[Oggi Andrea Zanzotto compie 90 anni. Per festeggiarlo, Le parole e le cose pubblica le prime pagine dell’introduzione che Stefano Dal Bianco ha premesso all’edizione delle poesie di Zanzotto uscita in questi giorni negli Oscar Mondadori]
di Stefano Dal Bianco
Siamo nel 1980. È uscito da poco Il Galateo in Bosco, con la prefazione di Gianfranco Contini. «Il più importante poeta italiano dopo Montale» incontra gli studenti di una scuola di Parma. Alla domanda Come mai la poesia contemporanea è spesso difficile da capire? Andrea Zanzotto risponde con una metafora: «C’è una comprensibilità che si realizza in modo immediato, ma è quella che può avere un articolo di giornale, anzi che è indispensabile in un articolo di giornale. Nella poesia non è così, perché qui si trasmette per una serie di impulsi sotterranei, fonici, ritmici, ecc. Pensate al filo elettrico della lampadina che manda la luce, il messaggio luminoso, proprio grazie alla resistenza del mezzo. Se devo trasmettere corrente a lunga distanza, mi servo di fili molto grossi e la corrente passa e arriva senza perdite a destinazione. Se metto, invece, fili di diametro piccolissimo, la corrente passa a fatica, si sforza e genera un fatto nuovo, la luce o il colore. Così accade nella comunicazione poetica, nella quale il mezzo è costituito dalla lingua. L’eccessivo addensarsi dei significati, dei motivi, il sovraccarico di informazioni, può però provocare un “cortocircuito”, una oscurità da eccesso, non da difetto».
Dunque attrito, resistenza, sforzo, fatica per generare un fatto nuovo e luminoso. Sull’intensità dell’attrito, sul grado della resistenza linguistica da opporre al flusso si potrà discutere a lungo. Ciò non toglie che quella di Zanzotto sia una delle definizioni universali di “poesia”, della sua natura e funzione, più cogenti mai formulate.
Il ricorso alla fisica elementare – una delle tante scienze che entrano nella sua poesia – non è casuale, e non lo è forse nemmeno il carattere applicativo e tecnologico dell’esempio addotto. D’altronde, come si potrebbe separare scienza e tecnologia, salvare l’una e condannare l’altra? Zanzotto non lo fa mai. La vis polemica potrà coinvolgere le derive storiche, non la legittimità dell’anelito umano al progresso. Insomma, fede nella scienza e fede nella poesia coabitano dinamicamente in Zanzotto e si danno la mano. Il metodo oggettivo dell’una è complementare al metodo soggettivo dell’altra.
Ma il campo di indagine è il medesimo: è la Natura il grande protagonista della poesia scientifica di Zanzotto, la Natura, o meglio ciò che vi presiede, ciò che vi sta dietro: da lì partono i messaggi che la poesia tenta di decifrare, lì sono implicate le leggi che la scienza cerca di scoprire. Anche per questo l’esempio della lampadina non pare scelto a caso: è uno dei tanti misteri naturali ancora insondati dalla scienza, che sa tutto di come funziona l’elettricità, ma ancora nulla del perché funziona, cioè del perché esista la forza di attrazione polarizzata che muove il flusso elettrico e ci dà la luce.
Questa forza connettiva, che il Cristianesimo ha sintetizzato nella parola Amore, è l’oggetto insondabile dell’interrogare di Zanzotto, ed è al centro di tante sue figurazioni (forse, più o meno mediatamente, di tutte) come pioggia, neve, grandine, fuoco, brace, désir, Charitas, logos, fino allo stesso colore rosso o alla qualità del secco (l’elenco completo prenderebbe una pagina).
Siamo in un ambito prossimo a quello delle religioni, e infatti parlavamo di fede. Definire questa fede – nella scienza, nella poesia, nel divino che risiede nella Natura – come “sofferta” sarebbe un eufemismo poiché mai fede fu meno dogmatica e più combattuta. Nessuna delle forze in campo e nessuno degli emblemi di Zanzotto ha mai una valenza univoca: ciò che salva è costantemente anche ciò che condanna, ciò che conserva è ciò che dissipa, ciò che subisce è ciò che compie la violenza. Si vedrà bene che questa legge dell’interscambio oppositivo o della contradictio in terminis (legge ben nota ai poeti di tutti i tempi) interessa da vicino gli stessi rapporti fra Natura e Storia e non risparmia certo la Poesia, costretta – per riuscire a darsi con onestà – al costante monitoraggio di sé, delle proprie componenti rapinose ed egoistiche.
Questo esorcismo indefesso, questa etica del porsi al centro di una rete di contraddizioni e di saperi, sopportandone il peso, non ha nulla di irenico poiché non conosce mezzi termini, è piuttosto uno sbilanciamento alterno e continuo. Scrivere significa assumersi il rischio psichico dell’avere a che fare direttamente con le cause prime. Zanzotto rischia sempre tutto, ingloba tutto, e il giocare col fuoco è costitutivo della sua religio ma è anche il tratto dominante di ogni suo saggio critico, di ogni prosa, racconto, pubblico intervento.
È una disposizione etica che trascende l’idea di poesia. Nessuna lampadina si accende senza sforzo. Ciò che si acquisisce stabilmente è un prodotto di fatica. È una legge che vale per ogni attività cognitiva e pratica, per ogni conquista umana, individuale e collettiva, per ogni memoria durevole.
Fatti salvi gli squarci di lancinante apertura comunicativa – che ci sono e non sono pochi – da quanto si è detto deriva la ruvidezza della poesia di Zanzotto nel suo complesso, e quella asperità di lettura accusata particolarmente da coloro che non hanno avuto la possibilità o la costanza di seguire passo per passo, libro dopo libro, le vicende della sua straordinaria evoluzione linguistica e figurale a partire da pochi, semplici emblemi guida.
Il percorso di Zanzotto è una spirale. Per quanto la curva si allarghi fino a comprendere l’universo mondo, ogni suo punto è in rapporto costante con l’origine, con un luogo – Pieve di Soligo – e con un libro – Dietro il paesaggio.
Quando né il paesaggio, sempre più contaminato, né la convenzione letteraria, sempre più museale, garantiscono il benché minimo rifugio dalla colonizzazione e dalla modernizzazione, Zanzotto sembra spostare la linea di resistenza prima sul “bruto plasma” della lingua e poi nella zona là dove l’io diventa plurimo e astrale, senza più garanzie di nuda proprietà.
“nulla ci appartiene di questo, nulla del presente/ e del futuro se non nella spaccatura/ nel netto clivaggio che solo l’occhio tuo / già fossile/ riesce ad angolare/ produce nella compattezza/ nella monomania / della vita della poesia e compagnia”
Grazie Stefano. E grazie Andrea.
“Ciò che di me sopravvive/ alla mia paura/ appartiene interamente / agli altri. (P. Volponi, Per questi versi, in Nl silenzio campale, Lecce, Manni, 1990)
è uno dei miei maestri. gli voglio bene.
Sono appena tornata dalla manifestazione in cui il Comune di Padova gli ha conferito il Leone d’oro. Andrea, che conosco da quando ero bambina, perché è stato uno degli allievi di mio padre, era collegato in videoconferenza. Più tardi ne scriverò un resoconto.
un “Tutto Zanzotto”, aggiornato e messo a disposizione del grande pubblico, era necessario. sono molto felice per questa pubblicazione. ringraziando Dal Bianco per la curatela e l’introduzione,
f.t.
In realtà è già uscito un Meridiano qualche anno fa , anche curato bene . Manca la parte saggistica , altrettanto interessante . Sarebbe opportuno che i curatori dei Meridiani mettessero mano ai saggi , invece di pubblicare i Camilleri .
Zanzotto maestro .
@Antonio D’Agostino. La questione del Meridiano è lunga e complessa e non sta a me dirne i retroscena. Oggi ero insieme a Marisa Zanzotto, che aveva una valigia carica di libri, articoli, pubblicazioni d’ogni genere e tipo.
Per quanto riguarda la mattinata di “auguri” al Maestro, nell’elegantissima Sala Rossini dello storico Caffè Pedrocchi (sala nata in epoca neoclassica come salone da ballo per la buona borghesia e che ne ha viste ormai di tutti i colori) al tavolo una bella sfilza di politici e amministratori, tutti schierati come birilli, ognuno a dire la sua e a tirare l’acqua al proprio mulino. Non mancava nemmeno il leghista (e si sa quello che Zanzotto pensa dei leghisti). Grandi pontificazioni su come la città di Padova gli abbia conferito la cittadinanza onoraria, (non è certo la prima ad averlo fatto, anzi tra le ultime) su come gli abbia conferito questo leone d’oro (che sa tanto di Liga Veneta) per aver dato lustro al Veneto (al Veneto? solo?) Lettura della lettera personale del Presidente Napolitano (devo dire bella e sentita) Infine il collegamento in videoconferenza da Pieve di Soligo.
Sullo schermo è comparso il viso di Andrea, immobile e composto. Immobile, senza muovere un muscolo durante tutte le interminabili tiritere politichesi. Ben fatto il discorso di Balduino, chiamato all’ultimo momento per l’impossibilità di Ossola di essere presente.
L’unica parte bella è stata quando Zanzotto ha letto due poesie. La seconda era il testo che conclude lo spettacolo “Parlami” andato in scena in anteprima al Goldoni di Venezia il 6 e che, pur prodotto dal Teatro Stabile del Veneto, che gestisce il Verdi di Padova oltre al Goldoni, NON sarà rappresentato a Padova.
Zanzotto aveva espresso la volontà di non essere disturbato il giorno del suo compleanno e di non dover sottostare alla fatica di ricevere la delegazione dei politici e amministratori che invece, in gran trasferta, e senza nemmeno chiedersi se non fosse il caso di rispettare il desiderio del poeta, si sono recati (immagino in auto blu) nel pomeriggio a Pieve a consegnare il brutto leone.
Inutile l’appello reiterato della moglie.
Fantastica è stata la conclusione. Il discorso della moglie Marisa, che, con la sensibilità che distingue i politici veneti, è stata completamente estromessa dall’allestimento di questa manifestazione. Mentre da sempre è Marisa Zanzotto che cura instancabilmente tutti i rapporti del marito col mondo esterno ed è stata la sua fortuna nella vita. Dopo il suo talento, naturalmente.
Impagabile la faccia impassibile con cui i personaggi in questione ingoiavano le scomode verità da lei espresse in pubblico, celate dietro l’ipocrisia dell’aver usato il nome del poeta. A riprova di questo, la sordità di fronte alla preghiera di non vederli.
Ciliegina sulla torta. Quando Marisa Zanzotto ha chiesto una copia del costosissimo volume intitolato, mi pare, “Nessun consuntivo”, (o per meglio dire, instant book), quasi per intero formato da belle foto di Zanzotto e messo in vendita all’ingresso, pubblicato per l’occasione, le è stato risposto: “Mi dispiace, le copie omaggio sono finite”.
“Ma io sono la moglie!” ha replicato Marisa Zanzotto di fronte alla pila di libri invenduti. “Eh, non so che fare, le copie omaggio sono finite”, è stata la risposta.
E il povero politico leghista, inviato da Zaia? Non avendo avuto la possibilità di fare il suo discorso, ha rilasciato alle telecamere il suo lamento, in cui affermava che è una vergogna, che loro sono stati eletti dal popolo, che questa non è democrazia e poi ha concluso: “Noi del resto con questa cultura dei salotti non abbiamo niente a che fare!”
… lugubre, non mi viene altro da dire. Questo paese è sempre più lugubre.
@ Francesco Diano : è una descrizione paradigmatica dell’ italietta di sempre ….
grazie per la testimonianza .
Magari tra i politici intervenuti c’era anche qualcuno ( forse tutti ) che stanno contribuendo con le loro decisioni a distruggere il paesaggio veneto …. e non solo . Casa possono capire certi individui del verbo di Zanzotto ?!
G.le Francesca Diano, ciò che ci racconta con tanta esattezza, purtroppo, non è incredibile. L’epilogo sicuramente lo è. Era impossibile da immaginare. Ma non è detto che A.Z. si sia dispiaciuto per quell’epilogo, se lo descrive sullo schermo “Immobile, senza muovere un muscolo durante tutte le interminabili tiritere politichesi.” Nel Commento a Zanzotto appena sopra Stefano Dal Bianco scrive: “Nessuna lampadina si accende senza sforzo. Ciò che si acquisisce stabilmente è un prodotto di fatica. È una legge che vale per ogni attività cognitiva e pratica, per ogni conquista umana, individuale e collettiva, per ogni memoria durevole.” E il bello è che queste interminabili tiritère sono pure loro il prodotto di un grande sforzo – da decenni, instancabili, continuano a ripeterle e a “perfezionarle” – solo che in questo caso non si accende nessuna lampadina e il Paese ha preso a spegnersi. Speriamo bene comunque.
Grazie a Dal Bianco.
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Grazie a d.p Antonio e Adelelmo per l’attenzione.
I politici presenti – a parte Balduino, nessun rappresentante del mondo della cultura – erano PD, PdL e Lega. Giusto, un colpo al cerchio e uno alla botte. E il PD che presentava e faceva da moderatore, ha avuto la faccia tosta di affermare: “noi non siamo qui in rappresentanza di alcun colore politico”…. bah…
La sofferta esternazione del leghista è stata rilasciata a una TV locale dopo la fine della manifestazione e trasmessa al loro Tg.
L’unico sorriso che ha illuminato il volto di Andrea è stato quando un politico gli ha augurato alla fine di trovarsi di nuovo lì fra 100 (invece di 10) anni per festeggiare il suo centenario. Forse lapsus freudiano per la convinzione sua (del politico) che sarà ancora lì fra 100 anni.
Comunque sì, lugubre mi pare un aggettivo azzeccato. Ma anche grottesco.
Io, devo dire la verità, ricacciando indietro la nausea masticando una mentina, ho riso tanto, soprattutto nell’osservare le loro facce, il loro aspetto, i loro gesti.
Che differenza con la composta astrazione (davvero in senso etimologico) di Zanzotto.
Faccio omaggio di un aforisma:
La poesia di Zanzotto
per la gente della Lega
è cultura da salotto.
molto bello. illuminante!
Grazie Sergio!
@francesca: … oh, non me ne voglia, ma il mio commento si riferiva allo stralcio dall’introduzione di Dal Bianco. Ma anche l’oscuro aforisma ha il suo fascino…
ahahahah, ne è venuta fuori una cosa dadaista!
… “mondo, sii, e buono!”
un saluto al maestro, da qui.