di John Dewey
[Pubblichiamo un’anticipazione dalla nuova edizione italiana di John Dewey, Individualismo vecchio e nuovo, a cura di Rosa. M Calcaterra, in uscita in questi giorni presso l’editore Diabasis. Gli articoli di Dewey sono stati scritti nel ’29, mentre incalzava la crisi, e pongono interrogativi tutt’oggi irrisolti, (it)]
Fino a non molto tempo fa, fra gli osservatori americani o stranieri della scena nazionale statunitense andava di moda riassumere i fenomeni della nostra vita sociale sotto l’etichetta di “individualismo”. Alcuni critici trattavano questo presunto individualismo come il nostro risultato più caratteristico, altri sostenevano che fosse la causa della nostra arretratezza, il segno di una condizione relativamente incivile. Oggi entrambe le interpretazioni sembrano ugualmente sciocche e antiquate. L’individualismo è ancora presente sui nostri vessilli e si compiono dei tentativi di usarlo come un urlo di guerra, soprattutto quando si desidera respingere il controllo governativo su qualche forma di industria fino a quel momento esente da controllo legale. Persino nelle alte sfere il rude individualismo viene lodato come la gloria della vita americana. Ma parole di questo tipo hanno poco a che fare con i fatti che animano quella vita.
Non c’è nessuna parola che esprima in modo adeguato ciò che sta accadendo. “Socialismo” è una parola che richiama associazioni politiche ed economiche troppo specifiche per essere appropriata. “Collettivismo” è un termine più neutro, ma anch’esso è più un nome di un partito che un termine descrittivo. Forse il ruolo in costante crescita delle società per azioni nella nostra vita economica ci dà un indizio per un nome appropriato. Si può usare la parola in un senso più ampio di quello espresso dal suo significato tecnico giuridico. Potremmo quindi dire che gli Stati Uniti si sono evoluti in modo regolare da un iniziale individualismo dei pionieri a una condizione di associativismo dominante. L’influenza esercitata dalle società per azioni nel determinare le attuali attività industriali ed economiche è sia la causa sia il simbolo della tendenza all’associazione in tutte le fasi della vita. Associazioni più o meno organizzate determinano sempre più le opportunità, le scelte e le azioni degli individui.
Ho affermato che la crescita delle società per azioni legali nelle industrie, nei trasporti, nella distribuzione e nella finanza è un simbolo dello sviluppo dell’associativismo in tutte le fasi della vita. L’epoca dell’ esplosione dei trust è ormai quasi completamente dimenticata. Non soltanto le grandi fusioni sono all’ordine del giorno, ma il sentimento popolare le considera con orgoglio e non con paura. Le dimensioni sono la nostra attuale unità di misura della grandezza in questa come in altre faccende. Non è necessario chiedere se il motivo dominante sia l’occasione di compiere operazioni speculative allo scopo di ottenere un guadagno privato o la possibilità di migliorare il servizio pubblico a un costo più contenuto. Le motivazioni personali contano molto poco come cause produttive in confronto alle forze impersonali. La produzione e la distribuzione di massa sono la conseguenza di un’epoca del vapore e dell’elettricità. Questi hanno dato vita a un mercato comune, le cui parti sono tenute insieme dall’intercomunicazione e dalla loro interdipendenza; le distanze sono eliminate e il ritmo dell’azione è enormemente aumentato. La concentrazione dei capitali e l’accentramento del controllo sono le reazioni immediate a questi fenomeni.
È necessario un controllo politico, ma il movimento non può essere fermato attraverso le leggi. Ne è prova la legge anti-trust di Sherman, che è pressoché caduta in un innocuo disuso. I giornali, le attrezzature industriali, le aziende di servizio pubblico che erogano luce, energia e trasporti locali, le banche, i negozi al dettaglio, i teatri e i cinema – tutti prendono parte al movimento che porta all’unificazione. General Motors, American Telegraph e Telephone Company, United States Steel, la crescita rapida delle catene commerciali, l’unione di società radiofoniche con società che controllano teatri in tutto il paese sono fatti noti a tutti. La fusione delle società ferroviarie è stata rallentata dalla politica e da difficoltà interne, ma sono in pochi a dubitare che anche in questo caso la faccenda andrà a buon fine. Il controllo politico del futuro, per essere efficace, deve assumere una forma positiva invece che negativa.
Il fatto è che le forze al lavoro in questo movimento sono troppo grandi e complesse per fermarsi per ordine della legge. A prescindere dall’infrazione esplicita della legge, ci sono molti modi pienamente legali per far proseguire il movimento. I consigli di amministrazione interdipendenti, l’acquisto incrociato di titoli da parte di individui e società, il raggruppamento in holding, le società di investimento con una disponibilità finanziaria sufficiente per influenzare la politica; in questi modi si raggiungono gli stessi risultati che si ottengono con una fusione esplicita. Ad un recente convegno di banchieri è stato comunicato che l’ottanta per cento del capitale complessivo di tutte le banche del paese è ormai nella mani di dodici società finanziarie. È evidente che ne consegue direttamente il controllo virtuale del rimanente venti per cento, fatta eccezione per qualche trascurabile istituzione avente importanza locale.
Un economista potrebbe moltiplicare gli esempi e dar loro una forma più precisa. Ma io non sono un economista e, comunque, i fatti sono talmente noti da non richiedere una minuziosa ripetizione. Per i miei scopi è sufficiente indicare l’influenza dello sviluppo di queste società sulla trasformazione della vita sociale da una faccenda individuale a una questione associata. Le reazioni a questo cambiamento sono psicologi- che, professionali e politiche; influenzano le idee che sono all’opera, le credenze e la condotta di tutti noi.
[…] Di recente si è richiamata l’attenzione su un nuovo fenomeno della cultura umana: la mentalità affaristica, che possiede un suo specifico discorso e linguaggio, interessi propri, gruppi privati in cui uomini di questo tipo, a titolo collettivo, determinano sia il carattere della società nel complesso sia il governo della società industrializzata, uomini che hanno un’influenza politica superiore a quella del governo. Non sono interessato qui al loro potere politico. Ciò che è significativo per questa discussione è che ora abbiamo, sebbene senza uno status formale o giuridico, un associazionismo morale e mentale che non ha eguali nella storia. […] Viviamo esposti al più grande flusso di suggestione di massa di cui sia mai stata fatta esperienza. La propaganda organizzata e la pubblicità soddisfano il bisogno di un’azione congiunta e il presunto bisogno di opinioni e sentimenti unificati. L’agente pubblicitario è, probabilmente, il simbolo che esprime al meglio la nostra vita sociale. Ci sono individui che resistono; ma almeno per un po’ di tempo, attraverso metodi di massa, il modo di sentire può essere confezionato su misura per pressoché ogni persona e ogni causa.
[Immagine: Stefano Fioresi, Jasper Johns Flag (2012) (gm)].