di Massimo Rizzante
[Pubblichiamo quattro poesie tratte da Scuola di calore di Massimo Rizzante, pubblicato in questi giorni da Effigie. Nel Post scriptum dell’opera si legge: «È un dato: tutte le civiltà sono nate dal sopruso, dallo sfruttamento, quando non dalla guerra fisica o psicologica che gli uomini hanno fatto alle donne. Quando penso alla Storia, mi viene in mente un mattatoio attorno al quale un gruppo di maschi, sazi del lavoro compiuto, danzano in piena erezione. La donna soccombe, e ogni volta che una donna soccombe alla monolitica virilità dell’uomo è un pezzo di civiltà che se ne va. Non è una sconfitta della donna, ma dell’uomo che non è riuscito a far propria la sua parte di femminilità, cioè dell’uomo che non è riuscito ad accogliere la fragilità come valore e che perciò continuerà a mutilare e a rendere inferma la donna, oltre che se stesso. Ora, questa fragilità per me è il valore supremo, è l’essenza della femminilità e l’essenza di una civiltà. Finché sarà maltrattata non ci sarà una vera civiltà. E questo perché la fragilità non è solo dolcezza, generosità, tenerezza, ma una virtù più sottile. La fragilità, così come la intendo io, cede, cede sempre, ma mentre cede assimila e assimilando rigenera. È nemica di tutti coloro che vogliono avere assolutamente ragione. Si rivela così come quell’intelligenza in grado di appropriarsi – di arricchirsi cedendo, di rigenerarsi assimilando – di tutte le voci contraddittorie e disperse nel mondo e di rivolgersi a ogni singolo individuo, serbandone l’eccezionalità e il diritto a essere riconosciuto»].
Essaadia
Mia sorella Rajah si chiama così perché è la regina
dell’attesa. La cosa che ama di più è osservare
il suo sentimento d’impotenza racchiuso nel flacone
mezzo vuoto dello smalto per le unghie
L’osserva crescere come un feto minuscolo e, quando sta per nascere,
taglia con una forbicina il cordone ombelicale, lasciandolo
sanguinare per ore. Poi si misura la febbre. Esce di casa:
ha una relazione clandestina con la sua tosse
Quando rientra, la sua voce è rauca, come un palmipede
che per tutta la notte abbia starnazzato sulla neve.
Una zampa le ha perforato l’esofago, l’intestino tenue,
e le preghiere pronunciate nell’ebbrezza del digiuno
Rajah attende che qualcuno scenda nel pozzo dei suoi occhi
e pianga per lei tutti i morti che scricchiolano come radici mendicanti
sotto il freddo inverno dell’Atlante e non la lasciano dormire.
Su quale sponda del letto le chiederanno «Sognami»?
Io vivo perché Rajah ritorni a questo mondo, perché la proliferazione
di palmipedi sventrati nella neve abbia fine. Spero che il mio essere
così insignificante l’aiuti a vestirsi, a truccarsi, a smettere di succhiare
i vecchi seni di nostra madre. A non evacuare nell’armadio
Dopo aver ripulito, mi chiedo se il bene, il male, la giustizia,
l’ingiustizia, non siano che merda depositata sulla punta delle dita.
E la povertà, nient’altro che un ramo troppo lungo
che deve essere potato affinché la sua ombra duri in eterno
Malia
Sono venuta a questo mondo portando
con me molti crimini e soltanto una lacrima
di pudore che in una notte fitta come un porcospino
ha punto il tuo senso di colpa sigillandolo di sale
Nei versetti dei miei antenati nessuno è innocente:
neppure chi scaglia la prima pietra. Infatti, Kamal, solo la pietra
è innocente, e il suo desiderio è già una montagna di orrori
che nei manuali di storia si rincorrono a quattro cifre
Meglio l’indigenza che le orbite vuote di una statua,
meglio la disperazione che il registro con le firme degli invitati,
meglio la cancrena che il fiore appassito tra le pagine di un libro,
meglio i funghi velenosi che essere giudicata
Mio padre una volta lo fece. Ora l’edificio
della sua ragione sta franando sotto il peso
del mio letto vuoto: un vecchio divorato da un branco
di molle che gli sussurrano che l’ora del lupo è alle porte
Ma sono già troppo ubriaca per infilare nel buco
del passato la chiave dei ricordi. Ciò che importa
è che per te non sono ancora un fossile.
Perciò accetto le tue punizioni, anche le più infantili
Lo stile di agosto, dopo un amplesso, è sempre lo stesso:
grilli moribondi, insonnia, torture al ventre, e infine troppe ore
a fissare i crittogrammi delle crepe che il tempo, quel piccolo
burocrate alcolizzato, si diverte a scrivere sui muri
Lamia
La nostalgia assomiglia a Dresda. Dopo il bombardamento
di San Valentino le sirene urlano a vuoto. Inutile
il coprifuoco. Ridicoli i bunker. Kurt, un sopravvissuto,
contempla da un mattatoio il barocco delle rovine.
Qui, invece, le case in rovina sono un classico.
Gli uomini hanno sempre gli stessi nomi: Aziz, Hasan,
Said, Anuar, come quei gemelli nomadi ad Auschwitz
su cui Mengele sperimentava i guasti del codice genetico.
La morte è uno scienziato tedesco? O come disse un poeta:
«La parola è ape, ma il silenzio è miele». Figlio di un impresario
e di una francese, combatté i due mali degli apicultori:
l’analfabetismo e la torre d’avorio. Si sparò in bocca.
Lezione ignorata. Ma non da Juan e dai suoi amici del Socco,
a cui basta guardarsi negli occhi. «La verità è figlia del crimine
e madre del dolore», mi è sembrato di capire. «Sempre che il parto
non sia gemellare». «Sempre che si sia scampati al fenolo».
«In questo caso i due feti si dispongono a 69,
che è il numero della violenza e dell’imperfezione».
«E dell’equilibrista che in punta di piedi su una corda
dimostra che c’è giustizia e compensazione»
«Sempre che da adulti si sia praticato il sesso orale».
«Solo così le anime gemelle parlano la lingua
perduta delle api». «Sempre che le lettere ZW, Zwillinge,
tatuate nel campo, abbiano avuto il tempo di capovolgersi…»
Kawthar
Sulla strada per Ourika, al Km. 7, un giorno
mancò l’acqua. Così cominciò a piovere. Ma la pioggia
sapeva di fogna. Qualcosa di violento nei suoi scrosci
mi ricordò i piani abbietti per penetrare nel corpo di un altro
Dovevo difendermi. Dal fuoco della sete? Da chi mi avrebbe liberata?
La parola «incubo», nel pantano del dormiveglia,
cominciò a enfiarsi come un rospo. Mentre reclutavo le ultime forze,
m’accorsi che una larva di nome Larbi setacciava la mia fica
È inconcepibile che in questa terra di precetti divini
una vedova debba essere sfondata da un membro tanto umano,
com’è impossibile che la carne a cui è stato amputato un seno
non senta ancora i morsi del figlio che ha allattato
Eppure una donna che affitta una stanza di nascosto
dai suoi parenti, è condannata ad abbracciare due continenti
separati da uno stretto vortice di uomini
che le sue cosce divaricate si ostinano ad accogliere
Ci sono momenti, come questo, in cui penso
che se non avessi incontrato Larbi, la mia vita sarebbe
un letto lastricato di date decapitate delle prime due cifre
da una ghigliottina di amplessi privi di corde vocali
Al contrario di Larbi, non ho mai posseduto un mio bozzolo.
Ma, sulla strada per Ourika, dove da non so più quanto tempo
manca l’acqua e una pioggia abbietta scheggia le ossa, ho capito
che non si può per sempre essere nemici dei bachi da seta.
[Immagine: Cindy Sherman, Untitled #96 (1981) (gm)].
Emozionanti come sempre
Un poeta italiano contemporaneo che scrive in una lingua concreta e non ripone la materia emozionante tutta nella lingua, ma anche fuori, nel mondo!
Un grazie ai redattori
La stessa concezone di Scorsese e degli americani. Non le civiltà, non le conosciamo tutte.
Dovremo studiARCELE BENE, IN ANTROPOLOGIA. Cosa intendiamo per civiltà? Quelle patriarcale, scritte dagli uomini? E ci sono anche gruppi pacifici dell’Amazzonia, i pigmei, i boscimani, cui non abbiamo permesso di svilupparsi, che abbiamo distrutto. Basta leggere Marcia Theophilo. Noi abbiamo distrutto tutte le civiltà preesistenti. Siamo noi ad aver costruito la civiltà migliore? Pongo il dubbio. Una civiltà che ancora fa guerre, eternamente, che sfrutta la terra, che distrugge o assimila gli altri popoli, le altre culture, che ha fatto le Crociate, la caccia alle streghe e bruciato tutti quelli che non la pensavano in maniera conformistica.
A partequesta concezione storica e antropologica, le poesie sono molto belle.
Un po’ misogine eh? La povera sorella così bistrattata poteva anche essere aiutata, visto che aveva un retaggio culturale e storico patriarcale… Non c’è amore neanche per Larbi. E’ la società individualistica e narcisistica che viene espressa in questi versi, molto ricchi di suoni, durezze semantiche e cuna cifra stilistica personale.
La banalità del male..A.Harendt
Freud, pur ammettendo la violenza nel Disagio della civiltà,, sostiene che niente è più in grado dell’amore di contenere la violenza omicida aperta in seno alla civiltà…..noi abbiamo compreso non soltanto che la violenza omicida può diventare ben più mostruosa di quella delle trincee, , delle mitragliatrici, dei gas, dei lager di tutti i tipi, della violenza nazista e razzista, della distruzione di etnie e culture, dei figli piccoli e in servizio di leva (intere generazione che vanno alla morte). Infatti al continuo tentativo di sterminare queste etnie., si contrapppone, sì, la resistenza, ma la violenza può estendere le proprie piaghe al di là dei combattimenti, può diventare violenza ideologica, finanziaria tecnica amministrativa, della criminalità organizzata infiltrata nel mercato, e anche violenza ecologica,di genere. E’ la civilizzazione stessa come disagio, come barbarie nell’impresa di conquista e di competizione…Allora come si può non credere che si stia producendo un disastro nell’amore? E nella vita dei singoli?
Sappiamo tutti che l’amore trasforma le persone. Questo mutamento fa trovare ridicoli certi comportamenti, perchè continuiamo a ruotare intorno a un nucleo misterioso e potente. E infatti racchiude questo segreto della metamorfosi del sè
L’amore non è altro che il rapporto con il valore assoluto di una persona. Tutto il problema consiste nel fatto che il valore assoluto di una persona è anche il suo mistero assoluto. Per questo l’amore è pieno di rischi, di pericoli quanto lo è di bellezza forza e passione. Forse dovremmo imparare a considerare l’amore più adeguato all’anno Zero. Ma è certo che certe espressioni:Tu conti per me, pur contenendo il segno del contare, tipico del mercato, sta assumendo un valore diverso. Forse ripensare l’amore ci potrebbe far ricreare, rinnovare una società basata su valori di competizione violenta, di guerre, di discriminazione. Forse potemmo cominciare a com-prendere qualcosa di più del senso profondo dell’esserci senza schematizzare. (Nancy-Derrida)
Derrida su Toccare
J.l.Nancy, ed Marietti, Città di Castello, 2007