia misurata libertà che ci deriva noi/ cosa faremo?// Un passo, da bravi, ancora solo un passo.” Vorrei avere con me un quaderno per prendere un po’ di appunti, ma ora, quando esco per fare due passi (due passi, da bravo, ancora due passi), non lo porto più. Un po’ mi dispiace. È che il quaderno metteva in risalto la realtà concreta dei fatti che mi stavano capitando e dunque allontanava da me l’errore dei sensi: allontanava l’illusione, il discorso oscuro, l’enigma. Tornavo barbaro con il quaderno, non avevo bisogno di illusioni per esprimermi. Restavo dilettante. Nel libro di Dal Bianco la nota sensibile del “Si” porta per epigrafe un pensiero da “Tu sei figlio di qualcuno” di Grotowski che dice: “Non è per il gusto di parlare che lavoro, ma per allargare l’isola di libertà che porto.” Allargare – è un verbo immensamente complesso; porta con sé i libri quando li allarghi sul tavolo e poi ti allargano la mente, porta il cuore e porta la mano, porta la riva quando prendi il largo, porta il cielo quando schiarisce, e porta la misura quando ne perdi il senso, e la musica quando rallenti il tempo. La terza nota del libro è il “Mi” – gli “Aforismi di lavoro”; è la nota modale, quella che distingue la tonalità maggiore dalla minore. L’ultima poesia della sezione si chiama “A tu per tu con io, contro la vita”: “E ora,/ che cosa pensi di poter pensare o fare ora/ che sai da molto tempo molto bene/ che cosa può portarti via la vita…// Darai ancora ascolto/ agli avvocati-ladri/ che per lei lavorano mentendo?// Sono così brillanti/ i falsi amici che ti porti a spasso,/ e tu hai solo povertà da opporre/ e buio e schifo e insipienza in te…// Sarà solo così, sarà così/ che li combatteremo?// Dandoci del tu, dandoci ascolto,/ cercandoci la mano, brancolando?// Associandoci contro le false associazioni?// Contro la vita che fa il suo mestiere,/ pigliatutto, veleno, faccendiere?”. Sono contento. Proverò a scrivere qualcosa di questa marina del primo maggio e di questo libro. Proverò a dire qualcosa di loro, e userò il presente quando lo farò, per portarlo in me come fossi ancora qui, di questo posto, in questo paesaggio, come non vi fosse un “in seguito”, un “in secondo tempo”. Qui nessuno sta facendo il suo mestiere “contro la vita”: qui nessuno ruba, qui nessuno avvelena nessuno, qui nessuno intriga, qui nessuno intrallazza. Diamoci la mano, diamoci ascolto, noi che adesso siamo qui, in questa marina del primo maggio.

[Immagine:Jessica Backhaus, Harbor (2010) (gm)].

4 thoughts on “Marina del Primo maggio e “Prove di libertà” di Stefano Dal Bianco

  1. “Prove di libertà” di Stefano Dal Bianco …

    Assolutamente devo inserirlo tra le mie letture, sono rimasta incuriosità da ciò che ha trasmesso a te ed io sono attratta dai testi che trasmettono qualcosa.

    Dicono che per imparare a scrivere sia necessario leggere molto, io amo scrivere quindi necessito sempre nuove letture.

    Mi ha colpito molto questo tuo pensiero:

    “Allargare – è un verbo immensamente complesso; porta con sé i libri quando li allarghi sul tavolo e poi ti allargano la mente, porta il cuore e porta la mano, porta la riva quando prendi il largo, porta il cielo quando schiarisce, e porta la misura quando ne perdi il senso, e la musica quando rallenti il tempo.”

    Io spero che questo verbo mi accompagni in tutti gli anni che ho davanti, spero mi porti esattamente dove voglio o magari stravolga tutto il percorso che sceglierò … Chi lo sà in fondo?

    Se ti potesse interessare leggere qualcosa scritto da me lascio il mio sito web, sperando non arrechi fastidio …

    Poesie Notturne: http://felixgdv.altervista.org

  2. Ciao Elisa, sono contento che leggerai “Prove di libertà”, è un libro molto bello.
    Del verbo allargare ne segnalavo alcune delle accezioni di senso per mettere in risalto quanto sia complesso, quanti aspetti contenga; ma poi, a un certo punto, questa almeno è la mia esperienza, ti accorgi come scrive Grotowski che tu sei di qualche parte, di qualche paese: che tu stai lì – sei lì. Grazie per il tuo commento e per la segnalazione del tuo sito. Ti giunga un cordiale saluto
    Adelelmo

  3. Caro Adelelmo, il tuo breve racconto mi ha toccato profondamente. Da qualche giorno mi capita di ripensarci, e così vorrei provare a comunicarti, molto sinteticamente, le mie impressioni.

    Innanzitutto trovo efficacissima l’immagine dei “cercatori d’oro”, che più che cercare metalli preziosi, sotto i sassi, sembra vogliano trovare un’epoca migliore in cui poter approdare tutti quanti, al di là di questi tempi che “sono quelli che sono e pare non ci sia modo di cambiarli in meglio” – forse è solo un’illusione – dice lui: “l’oro non c’è più” – ma poi continua a cercarlo insieme a lei “allontanandosi al loro passo parallelo”.

    Per i versi di Dal Bianco provo una viva corrispondenza. Credo centrino in maniera ancora più incisiva la dimensione etica di tutto il brano, è come se allo scoramento dei tempi si possa dare comunque una risposta, che può avere il suo fondamento solo in una reciproca solidarietà – parola che ha molto a che fare con la parola “carità”, e con un’altra parola altrettanto importante di cui tu mi hai parlato un giorno, la parola “clemenza” – “si dovrebbe guardare alle cose con clemenza”.

    Poi c’è il fatto del “quaderno”, della scrittura immediata della realtà come argine all’”errore dei sensi”, allontanamento dall’illusione, l’oscuro, l’enigma.
    Mi pone un sacco di interrogativi quella tua riflessione – “Tornavo barbaro con il quaderno”. È il verso migliore, più suggestivo, di questa poesia dai lunghi versi. Resterà chissà per quanto a mulinare nella mia testa. Chissà per quanto.

    Bene, caro Adelelmo, ti ringrazio di aver “provato”, come dici tu, a scrivere di loro. In quel “loro” c’è un “noi” di cui abbiamo tutti un gran bisogno.

    Un caro saluto

    Andrea

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