di Mauro Piras
“Not with a bang but a whimper”. A quanto pare, la fine di Berlusconi avviene a fuoco lento, non con un crollo, con una caduta da Grande Storia, ma con ritirate strategiche, occultamenti temporanei, ricomparse calcolate, accelerate improvvise, nuove illusioni elettorali, e poi di nuovo sprofondamenti nelle sabbie mobili del governo, e tentativi di colpi di scena che si concludono con patetiche retromarce, tra le lacrime.
Il voto di fiducia al governo Letta, mercoledì scorso, è un altro atto di questo stillicidio. Capire a che punto del percorso siamo non è facile. Circolano grosso modo tre interpretazioni, soprattutto a sinistra.
La prima, l’ottimista: Letta ha vinto, ha sconfitto Berlusconi, è nata una nuova maggioranza, che dà stabilità al governo, al di là dei numeri del voto; una maggioranza politica, più coesa, resa possibile dal gruppo guidato da Alfano, e dal rovesciamento dei rapporti di potere nel Pdl; grazie a questa operazione il governo non sarà più debole, e potrà fare le riforme; e soprattutto, ancora più importante, è finita un’epoca, Berlusconi è stato sconfitto politicamente, e quindi è finito il suo ventennio.
La seconda, la pessimista: quello ci tiene di nuovo tutti sotto ricatto; con la sua spregiudicatezza, con questa capacità incredibile di essere incoerente pur di avere quello che vuole, ci ha messi di nuovo tutti nel sacco, perché il Pdl resta unito intorno a lui, e cercherà quindi di porre veti e interdetti alla linea del governo, lo renderà sempre instabile, e il Pd pagherà come sempre in termini elettorali la sua ingenuità.
La terza, l’immobilista: moriremo tutti democristiani, qui l’inciucio è stato superato in qualcosa di più sapiente che rimette insieme i moderati (quelli veri) di una volta, taglia via gli esaltati del berlusconismo, e riduce di nuovo, come sempre, la sinistra al ruolo di comparsa, di eterna opposizione improduttiva; le forze del grande centro raccoglieranno i consensi di un paese sostanzialmente conservatore, e continueranno a governare a loro piacimento.
Tutte e tre sono ovviamente unilaterali, per ognuna ci sono dei solidi argomenti contro.
Non è vero che c’è una nuova maggioranza, almeno fino a quando il Pdl non si divide. Ma a quanto pare non ha intenzione di dividersi. Quindi, dentro questo partito è in atto una lotta per il potere dagli esiti incerti, in cui è difficile credere che Berlusconi si dia facilmente per sconfitto. E anche i cosiddetti “falchi”, o simili, non hanno intenzione di mollare la loro parte di potere. Quanto poi alla fine di un’epoca, ce ne vuole ancora. Tutto il Pdl continua a essere unito nella confusione (intenzionale) tra democrazia e risultati elettorali, nel piegare lo stato di diritto a proprio piacere, nella difesa incondizionata del capo, nell’interpretare il liberalismo come difesa di interessi di gruppi clientelari. Siamo ancora lontani dalla “destra europea” che molti auspicano.
D’altra parte, però, non è vero che Berlusconi ha il potere di prima. La sua possibilità di ricattare il governo è ben poca, ormai. Se il modo naturale per minacciare un governo è la sfiducia, chi crederebbe ancora a Berlusconi se dichiarasse di nuovo di voler “staccare la spina”? Per un bel po’ di tempo quest’arma è preclusa, e il governo può andare avanti. Inoltre, va ascritto a Letta il merito, grazie alla determinazione con cui ha chiesto il voto di fiducia subito, di avere trasformato la vicenda giudiziaria di Berlusconi in una sconfitta politica. Lo ha costretto a prendere posizione prima del voto sulla sua decadenza, e questo ha tolto ogni valore politico a tale voto. Infine, ha avuto la forza di tenere rigidamente separata l’azione di governo e la questione giudiziaria, aiutando il Pd a mantenere anch’esso, per una volta, una condotta lineare e unitaria. Vincente in Parlamento, e probabilmente anche in termini elettorali.
Quanto alla tesi “moriremo democristiani”, è la meno credibile. Questo è un problema del dibattito politico italiano, che deve sempre ricondurre il nuovo al vecchio arcinoto, per dimostrare che tanto nulla cambia. È il riflesso di tutti i conservatori (d’animo), incapaci di vedere quello che succede veramente, e paralizzati dalle proprie paure, in realtà. In ogni caso, non sembra proprio che si vada in questo senso. Alfano vuole prendere il potere nel suo partito; ha frenato sulla sfiducia perché ha capito che, per una volta, anche l’elettorato di centrodestra l’avrebbe fatta pagare cara al Pdl. Tanto più che aveva appena ottenuto diverse cose (l’abolizione dell’Imu, per esempio). E anche Berlusconi ha capito questo. Del resto, se si andasse verso la formazione di un grande centro la scissione ci sarebbe già stata, provocando una crisi simmetrica nel Pd. Invece no.
Detto tutto questo, a che punto siamo? Una cosa si vedeva prima di questa crisi, in questi mesi di vita politica surreale: l’unico ad avere una prospettiva politica, nel paese, è il Presidente della Repubblica. Fin dalla crisi di fine 2011, Napolitano ha tracciato un percorso ben chiaro: creare le condizioni per un governo stabile, per affrontare da un lato le emergenze economiche, dall’altro le riforme istituzionali. L’iniziativa economica deve essere del governo, quella di riforma del quadro istituzionale del Parlamento. Questa posizione si basa su una diagnosi: la crisi aperta a partire dal 2011, con l’impossibilità di andare al voto dopo la caduta di Berlusconi, e confermata dai risultati elettorali del 2013, ha radici lontane, è una crisi di sistema politico, iniziata dal collasso del 1992, e mai risolta nei due decenni successivi. I governi “trasversali” devono servire a costruire questa uscita da una crisi politica strutturale, non temporanea. Ma possono funzionare solo se le forze politiche si assumono la responsabilità di questa trasformazione, prendendo coscienza della gravità della crisi. Non è successo così sotto il governo Monti, né, per il momento, con il governo Letta. Ma l’ultima scossa forse sta cambiando le carte, e sta rendendo vincente la posizione di Napolitano.
Perché dico che solo il Presidente ha avuto, in questi mesi (lascio il periodo precedente, parto solo dalla nascita del governo Letta) una prospettiva politica? Vediamo gli altri attori politici. Il Pdl ha giocato solo su due tavoli: accontentare il proprio elettorato, con interventi come l’abolizione dell’Imu; e proteggere Berlusconi. Si è mosso quindi sulla logica di breve periodo, mirando a ottenere il più possibile vantaggi elettorali in caso di voto anticipato, e a preservare la sua identità, senza rischiare. Il Pd è, come è noto e come sempre, diviso. Ma le sue divisioni sono proprio frutto della mancanza di prospettiva, e di coraggio, quindi. Le diverse parti si attaccano alle loro identità, e in funzione di queste si rapportano alla posizione del governo Letta. Nessuna ha il coraggio di assumere pienamente la posizione del governo, giocando su una ambiguità impressionante. Su questo, sulla miopia politica del Pd, mi si permetta una digressione.
Ho fatto un piccolo esperimento, a settembre. Infliggendomi tre serate alla festa del Pd qui a Torino, sono andato a sentirmi, molto diligentemente, i tre candidati alle primarie per la segreteria del partito: Civati, Cuperlo e Renzi, in ordine di apparizione. Ne traggo le considerazioni che seguono, prima sul piano del pubblico, poi sui contenuti.
Pubblico. Da Civati c’era parecchia gente, lo spazio per i dibattiti politici era pieno, con molta gente in piedi. Ho visto molti ragazzi, molti giovani, alcuni arruolati nei gruppi di “civatiani”, ma anche altri. Diciamo: studenti universitari, e poi trentenni precari, quarantenni forse anch’essi precari. C’era anche una certa presenza di “base classica” del Pd, ultracinquantenni e seguenti, pensionati. Un bel clima, molta partecipazione. E un grande successo. Indubbiamente, c’era la base malmostosa del Pd, quella che non sopporta le larghe intese, che vuole l’alleanza con Sel ecc. Da Cuperlo, c’erano dei posti a sedere liberi. Brutto segno. Giovani, pochissimi (dico così per non sembrare esagerato, ma non ne ho visto proprio). Ho incontrato tutti i pensionati della scuola che conosco; e anche tanti altri che non conosco. Insomma, età prevalente dai cinquantacinque in su. C’era la base tradizionale del Pd: quella che ha paura per la struttura del partito, che ha paura che Renzi lo snaturi, che teme l’abbraccio con il Pdl, ma non può non seguire le indicazioni della segreteria. Quella che vuole essere rassicurata, insomma, nella continuità. E poi Renzi. Non era nello spazio dibattiti. Era ovunque. Il pubblico era in ogni spazio della festa. Migliaia di persone, venute a quanto pare tre ore prima, per sedersi. Gli ingenui che sono arrivati solo tre quarti d’ora prima, come me, sono rimasti in piedi. E oltre alla quantità colpiva la qualità del pubblico. Come niente incontro dei miei ex allievi. Ci sono studenti di ogni genere: delle superiori, universitari (molti, questi). Trentenni e quarantenni, di ogni tipo, precari e non. E, sorpresa, anche molti anziani, pensionati, cinquantenni. Di tutto. Moltissima partecipazione.
Contenuti. Si sa quali sono le differenze. Civati promuove la visione della sinistra del Pd, dei lettori del “Fatto quotidiano”, cerca di avvicinarsi a quelli che hanno votato Grillo, si porta Zagrebelsky al dibattito, spara contro il governo delle larghe intese, che non ha votato. Cuperlo difende timidamente le necessità imposte dalla situazione, ma cerca di salvare la linea bersaniana, d’alemiana. E Renzi, si sa. Ma vengono dette delle cose curiose, che mi fanno capire che qui abbiamo a che fare con gente che non ha una visione d’insieme. Tutti e tre (dico: tutti e tre) dicono le stesse cose su: abolizione dell’Imu (è stato un errore, non andava fatta), pensioni d’oro (tassiamole), imposte sul lavoro (diminuiamole), riforma del mercato del lavoro (contratto unico), il caso Shalabayeva (che vergogna). Insomma, tutti: siamo troppo deboli in questo governo, è un governo del Pdl, di fatto. Ah. Vabbe’, Civati è il guastafeste della situazione, ha sempre avuto queste posizioni, ma non ha un vero programma, solo battute e considerazioni frammentarie. E contraddittorie: come fa a conciliare la riforma del lavoro stile Boeri (che propone) con la sua proposta di alleanza con la Fiom e Sel? Cuperlo è sorprendente: parla come se fosse all’opposizione, come se non fosse espressione di quella parte del partito che ha costruito questa alleanza. E rimane sul vago su tutto: grandi discorsi, grandi principi, riforme concrete niente. Renzi ha una visione più ampia, bisogna ammetterlo; tocca più aspetti, e in modo coerente. Per esempio, sulle pensioni: ha il coraggio di difendere la riforma Fornero di fronte agli elettori del Pd (e alcuni grillini, si sono dichiarati tali discutendo con lui), mi aspetto se non una bordata di fischi almeno un silenzio gelido. Invece: un applauso. I giovani presenti applaudono, gridano bravo. Ci sono molte cose da imparare, ancora. Comunque, per quanto più coerente e forse coraggioso, Renzi sembra inaffidabile: troppo ambizioso, troppe giravolte anche lui.
Tutta questa digressione per tornare al punto principale: nelle forze politiche (non c’è lo spazio qui di parlare del M5S, ma anche questo sembra interessato solo a coltivare il suo elettorato) non si vede una visione in prospettiva, che assuma su di sé il problema di fondo, cioè la crisi strutturale del sistema politico e il bisogno di modificarlo. Napolitano ha questa visione, e Letta la porta avanti. Però il problema è che questa prospettiva politica può avere un seguito reale solo se le forze politiche, almeno in parte, riescono a farla propria. Se sono capaci di fare proprio l’intento riformatore, e, soprattutto, di modificarsi nella loro identità e nel loro progetto politico. Il sistema politico non cambia con l’ingegneria costituzionale, ma perché cambiano i partiti.
Ora, con il voto di mercoledì un piccolo passo nel senso del cambiamento del sistema politico è stato fatto. Una parte del Pdl è stata capace di mettere una visione politica generale davanti agli interessi del capo, e agli interessi di parte intesi nel senso più stretto. Allo stesso tempo, sia la linearità (per una volta) del comportamento del Pd in tutta questa vicenda, sia la determinazione di Letta possono forse aiutare questo partito a fare scelte coraggiose, e farsi guidare da una visione generale, invece che dalla composizione precaria delle forze interne in lotta. Sono solo alcuni elementi. Se la situazione evolverà nel senso della prima interpretazione (l’ottimista) dipenderà dalle scelte delle forze politiche. Dipenderà cioè dalla capacità di costruire dei progetti politici reali, che tengano conto della situazione e allo stesso tempo guardino in avanti, senza farsi limitare dai risultati dei sondaggi e dalle lotte per bande interne ai partiti o alla “società civile”.
Una osservazione finale: questa analisi non implica necessariamente appoggiare il governo Letta e Napolitano. Quest’ultimo è l’unico soggetto politico dal 2011, e ha occupato forse indebitamente spazi politici che non sono suoi, perché i partiti si sono autodistrutti come soggetti politici. E non solo i partiti, anche il M5S. Se le forze politiche riprendono a fare il loro lavoro, il potere del Presidente ritornerà alle sue normali dimensioni. Nel campo della sinistra, credo che debbano essere risolti i conflitti tra le due anime che la dividono: il Pd non può continuare a essere attraversato da questa divisione, a ogni livello. Se il Pd riesce a dare vita a una sinistra che ha il coraggio di riformare senza ascoltare ogni volta tutte le voci che rappresentano i gruppi di interesse del suo elettorato tradizionale, allora riuscirà a ridefinirsi come partito, con una sua identità, e darà il suo contributo alla trasformazione del sistema politico. Ma per fare questo non c’è bisogno necessariamente del governo di larghe intese. Questo serve finché il Pd, come gli altri partiti, non ritrova un certo grado di rappresentatività. Se riuscisse invece a darsi una linea politica da qui alla primavera, allora potrebbe far cadere il governo e riportare la lotta politica alla normale dinamica elettorale. Tra parentesi, la competizione per la segreteria del partito, pur con tutti i suoi limiti, è una buona occasione in tal senso. Le osservazioni sul pubblico che segue i candidati alle primarie lo confermano.
Vedremo se qualcosa succederà, o se continuerà a riprodursi una paralisi che potrebbe trovare il suo sbocco in una collasso del sistema democratico.
(Torino, 6 ottobre 2013)
[Immagine: Silvio Berlusconi (a destra) e Dudù (gm)].
Questo articolo sembra aver dimenticato il passato, quindi l’esatto quadro del presente e del futuro risulta del tutto inficiato nella mitica “narrazione” del come stanno le cose…la falsa alternanza, di conseguenza ogni analisi dei due s_oggetti principali ( e di quelli collaterali, idv e suo successivo e daneo movimento pentastellato compresi) dovevano servire progressivamente allla farsa dell’ultimo ventennio.
Mai dimenticare l’intera ragnatela in cui tanto il progetto gelliano, quanto la festa della repubblica del 2 giugno 1992, sigillo finale e iniziale di ripartenza di una colonia a repubblica delle banane. Il disfacimento degli Stati, nella loro pur irrisoria indipendenza dei primi decenni atlantici della guerra fredda e molto calda, per quanto riguarda noi, estremo paese a dna molto latino, poteva avvenire solo con un pagliaccio, ovviamente di destra, utile alla recita della giustizia ( altrettanto ovviamente, anche sociale e non solo della farsa di mani pulite) e chiaramente di sinistra. Berlusconismo e antiberlusconismo, sono identiche facce della stessa medaglia necessaria ai nostri la_droni, padroni effettivi del suolo e della popolazione (italiana e non, legislazioni sui “clandestini” comprese)…disquisire dunque su un’ascesa e una caduta di dittatore libero dello stato delle banane, va necessariamente espletato in un contesto diverso da quello della narrazione data in pasto al povero cristo ridotto a uomo-massa, e apparentemente occultato, delle grandi manovre vuoi sull’europa, vuoi sul mediterraneo. In caso contrario anche se proprio non si sarebbe voluto(come sicuramente non vuole M.Piras) si giocherà la partita (antropologica culturale nel caso di questo articolo) a favore dei giochi utili a chi, né più né meno che al cinema o a teatro, ha sviluppato la trama (atlantica, militare e antropologica e sociale e culturale…) , l’assegnazione delle parti (finto dissenso compreso), il casting , il rating , etc etc per il piu grande truman show imperiale di cui ogni colonia ha messo a disposizione un tipo di esercito non convenzionale di reparti ( pseudoistituzionali, pseudopolitici, pseudoeconomici e pseudo culturali).
E se smettessimo di parlarne, almeno qui, tanto per cominciare?
suvvia qui non se ne parla a vanvera e idolatria come sulle pagine di repubblica, ma a buon diritto. ringrazio invece l’autore per il tono calmo e la visione lucida: le due cose coincidono, e corrispondono agli ingredienti che sono mancanti in questi vent’anni.