di Clotilde Bertoni
[In vista dell’assegnazione dello Strega 2013, pubblichiamo alcune opinioni: sul Premio nello specifico, anche sui premi letterari in generale. Non diteci che siamo catastrofici o invece che siamo scontati. Mica sono nostre. Trovate gli autori in conclusione (cb)].
“Dal giugno all’ottobre i premi letterari piovono come le saette su tutta l’Italia […] In un Paese come il nostro, dove non c’è appalto per qualche opera pubblica, strada, ponte, diga o aeroporto in cui non vinca la frode o la corruzione, figuriamoci se le cose possono andare più lisce quando si tratta di premiare il tal libro anziché un altro […] Da quando la letteratura è diventata anche un affare, legata all’industria dell’editoria, alla pubblicità, al giornalismo, sulle giurie che decidono i premi, oltre alle consuete raccomandazioni e postulazioni […] si esercitano le ben più persuasive pressioni degli editori […] Che fare?”.
“Soltanto un Premio, in Italia, riesce a funzionare egregiamente. Non v’è dubbio che il Premio Strega abbia tutti gli elementi per riuscire insopportabile: cornice mondana, votanti spesso ignari di letteratura, spirito di “côterie” romana, ricatti dell’amicizia. Ma si vede che un Premio, per riuscire, deve caricarsi, fino alla saturazione e alla nausea, di questi nutrimenti velenosi […] gli ultimi verdetti […] sono stati encomiabili […] È un Premio che arrischia poco e difficilmente fa buon viso ai libri più giovani, o a quelli che rompono troppo con le abitudini. / Ma esso riesce, con una puntualità curiosa, a raggiungere gli scrittori italiani proprio nel momento in cui stanno per uscire dalle ristrette cerchie letterarie e vengono adottati dal gran pubblico”.
“Lo Strega, si sa, è solo in apparenza un premio democratico e plebiscitario […] Il successo della narrativa italiana e dell’industria editoriale ha trasformato quelli che erano all’inizio semplici legami di gusto o d’amicizia in rapporti ben definiti, in veri e propri partiti. / Si vota a gruppi, spesso seguendo l’indicazione d’un ‘grande elettore’, e qualche volta senza neppure aver letto il romanzo prescelto. Gli interessi che circolano intorno al premio sono imponenti: il romanzo che ottiene il maggior numero di voti […] può contare non solo su una vendita sicura di qualche decina di migliaia di copie, ma anche su alcune traduzioni all’estero. Ecco, perché, più che l’effettivo successo di pubblico raggiunto da un libro, è necessario individuare l’orientamento dei grandi partiti letterari”.
“L’acqua letteraria, sempre un po’ torbida, macina allo stesso modo da anni. Ci vorrebbe soltanto un po’ di decenza […] il Premio Strega va riformato, eliminando le persone non addette ai lavori e restringendo il numero dei votanti”.
“Tempo di premi, tempo di patemi […] la nostra società letteraria è scesa in campo per la battaglia termale-poetica, a colpi di schede. Forse un giorno uno scrittore graffiante […] si prenderà il lusso di raccontare la vera storia di un ‘Premio Strega’ o di un ‘Premio Campiello’, e allora avremo finalmente il nostro vero romanzo giallo, il nostro filone mafioso-letterario”.
Il primo brano è compreso in un corsivo redazionale di “Paese Sera-Libri”, Stagione di premi, 16 giugno 1961.
Gli altri vengono dal “Giorno”; nell’ordine, dai seguenti articoli:
Pietro Citati, Il più serio è il più mondano, 6 settembre 1960;
Andrea Barbato, Tra i favoriti Landolfi e la Ginzburg, 5 giugno 1963;
Pietro Bianchi (evidentemente non il nostro, ma il suo omonimo dell’epoca, critico cinematografico anche lui), Nelle lotterie dei premi meno giudici e facce diverse, 26 giugno 1968 (il pezzo teneva dietro all’articolo con cui due giorni prima, sempre sul “Giorno”, Pasolini aveva annunciato il suo ritiro dalla competizione per lo Strega: già ripubblicato nei Meridiani, l’articolo è stato rilanciato due anni fa dal “Fatto Quotidiano”).
Nantas Salvataggio, L’estate a caccia del serto di alloro, 7 giugno 1972.
I nostalgici del tempo che fu sono serviti. Potrebbero replicare, d’altronde, che all’epoca i concorrenti erano diversi. Ma anche allora ce n’erano di scadenti, come adesso (ogni tanto) ce ne sono di notevoli. La discussione è aperta.
[Immagine: Alessandro Piperno al Premio Strega 2012].
Vi faccio un regalo, questo.
In fondo non c’è scandalo da tempo. Il vero scandalo sarebbe solo quello di riconoscere (e sostituire il termine relativo) che non solo il premio Strega, il nazionalpopolare per antonomasia, ma anche altri dell’edito meno blasonati a scendere (Viareggio, Campiello, Bergamo, Napoli ecc. con diverse nuances, ovviamente; basta vedere anno per anno le cinquine, che con piccole variazioni rigirano il già visto), sono premi editoriali, di scuderia e che per la famigerata fascetta, leva di marketing che solleva il venduto, è naturale che ci si spenda con maggiore o minore intensità, specie in considerazione del restringimento della volumetria degli spazi espositivi in concomitanza, invece, con l’elefantiasi della produzione, senza sbocco appunto di vetrina (senza contare poi la giungla delle piattaforme digitali di vendita e i costi di stoccaggio-distribuzione-produzione; per la serie si combatte con il coltello fra i denti anche per la più fetida fascetta, figuriamoci per il Ninfeo di Villa Giulia…)
La cosa che spesso non capisco – exploit odierno a parte del personaggio più che dello scrittore Busi – è perché molti scrittori che ne contestano l’assunto e le metodologie vi partecipino e magari con una punta di disgusto lo vincano (vedi l’ottima fotografia del film “Senza scrittori”). Magari un tantino di consequenzialità sarebbe d’uopo o no?
Aggiungo alle testimonianze offerte una un po’ vecchiotta, ma di autore di certo dotato di una qualche ‘autorevolezza’ in tema di romanzo:
“[…] che versi sono quelli che ha ora per le mani, che il signor suo padre m’ha detto che la rendono alquanto irrequieto e distratto? Se si tratta di qualche glossa, io me ne intendo un po’ in materia di glosse e mi piacerebbe conoscerle; se poi si tratta di versi per una gara letteraria, la signoria vostra cerchi di ottenere il secondo premio perché il primo lo consegue sempre il favore o l’importante grado della persona; il secondo solo il giusto merito; così il terzo viene ad essere il secondo e il primo, in base a questo conto sarà il terzo […]”
Miguel de Cervantes Saavedra “Don Chisciotte della Mancia” (II.18)