di Enrico Capodaglio
[Con Piazza del popolo, Pesaro ha inizio una rubrica dedicata alle piazze curata da chi sta scrivendo questa nota. Non so quante saranno. 21 quante sono le regioni? Non so. 5 quante sono le province marchigiane? Non penso. Ma in questo « foglio » di Enrico Capodaglio che ringrazio molto viene ricordata – tirata in ballo un’altra piazza: san Petronio a Bologna, e dunque le piazze sono già due, “del popolo” a Pesaro e “san Petronio” a Bologna; due piazze e in verità anche una specie di slargo, o forse un incrocio, quello del sogno che fa l’anziano Isak Borg “durante la consueta passeggiata mattutina in una zona sconosciuta della città” e s’imbatte “con il quadrante senza lancette”; due piazze, una sorta di incrocio, e anche il mare che “non ha un centro e non è civile come noi” (ar)]. |
Dove vai? In piazza. Un’esperienza che a molti americani è negata, un centro del centro che esiste con la sua forza magnetica, anche se non ci vai mai, come il mare d’inverno che non vedi per settimane, ma c’è, romba, sussurra, complotta, ti carezza i piedi nudi. Tra la piazza del popolo, centro del centro, e il mare, che si apre a un infinito illusorio quanto realissimo, si direbbe che abitare in questa città sia una fortuna. Ma come fai a dire se vivi bene in una città quando essa nei decenni non dico si identifica con te ma è la sintesi di esperienze incompiute che non riesci a governare in una vita, figuriamoci in un nome: Pesaro, intriso di affetti e di emozioni come una spugna.
Non dirò degli edifici che circoscrivono piazza del popolo, il palazzo ducale, il comune, il palazzo Baviera, la chiesa di san Domenico, trasformata in sede centrale delle poste, con l’atroce insegna del bancomat lampeggiante dal portale malatestiano, né dei giorni in cui l’ho vista piena: i festival della felicità del PD, i personaggi recitanti e cantanti, i politici dibattenti, i mercati di fiori, di libri, di formaggi e di cioccolata; i cerchi di cittadini che ancora vi si riuniscono come un tempo a Bologna, in piazza San Petronio, quando i vecchi operai del PCI accoglievano gli studenti spauriti.
Non mi soffermerò sull’orologio, che segna un’ora incongrua, e mi ricorda quel film (o era un sogno?) di Bergman, Il posto delle fragole, con il quadrante senza lancette. Ma di una mendicante che sta seduta sui gradini del palazzo ducale, forse albanese, minuta e belante nella sua figura esile di non più di cinquanta chili. E che mi ha fatto pensare a quanti anni ho impiegato per mettermi anch’io seduto su quei gradini, quasi fosse un cedimento di status. E a come libera invece stare seduto in basso, all’altezza delle ginocchia dei passanti, e guardarli, non dai tavolini di un bar, legittimato e pagante, ma da un sito umile e sconveniente.
Dopo pochi secondi mi sento leggero, non devo più andare in nessun posto né fingere di andarci, non devo tutelare una storia, corrispondere a una professione, tenermi dritto e mimetizzarmi in una corsia civile.
La notte scende e il cielo si fa di cobalto con una luna potente in mezzo e io sono ancora lì, attraverso uno sconosciuto vicino a me, fronteggiando le battute di un’amica che passa come una meteora. Gli impiegati del comune escono dal portone, sotto i portici, con gli assessori, giornali sotto il braccio e cellulari all’orecchio, camminando avanti e indietro, in un raptus di efficienza. A modo loro anch’essi giocano al politico come io gioco al contemplativo. Un mio studente (o sono io che sono suo?) mi fa cenno sorridendo, tutti e due stupiti di ritrovarci tra gli altri, non in mondi didattici a parte. Anche il gioco del leccaggio delle vetrine si è diradato e io penso, scrivendo questo foglio, che una piazza conta quando è vuota, non meno di quando è piena, perché un vero centro sa reggere il vuoto, basta che ci sia e non venga meno, magari con una fontana barocca coi tritoni in mezzo e un bambino che si sporge per tuffarsi.
Allora mi sono messo a camminare, posando il piede sempre all’interno delle mattonelle del portico, gioco che facevo da bambino e che ancora oggi mi piace, per esempio poggiando il piede solo sulle strisce bianche. Vedere la società come un gioco da adulti fa capire molto e rende pazienti. La piazza, il contrario della pazzia, dà quest’idea di famiglia allargata, di tombola di fantasmi, di teatro all’aperto, di sala da ballo gratuita. C’è da stupirsi che una ragazza non sbuchi dai portici danzando in uno slancio di allegria. In questo porto franco della democrazia, tutti i giocatori prima o poi passano e confluiscono, riconoscendo di esserlo, magari scaldando la mano sul mattone di una facciata dove batteva il sole o attraversandola di corsa senza una meta o comprando un giornale scelto lì per lì, per dire che anch’essi sono come te di questa città, che è di tutti e non è di nessuno.
E come passeggiando lungo il mare prima o poi mi viene voglia di andare in piazza del popolo, perché il mare non ha un centro e non è civile come noi, benché la sua pazzia sia di origine divina, così stando in piazza mi viene voglia di andare verso il mare, perché non ha storia e non ha facciate. E vedo che la stessa idea è venuta a tanti altri che camminano con me veloci lungo la riva buia, già sognando l’intimità di quella grande stanza.
[Immagine: Piazza del popolo, Pesaro].
Ma non erano venti le regioni in Italia? C’è stata una secessione padana negli ultimi mesi?
Giovanni ha ragione ma i ricordi delle Elementari sono indelebili.
Il nostro sussidiario diceva 21, ma le regioni erano 20; perché?
è che in verità 21 ne vennero istituite nel ’46; ma nel ’47 la ventunesima regione venne “sospesa”. Si tratta della Emilia Lunense, oggi detta Lunezia.
Un cordiale saluto
…anche i miei sono ricordi delle elementari. Da noi il sussidiario parlava di 20 regioni. Cos’è la Lunezia??
http://it.wikipedia.org/wiki/Lunezia
“attraverso uno sconosciuto vicino a me”
ad ogni passo di questa passeggiata sboccia un simbolo, una prospettiva inversa, una prigione, o una selvaggia possessione
o una bellissima passeggiata