cropped-Rittenberg_heiner_mueller.jpgTraduzione e postfazione di Manuela Alessandra Poggi

[Nel 2014 Suhrkamp pubblicherà in edizione riveduta e a cura di Kristin Schulz le poesie complete di Heiner Müller (1929-1995), uno dei maggiori drammaturghi del secondo Novecento. Dall’anno della caduta del Muro, Müller si dedicò quasi esclusivamente alla poesia. I testi che presentiamo sono stati scritti tra il 1989 e il 1995 e vengono pubblicati qui secondo la nuova edizione, in parte inedita rispetto alla prima pubblicazione del 1998 (a cura di Frank Hörnigk)].

ZWISCHEN DEN SCHLACHTEN GEGEN MICH
die meine Arbeiten sind
(Waffengattung und Kampfweise wechseln)
(Einer von uns gewinnt immer, meistens
Ist es der Andere)
Liegt eine tote Zeit, skandiert mit
Fütterung Beischlaf Drogen Geschwätz: das Leben.
Es ist zu lang, die Wunden
Schließen sich zu schnell.

TRA LE BATTAGLIE CONTRO ME STESSO
che sono i miei lavori
(tipo di arma e lotta cambiano)
(uno di noi vince sempre, di solito
è l’altro)
c’è un tempo morto, scandito da
foraggio coiti droghe chiacchiere: la vita.
È troppo lunga, le ferite
si chiudono troppo in fretta.

* * *

Im Spiegel mein zerschnittener Körper
In der Mitte geteilt von der Operation
die mein Leben gerettet hat Wozu
Frage ich mich beim Blick in den Spiegel
Für ein Kind eine Frau ein Spätwerk
Leben lernen mit der halben Maschine
Atmen essen Verboten die frage Wozu
Die zu leicht von den Lippen geht Der Tod
Ist das Einfache sterben kann ein Idiot

Nello specchio il mio corpo tagliuzzato
Diviso nel centro dall’operazione
che mi ha salvato la vita Per cosa
Mi chiedo guardandomi allo specchio
Per un bambino una donna un’opera tarda
Imparare a vivere con metà macchina
Vietato respirare mangiare la domanda Per cosa
Che esce troppo facilmente dalle labbra La morte
È cosa semplice di morire è capace un idiota

28.10.1994

* * *

Über ein Blatt mit Gedichten
Frisch aus der Schreibmaschine
läuft ein (kleines) Insekt
Ich weiß nicht ob es mir Spaß gemacht hätte
Aber das weiß ich genau ich hätte es umgebracht
vor zehn Jahren ohne
Zögern Was ist anders geworden
Ich oder die Welt

Sopra un foglio con poesie
fresche di macchina da scrivere
cammina un (piccolo) insetto
non so se mi avrebbe divertito
ma so con precisione che lo avrei ammazzato
dieci anni fa senza
esitazione. Cosa è cambiato
io o il mondo

* * *

BIRTH OF A SOLDIER

Auf dem Bildschirm ein Soldat aus England
Beim Leichenzählen in einem bosnischen Dorf
Er weint unter dem Blauhelm Beim nächsten Blick
Sieht ein Wolf mich an der die Zähne bleckt
Die Grimasse sein letzter Gruß an die Menschheit

BIRTH OF A SOLDIER

Sullo schermo un soldato inglese
che conta cadaveri in un villaggio bosniaco
Piange sotto il casco blu A uno sguardo successivo
Mi guarda un lupo che digrigna i denti
La smorfia il suo ultimo saluto all’umanità

29.10.1993

* * *

ajax

vielleicht haette prometheus warten sollen auf die
neue menschheit die zeus im kopf hatte oder schon
auf dem reissbrett
das verbrechen ist die ungeduld. stalin wusste dass
die bedingung des neuen menschen die vernichtung
des alten war.
lenin hatte recht, als er zu trotzki sagte: wir haben
den galgen verdient.

aiace

forse prometeo avrebbe dovuto aspettare la
nuova umanità che zeus aveva in mente o già
sul tecnigrafo
il crimine è l’impazienza. stalin sapeva che
la premessa per l’uomo nuovo era l’annientamento
del vecchio.
lenin aveva ragione quando diceva a trotzki: ci siamo
meritati la forca.

* * *

Beim Vorbeigehn am Bücherregal
seh ich den Titel
The green hills of Africa
Wie lange werden sie noch grün sein?
Was für ein Quatsch. Mein Reflex
auf den Titel ist weiter nichts als
die Sehnsucht nach einer Welt
oder Gegend, die nichts zu tun
hat mit dem, worüber zu schreiben
ich gezwungen bin, von wem?

Passando davanti allo scaffale dei libri
vedo il titolo
The green hills of Africa
Per quanto saranno ancora verdi?
Che sciocchezza. La mia reazione
al titolo non è nient’altro che
il desiderio di un mondo
o di un luogo che nulla abbia a che fare
con ciò di cui sono costretto
a scrivere, da chi?

* * *

IBSEN ODER DER TOD ALS EMBRYO
FAHRT DURCH EINE FREMDE STADT

Für Fritz Marquardt

In der Kantine des Berliner Ensembles
Die seit dem Mauerfall CASINO heißt
Im Theater nach Brecht ein Gespräch über Ibsen
Langsame Heimfahrt durch die fremde Stadt
In der ich gelebt habe fünfzig Jahre lang
Ibsen eingesperrt in seinen Kleinstaat
Mit dem Sprengstoff in seinem zu schweren Gehirn
Seiner verbotnen Liebe Und der allseits
Applaudierten zum Tod Der ihm Zeit läßt
Für ein Spätwerk mit Lawinen und Seegang

1.12.1994

IBSEN OVVERO LA MORTE COME EMBRIONE
ATTRAVERSANDO UNA CITTÀ ESTRANEA

per Fritz Marquardt

Nella mensa del Berliner Ensemble
Che dalla caduta del muro si chiama CASINO
Nel teatro dopo Brecht una conversazione su Ibsen
Lento rientro a casa attraverso la città estraea
In cui ho vissuto cinquant’anni
Ibsen rinchiuso nel suo piccolo stato
Con l’esplosivo nel cervello troppo gravato
Col suo amore proibito E da ogni parte
Applaudito a morte Che gli lascia il tempo
Per un’opera tarda con moto ondoso e valanghe

1.12.1994

* * *

FREMDER BLICK: ABSCHIED VON BERLIN

Aus meiner Zelle vor dem leeren Blatt
Im Kopf ein Drama für kein Publikum
Taub sind die Sieger die Besiegten stumm
Ein fremder Blick auf eine fremde Stadt
Graugelb die Wolken ziehn am Fenster hin
Weißgrau die Tauben scheißen auf Berlin

14.12.1994

SGUARDO ESTRANEO: CONGEDO DA BERLINO

Dalla mia cella davanti al foglio vuoto
In testa un dramma per nessun pubblico
Sono sordi i vincitori i vinti muti
Uno sguardo estraneo su una città estranea
Giallogrigie le nubi passano alla finestra
Biancogrigi i piccioni cagano su Berlino

14.12.1994

* * *

dialog
was hast du von mir einem kranken der manchmal
dich ansieht von weit
……………………………..idiot was weisst du von liebe

dialogo
che te ne fai di me un malato che ogni tanto
ti guarda da lontano
……………………………..idiota che ne sai tu dell’amore

* * *

“Lirica significa uscire dalla realtà”. Appunti sulla poesia di Heiner Müller
di Manuela Alessandra Poggi

Quando nel 1998, a tre anni dalla morte di Heiner Müller, Suhrkamp avviò la pubblicazione dell’opera omnia dell’autore con un primo volume che raccoglieva tutte le sue poesie, qualcuno si chiese, recensendole, che cosa sarebbe rimasto di Müller dopo il 1989, dopo l’implosione della Repubblica Democratica Tedesca, la fine dell’epoca delle grandi contrapposizioni ideologiche, la morte decretata per ufficio di dogmi e utopie. Che cosa poteva restare di un autore politico, del più grande drammaturgo tedesco dopo Brecht, uno che come una iena, secondo una riuscitissima metafora dello stesso Müller, aveva scarnificato e divorato la storia e aveva scritto, facendone a volte indigestione per le troppe tragedie, i drammi più scomodi e dolorosi del dopoguerra tedesco? Come poteva sopravvivere il teatro dell’ultimo degli intellettuali comunisti del dopoguerra, se persino i drammi più sovversivi di Brecht erano stati trasformati in pezzi da museo in quella prigione dorata in cui si è trasformato, negli anni, il Berliner Ensemble? La risposta alla domanda se sarebbe sopravvissuto il teatro mülleriano fondato su una poetica della memoria e dell’utopia, semplice quanto inattesa, stupì non pochi: no, il teatro non ce l’avrebbe fatta, ma la poesia sì. Strano, paradossale, che per un autore che, nel segno di Hebbel e di tanti grandi del teatro politico tedesco, da Büchner a Brecht, considerava il teatro, nel suo esercizio letterario e in quello più pragmatico degli allestimenti scenici, come la forma più alta di attività politica, dovesse essere la poesia, di per sé il genere letterario più elitario, a costituire l’eredità per le generazioni future.

Heiner Müller ha scritto prevalentemente poesia agli esordi della sua attività di scrittore e poi negli ultimi anni prima della morte, così che le sue poesie vengono generalmente suddivise in due macro periodizzazioni: le poesie giovanili e quelle dell’ultimo decennio di vita, molte successive alla caduta del Muro di Berlino. Le prime poesie, a partire dagli anni ’50, sono in gran parte epigonali, di stampo marxista e brechtiano, e costituiscono spesso un compendio lirico al più importante impegno di scrittura drammaturgica cui l’autore si dedicò nonostante le censure in patria, e che lo videro apprezzato autore soprattutto nell’ovest europeo. Tra il 1989 e il 1990, gli anni della Wende tedesca, le rivoluzioni pacifiche e lo svaporamento di un rassicurante antagonismo ideologico rappresentano, per Heiner Müller come per molti autori della morente Repubblica Democratica Tedesca, anche un anno di crisi personale. La forma letteraria che più si presta a descrivere questo mutato paesaggio interiore ed esteriore in Müller è la poesia, nella quale si condensa il silenzio progressivo dell’autore sul definitivo tramonto dell’epoca delle utopie. Se la costante posizione critica nei confronti del regime socialista all’interno della Rdt, che nel 1961 ebbe come conseguenze estreme l’espulsione di Müller dall’Associazione degli scrittori e il divieto di mettere in scena all’est la pièce Die Umsiedlerin (e per oltre dieci anni molti altri drammi), rappresentava l’aspetto pratico di quell’estetica nichilista, del terrore, sviluppata dall’autore sulla scorta del trauma collettivo successivo al periodo nazista, l’impossibilità di individuare dopo il 1989 un luogo politico e geografico in cui ripensare l’utopia, ha in Müller quale effetto principale una sorta di dislocazione poetica. Il programma estetico dello smontaggio, della parcellizzazione e atomizzazione della realtà attraverso la riduzione del testo a frammento, secondo la lezione brechtiana del Fatzer, transita infatti dalla dimensione polifonica del dramma a quella monodica della poesia, nella quale l’autore diviene interlocutore diretto della Storia, in una sorta di corpo a corpo con il presente. I quarant’anni di crescente scetticismo verso il socialismo reale della DDR, protocollati da Müller nell’opera teatrale, si riflettono così in un inverso diradarsi della parola sulla pagina, accompagnato da reali difficoltà fisiche dell’autore, indebolito da una lunga malattia che nel 1995 lo avrebbe stroncato. Parallelamente al crollo di ogni utopia, fatalmente Müller documenta anche la propria morte, per la quale l’autore non ricorre all’annotazione diaristica ma alla poesia, commutando il tradizionale confronto tra arte e vita in quello fra arte e morte. Se prima dell’’89 il motore della scrittura era una presunta convinzione di essere “in possesso della verità”, dopo il 9 novembre di quell’anno è la vergogna a muovere l’atto scrittorio dell’autore: “Meine Scham braucht mein Gedicht” (“la mia vergogna ha bisogno della poesia”, ma anche “la mia poesia ha bisogno della mia vergogna”), scrive Müller nella poesia Müller im Hessischen Hof (Müller allo Hessischer Hof, del 1992). Una vergogna reiterata per il fallimento dell’utopia socialista, un disprezzo per il trionfo dell’economia capitalistica che non restano confinati nelle numerosissime interviste che Müller rilascia nei primi anni Novanta, gli anni in cui la sua produzione drammaturgica si dirada perché è la Storia stessa che viene a mancare. I primi mesi dopo la caduta del Muro equivalgono per Müller a una “notte in una stanza senza dimensioni”, in cui l’autore pare improvvisamente ammutolire di fronte alla mancanza di riferimenti spazio-temporali certi. Tutto, a partire dalla città di Berlino, gli è estraneo. Fiaccato dalla malattia che lo stroncherà nel 1995, lo scrittore prende congedo da persone e da luoghi a lui un tempo familiari, a cominciare dalla città di Berlino (FREMDER BLICK: ABSCHIED VON BERLIN, IBSEN ODER DER TOD ALS EMBRYO FAHRT DURCH EINE FREMDE STADT). È soprattutto nella città riunita che l’io lirico intravede un microcosmo in cui si riassume la storia tedesca degli ultimi anni e la nuova realtà neocapitalistica che nessun dramma può più rappresentare. Lo sguardo introspettivo, una novità con pochissime eccezioni in Müller, indulge sulla malattia, sulla caducità della vita, sul destino dell’uomo (ZWISCHEN DEN SCHLACHTEN GEGEN MICH, Über ein Blatt mit Gedichten, dialog), e fa emergere una fragilità che spesso attiene alla dimensione del singolo e non più a quella collettiva di molti dei drammi precedenti. «Lirica significa uscire dalla realtà», sentenziava Heiner Müller nel 1990, proiettando sé stesso al di fuori di quel mondo di certezze che sapeva distinguere tra vincitori e vinti, tra oppressi e oppressori, tra sordi e muti, e riconoscendo all’atto creativo un fondamentale ruolo politico e rivoluzionario, perché «solo quando si esce dalla realtà, si può influire su di essa».

[Immagine: Joseph Gallus Rittenberg, Heiner Müller (gm)].

 

2 thoughts on “Heiner Müller, Poesie

  1. aiace

    forse prometeo avrebbe dovuto aspettare la
    nuova umanità che zeus aveva in mente o già
    sul tecnigrafo
    il crimine è l’impazienza. stalin sapeva che
    la premessa per l’uomo nuovo era l’annientamento
    del vecchio.
    lenin aveva ragione quando diceva a trotzki: ci siamo
    meritati la forca. (H. Müller)

    Anche una poesia, e questa di Müller in particolare, può essere contraddetta e ribaltata:

    1. Zeus, per quanto “riformista” potesse essere, non avrebbe mai permesso che gli umani gli strappassero il fuoco;

    2. A volte «il crimine è l’impazienza». Più spesso lo è la pazienza (cieca);

    3. Stalin ha voluto «l’uomo nuovo» perché non ha saputo (o potuto) volere più rapporti sociali nuovi;

    4. Quella frase, se di Lenin (non so), non va letta come ammissione di colpa. Per me è come se avesse detto: siamo stati così bravi (a fare una rivoluzione “proletaria”) che, per Loro, ci meritiamo la forca.

    4.1. Ma, se andasse intesa alla lettera, va precisato che tutti quelli che hanno conquistato il potere in questo o quello Stato meriterebbero la forca. Machiavelli lo sapeva.

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