cropped-8843142700_eb00f0d37e_b3.jpgdi Clotilde Bertoni

[Questo articolo è già uscito su “Alias/Il Manifesto”]

Pare che Mussolini, incontrando Matilde Serao, che aveva aderito al manifesto degli intellettuali antifascisti di Croce e Amendola, provasse a blandirla chiedendole cosa le costava essere fascista almeno un po’. Se Serao morì poi nel 1927, troppo presto per prendere una posizione definitiva, si sa bene che a moltissimi altri scrittori essere un po’ e anche parecchio fascisti non costò per niente. E si sa pure che il loro assoggettamento era importante per il dittatore, già giornalista e (almeno nelle aspirazioni) uomo di cultura, tendente – osserva Sciascia nel Teatro della memoria – a governare l’Italia «come un redattore-capo»: attento dunque – oltre che a filtrare o snaturare le notizie – a imbrigliare le voci autorevoli, fagocitando la classe intellettuale esistente, formandone una nuova, e controllando tutti i canali di espressione, dalle accademie alla stampa, dal teatro alla produzione libraria.

Su quest’ultimo versante si concentra Mussolini censore. Storie di letteratura, dissenso e ipocrisia (Laterza, pp. XIV-231, E 18,00) di Guido Bonsaver (già autore di uno studio in inglese sullo stesso argomento, qui ripreso e ampliato). Una vasta inquadratura, che ripercorre tappe diverse della dittatura, celebri o dimenticate: dai sequestri di volumi ordinati attraverso le prefetture, alla creazione del Ministero della Stampa e della Propaganda (divenuto nel 1937 il famigerato Minculpop); dall’intervento di Mussolini, nel 1934, per bloccare l’uscita del romanzo di Maria Volpi Sambadù, amore negro (storia di amore interrazziale inaccettabile alle soglie della guerra d’Etiopia), alla sua disapprovazione, nello stesso anno, per La favola del figlio cambiato, opera lirica di Malipiero e Pirandello (sostenitore del regime ma ugualmente incline a una visione sconsacrante del potere); dalle delibere della Commissione di bonifica libraria – destinata a espungere dai cataloghi tutte le opere di autori ebrei e di contenuto antifascista – alle ripercussioni delle leggi antisemite (che costringono all’esilio la Margherita Sarfatti già regista della politica culturale del fascismo, e inducono al suicidio un editore di gran talento, Angelo Fortunato Formiggini).

Oltre a richiamarsi a studi precedenti (specie quelli di Philip Cannistraro e Giorgio Fabre), il libro fa leva su approfondite ricerche d’archivio; e se ogni tanto eccede in sintesi, e incorre in una svista (è impossibile che le modifiche al radiodramma Come tu mi vuoi, tratto nel 1941 dall’omonima pièce pirandelliana, siano state chieste a Pirandello stesso, scomparso nel 1936), riesce a illuminare efficacemente sia la lunga durata della censura, sia la quantità di mediazioni, incertezze, cambi di rotta che ne agitano il corso.

Innanzitutto, l’asservimento della cultura è tutt’altro che omogeneo, segnato da compromessi, oscillazioni, metamorfosi: il passaggio dell’inizialmente schieratissimo Brancati (che consulta Mussolini sul finale del dramma encomiastico Piave) a tematiche più originali e posizioni più defilate; l’atteggiamento provocatorio e antiborghese, non gradito al fascismo più ortodosso, di scrittori cresciuti all’ombra del regime, che vanno poi in direzioni ben diverse, come Berto Ricci, Bilenchi e Vittorini; l’indipendenza un po’ malferma di Moravia, sospettato di antifascismo, ma capace, per proseguire la collaborazione con “La Gazzetta del popolo”, di indirizzare a Mussolini due proteste di devozione; le acrobazie dei grandi editori, che portano avanti una produzione di alto livello mediante infinite concessioni e trattative (i mutamenti alla leggendaria antologia Americana accettati da Bompiani, le insistenze di Mondadori per pubblicare Remarque e Steinbeck, la sua spontanea rinunzia a dare alle stampe Les Thibault di Martin du Gard), e persino sbalorditive genuflessioni (la lettera in cui Bompiani ringrazia per l’«ambitissimo dono» di una foto con dedica del duce).

D’altra parte, la stessa intolleranza del governo può occasionalmente allentarsi o contraddirsi. A volte si tratta di intoppi pratici o direttive contrastanti: la circolazione dei romanzi di Moravia è a più riprese arrestata, nuovamente permessa, nuovamente impedita; Conversazione in Sicilia di Vittorini è al principio, malgrado il suo potenziale eversivo, elogiato anche dalla stampa di più marcato orientamento fascista, ma poi, nel 1942, stroncato da un feroce pezzo anonimo comparso sul “Popolo d’Italia”, secondo Bonsaver probabilmente opera di un collaboratore assiduo del giornale, il fascistissimo classicista Goffredo Coppola (al centro di un altro rilevante libro sui rapporti tra cultura e regime, Il papiro di Dongo di Luciano Canfora).

A volte poi, la dittatura entra in attrito con un potere censorio subalterno ma non privo di peso, quello della Chiesa, che Mussolini, per ribadire la propria supremazia, non manca di osteggiare ancora dopo i Patti Lateranensi. Intanto, il duce conserva una certa indulgenza per la narrativa di argomento erotico e anticlericale (in cui si era a suo tempo cimentato, con L’amante del cardinale), ad esempio per i romanzi di Pitigrilli e Guido da Verona, peraltro pervasi di una tale verve irriverente (per inciso, degna di riscoperta) da infastidire i fascisti stessi; e inoltre, asseconda testi più direttamente lesivi dell’autorità vaticana, come il dramma storico di Sem Benelli Caterina Sforza, di cui nel 1934 consente la rappresentazione, nonostante le pressioni della Santa Sede. Un episodio, quest’ultimo, in cui spicca soprattutto la reazione dell’“Osservatore romano”, che attacca Benelli anche per le sue presunte origini ebraiche, e alla smentita di questi replica con l’agghiacciante stoccata «Non giudeo. Ma Giuda»: un esempio di quel pervicace antisemitismo di matrice cattolica, solida piattaforma per l’antisemitismo imposto di lì a poco dalle leggi razziali, vergogna dolorosa della nostra storia, che a tutt’oggi ci si ostina a rimuovere.

Se il generale panorama di oppressione e conformismo è dunque punteggiato da frizioni e tentennamenti vari, sono invece rari, e per questo più toccanti, gli atteggiamenti che lo infrangono davvero. Atteggiamenti di tipo differente, come mostrano gli esempi menzionati dal libro: la protesta ardente e presto stritolata, di Gobetti; il dissenso sommesso e impavido del drammaturgo Roberto Bracco, altro firmatario del manifesto crociano, che ha sempre più difficoltà a portare in scena le sue opere, si ritrova isolato e povero, ma rifiuta (peraltro con toni garbatissimi) la sovvenzione che il governo, dietro intercessione dell’attrice Emma Gramatica, si decide a elargirgli; e la costante opposizione appunto di Croce, che tra l’altro, come Bonsaver ricorda, appoggia risolutamente Laterza contro la censura sugli autori ebrei.

Un’opposizione, quella di Croce, poi tanto discussa, perché non abbastanza tempestiva, non abbastanza eroica, non abbastanza lucida sulla natura del fascismo; ma di fatto capace di resistere fermamente a un ostracismo duro quasi quanto la censura diretta, cioè a uno stato che, in una lettera a Vossler del 1936, il filosofo definisce «quasi di reclusione o di esclusione» (aggiungendo: «In Italia il mio libro sulla Poesia ha avuto solo un articolo, nel quale si dichiara che il libro non val nulla e potevo far di meno di scriverlo»). Chissà se alcuni degli intellettuali di oggi – quelli che non esitano a pubblicare con case editrici che disprezzano, a scrivere su giornali asserviti e a gareggiare per premi screditati – sarebbero in grado di fare altrettanto.

[Immagine: Palazzo della civiltà italiana, Roma].

54 thoughts on “La sottomissione dei chierici

  1. Grazie Tilli, bella recensione. Con un meritato epilogo nel nome di don Benedetto.

  2. “Il papiro di Dongo” (Adelphi, Milano, 2005), opportunamente richiamato nella recensione di Clotilde Bertoni, è un racconto appassionante che si snoda entro il ceto intellettuale che popola il mondo dell’università italiana tra fascismo e dopoguerra, e i suoi protagonisti incarnano tre differenti modi di essere fascisti: il conformismo cinico, il cosiddetto ‘fascismo di sinistra’, razzista e pseudorivoluzionario, e il ‘lungo viaggio attraverso il fascismo’ di chi nacque o prese coscienza sotto il regime e giunse a maturare la scelta antifascista passando attraverso il dubbio e infine la rottura.
    Il protagonista della storia narrata da Canfora è il grecista Goffredo Coppola (1898-1945), il quale, insegnando e operando nell’Università di Bologna, ‘la più fascista delle università fasciste’, fu, a partire dal 1938, anno in cui venne varata la legislazione razziale e proclamato il carattere originario e fondante del razzismo per il fascismo, tra i più coerenti interpreti di questo orientamento radicale e radicalmente simbiotico col nazismo tedesco.
    La deuteragonista, della cui memoria il libro di Canfora costituisce un postumo risarcimento, è una donna, Medea Norsa (1877-1952), grande studiosa ebrea, posta ai margini del mondo universitario italiano, prima, dal razzismo elevato a legge dello Stato e, successivamente, dai meccanismi del potere accademico che tornarono a funzionare, pressoché intatti dopo la bufera della guerra civile, nell’Italia post-fascista. Al centro di questo singolare connubio tra filologia, fascismo e razzismo vi è un papiro greco di inestimabile valore, cui dànno la caccia, sin dal momento della sua scoperta ad opera di Evaristo Breccia, responsabile degli scavi italiani e, insieme, funzionario egiziano, archeologi e agenti segreti inglesi, francesi e tedeschi. Il terzo personaggio della storia narrata nel “Papiro di Dongo” è, invece, un esponente dell’ultima generazione di giovani, quella degli anni Trenta, che si formò nei Guf: Alberto Graziani (1916-1943). Studente a Bologna, allievo di Coppola, riceverà dal maestro il compito, entusiasmante per un giovane filologo, di lavorare all’edizione di questo straordinario frammento storico greco su papiro, che era passato dalle mani di Breccia a quelle di Norsa, da quelle di Norsa a quelle di Girolamo Vitelli (1849-1935), grande maestro della scuola italiana di filologia classica, e da quest’ultimo a Coppola. Il papiro e le rocambolesche vicende connesse alla sua scoperta, ai suoi plurimi passaggi da un possessore all’altro, alla sua perdita e al suo finale ritrovamento sono il prisma attraverso cui Canfora legge e decifra il nesso dialettico di discontinuità/continuità tra fascismo e postfascismo, laddove la prevalenza del secondo aspetto nella ricostituzione della struttura burocratica, ministeriale e accademica del potere universitario spiega il ritorno e l’ulteriore successo degli esponenti del primo modo di essere fascisti: i ‘sugheri inaffondabili’ del conformismo cinico (fascista, antifascista, liberale, democratico o ‘comunista’ che sia).

  3. Troppo beneducato, Canfora: a galleggiare non sono solo i sugheri, ma anche e soprattutto gli s***.

  4. Un aggiornamento teppistico: e come va il sadomaso, tra i chierici e l’UE?
    Ieri il governo ha chiuso la radiotelevisione pubblica greca.
    Ai chierici europei dovrebbero fischiare le orecchie, e magari, se amano la sottomissione, andare su di giri le ghiandole endocrine.
    Da Atene qualcuno – il mite antropologo di sinistra Panagiotis Grigoriou – ci racconta che:

    “[..] Il y a certains événements dont la portée peut aussitôt s’avérer incalculable. Dans ce sens, nous serions déjà sortis de l’économisme et peut-être bien de sa mécanique hors-pair au service d’une dictature implacable. Tel est d’ailleurs le sujet du jour depuis avant-hier, “finalement notre régime est bien plus dangereux qu’une dictature, car nos tyrans portent toujours cette robe déchirée de la Démocratie”, disait une jeune femme dans un café athénien situé près d’une clinique et s’adressant au gérant de l’établissement. [..]”

    “[…] tout le monde a remarqué ici et avec la plus grande satisfaction d’après ce que j’ai pu entendre à Agia Paraskevi [una piazza centrale di Atene, vicina alla sede della TV greca] en tout cas, que l’étendard de l’Union Européenne a été descendu du bâtiment d’ERT et brûlé par les manifestants dans la nuit du 11 juin. “Ce n’est déjà qu’une illusion de notre souveraineté retrouvée, mais ce n’est qu’un début. Nous ne tromperons plus de cible désormais, l’U.E. assassine les peuples, basta”, me disait Argyris un syndicaliste PAME, proche du PC grec le KKE.[…]”

    http://www.greekcrisis.fr/2013/06/Fr0248.html#pubTop

    Informo chi si trovasse ad Atene che il concerto del 14 giugno prossimo presso il teatro di Erode Attico, programmato nell’ambito del Festival di Atene, è stato annullato. L’orchestra della radiotelevisione pubblica greca avrebbe dovuto eseguire il “Requiem” (nomen omen) di Verdi ma è stata licenziata in tronco.
    Le trasmissioni della ERT continuano in streaming qui: http://www3.ebu.ch/cms/fr/sites/ebu/contents/news/2013/06/monitor-ert-online.html
    a cura del personale della TV pubblica greca, che ne occupa i locali.

  5. E oggi non c’è una cappa di oppressione e conformismo sul mondo culturale? Quanti sono gli intellettuali che hanno il coraggio di parlare di questioni razziali, di lobby ebraica, di complotti massonici? O più semplicemente quanti sono gli intellettuali che denunciano la dittatura nemmeno troppo mascherata di UE, ONU, NATO ed altre istituzioni internazionali?

  6. @Apocalisse 23

    sono abbastanza, in genere paranoici di estrema destra come Roberto Fiore, capo di Forza Nuova.

  7. a LM

    Se si legge Eric Werner, un sociologo svizzero liberale e cristiano, vede che ci sono tante ragioni non disprezzabili per diffidare degli organismi mondialisti, che con la paranoia e l’estrema destra non c’entrano niente. Se poi gli svizzeri le stanno antipatici, provi con i russi, per esempio Solgenitsin; se Solgenitsin è troppo cristiano e profetico per i suoi gusti, c’è A. Zinoviev, autore di “Cime abissali”, che cristiano non è, e per giunta è uno dei massimi logici del mondo, quel mondo dove ci sono più cose, eccetera…

  8. E ancora con questa storia dell’antisemitismo cattolico che anticipa e prepara e legittima quello nazifascista… Non se ne può più. Basta. Pio XI: “Attraverso il Cristo e nel Cristo, noi siamo la discendenza spirituale di Abramo. L’antisemitismo è inammissibile. Spiritualmente, siamo tutti semiti” (udienza del 6 settembre 1938, “La Documentation Catholique”, XXXIX, 1938). Pio XII: “Non vi meraviglierete, Venerabili Fratelli e diletti Figli, se l’animo Nostro risponde con sollecitudine particolarmente premurosa e commossa alle preghiere di coloro, che a Noi si rivolgono con occhio di implorazione ansiosa, travagliati come sono, per ragione della loro nazionalità o della loro stirpe, da maggiori sciagure e da più acuti e gravi dolori, e destinati talora, anche senza propria colpa, a costrizioni sterminatrici” (Discorso del 2 giugno 1943, http://www.vatican.va/holy_father/pius_xii/speeches/1943/documents/hf_p-xii_spe_19430602_onomastico-pontefice_it.html).

  9. “The voice of Pius XII is a lonely voice in the silence and darkness enveloping Europe this Christmas. (…) In calling for a ‘real new order’ based on ‘liberty, justice and love’, to be attained only by a ‘return to social and international principles capable of creating a barrier against the abuse of liberty and the abuse of power’, the Pope put himself squarely against Hitlerism” (“New York Times, 25 dicembre 1941).

  10. Caro Clericale, suvvia. Se lei non ne può più della storia dell’antisemitismo cattolico, padronissimo, fatti suoi, ma non potrà per questo cancellarla: è vergognosamente reale, ampiamente documentata (provi un po’ a rileggersi, tanto per dirne una, certi agghiaccianti articoli usciti sull’Osservatore romano e sulla Civiltà cattolica tra secondo Ottocento e primo Novecento), studiata e denunciata (sebbene non ancora abbastanza); a compensarla non basta certo la tardiva e parziale presa di coscienza di Pio XI; ancora meno bastano le vaghe, generiche parole di Pio XII, pronunciate ad anni di distanza dalle leggi razziali, e pochi mesi prima del rastrellamento del ghetto romano avvenuto sotto i suoi occhi, di fronte al quale lui avrebbe espresso solo una altrettanto vaga e generica perplessità (ci furono invece certo molti singoli religiosi, tra cui il futuro Giovanni XXIII, che si mossero in soccorso degli ebrei; ma è un altro discorso). Va bene che siamo in tempi di revisionismo selvaggio, va bene che è prerogativa dell’ipocrisia (specie di quella clericale, in effetti) negare l’evidenza; ma abbia pietà di noi.

  11. Da docente universitaria, lei conosce meglio di me la distinzione fra antisemitismo (razziale) e antigiudaismo (teologico, culturale, politico). Al 14 marzo 1937 risale la “Mit brennender sorge” (stranamente poco citata dagli storici), che condanna le “rivelazioni arbitrarie che alcuni banditori moderni vorrebbero far derivare dal così detto mito del sangue e della razza”. Quanto alla “Civiltà Cattolica”, lei saprà meglio di me che essa nel 1938 condannava le ideologie che ponevano «la stirpe o la razza germanica al di sopra di tutte le altre, come la più perfetta, laddove tutte le altre stirpi del genere umano sarebbero ad essa inferiori, comprese le mediterranee, e più o meno spregevoli, tutte da posporsi o asservirsi alla ‘grande Germania’, ovvero anche da sterminarsi, come l’ebraica». Lei cita proprio “La Civiltà Cattolica”: l’unica rivista italiana, ironia della sorte, che (a parte forse certa stampa clandestina) si oppose alle leggi razziali. L’indifferenza di Pio XII di fronte al dramma delle deportazioni fu così assoluta e totale che, quando iniziò la tiritera denigratoria, il rabbino capo di Roma, Elio Toaff, dichiarò (“Osservatore Romano”, 28 giugno 1964): «La Comunità israelitica di Roma, dove è sempre vivissimo il senso di gratitudine per quello che la Santa Sede ha fatto in favore degli ebrei romani, ci ha autorizzati a riferire in maniera più esplicita la convinzione che quanto è stato operato dal clero, dagli istituti religiosi e dalle associazioni cattoliche per proteggere i perseguitati non può essere avvenuto che con la espressa approvazione di Pio XII». Come era emerso al Processo Eichmann, infatti, “the pope himself interceded for the jews of Rome” (“The Trial of Adolf Eichmann”, Jerusalem 1961, I, p. 83). Imponente la documentazione raccolta da David G. Dalin, “La leggenda nera del papa di Hitler”, Casale Monferrato 2007. Non credo di essere io a negare l’evidenza. Un po’ di sano revisionismo non guasterebbe negli ambienti accademici.

  12. Caro Clericale, mi scusi ma siamo sempre lì: certo, lei, io e tutti quanti conosciamo la distinzione tra antigiudaismo e antisemitismo, ma non per questo possiamo ignorare che il primo è stato piattaforma, sostegno del secondo, e in tante diverse congiunture (l’affaire Dreyfus si svolse tutto all’insegna di una perfetta combinazione di fanatismo religioso e fanatismo razziale): al di là dei ricami retorici intessuti al riguardo dalla Chiesa nella fase estrema dei totalitarismi, come appunto quelli comparsi nel 1938 sulla “Civiltà cattolica”. Allo stesso modo, lei, io e tutti quanti sappiamo che ancora nel 1938 la rivista continuò a pubblicare articoli di ispirazione antigiudaica (tra l’altro ricordando che il popolo ebraico aveva ampiamente meritato le persecuzioni subite), che provò a distinguere il razzismo italiano da quello tedesco (beninteso per giustificarlo), che alle leggi razziali non si oppose comunque mai in modo chiaro e netto (come hanno riconosciuto persino altri clericali, appellandosi alla censura).
    Quanto ai suoi riferimenti al mio mestiere, mi è già successo di vedermelo rinfacciato nel corso di polemiche precedenti, come è successo a parecchi di noi; e la cosa mi stupisce sempre. Perché discutere su torti e misfatti della nostra università va benissimo, possiamo senz’altro farlo in uno spazio apposito; ma non ha senso alcuno invocare i pregiudizi in merito per deviare il discorso, per oscurare problemi oggettivi. Qui il punto non è chi è lei (tanto più che non lo sappiamo nemmeno) e chi sono io: il punto sono le colpe effettive e provate della Chiesa, su cui né lei né io possiamo fare niente.

  13. Il peccato può essere:
    in pensieri;
    parole;
    opere ed omissioni…

    Diciamo che sulle leggi razziali e i rastrellamenti romani la chiesa cattolica ha mancato di adempiere ai propri obblighi morali di condannarli.
    …Omissione(?)… bha ?!?!?.

  14. Per Apocalisse23: citare Faurisson in un sito come questo è come urlare forza Roma al bar dei laziali. Ad ogni modo, indubbiamente il Rapporto Gerstein non fu considerato attendibile dagli ambienti Vaticani. Come non lo considera attendibile, se non con grandi riserve, la storiografia odierna (“Sources for the study of the gas chambers are at once rare and unreliable”: Arno Mayer, “Why Did the Heavens Not Darken? The Final Solution in History”, New York, Pantheon, 1988, pp. 362 sgg). Né gli Alleati: “There is insufficient evidence to justify the statement regarding execution in gas chambers» (Foreign Relations of the United States / Diplomatic Papers 1943, US Government Printing Office, Washington, 1963, vol. I, pp. 416-417). I quali pur disponevano delle foto aeree di Auschwitz, dunque potevano vedere ciò che accadeva o non accadeva, ciò che c’era o non c’era. E avevano i mezzi per intervenire. Misteri.

  15. Quanto poi all’Affaire Dreyfus, in effetti l’antisemitismo della Chiesa, in quella circostanza, fu davvero ferocissimo. Così feroce che Leone XIII accostò Dreyfus, in quanto vittima innocente, nientemeno che a Cristo: “Heureuse la victime que Dieu reconnaît assez juste pour assimiler sa cause à son propre fils crucifié” (“Le Figaro”, 15 marzo 1899).

  16. Vedo che l’esimia professoressa censura o fa censurare selettivamente le obiezioni a cui non sa cosa ribattere. Bell’esempio di democrazia e di senso critico.

  17. Non so in quanti, effettivamente, siano familiari con la distinzione tra antigiudaismo e antisemitismo, il fatto comunque di conoscere questa differenza non mette al riparo evidentemente da giudizi sconsiderati e storicamente infondati quale quello secondo cui la prima sarebbe stata piattaforma della seconda. L’affaire Dreyfus si svolse all’interno di contesti storici e sociali complessi che certo non possono essere ridotti al semplicistico quanto mistificante modello del “antigiudaismo ergo antisemitismo”.
    Di fatto l’antigiudaismo è una posizione teologica, mentre l’antisemitismo è una tesi biologica; ancora, il primo ha una storia, discutibile quanto si vuole, nondimeno esistente e bimillenaria, il secondo ha origini moderne, darwiniane, se proprio vogliamo esser precisi, del tutto estranee alla tradizione cattolica. L’autrice potrà pur rubricare i testi de “la Civiltà Cattolica” quali ricami teorici, rimane il fatto che l’unica istituzione ad aiutare concretamente gli ebrei durante il regime fascista e l’occupazione nazi-fascista fu la Chiesa, e il dato è riconosciuto dagli ebrei stessi. Non sto a ricordare che il rabbino capo di Roma del tempo, Rav Israel Anton Zoller, mutò il proprio nome in Eugenio Pio Zolli in riconoscimento al ruolo di Papa Pacelli nella salvezza di svariate migliaia di ebrei sotto l’occupazione nazifascista. Dire pertanto che la Chiesa non si sarebbe mai opposta alle leggi razziali è semplicemente falso, anche se è stato riconosciuto da generici, quanto malinformati, “altri clericali”.
    Le colpe della Chiesa sono oggetto di dibattito (opportune et importune) dal giorno uno della Sua esistenza, quella di non aver contrastato il genocidio ebraico nell’ultimo conflitto mondiale non è semplicemente tra queste.

  18. Chiedo pubblicamente scusa. Credevo che un mio commento fosse stato occultato (cosa che accade spesso nei siti, soprattutto per motivi ideologici), invece con tutta probabilità non è arrivato per un disguido del mio browser. Insomma non c’è stata nessuna censura.

  19. L’antigiudaismo su basi teologiche, o meglio antiteologiche, si trovava, radicale, in Voltaire. Molti se ne dimenticano.
    Circa il ruolo della Chiesa nella difesa degli Ebrei, non c’è forse voce più autorevole di quella di Einstein: “Only the Church stood squarely across the path of Hitler’s campaign for suppressing truth. I never had any special interest in the Church before, but now I feel a great affection and admiration because the Church alone has had the courage and persistence to stand for intellectual truth and moral freedom. I am forced thus to confess that what I once despised I now praise unreservedly. Only the Catholic Church protested against the Hitlerian onslaught on liberty. Up till then I had not been interested in the Church, but today I feel a great admiration for the Church, which alone has had the courage to struggle for spiritual truth and moral liberty” (“Time Magazine”, 23 Dicembre 1940).
    Il riferimento era evidentemente alla “Mit brennender sorge”. Basterebbero le parole di Einstein, se solo gli storici non fingessero di ignorarle, a sovvertire certi giudizi, o almeno a metterli in discussione.

  20. Per Clericale: eccoci qui, nessuno voleva censurarla, semplicemente stavamo facendo altro; capita di avere una vita, pure a noi di LPLC.
    L’intervista che lei cita dovrebbe essere reperibile on line, come tutti i numeri del Figaro: i nostri lettori potranno quindi facilmente verificare che con quelle parole Leone XIII non paragona affatto Dreyfus a Cristo, ma conclude genericamente una risposta in cui rifiuta di prendere posizione sul caso, a suo avviso deprecabile per il chiasso che ha sollevato, vicenda politica in cui la Chiesa non si farà trascinare.
    Sono consultabili pure, sebbene probabilmente non ancora on line, gli articoli dell’Osservatore romano e della Civiltà cattolica che inveiscono contro lo sporco giudeo. E le memorie in cui Mathieu Dreyfus racconta che all’epoca in cui erano solo i familiari e pochissimi altri a condurre una disperata campagna innocentista, sua cognata indirizzò una supplica a Leone XIII, che non le rispose mai.
    Quanto all'”esimia professoressa”, pensavo di averle già risposto: è vero, insegno all’università; compatisca; come diceva quello, nessuno è perfetto. Se vuole continuare a denigrare l’accademia e a offendere me nessun problema, ma questo non le sarà d’aiuto per offendere la storia.

    Per Giampaolo: mi dispiace, non posso che ripetermi; l’antigiudaismo e l’antisemitismo hanno certo storie diverse, ma il primo è stato a lungo supporto del secondo, è un dato oggettivo. Ai tempi del nazifascismo ci furono poi sì, come per la verità credevo di aver appena ricordato anch’io, molti religiosi che si mossero in aiuto degli ebrei; e Papa Pacelli li lasciò fare, anche se non è mai stato chiarito esattamente in che misura; ma è semplicemente (e tristemente) vero che alle leggi razziali non si oppose mai. Liquidi pure i miei giudizi come crede, ma non può liquidare i fatti.
    Se invece il punto è che si tratta di storie ampie, complesse, meritevoli di ben altro approfondimento (difatti già oggetto di una discreta bibliografia) sono d’accordissimo: i miei commenti, necessariamente veloci come è normale in un blog, non possono certo esaurirle; e, abbia pazienza, nemmeno il commento suo.

  21. Leggo le scuse di Clericale dopo aver già inserito il mio ultimo commento, quindi adesso mi scuso io… purtroppo a volte i disguidi tecnici complicano ulteriormente le discussioni.

  22. Non si fidi troppo di wikipedia… E anch’io non posso che ripetermi: Mit brennender sorge (con la chiara condanna dell’ideologia della razza) e verbali del processo Eichmann (“The Italian clergy rescued Jews and hid them in monasteries. The Pope himself intervened on behalf of the arrested Roman Jews”).

  23. Caro Clericale, desolata, ma non riesco proprio a capire che c’entra wikipedia: se non ha voglia di leggere altro materiale su questi argomenti e nemmeno il testo integrale dell’intervista a Leone XIII che è stato lei a tirare in ballo, va benissimo; ma se seguita a intervenire, almeno alle mie repliche un’occhiata dovrebbe darla. Se poi vuol continuare a combattere dati oggettivi e documentati con le stesse citazioni, se è questione di aver l’ultima parola, prosegua pure, non risponderò più.

  24. Mi sembra opportuno ricordare che cosa ne pensava Eric Voegelin, che ne parla diffusamente in “Hitler and the Germans” (sia per quanto attiene il comportamento della la Chiesa protestante, che per quello della Chiesa cattolica).
    Liofilizzato, il pensiero di Voegelin è questo: la Chiesa cattolica “discese nell’abisso” perchè si comportò come una istituzione politica, e non religiosa.
    Vale a dire che si occupò, nell’ordine, della salvaguardia: 1) del suo personale dirigente 2) dei suoi quadri 3) dei suoi membri registrati (cattolici battezzati, anzitutto i praticanti, poi gli altri) 4) dei familiari non cattolici di cattolici 5) degli altri, ebrei compresi.
    Questo comportamento è incompatibile con la natura della Chiesa, come definita da San Tommaso nella “Summa Theologica”, “Utrum Christus sit caput omnium hominum” [https://www2.hf.uio.no/polyglotta/index.php?page=record&vid=219&level=2&cid=325442], dove si dice con chiarezza che il corpo mistico della Chiesa è composto da tutta l’umanità, e non solo dai cristiani. “The Church is NOT a club of interest”. sottolinea Voegelin.
    La disumanizzazione di un popolo o di un gruppo di uomini, cristiani o non cristiani che siano, esige che la Chiesa cattolica vi si opponga, con il pensiero e con l’azione, in tutti i modi possibili e opportuni. Questo non fu fatto, o non fu fatto a sufficienza (su quel che si sarebbe dovuto e potuto fare, il dibattito è infinito, e qui non tocco la questione).
    Poi (ma questo lo aggiungo io) se si considera il comportamento della Chiesa cattolica mettendola sullo stesso piano delle istituzioni politiche o degli Stati – per esempio gli Stati Alleati contro il nazismo e il fascismo – la Chiesa ha fatto di più e di meglio, e sono giusti ed esatti i rilievi in merito all’azione di Papa Pacelli in favore degli ebrei.
    Resta però che il paragone è improprio, appunto perchè la Chiesa non, ripeto non è istituzione puramente politica.
    E’ poi anche esatto che spesso le accuse di antisemitismo, di inerzia o addirittura di complicità nello sterminio nazista rivolte alla Chiesa sono chiaramente strumentali.

  25. Un errore non cessa di essere tale, solo perché ripetuto. L’antisemitismo ha una storia secolare e moderna, mentre l’antigiudaismo ha un corso bimillenario, solo questo semplice rilievo di ordine cronologico dovrebbe avvertire che legare il primo al secondo è un’ingenuità, non si spiega infatti come per almeno 1600 anni non sia esistito il rapporto di dipendenza e supporto da lei pervicacemente affermato. Si può dire di più, nonostante i secoli di antigiudaismo teorizzato e praticato dalla Chiesa le comunità ebraiche più fiorenti furono sempre quelle sorte all’ombra della protezione ecclesiastica, Roma è l’esempio più famoso, ma se ne potrebbero citare molti altri.
    Il punto comunque non è quello di riconoscere che vi furono molti religiosi che si mossero in aiuto degli ebrei, quanto quello di capire che le dimensioni e la qualità di quegli aiuti furono l’effetto diretto di un coordinamento della Santa Sede molto specifico. Non dunque una sorta di casualità in ordine sparso semplicemente non ostacolata dal Papa, al contrario, come riconoscono oggi tutti gli storici che se ne sono occupati, quegli aiuti furono l’esito delle esplicite direttive papali.
    Si può cavillare quanto si vuole sui presunti silenzi di Pio XII, e su un silenzio si possono solo congetturare speculazioni, ma appunto non si possono liquidare i fatti, e i fatti sono le centinaia di conventi e istituzioni religiose che accolsero e nascosero gli ebrei al costo della propria esistenza, il Vaticano tutto ne brulicava, Castel S. Angelo compreso. Solo in Roma in 155 case religiose si diede rifugio a 5.000 ebrei, mentre in Europa l’80% circa della popolazione ebraica perì in quegli anni, la stessa percentuale in Italia riflette il numero dei sopravvissuti, mantenendo Roma il primato della comunità ebraica più numerosa d’Europa. Questo riguardo ai fatti.
    Rispetto poi ai presunti silenzi un’enciclica, la mit brennender Sorge (1937), che è oggi riconosciuta come la più violenta enciclica mai scritta contro un regime politico, ebbe forse una qualche efficacia nel contrastare la barbarie incipiente? No. Nel ’42 i vescovi cattolici olandesi denunciarono con durezza la persecuzione dei loro connazionali ebrei, la risposta fu l’incrudelirsi delle deportazioni di ebrei e cristiani.
    E’ molto moderno e politically correct l’uso dei grandi proclami, seguiti da nessun provvedimento, che celebrano chi li fa a discapito di chi dovrebbe esserne beneficiario. La Chiesa, per fortuna aggiungo, non era un’istituzione moderna e ha preferito la concretezza dei fatti alla propaganda dei discorsi.
    Nessuno, certamente non io, ha la pretesa di esaurire in un commento una storia così complessa, l’intenzione, più modesta, di questi scambi è quella di rettificare un giudizio ideologico figlio di un cliché caricaturale degli anni ’60 che oggi, se mai ne ha avuto, non ha più alcuna ragione d’esistere, stanti le più recenti e documentate pagine di storia a riguardo.
    Concludo con le parole di Papa Pacelli rivolte a don Pirro Scavizzi, il cappellano che in quegli anni girava per l’Europa in cerca di notizie dei profughi e dei perseguitati: «Dica a tutti che, più volte, avevo pensato a fulminare con scomunica il nazismo, a denunciare al mondo civile la bestialità dello sterminio degli ebrei […]. Dopo molte lacrime e molte preghiere, ho giudicato che la mia protesta non solo non avrebbe giovato a nessuno, ma avrebbe suscitato le ire più feroci contro gli ebrei e moltiplicato gli atti di crudeltà perché sono indifesi. Forse, la mia protesta solenne avrebbe procurato a me una lode del mondo civile, ma avrebbe procurato ai poveri ebrei una persecuzione anche più implacabile di quella che soffrono».

  26. La chiesa per iniziativa di Papa Pacelli commette un atto di omissione, commette cioè un “peccato”. L’omissione è il peccato che la chiesa commette con più disinvoltura, quando non occulta con altrettanta spigliatezza(vedi gli scandali sulla pedofilia nel clero e i tentativi di occultare i fatti). Quando si commette un peccato però, si può sperare in una “assoluzione”, certo però l’unica autorità deputata all’assoluzione è la chiesa, che attraverso un suo rappresentante, di solito un sacerdote, nel sacramento della penitenza, “libera” il peccatore dal peccato … mi pare evidente il conflitto d’interesse … a voi no ?!
    Allora cosa succede: che spuntano come funghi, studiosi, intellettuali e opinionisti cattolici, che tentano una personalissima assoluzione, impossibile in questo caso perché l’unica autorità in grado di assolvere un peccatore dal peccato di omissione, come quello commesso da Papa Pacelli, è la chiesa stessa e non uno qualunque dei suoi seguaci … uomini tra gli uomini, niente altro che uomini, niente di più che uomini.
    Oltretutto l’assoluzione presuppone la contrizione(che si spera perfetta), la confessione, e soprattutto la “penitenza” da parte da parte del peccatore …
    … che, chi sa quando avverrà …
    In attesa della contrizione, confessione e penitenza della chiesa, ci tocca assorbirci i clericali di turno che non riescono ad accettare i fatti, che studiosi di chiara competenza gli spiattellano in faccia.
    Amen

  27. Avete la coda di paglia? Hanno, semmai. Io al contrario dico che la memorabile intervista a Faurisson su Storia Illustrata (http://www.vho.org/aaargh/ital/archifauri/RF7908xxi.html) andrebbe letta e discussa in tutte le scuole, se non altro per imparare a confutare in modo argomentato, e con citazioni precise. Ma non avverrà mai, perché gli insegnanti tengono famiglia. Quanto all’università, ca va sans dire: http://www.anpi.it/media/uploads/patria/2007/6/21-24_DE_PAOLIS.pdf Perché non lo lasciarono parlare? Perché temevano di non saperlo confutare a dovere. Strano: esimi docenti universitari non dovrebbero avere difficoltà a confutare assurdità palesi – se queste ultime sono davvero tali. Quanto a Voegelin, è verissimo che la Chiesa avrebbe potuto fare di più, e che si preoccupò più dei cattolici che degli ebrei. Ma non si può dire che non abbia fatto nulla, o addirittura che abbia appoggiato le leggi razziali. A quest’ultimo riguardo, aspetto con interesse l’indicazione precisa degli articoli in cui la Civiltà Cattolica, dopo aver condannato, unica testata in Italia, le leggi razziali, avrebbe sorprendentemente giustificato e appoggiato il razzismo mussoliniano e scritto che gli ebrei meritavano la persecuzione. Ma dubito che tale indicazione si avrà mai, dato che quegli articoli non esistono se non nella biblioteca mentale, o ideologica, di qualcuno.

  28. Se è per questo la Chiesa oggi non si oppone al mondialismo, anzi ci va a braccetto, e quando parliamo di mondialismo parliamo di un sistema di potere basato su droga, aborto e omosessualità…
    L’impressione quindi è che la Chiesa si lasci trascinare di volta in volta dalla forma di potere dominante: ognuno tragga le sue conclusioni…

  29. Da conoscitrice del “Figaro”, peraltro, lei sa che proprio dalle colonne di quel giornale, in un’intervista, il 4 agosto 1892, Leone XIII condannò l’antisemitismo.

  30. a Clericale.

    E’ impossibile riassumere un pensiero profondo come quello di Voegelin in un intervento, breve o lungo. Le suggerisco di leggere “Hitler and the Germans”, che si trova anche in rete [http://voegelinview.com/into-the-abyss-the-catholic-church-pt-2/2/]
    Per il resto, concordo con lei sulla strumentalità ideologica delle accuse alla Chiesa, e sulla necessità di dibattere con i revisionisti e i negazionisti, invece di mandarli in galera: pratica che, a prescindere dal resto, compromette l’affidabilità della ricerca storica e costituisce un precedente tremendo.
    Ciò non toglie, a mio avviso, a) che gli stermini nazisti siano veramente avvenuti b) che in quella circostanza (come in altre) le Chiese cristiane non siano state all’altezza del loro compito c) che non si debba, per disgusto verso lo strumentalismo degli accusatori, esimersi dal cercare e dire la verità, anzitutto la verità sulle colpe e gli errori di chi ci è vicino.

    ad Apocalissi 23.
    Sì, l’impressione è quella che lei dice. Personalmente, ne traggo la conclusione che quando una civiltà è malata, è difficile che la Chiesa resti sana, perchè la Ecclesia militans non è localizzata su altro pianeta.
    La natura umana, o anima che dir si voglia, conserva comunque tutte le sue potenzialità per il bene. A ciascuno spetta il compito di valersene per reagire alla malattia, anzitutto la propria. Come dicevano i nostri vecchi, “Aiutati che il Ciel t’aiuta.”

  31. L’antigiudaismo, in effetti, ha una triste storia, millenaria e molto variegata.
    Ferocemente antigiudaiche alcune pagine di Voltaire, il peggiore antisemita del diciottesimo secolo secondo Poliakov: “C’est à regret que je parle des Juifs: cette nation est, à bien des égards, la plus détestable qui ait jamais souillé la terre», si legge in un articolo del “Dictionnaire philosophique” dedicato, ironia della sorte, alla “Tolérance”… Eppure nessuno fa di Voltaire, idolo del pensiero laico, ateo e democratico, un precursore delle Leggi di Norimberga. Non necessariamente, nel pensiero occidentale, l’antigiudaismo è legato al cristianesimo. A volte è legato a chi al Cristianesimo si oppone con forza. Questa, ovviamente, non è una scusante; ma un dato su cui riflettere.
    Quanto agli spiattellamenti di fatti e documenti, io attendo ancora che qualcuno mi spiattelli gli articoli in cui la “Civiltà Cattolica”, dopo aver condannato le leggi razziali, le avrebbe invece, soprendentemente, approvate, dichiarando che gli ebrei le meritassero. E quelli in cui la Civiltà Cattolica stessa e l’Osservatore Romano parlavano testualmente di “sporchi giudei”.

  32. “Se la razza o il popolo, se lo Stato o una sua determinata forma, se i rappresentanti del potere statale o altri elementi fondamentali della società umana hanno nell’ordine naturale un posto essenziale e degno di rispetto; chi peraltro li distacca da questa scala di valori terreni, elevandoli a suprema norma di tutto, anche dei valori religiosi e, divinizzandoli con culto idolatrico, perverte e falsifica l’ordine, da Dio creato e imposto, è lontano dalla vera fede in Dio e da una concezione della vita ad essa conforme. (…) Solamente spiriti superficiali possono cadere nell’errore di parlare di un Dio nazionale, di una religione nazionale, e intraprendere il folle tentativo di imprigionare nei limiti di un solo popolo, nella ristrettezza etnica di una sola razza, Dio, Creatore del mondo, re e legislatore dei popoli. (…) Dio ha dato i suoi comandamenti in maniera sovrana: comandamenti indipendenti da tempo e spazio, da regione e razza. Come il sole di Dio splende indistintamente su tutto il genere umano, così la sua legge non conosce privilegi né eccezioni” (“Mit brennender sorge”, 14 marzo 1937). Che volete farci, non sono un accademico, un luminare illuminato: non riesco a capire perché, se la Chiesa fiancheggiava così smaccatamente il nazifascismo ed era favorevole alle leggi razziali, un papa poteva dire dire queste cose in un’enciclica, né perché tale enciclica suscitò tanta ira da parte dei nazisti. Non riesco a capire nemmeno come possano esistere saggi accademici sui rapporti fra Chiesa e nazismo in cui cui questa enciclica non viene neppure citata, o appena menzionata di sfuggita. (Alcuni sottolineano che non si parla esplicitamente di Ebrei. Del resto, nella Germania di quegli anni, a quale razza discriminata si poteva pensare? Agli Eschimesi, o ai Bororo, ovviamente).

  33. Io non conosco a sufficienza la storia e questa storia, ahimé. Ma qualcosina di critica letteraria capisco.
    Faurisson era un critico letterario (prima di diventare storico negazionista) e il suo metodo si può definire solo in un modo: dittatorial-paranoico. Tutta la critica è manipolazione, lui svela l’unico senso del testo.
    Chiunque sia equilibrato o non in malafede capisce che è una scemenza: che tutto il mondo sia organizzato in un complotto per celare la verità agli uomini, che esistano la verità e il senso di un testo come qualcosa che si possa raggiungere, stringer fra le mani come si fa con un oggetto materiale, e definitivamente e da parte di un solo uomo.
    Quindi, no, grazie, Faurisson io a scuola non lo porto. Ah, pure se non tengo famiglia. Tengo però una coscienza e un’intelligenza critica, che mi vincolano eticamente non meno della prima.

    Cfr. Valentina Pisanty, L’irritante questione delle camere a gas. Logica del negazionismo, Bompiani

  34. “Ho giudicato che la mia protesta non solo non avrebbe giovato a nessuno, ma avrebbe suscitato le ire più feroci contro gli ebrei e moltiplicato gli atti di crudeltà”. Infatti, dice ancora il verbale del processo Eichmann, in séguito all’intervento del Papa a favore degli ebrei “the anger of the Germans grew more intense”. Insomma a farli incazzare troppo si peggioravano solo le cose.

  35. So per esperienza che in questo genere di confronti raramente si riesce a bucare la corazza delle ideologie, nondimeno insisto ancora un po’ per spirito di parresia in riferimento all’intervento di Ares.
    La Chiesa, riguardo a ciò di cui stiamo parlando, non ha commesso in alcun modo peccato di omissione, Ella ha al contrario agito positivamente per la salvezza di quanti Le erano affidati e non solo. L’omissione di pubblici proclami a favore di gesti concreti è stato un atto di prudenza, non di omissione, una virtù, non un vizio.
    Il Sacramento della Riconciliazione non funziona come la caricatura che ne è stata fatta, la sacramentaria più in generale è disciplina piuttosto complessa, nello specifico va esplicitato che la validità di questo Sacramento, come per tutti i Sacramenti del resto, dipende da forma, materia e ministro, il che vale a dire che il sacerdote è al massimo ministro, non fonte, della Riconciliazione, quindi non ci sarebbe alcun conflitto di interesse nell’ipotesi in cui un membro della Chiesa si accostasse al Sacramento della Riconciliazione all’interno della Chiesa. Anzi questa è la prassi normale. Oltretutto giova ricordare che i peccati sono sempre individuali, dunque non ha senso parlare in modo generico e astratto di peccati della Chiesa, occorre quanto meno specificare il soggetto di questi supposti peccati.
    Quanto ai fatti spiattellati dagli studiosi di chiara fama anche il piccolo scorcio di questi scambi dimostra dove siano i fatti e dove i giudizi infondati.
    Sursum corda

  36. Apocalisse 23 pare troppo drastico. La Chiesa, almeno nelle sue posizioni ufficiali, non va certo a braccetto con omosessualità, aborto e droga; il sistema mondiale non è certo basato su aborto e omosessualità, ma (com’è forse da sempre) sul denaro (dunque per larga parte sulla droga, questo è vero).

  37. Se si va in cerca di una riprova del fatto che l’antiebraismo è un vizio incorreggibile della Chiesa che quest’ultima ha fortemente contribuito a diffondere in una parte assai vasta della popolazione del nostro paese, è sufficiente ricordare l’espressione di “fratelli maggiori” adoperata nel discorso che Giovanni Paolo II tenne in occasione della sua storica visita alla sinagoga di Roma nell’aprile del 1986.
    Sennonché, allora come oggi, il significato di queste parole, che sembrarono segnare il duplice riconoscimento e del legame indissolubile tra le due religioni e dell’anteriorità storica di quella ebraica, suggellando così la condanna solenne dell’antisemitismo, si presta ad una lettura il cui senso è completamente diverso, anzi opposto, rispetto a quello che trova espressione in quel riconoscimento. Le parole “fratelli maggiori” riecheggiano infatti un passo della lettera di san Paolo ai Romani (9, 12) in cui questi ricorda la profezia che Dio aveva fatto a Rebecca, incinta di due gemelli (Genesi, 25, 23), profezia che recita esattamente: “Il maggiore sarà sottomesso al minore”. In effetti, come è noto, Giacobbe, il minore, comprerà la primogenitura da Esaù, il maggiore, in cambio del famoso piatto di lenticchie e successivamente riuscirà ad ottenere, con l’inganno, la benedizione di Isacco, il padre vecchio e cieco.
    Paolo riferisce quindi la profezia al rapporto fra ebrei (rappresentati da Esaù) e cristiani (rappresentati da Giacobbe) e afferma senza mezzi termini che i primi saranno sottomessi dai secondi: orbene, questo passo, che è stato scritto dall’ebreo convertito Paolo e che ha giustificato per due millenni l’odio dei cristiani per gli ebrei, risulta essere il testo fondatore dell’antiebraismo cristiano. Come spiegare allora un’anfibolia così micidiale, escludendo sia l’ipotesi che il papa non si sia reso conto di star citando alla lettera quel passo paolino sia l’ipotesi che egli abbia voluto ammonire gli ebrei, nel momento stesso in cui condannava qualsiasi forma di antisemitismo e di antiebraismo, che la loro era pur sempre una condizione subordinata e sottomessa?

    A questo punto non resta che una possibilità, se si vuole spiegare il ricorso ad una simile espressione: l’ipotesi, formulata da Carlo Ginzburg nel suo magistrale saggio sull’argomento in questione (“Occhiacci di legno”, Feltrinelli, Milano, 1998, pp. 210-215), secondo cui si è trattato di un lapsus freudiano. Naturalmente, Freud ci ha insegnato a riconoscere nei lapsus il prodotto di pulsioni (spesso aggressive) censurate dall’inconscio. Tuttavia, un’imputazione diretta di tale lapsus alla soggettività del papa sarebbe probabilmente eccessiva e ingenerosa (mentre va detto che, dopo la rigorosa disàmina condotta dall’eminente storico italiano, solo una deliberata ignoranza può spiegare l’uso acritico ed epigonale di quella espressione). Come osserva con grande finezza lo storico testé citato, se è vero che Gesù era ebreo, non cristiano, e se è vero che il cristianesimo nasce con Paolo differenziandosi e opponendosi rispetto all’ebraismo, è altrettanto vero che a sradicare l’antiebraismo cristiano non bastano la buona volontà e il coraggio di un singolo individuo, nemmeno se si tratta di un papa. Nel lapsus di Wojtyla la tradizione si è presa la rivincita. Come dimostrano le svariate prese di posizione di alti esponenti della gerarchia cattolica, che hanno ribadito con arroganza il rifiuto di ammettere le responsabilità (non solo dei cattolici ma anche) della Chiesa e dello stesso papa Pio XII nella persecuzione degli ebrei, c’è ancora molta, moltissima strada da fare.

  38. Non dico che l’interpretazione data da Ginzburg delle parole del papa sia paranoica come quelle di Faurisson, ma siamo lì.

  39. Si parla sempre del Rapporto Gerstein, che oggi nemmeno la storiografia ufficiale tratta più come fonte attendibile, e che contiene, oggettivamente, assurdità palesi. La vicenda ha però ispirato a Costa Gravas un suggestivo film di fantastoria.

  40. Se si va in cerca di una riprova (neanche di una prova, che sarebbe già più di quanto non vi sia) che l’antiebraismo … la si trova di sicuro; come in genere si trova sempre la prova, e a maggior ragione la riprova, di ciò di cui si è previamente convinti, ovviamente questo non significa che le convinzioni siano per ciò stesso “provate”, al massimo le si può ritenere corroborate, confermate dal punto di vista psicologico.

    Non sto a scomodare il pur interessante dibattito epistemologico contemporaneo su cosa si possa ritenere prova e cosa no, per spiegare che l’espressione “fratelli maggiori” non è il rigurgito di un inconscio rimosso o tanto meno la prova di un presunto sotterraneo odio antiebraico. Il dibattito nel quale non voglio entrare ha però il merito della distinzione capitale (ancorché un po’ enfatica, questo va concesso) tra fatti e teorie, ed è appunto un fatto che nei tempi della barbarie nazista fu la Chiesa a mobilitarsi per la salvezza degli ebrei, contro la teoria dell’odio antiebraico di cui si persiste a straparlare, con buona pace dei fatti; ripeto, la Chiesa, nessuno dei soloni d’antan i cui epigoni oggi lamentano l’assenza di indignate e vibrate proteste pubbliche, quelle proteste che, è stato dimostrato, hanno solo causato l’inasprimento delle condizioni del popolo ebraico, quando sono state formulate. E anche questi sono fatti.

    Sempre nel solco della distinzione tra fatti e teorie va pure detto che, quando l’Apostolo di Tarso impostava la propria teologia sul rapporto tra ebraismo e Chiesa nascente, era lui stesso perseguitato dagli ebrei (dopo aver egli stesso attivamente partecipato alle persecuzioni del tempio contro i seguaci di Cristo), così come lo è stata la Chiesa tutta dal suo principio. Scrivere dunque che gli scritti paolini avrebbero giustificato due millenni di odio cristiano per gli ebrei è quanto meno “curioso”, visto che per tre secoli abbondanti furono i Cristiani a trovarsi nel circo e non certo gli Ebrei, che sovente ce li mandavano, Roma compiacente.

    Ma veniamo al nodo teoretico e teologico della questione, quello appunto dell’antigiudaismo, che è cosa ben diversa rispetto all’antisemitismo razzista o all’anti-ebraismo etnico. Prendo come spunto la banalità spesso reiterata secondo cui Gesù sarebbe stato un Ebreo, ma non Cristiano. Oppure, come oggi usa dire con vocabolario apparentemente più elegante (invero solo un po’ più mistificatorio), che il cristianesimo sarebbe una fioritura dell’ebraismo. Il giudaismo era incompatibile con il Cristianesimo poiché affermava la non messianicità e conseguentemente la non divinità di Cristo, dunque delle due l’una: o Gesù era davvero Chi diceva di essere, il Figlio di Dio, e pertanto il giudeo realizzava la propria natura religiosa convertendosi al Cristianesimo, il Messia, oppure Gesù non era chi diceva di essere, e gli insulti al Suo indirizzo che si trovano nel Talmud sono giustificati. Tertium non datur. Il giudaismo, ovvero la professione di fede nella non-messianicità di Gesù Cristo, è con ogni evidenza incompatibile con il Cristianesimo, questo spiega Paolo, né più né meno, e la teologia successiva svilupperà ampiamente questo tema. È una posizione teologica, come si vede, non una dichiarazione d’odio razziale, come per lo più si persiste a voler fraintendere. La storia dei rapporti tra Chiesa ed ebrei è tutta all’insegna di questo Magistero, laddove si riconosceva l’incompatibilità teologica tra le due fedi da una parte, mentre dall’altra si agiva per proteggere e contenere la popolazione ebraica dall’odio popolare che ciclicamente risorgeva e sulle cui cause (comunque non teologiche) non è possibile ora sostare.

    Questa tesi di conio teologico darà poi vita a quella che andrà sotto il nome di teologia della sostituzione, ovvero quella tesi per cui il popolo Santo di Dio, il vetus Israel, dopo Cristo sia divenuto la Chiesa, Novus Israel, e che pertanto i depositari della antica alleanza siano oggi i Cristiani. Questa la sostituzione. L’olivo santo paolino appunto. Sono tesi complesse e pluristratificate, che partono da Paolo e passano per l’elaborazione di S. Ambrogio, S. Agostino, S. Crisostomo, S. Tommaso e infiniti altri, tutti con riflessi particolari, che non possono essere liquidate, se non a scapito della comprensione del fenomeno, con giudizi superficiali e approssimativi come “due millenni di odio antiebraico” e simili.

    Un ultimo appunto. La retorica per cui il Cristianesimo sarebbe nato con Paolo, e non con Cristo, è da rubricarsi tra le boutade teoriche. Sono centinaia i passi paolini in cui l’Apostolo stesso ci spiega che lui non predica nulla se non Cristo crocifisso, la teologia paolina è appunto un logos su Dio, e il Dio di cui parla Paolo è Gesù Cristo. Dire che il Cristianesimo sia un’invenzione paolina significa, come minimo, non capire la distinzione tra referente e significato, ma più semplicemente tra parole e cose, per citare il titolo e lo spirito (spero) di questo spazio.
    E concludo, sì la strada da fare è senz’altro molta, per tutti, sarebbe un buon inizio se la si smettesse di indicarla agli altri e la si intraprendesse ciascuno per propria iniziativa.

  41. a Clericale.

    Premessa: su questa materia ho letto e pensato, non studiato e meditato. L’idea che mi sono fatto di come sono andate le cose tra Chiesa cattolica e nazismo è la seguente.

    1. Nella situazione europea del primo dopoguerra, la gerarchia ecclesiastica individua come nemico principale il comunismo, che la sfida direttamente in Russia e altrove, perseguitando sanguinosamente i cristiani in quanto tali, e proponendosi apertamente di eradicare la religione. Le vicende tedesche del dopo Versailles la confermano in questa persuasione.

    2. Al sorgere del movimento nazionalsocialista, le reazioni della gerarchia ecclesiatica sono: a) viva preoccupazione per il “neopaganesimo” nazista, che viene apertamente condannato b) valutazione realpolitica del nazismo come possibile baluardo contro il comunismo c) politica di cauta apertura, nella speranza di addomesticarlo e di ricondurlo nell’alveo di un “normale” autoritarismo (posizione condivisa, con varie sfumature, da tutte le forze politiche e culturali della destra e del centro tedeschi). Sintesi: la Chiesa continua a condannare violentemente gente come Rosenberg (autore del “Mito del XX secolo”) che politicamente conta poco o nulla, ma non condanna più i responsabili nazisti, perchè sono diventati uomini di governo, e in loro si sforza di vedere anzitutto i rappresentanti (provvisori) dello Stato tedesco.

    3. Seguendo la tattica politica adottata da Napoleone in poi nei riguardi di forze “moderne” e “rivoluzionarie” che si sanno pericolosamente incontrollabili, la gerarchia ecclesiastica tenta di venire a patti diplomatici con il nazionalsocialismo, per garantirsi uno spazio d’azione sociale e culturale (“pastorale”). Per raggiungere questo scopo, attenua la polemica contro il nazismo, e tenta di distinguere fra “cultura nazista” (neopagana e dunque condannabile e apertamente condannata) e nazismo come forza politica di governo, che si spera e si vuole recuperabile, o perlomeno parzialmente addomesticabile. Hitler, che è politico di grande intelligenza tattica, favorisce questo atteggiamento della Chiesa evitando di aggredirla o provocarla apertamente, come invece fa il comunismo.

    4. Il concordato fra Chiesa cattolica e Stato nazionalsocialista viene infatti stipulato, e prevede ampi spazi di libertà per la Chiesa, “nell’ambito della legge” (la formula viene continuamente ripetuta nel testo del concordato).

    5. Problema: lo Stato nazista comincia a sfornare, una dopo l’altra, leggi affatto inaccettabili per un cristiano. A questo punto, è troppo tardi per tornare sui propri passi e per opporsi apertamente al nazionalsocialismo, che ha assunto poteri enormi in uno Stato che non è più uno Stato di diritto. Farlo importebbe uno scontro decisivo, sangue versato, martiri, lapsi, la Chiesa messa fuorilegge, eccetera.

    6. Conseguenza diretta della dinamica descritta al punto precedente è che, ad esempio, i soldati tedeschi arruolati negli Einsatzgruppen incaricati di sterminare i polacchi, il (se rammento bene) 23% dei quali sono cattolici in buona parte praticanti, non si sentono dire mai dai loro pastori che sterminare i civili è un crimine e un peccato mortale, e che al caso in esame NON si applica la raccomandazione di obbedire alle autorità legittime presente nella Lettera ai Romani (la quale viene invece tirata fuori a sproposito, assai spesso, quando qualche cattolico solleva dubbi e avanza obiezioni sullo Stato nazista presso la gerarchia). Lo stesso vale, beninteso, per il restante 77% protestante. Lo stesso vale per i generali, i diplomatici, gli alti burocrati, gli industriali, insomma la classe dirigente tedesca che collabora, più o meno volentieri, con Hitler. Nessuno di costoro viene mai chiaramente istruito dai suoi pastori, evangelici o cattolici, in merito ai suoi doveri di cristiano di fronte ad azioni inaccettabili.

    7. La valanga si è dunque ormai messa in moto, a partire dalla decisione di venire a patti diplomatici con il nazionalsocialismo. Specie dopo lo scoppio della guerra, si conteranno dunque alcune, o anche molte, azioni di singoli o di piccoli gruppi informali di cristiani, iniziative di singoli pastori o vescovi (memorabile, prima del conflitto, quella del vescovo von Galen contro l’eutanasia degli inabili, o nel corso della guerra quelle della “Rosa Bianca”, o del circolo del conte von Moltke, al quale partecipa anche il gesuita A. Kelp, giustiziato con i cospiratori del 20 luglio); ma la linea ufficiale della Chiesa è quella che quando la nazione è in guerra, è dovere del cristiano, come cittadino, di obbedire e combattere per la patria, comunque sia governata.

    8. E’ noto che la storia non si fa con i se. Col senno del poi, la decisione della gerarchia ecclesiatica di venire a patti con il nazismo fu un errore. Si poteva evitare? Sì che si poteva. Se Karl Kraus, e insieme a lui tanti altri, hanno dato una valutazione precoce del nazismo e di Hitler sostanzialmente esatta, avrebbero potuto (e dovuto, in verità) saperla dare anche le gerarchie ecclesiatiche. Come sarebbe andata, se ciò fosse avvenuto? Nessuno lo sa. Si può forse immaginare, però, che di fonte a una recisa e inequivoca condanna del nazismo, colui che, in base a un calcolo politico errato, sciaguratamente permise la nomina a Cancelliere di Hitler, l’ex Cancelliere von Papen – un cattolico – forse ci avrebbe pensato due o tre volte, prima di consegnare la Germania a un uomo di quella fatta. Se il primate di Germania gli avesse detto chiaro e tondo, “Fai questo e vai all’inferno”, chissà…

    9. Per finire, ricordo che il Catechismo della Chiesa cattolica prescrive che la suprema istanza a cui si deve obbedienza non è il papa o la gerarchia ecclesiastica, ma la coscienza personale.

  42. In ogni caso tutte queste dotte disquisizioni sulla Chiesa mi sembrano fuori tempo massimo: fra poco saremo un paese musulmano, e magari nelle scuole si parlerà dei crimini di guerra d’Israele…

  43. Per ora, i musulmani sono il due per cento della popolazione. La totale islamizzazione dell’Italia non mi sembra imminente. Semmai, vivremo in un paese, di fatto, ateo. Qualcuno sarà contento.

  44. Dibattito interessante ma che potrebbe durare all’infinito senza arrivare a nulla. Le barriere e i pregiudizi ideologici sono impossibili da superare, da una parte e dall’altra; fatti e documenti sono di per sé ambigui.

  45. Certo è, però, che in questa discussione i filoclericali citano testi e documenti con abbondanza e precisione, molto più che i loro interlocutori.

  46. Caro Osservatore,
    non so se si capisce dal contesto di quel che ho scritto, ma io sono cattolico.

    Se proprio devo liofilizzare, penso che : 1) la Chiesa cattolica (come d’altronde la protestante) non è stata all’altezza della sua missione, nel caso in esame 2) nonostante trovino un fondamento nei fatti di cui al punto precedente, le accuse di antisemitismo, di viltà, di complicità della Chiesa con il nazismo sono al 99% strumentali, propaganda di bassa lega (al restante 1% appartiene il post di Clotilde Bertoni, che è persona evidentemente seria e onesta, con la quale si può discutere e dissentire ma che non si sognerebbe di scrivere intenzionalmente falsità).

    Aggiungo, già che ci siamo, che sarebbe a me assai gradito, oltre che logico, che chi se la prende con la Chiesa perchè non fece abbastanza contro il nazismo, se la prendesse anche con chi – oggi 2014 e non ieri 1933-1945 – non solo non fa abbastanza contro i neonazisti ucraini che bombardano al fosforo bianco, cannoneggiano con l’artiglieria pesante, ammazzano all’ingrosso e al dettaglio i civili russofoni loro connazionali, incitando apertamente, da sedi ufficiali, al loro sterminio, dopo aver esordito, all’indomani del colpo di stato che li ha portati al governo, con il proibire l’uso ufficiale della loro lingua (misura che neanche i nazisti DOC presero mai nelle nazioni occupate) : ma li finanzia, li appoggia politicamente, li insedia al potere illegalmente, li arma, li incita a sbrigare al più presto la bisogna, gli distribuisce dolcetti e pacche sulle spalle, si fa fotografare sorridente accanto a loro; e quando qualcuno timidamente obietta che questi qui sono nazisti, replica disinvolto che è si tratta del folkloristico, marginale difettuccio d’un grande movimento democratico ed europeista.

    E per evitare equivoci, il “chi” fa queste cose che depreco è:
    1) il governo USA, democratico e antifascista
    2) il governo UE, democratico e antifascista
    3) il governo tedesco, democratico e antifascista
    4) i governi europei democratici e antifascisti tutti, con l’eccezione del governo ungherese (che invece viene dichiarato antidemocratico e fascistoide)
    5) e in particolare, tra i governi europei, il governo italiano, democratico e antifascista per definizione visto che il suo presidente del consiglio è il leader del PD, ultimo avatar del Partito Comunista Italiano. Attendo il giorno in cui, in caso di eventuale vittoria finale del governo di Kiev, con relativa fine del sorcio per i russofoni ucraini, si leverà nel parlamento italiano il coro di “Bella ciao.”

  47. Mi rivolgo alla professoressa Bertoni, che stavolta non potrà dire che cito sempre gli stessi testi. Se la Chiesa Cattolica era così favorevole all’antisemitismo nazifascista, allora perché mai in documenti riservati nazisti, pubblicati negli atti del processo di Norimberga (vol. I, VII, 6), essa viene definita “spina nel fianco di uno Stato razziale”, e se ne programma l’annientamento (del resto per larga parte verificatosi, come documenta la stessa sezione degli atti, con il clero polacco)? E’ uno dei tanti enigmi. Ci illumini.

  48. Un silenzio eloquente. Ad ogni modo, chi fosse interessato può verificare qui ( http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k282248w/f1.zoom ) quanto feroce fosse l’antisemitismo papale, prefigurante l’ideologia razziale novecentesca (http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k282248w/f1.zoom): “Quelles races? Toutes sont issues d’Adam, que créa Dieu. Que les individus, suivant les latitudes, aient un teint différent, un aspect dissemblable, qu’importe cela, puisque leurs ames sont de meme essence, pétries du meme rayon?”.

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