cropped-03-large.jpgdi Giacomo Giubilini

[Dal 25 dicembre al 6 gennaio LPLC sospende la sua programmazione normale. Per non lasciare soli i nostri lettori, abbiamo deciso di riproporre alcuni testi e interventi apparsi nel 2011, quando i visitatori del nostro sito erano circa un quinto o un sesto di quelli che abbiamo adesso. È probabile che molti dei nostri lettori attuali non conoscano questi post. L’articolo che segue è uscito il 30 settembre 2011.]

Perché nonno Libero, l’edificante nonno che piace persino ai bambini, è in realtà un terrificante cadavere? Perché Claudio Amendola, oltre che perfetto padre di  famiglia postmoderna, potrebbe impersonare, anche e meglio, l’idraulico consolatore di casalinghe in un film porno? Perché le cinque (sei?) balbettanti espressioni facciali di Sermonti sarebbero efficaci oltre che per incarnare un saggio medico protettivo, padre e/o fidanzatino ideale di figlia vergine, anche per esaurire le smorfie di un protagonista di gang bang? Insomma perché la fiction italiana è oscena? E come lo diventa?

Chiunque ne abbia scritta una, l’abbia recitata, l’abbia ripresa o organizzata, lo sa benissimo, lo avverte, lo nega per campare, ma ne è terrorizzato e non sa spiegarsene le ragioni. Sente un malessere, un  rumore di fondo, un sibilo, e quando, dopo tanti sforzi, vede per la prima volta i giornalieri, capisce immediatamente e crolla desolato. Perché davanti a lui si para sempre il solito orrido presepe, una vetrina Oviesse di manichini che recitano una litania meccanica, scritta e riscritta, veduta e riveduta, editata e rieditabile in un infinito gioco di miglioramenti che portano sempre al peggio. In quel momento avverte il terrore: ecco la solita mortifera merda. Ma perché?

Alla radice del terrore c’è certamente l’oscenità di tutto l’impianto, ma per osceno non si intende certo un giudizio morale o estetico; la ragione è più profonda e strutturale. Non si intende risolvere la faccenda facendo ricorso ad un facile giudizio di gusto, sempre peraltro opinabile e giustificabile con un altrettanto plausibile  “si sarebbe potuto” , “si sarebbe dovuto”. Tutte giustificazioni assurde per un prodotto che non può avere redenzione, che deve invece, per esistere e essere popolare in Italia, essere osceno.

Osceno è tutto ciò che manca di illusione, di segreto e di mistero. In una società dei consumi oberata di senso, il senso stesso fagocita il reale e lo annienta, ne annienta le sfumature. Osceno è tutto ciò che non è messo in scena, falsificato, e che rimane invece ostentazione di un’iperrealtà in grado di far  scomparire la realtà stessa, inglobandola in una visione statica e generatrice solo di se stessa e dei suoi dogmi e dei suoi valori. Amore, lavoro, famiglia nel caso della fiction.

Il paradosso su cui questo meccanismo spettacolare funziona non è  narrativo. Il paradosso risiede nel fatto che la fiction italiana, a dispetto del nome, non è mai una vera finzione, ma un prodotto che fagocita proprio la propria finzione, il senso di illusione, il distacco, la messa in scena, la regola e il limite. Il terrore che un essere pensate prova guardando una puntata di fiction italiana deriva da questo. Sta infatti assistendo ad una cerimonia funebre: «Ciò che non suscita più illusione è morto, e ispira il terrore. Così avviene al cadavere, ma anche al clone e più in generale a tutto ciò che si confonde con se stesso al punto di non essere più nemmeno capace di giocare con la proprio apparenza. Questo limite della disillusione è la morte» (Baudrillard).

Nonno Libero è pingue, pontificante e saggio, persino ironico. Cettina è la domestica perfetta; il protagonista del baraccone è un medico bello e bravo, persino vedovo, come lo vorrebbe ogni mammà per la sua figliola da maritare. I teenager delle varie serie sono tali perché vogliono e sanno amare, hanno le debolezze perché sono così giovani, amano l’amore. Ma tutti insieme questa ciurma è in realtà un esercito di terribili zombie: la loro villetta, il loro bar (“Cesaroni”), i loro interni borghesi da esposizione Divani&Divani, il loro ambulatorio o ufficio asettico con palmizio, sono  loculi cimiteriali perché troppo reali, i loro volti sono, a guardarli bene, esattamente come ci si aspetta, le loro bocche parlano come HAL 9000, e i loro dialoghi, allucinati e nevrotici nel mantenimento dell’ovvio, ripetuti per anni, tutti gli anni della serialità, scritti e riscritti e stravolti migliaia di volte in un’isteria della filiera e di tutti i passaggi dell’industria culturale mossi  dalle  censure dei suoi funzionari, risultano poi sempre poco più che muggiti, vagiti informi di psicologie ameboidi. Potrebbero in questo senso esprimersi con peti, rutti e gestualità da primati: il risultato non sarebbe inferiore o diverso. Ed è esattamente quello che succede nel reality, che è la necessaria evoluzione della fiction, una fiction depurata e liberata dalla pesantezza e inutilità di una scrittura “letteraria” che non sia quella del montaggio. Così la fiction italiana è oscena perché fa sparire la finzione, la messa in scena del reale, inglobandola in sé , in un movimento ipertrofico e metastatico: i reali possibili e le loro interpretazioni, tutti esauriti e consumati nella ricerca di un canone più vero del vero e quindi pornografico.

E qui ecco nascere il secondo elemento che caratterizza la fiction: la sua pornografia. Non vedere le ricadute della pornografia nei prodotti di massa significa ormai non coglierne l’essenza. Cioè mancarli completamente. E l’essenza narrativa della fiction italiana è di essere una collazione (ancora tristemente narrativa ma per quanto?) dei momenti morti di un film porno, ovvero degli intermezzi tra un accoppiamento e l’altro. Manca certo l’accoppiamento e l’esposizione iperrealista dei genitali, resta invece l’esposizione iperrealista dei personaggi, dei loro corpi e dei loro dialoghi, in un teatrino trasparente, un acquario senza stupore. Resta cioè l’essenza del porno, senza mistero, terrificante perché privo di illusione, privo dell’artificio e della distanza da chi guarda. Mortifero. Dove ogni illusione, persino quella battezzata come finzione, è restituita ad una trasparenza. Una forma pura e vuota. Leggere la fiction italiana alla luce della pornografia a mio avviso significa utilizzare un orizzonte di senso privilegiato. Ma come è possibile mantenere la logica di  un rumore di fondo così ingombrante e invadente  in un prodotto di massa per moribondi?

Per capirlo bisogna capire il rapporto che si crea tra pubblico e gli oggetti privilegiati del suo guardare e consumare una fiction: gli attori e i luoghi della iperrrealtà del loro “recitare”. Come ha scritto Susan Sontag: «la pornografia impiega un vocabolario sentimentale esplicito e ridotto, interamente correlato alle prospettive di azione». I sentimenti dei personaggi impiegati dall’immaginazione pornografica sono, in qualunque momento, perfettamente sovrapponibili al loro comportamento. L’attore di fiction è, come l’attore di un porno, il suo comportamento. Ma perché?

Gli  attori sono oggetti di consumo, sono merci. Il concentrarci sugli attori come oggetti ci permette di vedere meglio il movimento di censura e scelta operato dal pubblico. Il primo aspetto a essere censurato, perché avvertito come è l’aspetto funzionale dell’attore e cioè, altro paradosso, il suo sapere recitare: l’attore di fiction, per essere tale e piacere al pubblico, non deve saper recitare. Se l’attore di fiction sa recitare è avvertito dal pubblico come appunto uno che recita, una distanza, un’alterità e un mistero. Una finzione che non è tollerabile.

La tecnica di un “bravo attore di accademia” è per il pubblico del masscult della fiction italiana, peraltro l’unico pubblico davvero significativo e di gran lunga più esemplare di quella pletora minoritaria di vedovanze midcult che ancora ama “l’alta cultura” del  falsissimo cinema italiano medio, del pessimo teatro di prosa fatto di messe cantate, dell’indecente romanzo italiano da Erri De Luca alla Mazzantini, quel pubblico vede nell’attore “che ha studiato” una volgarità, un’ enfasi retorica, un’offesa. L’attore tecnicamente bravo è come un brutto frigorifero che non si rompe mai e svolge a pieno la sua funzione ma manca di design, di affetto. Frigorifero che non potrebbe mai stare nella cucina del suo potenziale consumatore e pubblico. Per questo una ex escort può incarnare un carabiniere, un ex dispensatore di cazzotti e ceffoni  può incarnare un prete perfetto o una guardia forestale o, in prospettiva auspicata, il protagonista potenziale di un porno mature o granny. È importante che sia avvertito come caldo, vicino, un amico della porta accanto, ed è fondamentale che non sappia in alcun modo recitare. Pena l’espulsione immediata.

Solo così l’attore trascende la sua dimensione pratica, la sua funzione, e viene posseduto dal suo pubblico. Questo pubblico inoltre sceglie anche direttamente il secondo elemento dell’attore: il suo corpo, che non è più strumento e parte integrante di una mimica recitativa, ma pura plastica delle zone erogene, riporto sulle stempiature, trippe e forme tondeggianti, senza spigoli per i personaggi rassicuranti (il padre, il nonno, l’amicone simpaticone) Il pubblico esige che i corpi degli attori di fiction, specialmente se giovani, siano di chiara derivazione pornografica e al massimo di derivazione pubblicitaria, da catalogo, da book fotografico per provini, da campionario di mutande e reggipetto, da concorso di bellezza di provincia. Oppure l’esatto contrario, laschi maschi sfatti ma simpatici nelle forme (l’alto, il grasso, il nerboruto) come quelli del bar sottocasa e dei porno (i tre dei “Cesaroni” sono proprio così). Da qui un profluvio di labbra siliconate, six pack ostentati, seni ipertrofici, strusciamenti e scene di semi nudo, goffagini e “simpatici“ e consolatori caratteristi dalla battuta pronta e dalle forme tondeggianti. Un’aerodinamica degli affetti, un vero design.

Chiunque riconosce (inconsciamente? ma esiste un inconscio in questo pubblico?) le potenzialità pornografiche degli attori di fiction, che non vengono però esplicitate e rimangono sedate;  si fermano cioè sul confine dell’orgia e dell’ammucchio, ma sono comunque incasellate in un contesto riconoscibilissimo che è esattamente, per tempi, espressioni, recitazione, scenografia e movenze, tutto ciò che viene prima e dopo una scena porno. I luoghi non a caso sono gli stessi: il salotto, la scrivania, l’ufficio, la cucina, persino a volte, una saunetta pruriginosa, una vasca ad idromassaggio. La fiction si realizza quindi, anche nei luoghi, come insieme di pause di un film porno e dal porno riprende a pieno la logica oscena, l’iperrealtà, ovvero la mancanza di ombre. Con un corpo di cui si annulla la singolarità e una recitazione assente, l’attore  può così sperare di riuscire a negare la relazione simbolica tra il proprio corpo, reso urbano ma pur sempre scelto su basi pulsionali dal proprio pubblico e marcato da una storia di plastiche o eccessi, e la sua recitazione, necessariamente “naturale”. Solo così un attore può sperare di essere accettato dal “grande pubblico” per la sua “freschezza” o per il suo essere “mai volgare” o in alternativa “simpatico”, e potere incarnare così la definizione che garantisce ruoli: “adatto al grande pubblico per la sua freschezza e simpatia che lo rendono mai volgare“.

Il naturale passo avanti e sviluppo di questo settore è di tipo ecologico: riciclare. Come nel porno non si butta mai nulla e si creano filmografie intere da singoli spezzoni, così nella fiction si dovrebbe arrivare ad un salvifico riciclo della sue parti, un rimontaggio di alcune serie, anche mescolate tra loro, in forma rapsodica, senza girarne di nuove. Don Matteo andrebbe a passeggio con il cane Rex senza disdegnare un’occhiata al fondoschiena dell’Arcuri, ma sempre tenendo presente i consigli di un vecchio nonno Libero. Oltre all’evidente risparmio di denaro ed energie ci si potrebbe imbattere in un momentaneo risveglio dal coma vigile del vecchio pantofolaio assopito che, abbandonando per un attimo la languida pace soporifera di un sarcofago-divano, peraltro lo stesso che vede in video, abbia uno sfavillio di vita  negli occhi e si chieda: “Ma tutto questo non l’ho già visto?”.

14 thoughts on “La fiction italiana è oscena

  1. Condivido in tutto l’argomentazione di fondo dell’articolo. Resta un problema: esiste un conflitto (o meglio un abisso) evidente fra fiction italiana, ma direi europea (francia, germania, spagna, Uk con qualche eccezione) e fiction americana. La seconda ha raggiunto negli ultimi anni livelli davvero stratosferici per qualità, recitazione, regia, scrittura. Ottimi prodotti seriali che riescono ad ottenere un successo di pubblico che (ben inteso: fatte le proporzioni) Don Matteo si sogna. Certo potremmo spiegare il tutto sostenendo semplicemente che, negli States, una puntata di una serie costa come un film europeo; la spiegazione potrebbe essere dunque molto semplice: è “la filiera” che è di tutt’altro livello. Oltreoceano assemblano Porsche, qui vecchie Fiat uno. Ma è solo questo? Provate a confrontare, se vi capita, una serie UK arrivata all’ottava stagione con un discreto successo, (Shameless) con l’equivalente americana, di cui a gennaio partirà la seconda stagione (la prima la potete vedere via streaming su megavideo). è un caso da manuale. Gli autori americani hanno rifatto la stessa serie, con le stesse battute. Ma se uno prova a confrontare le due prime puntate, quella anglosassone ha tutti difetti dell’atmosfera media di una fiction europea, per quanto di buon livello e con sconfinamenti espliciti – ma grotteschi e poco credibili – nella pornografia soft; con la versione americana è la credibilità di quello che viene raccontato che appare potenziata senza paragoni possibili: tutto diventa filmico, realistico, appassionante. E’ una sorta di realismo lukacsiano. Il rapporto di filiazione diretta con l’universo pornografico scompare: la nevroticità pornografica si trasforma in gioco erotico. Credo che questa differenza ponga problemi teorici (e chissà forse addirittura politici): pensabilità e rappresentazione del mondo fra Europa e Stati Uniti.

  2. Molto interessante. In parte, mi sembra che ciò che si prefigura nel finale stia già avvenendo da tempo: non è forse così con gli attori che passano senza colpo ferire dalla fiction all’ospitata telesiva alla pubblicità, ripetendo sempre e nient’altro che se stessi? E’ in questo scarto tra il “tipo” (la rappresentazione di un carattere) e il “modello” (l’imposizione di un calco) che troviamo la trasformazione della commedia (macrogenere di riferimento) e dunque della fiction italiana.

  3. Non mi convince la definizione di “osceno” come “tutto ciò che manca di illusione, di segreto e di mistero”; al limite, osceno è tutto ciò che si pone al di là di illusione, segreto, mistero … Porsi al di là non è mancare per deficit costitutivo, come avviene nel caso della fiction, quanto cercare il mancamento, perseguirlo, e con ciò cercando l’inconsueto, il fuori-ordinario. L’osceno è ciò che è fuori-scena, che si tiene fuori, che si pone coscientemente al di là; non è ciò che “non è messo in scena”, bensì quello che viene tolto. [Cfr. Carmelo Bene; ma anche Bataille e Sade; in realtà, tutta l’arte moderna ha avuto a che fare con l’osceno come “l’oltre-misura”].

    Nelle fiction tutto è invece ordinario, tutto è “in scena”. E trattarsi, per di più, di scena ingombrante, di vero e proprio modulo da esportare; un vero e proprio codice, anche recitativo. La cerimonia, per quanto funebre possa apparire “a un essere pensante” (!!), è vitale, giacché riesce a farsi matrice da riprodurre.

    E poi, siamo davvero convinti che la fiction manchi “di illusione, di segreto e di mistero”? In base a quale analisi si giunge a questa conclusione? Mia madre, grande consumatrice di fiction, riesce a trovarli, degradati fin che si vuole, ma a suo modo li trova. Mia madre è un essere non pensante? No, pensa in base alla sua esperienza di vita, e talvolta ha dei colpi di genialità (ad esempio sulla situazione politica) che neanche l’intellettuale più attento riuscirebbe a tirare fuori. Eppure gode nel guardare le fiction. Che cosa le trasmettono? Questa è la domanda interessante da porsi: a quale bisogno rispondono le fiction?

    Ora, se la nostra situazione coscenziale è ai minimi livelli, se il berlusconismo trionfa, e Marchionne ha consenso, è anche grazie alle fiction, a quel reticolo di banalità che attirano milioni di telespettatori. Ma se riescono ad attirare non è perché sono oscene, bensì proprio per il contrario: perché sono attraenti; l’osceno, se è veramente osceno, aggredisce e solo in un secondo tempo, ad un livello più profondo, attira a sé. Nelle fiction non c’è traccia di disgusto. Se un “essere pensante” (!!) prova disgusto, è perché sta anteponendo se stesso alla natura della fiction; un osservatore interessato a capire, uno studioso di costume, un semplice curioso interessato all’umanità, dovrebbe dimenticarsi e guardare la fiction come linguaggio. Com’è strutturato questo linguaggio?

    E qui vengo alla recitazione. Non è vero che la recitazione “è assente” e che l’attore di fiction “non sa recitare”. Non è vero! Quel tipo di linguaggio richiede un certo tipo di recitazione, e richiede interpreti in grado di garantirla. E l’interprete più adatto è proprio il “bravo attore di accademia”. Al di là di alcune parti principali, di solito assegnate a nomi di richiamo, tutta la “manovalanza” che recita nelle fiction è composta da ex allievi di scuole di teatro, bravi a stare dentro il contenitore, bravi a parlare quella lingua. Alessandro Preziosi e Luca Zingaretti sono i due nomi-simbolo, ma potrebbero essere fatti centinaia di nomi di attori “di accademia” che partecipano a fiction televisive. La fiction richiede un tipo particolare di recitazione: non finta, certo; per dirla nettamente: una recitazione privata dell’osceno.

    Il problema vero, ed è un problema pressante, è che quel tipo di codice recitativo è tracimato al di fuori della televisione, invadendo non solo la pubblicità, ma anche il teatro. E contribuendo a creare (non da solo, certo) un orizzonte di attese da cui è difficile tirarsi fuori …

    NeGa

  4. Acuto e pungente, ma fare questo tipo di considerazioni prescindendo dai problemi dell’industria televisiva italiana ha molto poco senso secondo me. E’ divertente giocare con il concetto di osceno, ma rimane tutto un gioco di parole se non si tiene in conto il modo in cui quella roba arriva sullo schermo e il contesto all’interno del quale viene prodotta. E si finisce a dire che quello che c’è in TV è quello che vuole il pubblico, che è lo stesso discorso che farebbe Saccà.
    La posizione non è mia e non è specificamente italiana, ovviamente. E’ un atteggiamento tipico di chi pratica i television studies, ad esempio. E si vede, in questo caso, come non tenere in considerazione le problematiche industriali possa portare a dare significati distorti a un testo televisivo.
    Secondo me, infatti, quelli che qui vengono indicati come i meccanismi di funzionamento della fiction italiana sono in realtà i meccanismi di MALfunzionamento di un’industria culturale malata.

    Per dirne una: gli sceneggiatori italiani, spesso, prendono compensi che variano da un decimo a un terzo dei corrispettivi di altri grandi paesi europei. Può capitare di scrivere un episodio per una fiction di prima serata per un compenso di “3.000 euro se ci metti il nome, 5.000 senza”. Si vociferava che i “soggettini” delle puntate di Don Matteo venissero pagati 50 euro l’uno. Il tutto in un regime di completo asservimento alla dirigenza del network, che può stroncare carriere a piacimento e quindi fa ciò che vuole, richiedendo interventi sul testo secondo logiche che nulla hanno a che fare né con la narrazione né con i gusti del pubblico.
    Non invidio gli attori che si trovano a dover recitare dialoghi nati deformi dopo aver subito questo trattamento intossicante, e mi sembra ovvio che i più bravi fuggono appena possono, e che quelli che rimangono non ce la fanno a recitare decentemente. Senza parlare del modo in cui vengono fatti i casting, cose di cui abbiamo letto tutti sui giornali.
    In più, per esempio, in America c’è una precisa gerarchia all’interno della struttura produttiva di una serie: il writer-producer ha la parola finale su tutto, ed è lui a negoziare le censure o le richieste del network, che ovviamente ci sono anche lì. Ma in Italia, per quel che ne so, spesso non c’è una gerarchia chiara: lo sceneggiatore e il regista magari neanche si sono mai visti, e ognuno prende decisioni e dialoga con i dirigenti autonomamente.
    Una fiction non è un romanzo, è una struttura produttiva molto complessa che richiede una certa organizzazione e una certa professionalità. Se queste cose mancano, è ovvio che il risultato farà schifo.

    Ora, la domanda è: perché i network possono permettersi di andare avanti con robaccia messa insieme alla meno peggio? Come mai non hanno bisogno di fare prodotti non dico validi, ma almeno decenti? Il punto è che il sistema televisivo italiano è immobile, completamente soffocato da un lato dalla stretta della politica sulla RAI, dall’altro dal monopolio berlusconiano della TV commerciale e poi della TV in quanto tale. Non ha senso dire che alla gente piacciono le ford a pois colorati se l’unica macchina che esiste sul mercato è una ford a pois colorati. Tant’è che l’unico produttore italiano di fiction che ha interesse a essere concorrenziale, Sky, è quello che finora ha fatto le cose migliori (Boris e Romanzo criminale, ad esempio).

    Il gusto del pubblico si forma e si evolve nel tempo nel momento in cui viene sufficientemente stimolato. Il nostro sistema televisivo, anomalo come molta parte del capitalismo italiano, è fermo al 1994, o anche prima.

  5. la fiction è oscena un po’ dovunque: avete mai visto una serie tedesca o belga o francese?

  6. Il campo delle fiction è un vero e proprio campo di battaglia. bisognerebbe discuterne a fondo e capire. molte cose comunque sfuggono. Grazie per l’articolo che offre ottimi spunti di approfondimento e discussione. Per continuare a discutere il problema sollevato da Kosmodromo: esiste un mercato europeo schiacciato – con rare eccezioni – su un pubblico potenziale di livello medio/basso. Ma il mercato europeo (in fondo siamo sempre lì, a sta cazzo di UE) potrebbe essere – se coordinato in modo intelligente con investimenti europei mirati – un mercato capace di produrre fiction di livello medio/alto (essendo l’europa, nonostante tutto, ancora l’europa, un posto mediamente colto più di qualsiasi altro posto nel mondo, non mancherebbe il pubblico e si potrebbe per di più esportare). Penso sia una scelta suicida quella di non voler competere con gli States al loro livello. Andrebbe comunque ricordato che per quanto riguarda la TV generalista degli States (per non parlare di quella Uk e perfino di quella tedesca o francese) sono tutti messi più o meno come noi (e forse andrebbe anche detto che una TV pubblica con programmi come quelli che ha fatto RAI 3 in questi ultimi decenni non esiste né in Francia né in UK né negli States).

  7. Credo che il problema non sia tanto la fiction, quanto la realtà stessa : quello che vediamo in televisione è mortifero perchè è una copia della copia e ,come tale, è doppiamente soffocante.. già nella vita si recitano ormai quelle battute, è pieno di Cettine e tronisti e non si sa bene chi sta recitando cosa….forse in U.S.A. sanno ancora sognare, o sono gli studios che hanno ormai sostituito bellamente la realtà con le loro fantastiche avventure da propinare agli esausti videocatalettici?
    ( incubo alla Matrix)

  8. Sono d’accordo sull’uso del termine “osceno”, applicato non solo alle fiction italiane, ma alla produzione televisiva di intrattenimento tutta, ma solo se inteso nel suo senso di sconcio, sconveniente, che offende il senso del pudore. Insomma, qualcosa che offende il gusto e l’intelligenza.
    Strano come nessuna delle etimologie più comuni rechi quella classica, che fa derivare il termine da Osci, la popolazione italica che al tempo dei Romani era ancora nota per i suoi spettacoli popolari ricchi di riferimenti sessuali, battutacce salaci, crassi doppi sensi ecc. Di fatto, quello che è stata per tanti anni la commedia all’italiana dei film di Franchi e Ingrassia, di Lino Banfi prima maniera (prima che decidesse di smettere i panni a lui più adatti del comico popolare), delle varie Giovannone Coscialunga ecc.
    Mi pare che non sia difficile concludere che lo squallore delle fiction all’italiana (a parte rarissime eccezioni, come Montalbano o la Piovra) sia il risultato di una incapacità degli attori di recitare, degli sceneggiatori di sceneggiare, dei registi si dirigere ecc. E tutti sappiamo perché. Perché tutta questa gente non occupa questi posti per capacità, ma per compiacere questo o quel politico, questa o quella chiesetta o cricca.
    L’Italia ha ancora degli ottimi attori di teatro, e a teatro non si può barare, pena il fiasco. Quelli nelle fiction non li vediamo mai.
    Non sono le fiction ad essere oscene, ma tutta la società italiana. La “cultura” italiana è oscena, l’università italiana è oscena. Come i fantocci tristemente osceni che hanno preso il potere e si divorano le ultime briciole della torta, masticandole con le loro mascelle di scheletri, in una dance macabre agghiacciante.

    @ kosmodromo
    un discorso a parte merita la fiction made in UK. Assolutamente diversa da quella del resto d’Europa. Da noi arriva solo la serie di Barnaby e Lost World, perché quelle più geniali non troverebbero mercato da noi, tutte giocate sulla battuta, sull’humour tipicamente britannici, sulla satira. Altrettanto dicasi per le fiction storiche o tratte da grandi classici della letteratura inglese, fatte con tale arte che gli USA si sognano. Io ho vissuto a lungo in Inghilterra e posso confermarlo.

  9. Non capisco bene la tesi.
    Se i protagonisti parlano come HAL 9000, i personaggi sono idealizzati (“come lo vorrebbe ogni mammà) e perfino gli arredi sono finti (“i loro interni borghesi da esposizione Divani&Divani”), perché si sostiene che la fiction italiana è “troppo reale”? Mi sembra piuttosto un goffo tentativo (la fiction) di spacciare per reale l’ovvio, il che forse basta a definire i prodotti di serie B (o C, o Z, vedete voi, non sono molto interessato a infierire).
    “Le mani sulla città”, è un film in cui tutto, dalla vicenda, ai dettagli tecnico-giuridici, alla recitazione, è estremamente reale e realistico; è spazzatura? O per caso pornografia?

  10. D’accordo con l’accezione negativa del termine oscenità in relazione alle fiction contemporanee.

    Uno dei problemi che reputo fondamentali in Italia e che, di conseguenza, impedisce lo svincolarsi effettivo delle sceneggiature da quelle strutture narrative ben codificate, che tendono alla perversa banalità, è quel costante sottovalutare, da parte degli italiani stessi, la scrittura creativa; questa al contrario, in America, è considerata uno dei veicoli più efficaci con il quale, un qualunque sceneggiatore di talento può permettersi, in piena autonomia, di sottrarre il suo testo alla contaminazione commerciale ottenendone, finanche, un dato riconoscimento.

    A predominare è l’idea del successo: nel preciso momento in cui una fiction si afferma prepotentemente sullo schermo, non importa chi l’abbia sceneggiata o quali valori, questa, voglia trasmettere.
    Ciò che conta è che questa serie televisiva abbia ottenuto il consenso da parte dei suoi telespettatori e, di conseguenza, viene a crearsi un circolo vizioso per il quale si tagliano fuori dalla scena numerosi scrittori dalle idee valide.

    Se in Italia si desse la possibilità a molti di coloro i quali fanno della scrittura un motivo di vita reale, forse, si vedrebbero trasmesse meno oscenità e si aprirebbe il canone in una direzione diversa, pubblica, migliore.

  11. Ora, la domanda è: perché i network possono permettersi di andare avanti con robaccia messa insieme alla meno peggio?

    Boris – Gli occhi del Cuore spiega in modo abbastanza chiaro come “funziona” la fiction in Italia .
    Verso la fine di Boris – 3 il discorso di Lopez a Renè è abbastanza illuminante da questo punto di vista :)

  12. la tv italiana anzi mondiale e un autentica merda.

    attori che non sanno nemmemo parlare , deficenti raccomandati, le attrici oltre che

    deficenti, fanno vomimare con i loro volti rifatti.

    il mondi si e capovolto.

    gli idioti sono famosi , mentre la gente che vale fa la fame.

    rimpiango i veri attori di una volta, rimpiango i grandi cantanti di una volta.

    ora ci sono soli idioti che non facendo niente , guadagnano una barca di soldi.

    i comici di una volta, moto vianello , solo idioti hanno invaso la tv.

    non so come la gente rida, a me fanno vomitare.

  13. La fiction in generale e don matteo in particolare, sono la celebrazione della mediocrità, che dietro le quinte del buonismo, si da molto da fare per soppiantare la libertà d’espressione, con assolutismi astratti di una realtà sociale decadente che si vuol far passare più civile, rispetto ad altri popoli.
    La schiavitù mentale di questi tempi è molto difficile da sconfiggere

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