cropped-inconnu-du-lac.jpgdi Carlo Mazza Galanti

Come una meteora L’inconnu du lac è passato a margine dello sguardo dello spettatore italiano, nonostante a Cannes abbia vinto il premio che non di rado incassano i migliori (Un certain regard, oltre alla Queer Palm). Uscito nelle nostre sale a inizio ottobre, è già scomparso, e non resta che cercarlo in rete. Non si fatica a immaginare la ragione della poca visibilità, dalle nostre parti, di questo film a suo modo straordinario: la molta visibilità di nudi maschili integrali, con esplicite riprese di atti sessuali tra uomini. Se già molti hanno storto il naso davanti al culo di Adele, figuriamoci adesso che al centro dell’inquadratura ci sono solo cazzi. Nel mondo astratto, omogeneo, asettico del lago non c’è spazio per il femminile, se non quello simbolico, materno/fetale, dell’acqua, che però uccide. Ma il sesso esplode, salta all’occhio, disturba. Se n’è parlato abbastanza, recentemente, in occasione dell’uscita dei film di Kechiche, della serba Miloš, del prossimo Von Trier e altri ancora: è una tendenza importante, a quanto pare, quella dello sdoganamento autoriale dell’immagine pornografica, tanto più necessaria se pensiamo, fuor di anacronistiche e ormai ridicole pruderies, che qualsiasi individuo di qualsiasi età, da almeno quindici anni a questa parte, ha avuto accesso allo sterminato catalogo dell’iconografia sessuale più estrema nel tempo di un clic. Tre milioni di visualizzazioni è cosa banale per una compilation di cumshots su youporn. In fondo si tratta del cammino stesso del realismo, dal teatro cristiano medievale fino ai giorni nostri: il progressivo allargamento della rappresentazione alta ad aspetti prima relegati alla sfera bassa dei sottogeneri indegni del crisma artistico. O almeno è quello che insegna uno dei saggi sull’arte più importanti del novecento, Mimesis di Erich Auerbach.

L’atto sessuale. In questo film (come nella vita di Adele) è semplicemente ciò che è, nella nostra intimità più o meno irriflessa: un coagulo di aspirazioni, paure, inerzie, emozioni, ossessioni. Visibili. Osservarlo significa prendere a tema uno degli aspetti più affascinanti e misteriosi della nostra esistenza e del nostro stare al mondo. Così succede nel film di Guiraudie, dove nulla è gratuito e lasciato al caso, dove regna una ricerca meticolosa di essenzialità nello sforzo quasi maniacale di valorizzare ogni livello, ogni minimo aspetto del film. E dove attori straordinari (pare però sostituiti nelle inquadrature più hard) interpretano (anche) una sessualità nuda e cruda con tutta la complessità e ricchezza espressiva che merita.

Un lago. Un luogo di rimorchio per omosessuali nudisti. Un mondo chiuso, perfettamente delimitato dalla circolarità delle rive, immerso in un’atmosfera sospesa, una fotografia sublime che coglie e sfrutta ogni elemento visibile, tangibile, respirabile: i movimenti della luce, il vento minaccioso tra le cime dei pioppi, i riflessi sull’acqua, gli scorci tra le frasche, gli sguardi – quasi miracolosamente riuscendo a coniugare un’inclinazione neutra e antropologica alla Gursky o alla Vitali (entrambi già fotografi di spiagge) alla più impenetrabile densità atmosferica, a quell’agitarsi di presagi che trasformano un luogo specifico in spazio completamente, puramente, simbolico; una specie di versione balneare dell’Hanging Rock di Peter Weir.

Quello che a prima vista potrebbe sembrare una trasposizione in chiave omosessuale di Rohmer si trasforma dunque, e con naturalezza sconcertante, in un perfetto e perfido meccanismo hitchockiano. Un thriller impeccabile, cristallino, costruito sul filo di una tensione tanto più precisa e tagliente quanto meno si ricorre agli stupefacenti dello psicologismo e dell’azione: un luogo apparentemente tranquillo, quattro personaggi, un morto e il tempo che scorre. Non serve altro. Si userebbe il termine “teatrale” se quello che abbiamo davanti agli occhi non fosse un oggetto chiaramente, squisitamente, cinematografico. E con sprezzo cinefilo e formalista ci potremmo accontentare di questo per rubricare il film come esemplare di rara bellezza all’interno di un genere maggiore, interpretato dallo sguardo assolutamente originale e deviante dell’autore. Ma sarebbe credo un modo lusinghiero di eluderne la complessità. Lo sconosciuto del lago è un film che parla insistentemente del mondo, del nostro mondo, proprio in virtù della sua essenzialità, nel gioco sui codici, nella centralità dell’erotismo e nell’impennata allegorica della costruzione narrativa.

Il mondo perfettamente concluso, claustrofobico, del lago, dove la flemma si sposa alla frenesia sessuale, il rischio a una tranquillità vacanziera, dove umani come atomi sparsi stesi al sole si accompagnano silenziosamente in un cosmo di solitudini composte, ben distanziate, attraversate da un’eccitazione calma, abitudinaria – assomiglia molto a una raffigurazione emblematica della nostra “vita in tempo di pace (per citare il titolo dello splendido romanzo di Francesco Pecoraro, recentemente pubblicato da Ponte alle grazie). Un investigatore si aggira, elemento estraneo e perturbante, vagamente macchiettistico, tra i corpi bruniti dei bagnanti e nella sparuta vegetazione lacustre dove coiti, erezioni tristi, spermi indifferenti si consumano nella stasi dei pomeriggi estivi. L’investigatore pare un’incarnazione del Buonsenso, o della Coscienza Sociale (eterosessuale?), lesta a formulare l’ipotesi del killer seriale (il vendicatore), o a giudicare l’amore “strano” dei nudisti. Un altro uomo si muove sul margine, come un ponte tra l’universo del lago e quello di fuori: non è né omo né etero, cerca qualcosa che sfugge a tutti, qualcosa di molto semplice, l’amicizia, ed è la figura più umana del film. Forse è proprio lui lo sconosciuto del titolo: l’umano.

Se nella pellicola di Guiraudie c’è un ragionamento sull’omosessualità, e pare difficile negarlo, si tratta di una visione pesantemente disincantata, cupa, pessimista. Il mondo asetticamente funzionale della spiaggetta è l’esatto opposto dell’entusiasmo chiassoso e libertario dei gay pride. Scopare è una dura bisogna che la soluzione lacustre risolve in maniera economicamente soddisfacente, ma riducendo il sesso a una meccanica corporale appena venata di grossolane, inevitabili, sfumature sociali. Quando un sentimento avventatamente romantico ne incrina la perfezione fisiologica, scoppia il dramma, scatta la tensione, il panico, il meccanismo si autodistrugge. L’assurdo che sfiora in certi momenti la comicità (il goffo voyeurista che si aggira masturbandosi come un bambino demente tra le coppiette sparse nella boscaglia) ha la doppia funzione di mettere a distanza uno spaccato sociale che potrebbe sembrare perfettamente normalizzato, perfettamente funzionante, e di giocare con i registri interrompendo la tensione e guadagnando spazio per rilanciarla. Guiraudie è maestro nel pilotare le nostre reazioni emotive guidandoci senza fretta, inesorabilmente, verso il buio totale che si nasconde dietro la placida quotidianità di un mondo che possiamo chiamare gay, ma anche no.

Apprendo dalla rivista francese Telerama che questo regista “ha sempre girato film gay, ma non necessariamente alla Tetù [influente magazine gay francese]. Uomini piccoli, sgradevoli, imprevedibili, sempre abbelliti dal suo sguardo. Ne ha fatto gli eroi di film utopici e bizzarri: western della macchia (Voici venu le temps), epopee metafisiche buffamente collocate tra Oncongues e Bouénozères (Pas de repos pour de braves), commedie picaresche e edoniste (Le Roi de l’evasion).” Qualcuno ha fatto al suo riguardo il nome di Bertrand Blier, uno dei più interessanti, incatalogabili e sconosciuti (all’estero) registi francesi degli ultimi decenni del secolo scorso. L’autore di Préparez vos mouchoirs e Buffet froid ha creato un cinema diverso, nascosto, un cinema fatto per durare, forse per pochi ma suo malgrado, senza atteggiamenti elitari, non difficile, passionale e appassionante, proprio come questo film di Guiraudie: un film da non perdere. E visto che siamo in tempo di bilanci d’annata, mi sbilancio: insieme a The act of killing di Joshua Oppenheimer, il film più bello, più inaspettato, del 2013.

[Immagine: L’inconnu du lac, locandina].

 

17 thoughts on “Lo sconosciuto del lago di Alain Guiraudie

  1. Trovo interventi come questi veramente inutili. Non aggiunge nulla, non spiega nulla, non allarga orizzonti. Solo citazioni e rimandi ad altrove di letterature diverse…

  2. Se c’è qualcosa che accomuna un film mediocre come “Lo sconosciuto del lago” ad un film interessante (ma con molte riserve) come “La vie d’Adele” è lo sguardo “francese” sul sesso. Uno sguardo astratto, mentale, chirurgico, asettico, medico. Uno sguardo che piace molto agli intellettuali (maschi, ma non solo) per lo più di mezza età, forse non a caso. Una cultura che ha profondo orrore del corpo, quasi integralmente costruita sulla sua negazione, non può che vivere in questa eterna coazione a ripetere una volontà ancora borghese di shoccare borghesi che non esistono più. Ben altra aggressività disinibita e distruttrice arriva da film come Klip. Certo, arriva dai Balcani, dopo una guerra devastante. E bisognerebbe anche rifletterci. Il corpo, in entrambi i casi, sparisce nella sua ostentazione apparentemente disinibita. E’ vita mentale, enorme meccanismo di difesa eretto contro il piacere, che è l’intelligenza del corpo.

  3. no, l’intervento mi sembra buono. E’ il film di cui si parla che mi è sembrato francamente deludente. Noioso, più che altro. Dell’omosessualità rappresenta, nella mia lettura, solo un aspetto, l’ossessione del sesso seriale e non dice la complessità della vita sessuale, di ogni vita sessuale. Quanto ai coiti compulsivamente (noiosamente…) ripetuti, non vi ho trovato né provocazione scandalistica, né tantomeno pornografica, solo pieno naturalismo, desiderio di mostrare quel che è. In certi punti, è vero, la narrazione diventa divertente. E non solo per quella figura (che ispira insieme al sorriso, piuttosto, pìetas) del masturbatore professionale, quanto per quell’altra macchietta, il tipo che aveva purtroppo finito i preservativi nella mattinata… Arg!!! E poi anche sul piano narrativo il film non conclude, uno di quei fine storia lasciati in sospeso che non sempre funzionano: l’orco (definizione moralistica?) raggiungerà la sua preda oppure no? Mah… Ho avuto e ho amici omosessuali, vivi o morti di aids, ma nessuno riuscirei a inquadrarlo nell’umanità descritta nel film. Che, per questo, non mi sembra raggiungere il carattere della universalità. E’ una porzione, molto settoriale, del mistero del sesso che il film rappresenta, a mio parere. Non così la splendida Adèle del film di Kechiche, per esempio. Lì sì che il dolore della giovinezza e della ricerca di sé diventa universale. D’accordo, questione di punti di vista.

  4. non sono d’accordo, e non sono né un uomo, né di mezza età (né tantomeno un intellettuale, anzi, adoro e difendo molta cinematografia diciamo pop). ma il film a me è piaciuto moltissimo e non perché sarebbe scandaloso (se qualcuno si scandalizza è un suo problema), ma perché l’ho trovato un capolavoro narrativo ed estetico, come raramente mi capita di vederne.
    l’unica cosa su cui non sono d’accordo di questo pezzo è il presunto giudizio amaro sul mondo gay maschile (il passaggio in cui si dice di “una visione pesantemente disincantata, cupa, pessimista”), non perché secondo me sia vero il contrario, ma perché è una visione che a me non è arrivata affatto guardando il film.
    Per il resto condivido tutto quello che dice l’articolo e ho apprezzato i molti riferimenti e confronti stilistici a cui non avevo pensato, che mi hanno fatto capire meglio il film non avendo io grandi strumenti interpretativi ma essendo semplicemente un spettatrice che cerca storie ben raccontate, e questa storia è una delle meglio raccontate che mi sia capitato di vedere da molti anni.

  5. Da non spettatore, risulta particolarmente interessante ritrovare i quattro commenti finora pervenuti così radicalmente differenti tra loro.
    Il mondo è bello perchè è vario, o è grande la confusione sotto il cielo?

  6. Un bel film la cui chiave di volta è da leggersi nella spirale – forma perfetta che ricorda la sfera – ma che si espande all’infinito e si specchia nei cerchi del lago, nella ricorsività dei rapporti, nel mantra del desiderio consumato come rito primitivo.

  7. @vincenzo: i multiversi in cui viviamo hanno tutti uno strumentario critico che ben legittima le interpretazioni di ognuno. Legittimazione fa il paio con vero? Per questa civiltà si.
    @tutti: Credo comunque che si possa affermare qualcosa di condivisibile: questo film – e il suo doppio saffico – vuol dirci qualcosa su eros e affetti. Al di là della sua riuscita narrativa ed estetica (che ho trovato sublime in alcune parti) e che inscriverei di diritto in un certo naturalismo, mi ha colpito la descrizione del’ eros vissuto come nevrosi. Laddove nella Vita di Adele è l’affettività che viene descritta come tale. Insomma, il paradosso è che film formalmente riusciti propongano identità e comunità così traumatizzate. E questo mi sembra innegabile, finanche vero. E non perché sono omosessuali. Semplicemente perché sono sessuali.
    @feldenkrais: la nostra civiltà è certo ammalata e così anche le sue manifestazioni, intrappolata com’è nel controllo. Tutto molto mentalizzato. Condivido il bisogno di embodiment, per incontrare le necessità della specie e lasciarsi portare dall’impulso evolutivo. Ma questi film non conoscono questa risposta: il loro registro stilistico ce lo dice. Possono solo domandare documentando il disagio. E devo dirti che preferisco domande senza risposte a risposte senza domanda.

  8. Rispondo a boccadirosa: secondo me invece il finale è perfetto, perché il tema del film non è la spirale omicida dell’assassino alla quale mancherebbe quindi un finale, ma l’ossessione pericolosa del protagonista. E il finale con il protagonista al buio che, dopo essere finalmente scappato ed essersi nascosto, non resiste alla tentazione e in mezzo all’oscurità (anche simbolica) chiama il nome dell’assassino, per me è, ripeto, assolutamente perfetto.

  9. Cara redazione,
    potreste in qualche luogo segnalare che il contenuto contiene spoiler? Non tanto per l’articolo in sé ma per i commenti seguenti, così da tutelare il lettore che ancora non ha visto il film.

    Grazie

  10. @unlettore

    no, non lo faremo. Non accettiamo l’idea stessa di spoiler. Per noi il recensore o il commentatore debbono poter parlare liberamente di tutto il film: le recensioni non sono trailer cinematografici. Sarebbe peraltro interessante riflettere sulla nascita della categoria di spoiler in quanto sintomo di una trasformazione nel modo di intendere la critica.

  11. I giochi di specchi, i processi ricorsivi, di cui il moltiplicarsi all’infinito dell’immagine di un oggetto tra due specchi piani paralleli è un esempio. Sono alla base dell’intelligenza, del genio. Così come si è manifestata in Gesù di Nazaret, Leonardo da Vini e Michelangelo Buonarroti. I loro stessi volti nella maturità erano simili, come in una camera degli specchi. Cfr. ebook (amazon) di Ravecca Massimo. Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie.

  12. Intervengo sulla questione della omosessualità, prendendo lo spunto da questi commenti sul film francese. Ricordo che nel 2000 Carmelo Bene ebbe ad affermare che era valsa la pena che il ‘Gay pride’ si fosse svolto a Roma se non altro perché aveva fatto arrabbiare il Papa. Ritengo nondimeno che, per un corretto inquadramento della questione in oggetto, sia opportuno prestare attenzione ad una voce, quale quella di Marguerite Yourcenar, che unisce un raffinato stile letterario ad una profonda sapienza della vita. Orbene, la grande scrittrice belga, nella sua opera intitolata “Il giro della prigione: Azzurra, bianca, rosa, gay” (opera specificamente dedicata all’analisi della predetta questione), osserva quanto segue: « Per un gay che si dichiara, ce ne sono dieci che non lo fanno, e cento che non l’hanno mai confessato a se stessi ». Inoltre, per ciò che concerne sia il concetto di ‘orgoglio omosessuale’, posto, come è noto, al centro di questo genere di manifestazioni, sia la variopinta partecipazione politica, di segno totalmente ‘americano’, che le contrassegna (ricordo che a quella del 2000, l’ultima che abbia suscitato la mia attenzione, la presenza di esponenti del mondo politico svariò da Sgarbi a Cossutta, da Pannella a Bertinotti e Veltroni), è ancora una volta alla intelligenza della Yourcenar che dobbiamo (sempre nell’opera testé citata) spunti di riflessione particolarmente significativi: « L’oscenità, in certi casi, può diventare una sfida, il che è nobile, o una brutale messa a fuoco, il che è utile; capita anche che essa sia il segno di uno spirito ancora poco formato, o di un individuo meno d’accordo con i propri atti di quanto creda ».

  13. @Redazione

    Non ho detto che non si debba parlare liberamente. Ho suggerito l’uso di una pratica di avvertenza, che non inficia né il contenuto dell’articolo né quello dei commentatori.
    Ad maiora

  14. @ unlettore: scusa per lo spoiler nel mio commento, ho dato per scontato che qualunque commento e discussione su un film così unico e fuori dagli schemi potesse esserci solo dopo averlo visto! Se commenterò ancora metterò io stessa un bel “spoiler alert” prima di eventuali rivelazioni. Grazie comunque per averlo fatto notare, ci starò attenta anche altrove.

  15. @Carolina

    Nessun problema. Come me, molti si trovano a leggere, informarsi, interessarsi ad articoli e discussioni che la rete mette a disposizione prima ancora che, come nel caso specifico, gli oggetti circolino. Questo film ha avuto un destino di distribuzione complesso. Non è arrivato ovunque.
    Ribadisco la fondamentale libertà di scrivere e fare critica rivelando i contenuti. Un avvertenza non costa nulla.

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