cropped-munro1.jpgdi Alessandra Sarchi

[Questo saggio è uscito su «Arabeschi» col titolo «L’origine du monde e Lichen di Alice Munro»]

“Tengo le fotografie non per quello che mostrano ma per quello che vi è nascosto”

Margaret Laurence, I rabdomanti

Nel racconto Lichen, incluso nella raccolta The Progress of Love[i], Alice Munro mette in scena un repertorio di personaggi e di dinamiche relazionali piuttosto tipico della sua produzione narrativa: una coppia di ex coniugi, Stella e David, lei vitale anche se non più attraente d’aspetto, lui impegnato a ricacciare lo scorrere degli anni con fidanzate effimere e sempre più giovani; un vecchio padre ricoverato in una casa di cura; Catherine, una delle vittime dell’insaziabile quanto disperato istinto predatorio di David; sullo sfondo, chiamata in causa attraverso una fotografia, che ne ritrae solo il pube, e una telefonata alla quale non risponde, Dina, la studentessa con cui David vorrebbe sostituire la non più giovanissima Catherine[ii].

L’ambientazione rurale, lungo le rive di un lago, completa il quadro di questa middle station of life canadese con la quale Alice Munro ci ha da tempo familiarizzato, attraverso una produzione di racconti che costituisce un vasto insieme di variazioni sui temi del rapporto femminile/maschile, dell’autodeterminazione verso l’ethos comunitario, delle apparenze rispetto alle verità individuali, delle mistificazioni-rivelazioni della memoria[iii]. I personaggi e le situazioni raccontate da Munro nel loro essere ordinarie, nel loro essere scelte non perché eccezionali ma comuni, in che cosa ripongono la capacità di attrazione e di coinvolgimento per il lettore, al di là di una generica immedesimazione in vite caratterizzate, come quelle di molte donne del ceto medio occidentale da almeno due secoli a questa parte da un matrimonio o da un mancato matrimonio, da una parabola di emancipazione, da un tradimento, da un segreto legato a un’eredità, a un torto fatto o subito? Con quali mezzi, di trama e di stile, la scrittrice riesce a sviluppare empatia e interesse?

Si potrebbe dire che Munro rende interessanti le storie individuali tagliandone temporalmente i segmenti in modo che non siano mai lineari e attraversa la coscienza dei personaggi in modo che la raffigurazione interiore delle vite non aderisca mai del tutto alla loro manifestazione apparente.

In ogni suo racconto opera uno scarto fra quanto i lettori, e i personaggi stessi, sanno e quanto realmente accade, è accaduto o accadrà[iv]. In questi punti di scollamento s’inserisce di norma la possibilità di una rivelazione che per le eroine femminili si traduce in un accrescimento di consapevolezza del proprio destino o dei fatti della vita.

Ed è in questi stessi punti di incrinatura che il lettore avverte quel potenziamento della propria esperienza personale e conoscitiva che costituisce gran parte del fascino delle storie di Munro. I mediatori di tali scoperte sono frasi, pronunciate o scritte, lettere, immagini che riaffiorano o vengono ripensate per cogliere un senso che è sempre ulteriore, spesso mai definitivo, piuttosto, in grado di mantenere molte sfumature di segreto rispetto all’intreccio narrativo e all’interiorità dei personaggi.

Quando a fare da mediatore è un’immagine lo spazio semantico si amplia notevolmente, lo si vede molto bene ne La vergine mendicante («The Beggar Maid», uscito nella raccolta Who do you think you are?) che prende il titolo da un noto dipinto di Edward Burne Jones esplicitamente menzionato e descritto nel racconto, dove funge da snodo simbolico e da rispecchiamento del rapporto di coppia fra l’io narrante femminile, Rose, e il fidanzato Patrick, ma viene ribaltato nel finale dall’esito disastroso della relazione e perfino dall’impossibilità di mantenerne, a posteriori, un buon ricordo[v]. Continua su «Arabeschi»


[i] A. Munro, The Progress of Love, Toronto McClelland and Stewart 1985 e 1986; l’edizione italiana qui citata è Il percorso dell’amore, trad. S. Basso e S. Pareschi, Torino Einaudi, 2005.

[ii] Sulla scrittrice: C. A. Howell, Alice Munro, Manchester and New York University Press, 1998. Sulle figure femminili presenti nei racconti, M. Redekop, Mothers and other clowns. The stories of Alice Munro, London and Routledge University Press, 1992. Sulla trasposizione di contenuti autobiografici e sulla distinzione tra fiction e autobiografia in Munro: M. A. Mariani, Sull’autobiografia contemporanea. Nathalie Sarraute, Elias Canetti, Alice Munro, Roma Carocci, 2011, pp. 95-128.

[iii] Per la definizione di middle station of life centrale allo sviluppo del romanzo moderno, faccio riferimento a quanto scrive G. Mazzoni, Teoria del Romanzo, Bologna Il Mulino, 2011, pp. 233-237.

[iv] Il lavoro sulla temporalità compiuto da Munro e da altri scrittrici canadesi, sull’esempio di Margaret Laurence, è ben illustrato da D. Brogi, Alice Munro e le altre, in «Il Manifesto» 3 gennaio 2013 e poi in “Le parole e le cose”.

«La memoria diventa così un problema di tecnica narrativa: la costruzione del testo deve dare voce alla memoria, da un lato, e dall’altro imitare, esprimere, quanto accade ai ricordi durante lo svolgimento della vita reale. (…) Il senso del tempo – come oblio, come recupero incerto, ma anche come reinvenzione permanente – non guarda mai a un punto finale di armonia; piuttosto arriva dalle fratture a vista tra i singoli testi, che compongono una struttura fortemente scandita (in singoli racconti, in parti, in capitoli dai titoli autonomi, o in paragrafi tematici: linee spezzate, in ogni caso, che smantellano i confini tra racconto e romanzo), e puntano a un effetto di discontinuità, perché il tempo dei ricordi non fa stare tutto insieme, ma è sconnesso e sconnette sempre; la tensione non si scioglie mai. “Ci fanno sudare, le nostre bugie” (A. Munro, Chi ti credi di essere?, traduzione di S. Basso, Torino Einaudi, 2012, p. 53)».

[v] H. Ventura, Dall’immagine al testo: il divenire racconto ne la Vergine mendicante di Alice Munro, in La rappresentazione allo specchio. Testo letterario e testo pittorico, a cura di F. Cattani, D. Meneghelli, Roma Meltemi 2008, pp. 139-153; ma anche Ead., Storia di un’immagine congelata, in Guardare oltre. Letteratura, fotografia e altri territori, a cura di S. Albertazzi, F. Amigoni, Roma Meltemi 2007, pp. 251-267.

[Immagine: Alice Munro].

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *