cropped-matteo-renzi11.jpgdi Rino Genovese

Matteo Renzi si sta preparando a perdere le prossime elezioni. Domani potrebbe apparirci addirittura brillante il deludente risultato ottenuto da Bersani l’anno scorso. La ragione di ciò è presto detta: Renzi si è infilato nel tunnel lunghissimo delle cosiddette riforme alla cui fine non c’è alcuno sbocco sicuro. Tra una riforma costituzionale e l’altra, con doppia lettura alla camera e al senato, nemmeno si può essere certi che le elezioni si tengano nel 2015. E se le cosiddette riforme non venissero fuori, com’è probabile (ve li vedete voi i senatori chinare obbedienti il capo sul patibolo per autoabolirsi da soli?), Renzi incasserà unicamente l’essenziale perdita di tempo necessaria a Napolitano e Letta per tenere in piedi il loro governicchio delle piccole intese. La stabilità a tutti i costi lavora a favore della conservazione sociale e politica. Chi alla fine davvero potrà giovarsene è il berlusconismo che, anche alla luce della legge elettorale che si prospetta, sta già rinsaldando il suo sistema di alleanze, per esempio con il ritorno all’ovile di Casini, per non parlare di Alfano che se n’è allontanato solo per finta. Tra l’altro, lo schema è noto, fu già sperimentato nella scorsa legislatura con qualche successo (ne sa qualcosa il povero Bersani): si contribuisce a dar vita a un governo antipopolare, poi lo si abbandona per sparargli addosso lasciando nelle mani del Pd la patata bollente. A Renzi, se non rompe alla svelta con questo governo, resterà soltanto il plauso convinto dei Monti e degli Ichino, gli arcigni signori delle controriforme del mercato del lavoro, quelli che un voto che sia uno non lo acchiapperanno mai.

La rottura a sinistra che si profila, se il pasticcio della legge elettorale che si tenta di servire non subirà sostanziali correzioni nel passaggio parlamentare, è analoga a quella operata a suo tempo da Veltroni. Qualora la piccola Sel dovesse impuntarsi (in una riunione fiorentina di questo partito ho sentito un compagno affermare perentoriamente che mai e poi mai lui voterebbe un’alleanza di centrosinistra con quella legge), e quindi presentarsi da sola, il due o tre per cento dei suffragi sottratti al “voto utile” potrebbe già essere sufficiente per essere scavalcati dal concorrente berlusconiano. A quel punto solo se intervenisse lo spareggio del doppio turno di coalizione Renzi potrebbe ancora farcela. Se invece, come sarebbe più realistico, Sel contratterà un certo numero di posti sicuri direttamente nelle liste del Pd, beh, allora altro che “i piccoli si arrangino”, come con eleganza ha detto Renzi. Questi piccoli, sparsi un po’ qua e un po’ là, potrebbero diventare determinanti ai fini della maggioranza – specialmente se tra loro fossero inclusi (come secondo me è lecito fare) gli stessi oppositori di Renzi interni al Pd. Il punto è che la politica democratica non è dire “io, io, io…”, ma costruire pazientemente un consenso intorno a un programma e a una leadership.

Renzi aveva al suo arco una facile freccia, che ha evitato di lanciare e che avrebbe di sicuro colpito il bersaglio: quella di chiudere un accordo prima nella maggioranza attuale, allargando poi il discorso a Sel e a chi in parlamento avesse voluto starci, per il ritorno, sia pure con qualche modifica, al mattarellum, cioè al sistema precedente non perfetto ma funzionale. Sarebbe stata una mossa rapida e chiara che, senza resuscitare Berlusconi, in pochissimo tempo avrebbe portato a una legge elettorale che non avrebbe compromesso alcun’alleanza e avrebbe permesso a Renzi di ritornare alle urne nel prossimo maggio con il vento in poppa. Così, invece, potrebbe andare incontro a una sorte non dissimile da quella toccata a Bersani: consumarsi senza combattere, in attesa che i tempi maturino. Il dinamismo renziano ha cominciato a mostrare i suoi limiti. Con un errore politico, dettato dalla presunzione bonapartista di potere cambiare a fondo il sistema.

Ma poi, riflettendoci un attimo, ci sarebbe proprio bisogno, poniamo, di cancellare il senato facendolo diventare una non meglio precisata camera delle autonomie? Il doppio passaggio parlamentare pensato dai costituenti non è una garanzia per i cittadini che le leggi, e anche la fiducia al governo, non si votino alla leggera ma solo con un saldo consenso?

Lo so, mi si dirà che sono un inguaribile proporzionalista. Però non lo sono tanto io, è la Costituzione repubblicana che è costruita intorno a un modello di rappresentanza proporzionale. Finché ci sarà quella che abbiamo, e che può essere cambiata solo seguendo delle precise procedure, il proporzionalismo abiterà le cose della politica come i fantasmi abitano i castelli scozzesi. Altrimenti si dica che si vuole una riforma globale della Costituzione! Per la quale, tuttavia, sarebbe necessaria una nuova assemblea costituente eletta, a sua volta, con criterio proporzionale…

Il mattarellum era il frutto di un tipico compromesso democristiano, di per sé già molto all’italiana: combinava insieme un sistema elettorale maggioritario a turno unico con uno proporzionale (la scheda sulla quale si sceglieva il partito e non il candidato). Di sistemi elettorali del tutto coerenti ne conosco solo due, quello proporzionale, magari con una soglia di sbarramento come in Germania, e quello francese maggioritario a doppio turno nei collegi. Tutto il resto è opera del demonio. Ma c’è demonio e demonio. E il mattarellum era comunque meno satanico del sistema oggi in parte abrogato da un (tardivo) intervento della corte costituzionale.

Qui vorrei aprire un discorso che, se possibile, mi riprometto di riprendere in successivi interventi. Il doppio turno di coalizione, escogitato da Renzi per evitare in futuro le larghe intese, è un rimedio tutto interno alla logica leaderistico-plebiscitaria comune ai diversi populismi succedutisi in Italia da vent’anni a questa parte. Pensateci un momento: mentre il doppio turno in un collegio serve a decidere chi sia, avendo raggiunto la maggioranza assoluta dei voti, il rappresentante parlamentare di un ristretto numero di elettori (non un leader, quindi, ma un rappresentante), il doppio turno di coalizione si inscrive invece nella logica “Gesù o Barabba?” che, trasferita a livello nazionale, è appunto la logica plebiscitaria. Ancora una volta: si tratta di un presidenzialismo senza che la Costituzione, pensata invece per una repubblica parlamentare, sia stata modificata. Un presidenzialismo mascherato.

Nella presente temperie, dunque, non si riesce neppure a intravedere l’alba di un nuovo giorno per il nostro paese, immerso tuttora nella notte di rabbia, risentimento, qualunquismo, in cui è lentamente sprofondato nel giro di vent’anni. Con in più una situazione economica nettamente peggiorata, chiuso in un piccolo mondo antico che rifugge dall’innovazione in qualsiasi campo. Oggi quegli amici che, alle scorse elezioni, da sinistra hanno votato per Grillo, ultimo grido dell’eterna sindrome populistica, pensando così di smuovere le acque, avranno di che meditare. In questi giorni la protervia sessista dei suoi deputati ha passato il segno. Indignano le aggressioni nei confronti della presidente della camera, che per nostra fortuna, sotto un viso d’angelo da pittura rinascimentale, nasconde una notevole forza di carattere. Lei e Cécile Kyenge sono gli unici barlumi di speranza che la diciassettima legislatura repubblicana di questa Italia porca e razzista ci abbia concesso.

[Immagine: Matteo Renzi].

 

15 thoughts on “Come perdere le elezioni

  1. Che dire più che sottoscrivo dalla prima all’ultima parola? Su Renzi (ora la sparo grossa) ho grossi dubbi che riuscirà a vincere le comunali fiorentine altroché le nazionali.

  2. “[…]il ritorno, sia pure con qualche modifica, al mattarellum, cioè al sistema precedente non perfetto ma funzionale. Sarebbe stata una mossa rapida e chiara che, senza resuscitare Berlusconi, in pochissimo tempo avrebbe portato a una legge elettorale che non avrebbe compromesso alcun’alleanza e avrebbe permesso a Renzi di ritornare alle urne nel prossimo maggio con il vento in poppa.”

    Mi piacerebbe che Rino Genovese, l’autore del post, chiarisca quale modifica del mattarellum aveva in mente, per sapere soprattutto se tale modifica, con nessuno dei tre poli che riesce ad avere una maggioranza netta, non finiva per far ripetere il risultato delle ultime elezioni con conseguente ritorno al punto di partenza delle larghe intese.

    Ciao.

  3. Caro Michele, le modifiche cui pensavo – se n’è parlato, mi pare – sono l’abolizione dello scorporo, un meccanismo molto barocco che è un correttivo in senso proporzionale, la proibizione delle “liste civetta” e cose del genere. Con coalizioni ben costruite (evidentemente non con personaggi come Bertinotti…), e con la possibilità di ricorrere alla desistenza nei collegi, il “mattarellum” penalizza chi non si allea. I grillini, con tutto il loro 20%, avrebbero fatto più o meno la fine che fecero popolari+patto Segni con il 10% nel 1994: cioè pochi seggi.

  4. Non credo che Renzi si sia “infilato nel tunnel lunghissimo delle cosiddette riforme”, il tunnel non esiste, esiste solo Renzi.
    Quanto al doppio turno, sì: è il marchio della Bestia.
    L’impegno di Laura Boldrini è incontestabile, meno il giudizio sulla sua intelligenza politica. Cecile Kyenge graziaddio è un’eroina senza paura.
    E io, dopo aver votato qualche volta il PD turandomi tutti gli orifizi, certo non voterò mai per alcuna coalizione, per alcun partito riconducibile a Matteo Renzi. Se perde ne sarò dunque nel mio piccolo, responsabile.

  5. Trovo sorprendente che Genovese in questo suo articolo non dedichi una sola parola al comportamento vergognoso del Pd e del suo satellite vendoliano in occasione del recente dibattito parlamentare. Accompagnare con il canto di “Bella ciao” l’approvazione forzosa, imposta con la ‘ghigliottina’ procedurale voluta dalla Boldrini, di un provvedimento che impingua le banche e rafforza il capitale finanziario, oltre ad essere un gesto grottesco, rivela in modo paradigmatico, ossia nasconde e insieme manifesta, con quella ipocrisia che è l’omaggio del vizio alla virtù, una linea di condotta che, di fatto, sostiene e coonesta l’involuzione autoritaria del nostro paese. Pur considerando il Movimento Cinque Stelle un fenomeno essenzialmente neo-qualunquista, confesso che la furibonda campagna scatenata contro i deputati di tale movimento dai vari pennivendoli e corifei dei ‘mass media’ mi ha fatto tornare in mente la stagione degli “anni di piombo” contro il terrorismo. Eppure la richiesta di ‘impeachment’ del Presidente della Repubblica, avanzata al Senato ed alla Camera dei deputati del M5S, è pienamente legittima e ben documentata. I motivi della richiesta sono infatti: 1) l’espropriazione della funzione legislativa del Parlamento e l’abuso della decretazione d’urgenza; 2) la riforma della Costituzione e del sistema elettorale; 3) il mancato esercizio del potere di rinvio presidenziale; 4) la seconda elezione del Presidente della Repubblica; 5) l’improprio esercizio del potere di grazia; 6) il rapporto con la magistratura: processo Stato-mafia.
    Per quanto riguarda il ruolo che sta svolgendo Renzi nel quadro di una crisi storica di eccezionale gravità in cui si dibatte l’Italia, non vi è dubbio che esso corrisponda, per chi ha costruito, finanziato e lanciato il camaleonte fiorentino, a quel vuoto d’essere, a quell’assenza ontologica che sono la rappresentanza perfetta, suscettibile dei più diversi contenuti ma docile ad ogni comando e prona ad ogni volere, di quel pieno di potenza che è la dittatura euro-americana del capitale. Come hanno dimostrato i suoi atti e i suoi comportamenti politici di questi ultimi mesi e di queste ultime settimane, il camaleonte fiorentino è l’uomo ideale per gestire un sistema fondato sulla generalizzazione del lavoro flessibile, precario e temporaneo, sulla fine di ogni democrazia, di ogni conflitto sociale e di ogni sovranità nazionale, sull’arbitrio assoluto di un interventismo imperialistico attuato in nome di presunti ‘diritti umani’. In un simile contesto l’estetizzazione della politica e la scotomizzazione delle contraddizioni di classe, effetto congiunto dell’opacità dei meccanismi sociali e della mobilitazione reazionaria che trova in essi un fertile terreno di coltura, sono destinate a perdurare fin quando un’analisi critica dell’origine e della natura dei processi che si stanno svolgendo non dissolverà le fantasmagorie della mercificazione sia economica che politica, “ritornando alle cose stesse” e ponendo in luce le alternative che sono immanenti al loro corso insanabilmente contraddittorio: lavoro o impresa, capitalismo o democrazia, guerra o pace, socialismo o barbarie.
    Infine, la chiusa dell’articolo, in cui Genovese arriva ipocriticamente ad asserire che «Laura Boldrini e Cécile Kyenge sono gli unici barlumi di speranza che la diciassettima legislatura repubblicana di questa Italia porca e razzista ci abbia concesso», merita due postille: Iª) le due signore non mi pare che possano vantare alcun merito, a meno che essere rappresentanti della borghesia ‘di sinistra’ (laddove questo è solo un complemento di specificazione, ma non di qualità) non sia considerato da Genovese un merito; IIª) sono d’accordo sullo strale lanciato contro «l’Italia porca e razzista», ma solo a condizione che si riservi un altro strale all’Italia porca e antirazzista che le sta accanto.

  6. Caro Barone, Boldrini ha semplicemente applicato il regolamento trovandosi stretta tra le intemperanze (a dir poco) grilline e il fatto che il governo, con una pratica che non smetteremo mai di deprecare, ha messo insieme in un unico decreto cose d’indubbia urgenza e altre molto meno. Sul merito della questione Banca d’Italia preferisco non pronunciarmi perché dovrei approfondire il significato dell’operazione. Invece, sul dissenso da Napolitano, mi sembra di essere stato più volte chiaro: si tratta, per rincarare la dose, del peggiore presidente della repubblica (eppure ce ne sono stati di pessimi, da Leone a Cossiga). Non si può dimenticare, tuttavia, che la responsabilità della sua rielezione è soprattutto del Pd che, incapace di eleggere Prodi o Marini, a causa delle lacerazioni interne, si ricompattò su Napolitano aprendo la strada alle larghe intese. La denuncia grillina per “attentato alla Costituzione” è pretestuosa, e un giudizio politico negativo non dovrebbe mai diventare una sorta d’imputazione davanti a un tribunale (per giunta inesistente, perché la messa in stato d’accusa del capo dello stato è una procedura tutta parlamentare).

  7. Concordo con Barone. Le intemperanze, sono quelle seguite; prima erano una ferma e severa opposizione. Come è corretto che si faccia. Sono d’accordo che non si può scendere così facilmente nello specifico, ma se questo specifico è il movente di tutto, ecco che non si può essere leggeri nel giudizio contro i cinque stelle. Se vero è che tale operazione è stata compiuta contro l’interesse del popolo, a favore di élite finanziarie sempre più irresponsabili, per usare il solito eufemismo, ecco che tutto ha un altro significato …

    … trovo invece qualunquista parlare di populismo, quando questo “populismo” è in realtà una volontà popolare che chiede, basandosi su fatti accertati, una classe politica lontana dalla corruzione e dai poteri sovranazionali. Inevitabile quindi si portino avanti richieste “banali” a furor di popolo. La politica deve essere la dipendente del popolo e non il Padrone. Su questo, le logiche grilline hanno soltanto ragione.

  8. A proposito di Giorgio Napolitano, è bene ricordare le genesi, che risale al 2011, della forzatura in senso presidenzialistico della forma-Stato italiana. Dal punto di vista giuridico-formale, già con la nomina di Monti fu sospeso il normale funzionamento della stessa democrazia borghese. Monti infatti non fu eletto da nessuno, ma fu nominato dal Presidente della Repubblica, il quale, per dissimulare una procedura assolutamente anomala, gli conferì la nomina di senatore poco prima del varo del governo. Pertanto, il governo Monti non fu un governo tecnico, ma il governo del Presidente. Così, mentre la figura del Presidente del Consiglio diventava sempre più evanescente, quella del Presidente della Repubblica assumeva un profilo sempre più marcato, esorbitando nettamente non solo dallo spirito, ma anche dalla lettera della Costituzione. Fu sempre l’uomo del Colle a spingere in modo determinante per la partecipazione dell’Italia alla guerra della Nato contro la Libia, calpestando il trattato di amicizia tra l’Italia e la Libia, mentre Berlusconi cercava di frenare il protagonismo bellicista del Presidente della Repubblica. A mano a mano che questa figura veniva assumendo un ruolo sempre più esecutivo, è stata posta in atto una metamorfosi politico-istituzionale dalla forma, stabilita nella Costituzione, di governo parlamentare ad una forma semi-presidenziale o addirittura presidenziale. L’azione di Napolitano ha sconfinato in tal modo sia dalla forma che dalla sostanza della Costituzione, trasgredendo il Titolo II della Costituzione ed in particolare gli articoli 87 e 88, che regolano le funzioni del Presidente. Il presidente non ha la facoltà di nominare chicchessia al governo, ha solo la facoltà di sciogliere le Camere e di indire nuove elezioni, svolgendo un ruolo di controllo e di garanzia della Costituzione, ma non esecutivo. Di fronte a questa serie di atti in contrasto con la Costituzione, la sinistra che cosa ha fatto? Nulla, poiché quasi nessuno si è permesso di sottoporre a critica il ‘modus operandi’ del Presidente della Repubblica. Domanda: se tutto questo fosse stato fatto da un presidente vicino a Berlusconi, la sinistra si sarebbe comportata nello stesso modo?

  9. Il significato dell’operazione Banca d’Italia è questo:

    “Tramite questo provvedimento squinternato verrebbe rivalutato il capitale sociale di Bankitalia finora gestito fiduciariamente al 95% dalle banche italiane ex pubbliche (valore attualmente segnato nei bilanci al prezzo di 156.000 euro). Il decreto mira a tramutarlo da quota di partecipazione con valore simbolico a quota proprietaria ( da segnarsi a patrimonio) rapportata al valore reale della Banca d’Italia, valore reale rappresentato dai diritti di signoraggio e dalle sue riserve auree raccolte da sei generazioni di Italiani.

    Questo significa, in pratica, che il popolo italiano ( NOI) non sarebbe più il possessore delle riserve auree della Banca d’Italia ma lo diverrebbero gli istituti di credito che “partecipano” al suddetto “aumento” di capitale : detto in altre parole, si tratta di un furto ai danni del popolo italiano per sostenere con una semplice scrittura contabile la tradizionale sottocapitalizzazione delle banche italiane.” [pubblicato da A. de Martini prima dell’approvazione del decreto, qui: http://corrieredellacollera.com/2014/01/04/loro-depositato-presso-la-banca-ditalia-piu-di-2500-tonnellate-valutato-a-30-euro-al-grammo-vale-piu-di-miliardi-di-euro-vogliono-cederlo-a-abramo-bazoli-alessandro-profumo-e-a-unicredi/%5D

    Qui: http://corrieredellacollera.com/2014/01/12/perche-loro-bankitalia-appartiene-al-popolo-italiano-e-non-alle-banche-partecipanti-prima-parte-di-mario-esposito/
    e qui: http://corrieredellacollera.com/tag/mario-esposito/
    l’analisi giuridica della illegittimità del provvedimento, scritta dall’Avv. M. Esposito, dell’Università del Salento.

    Concordo con Barone su Napolitano. La sua sistematica forzatura dei limiti costituzionali della carica mi par difficile da negare; ed è tanto più grave in quanto esercitata in accordo con potenze straniere (Germania e USA per l’insediamento del governo Monti, USA, Francia e Gran Bretagna per l’aggressione alla Libia, commessa immediatamente dopo che con quella nazione, l’Italia aveva sottoscritto – nelle persone di Berlusconi e Napolitano, capi di governo e di Stato – un solenne trattato di amicizia).
    Quando V.E. III nominò Presidente del Consiglio Benito Mussolini, forzò lo Statuto non meno di Napolitano con la nomina di Monti; ma perlomeno, lo fece sua sponte e senza mandati stranieri; e Umberto II di Savoia, quando lasciò l’Italia, non si portò via i gioielli della Corona, né li vendette al migliore offerente. Li lasciò al popolo italiano che ne era il legittimo proprietario, esattamente com’è il legittimo proprietario dei depositi aurei della Banca d’Italia.

  10. Naturalmente il parallelo storico istituito da Buffagni è del tutto fuori luogo. Monti non ha organizzato nessuna marcia su Roma. Non ho sottomano lo Statuto albertino, ma credo che il re potesse nominare il suo capo del governo: il problema è che lo fece (e ben volentieri) sotto una pressione, vera o finta che fosse, di tipo insurrezionale. Cito invece dalla Costituzione repubblicana: “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri” (art. 92). Al bar una volta ho sentito un tale protestare contro il divieto di fumo: “È anticostituzionale”, diceva… Ognuno s’inventa la Costituzione che gli pare.

  11. Infatti, sia VEIII, sia Napolitano operarono nei limiti della legalità, rispettando la lettera, ma non lo spirito della carta costituzionale. Il Savoia, perché spinse alle dimissioni Facta che non era stato sfiduciato dal Parlamento; Napolitano perché spinse alle dimissioni Berlusconi, che non era stato sfiduciato dalle Camere.
    Monti poi non organizzò nessuna marcia su Roma, perché a) non aveva nessuno da far marciare, essendo un notabile privo di base politica b) perché in ogni caso non ne aveva bisogno, visto che ci è stato inviato al governo da Berlino e Bruxelles.
    Quanto a legittimità, se la legittimità si fonda sul consenso del popolo, tra lui e Mussolini ne aveva di più Mussolini.
    Io non dubito che Napolitano, circondato com’è di consiglieri legali, si sia sempre mantenuto nei limiti della legalità; o che perlomeno, che le sue eventuali illegalità siano opinabili, in termini di diritto. Il punto non è la legalità: il punto è la legittimità della sua azione; e su questa, il giudizio è politico ed etico, non giuridico. Il mio è fortemente negativo.

  12. Aggiunta: dopo la sconfitta dell’Italia nella IIGM, giornalisti e storici antifascisti (spesso fascisti sino al giorno prima) hanno sistematicamente definito la nomina a capo del governo di Mussolini “il colpo di Stato del Savoia”.
    Se verrà sconfitta la classe politica italiana pro-UE, la nomina di Monti sarà definita da giornalisti e storici anti-UE (spesso pro-UE fino al giorno prima) “il colpo di Stato di Napolitano”.
    Suggerisco di tenere sin d’ora un taccuino con le pagine divise in due colonne:
    “servo encomio” e “codardo oltraggio”. Sarà di grande utilità alle future generazioni, che stupiranno nel constatare quanti nomi figurano (sotto date diverse) in entrambe le colonne.

  13. Consiglio a Genovese di non indulgere alle facezie da bar e di leggere con attenzione questo articolo di Umberto Allegretti, professore emerito di Istituzioni di diritto pubblico nell’Università degli Studi di Firenze: http://www.rivistaaic.it/sites/default/files/rivista/articoli/allegati/Q1_Allegretti_2013.pdf .
    L’articolo è stato pubblicato sulla rivista telematica giuridica dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti e, pur essendo caratterizzato da un atteggiamento quanto mai rispettoso nei confronti del Presidente della Repubblica, pone in evidenza i profili, sia reali che potenziali, di estrema incostituzionalità che sono ravvisabili nell’operato del ‘dominus’ che ha imposto prima il governo Monti e poi il governo Letta.
    Consiglio infine a tutti i frequentatori di questo sito di riflettere sulla chiusa dell’articolo di Allegretti: “Perciò, malgrado ogni savia intenzione del capo dello stato e le qualità del presidente del consiglio e di molti membri del governo, in quel che si vede sembra di non poter scorgere altro che un futuro oscuro e precario”.

  14. Su questa vicenda, appena credo (e spero) sarà possibile reperire il filmato su Youtube, consiglio la visione dell’intervista di oggi fatta a Travaglio su RAI 3 (ripeto oggi 4 febbraio) .. dove ha spiegato con parole cristalline e ragionamenti precisamente circostanziati, il perché oggi si possa legittimamente discutere di un Parlamento esautorato a tutti gli effetti. Questo senza minimamente difendere, anzi condannandole, le intemperanze dei Grillini; a riprova di una disamina più che onesta intellettualmente.

  15. Gentile Genovesi

    Sono uno “degli amici che da sinistra ha votato Grillo”. E lo rivoterò. Eccome!!

    Vedo che l’idiosincrasia e i pregiudizi nei confronti del M5s son duri a morire. Per tutta la sua disamina ha dimenticato i 5 stelle, come se fossero una cosina da poco, una bazzecola che nulla c’entra coi giochi che Lei ha analizzato. Per poi ricordarli (solo alla fine) descrivendili come un coacervo di buoni a nulla che sbrodolano frasi sessiste (e difendendo, per di più, l’indifendibile Boldrini, rea di avere tradito il suo incarico applicando il bavaglio della ghigliottina).
    Se ne faccia una ragione, la realtà è ben altra di quella che pittura la stampa. Le frasi sessiste (tranne un paio, esecrabili, e scappate in reazione ad un atto eversivo della compagine di Maggioranza di cui la Boldrini fa parte) non appartengono ai 5 stelle, ma al mondo della Rete. Parlare di violenza o peggio di squadrismo a 5 stelle è tanto ridicolo quanto utile alla causa del consenso a 5 stelle. Si informi su chi sono i rappresentanti in parlamento, si legga il loro curricula.
    I 5 stelle stanno dimostrando da mesi di essere gli unici credibili e in grado di far sue certe istanze politiche e culturali di Sinistra (i deputati di SEL, tanto per ricordare l’ultima votazione del DL Imu-Bankitalia, su 35 erano assenti in 29) e gli altri 6 han messo lì il solito voto di bandiera. Ma le pare un’opposizione questa?

    Un ultimo punto sulla disamina della legge elettorale da lei proposta: se Renzi non è andato al voto col Mattarellum o “il porcellum mondato” dalla Consulta ci sarà una ragione,o no?. Sarebbe stato asfaltato dal M5s (oltre che da rotture a sinistra della sua compagine). Nella sua disamina lei non tiene conto del M5S, inficiandola perciò nel suo valore.

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