di Mauro Piras
I grillini diventano sempre più come Berlusconi. Non nel senso della volgarità, sarebbe un’osservazione ingenerosa. In questo, nell’uso sistematico della violenza verbale come strumento di lotta politica, sono in continuità con la Lega e Forza Italia, ma si sa, non vale la pena di sottolinearlo; sono solo il frutto di questi vent’anni di politica italiana. E neanche per la loro incredibile capacità di minimizzare: “sono battute”, “pochi casi isolati”, “dovete contestualizzare” ecc. Ormai ci abbiamo fatto il callo, non ci facciamo neanche più caso. La politica italiana parla così: insulta, e pesante, poi si gira dall’altra parte, “chi, io?”. Quindi non rimproveriamo neanche questo ai grillini, poveri ragazzi, sono cresciuti in questo mondo infame, sono venuti su così. No, quello che colpisce è questa tecnica di fare un gran casino per nascondere l’essenziale. Questa è proprio una mossa consapevole degna di Berlusconi. Quando la situazione politica ti sfugge di mano, sollevi un gran polverone così si parla solo di questo. E nessuno parla più di quello di cui si parlava poco prima.
Per esempio, che dopo otto anni di immobilità sulla legge elettorale si è arrivati a un accordo, e la legge si fa entro febbraio. Che per la prima volta da non si sa più quanti anni (non voglio contarli) il PD ha ripreso l’iniziativa politica e, come si dice in gergo, sta “dettando l’agenda” al governo e agli altri partiti. È questo il punto fondamentale. La spinta in avanti data da Matteo Renzi e dalla sua segreteria alla politica italiana, è questa la novità, con tutto quello che di negativo e di positivo c’è, dentro questa accelerata.
Sul terreno della legge elettorale, il negativo si vede subito, salta agli occhi. Per portare a casa un accordo in un contesto di guerra per bande, Renzi non ha esitato a far scattare dei meccanismi di ricatti incrociati. La coalizione di governo non si è affrettata a trovare un accordo, perché Alfano tentennava? Bene, allora l’accordo lo faccio con Berlusconi, che mette Alfano nell’angolo. I grillini, come al solito, snobbano qualsiasi proposta? Bene, chi ci sta ci sta, e quindi, anche qui, dentro Berlusconi. E i contenuti ne risentono. La legge è come al solito un compromesso mediocre: un proporzionale di lista, con liste bloccate e premio di maggioranza, e soglie di sbarramento piuttosto punitive per i piccoli partiti. Tutte cose negative, messe così; ma soprattutto il premio di maggioranza, che è sempre, per principio, una bestemmia. Poi, meno male, c’è il doppio turno. Con la soglia al 37% per ottenere il premio di maggioranza, possiamo sperare che nella situazione attuale la legge elettorale sia un doppio turno di fatto. Il che ha un suo senso. Insomma, anche questa legge è un pasticcio. Ma sbaglia chi dice che è pessima quanto quella in vigore (il cosiddetto “porcellum”). Quest’ultima, nella sua forma originaria, è stata certamente la peggiore legge elettorale della Repubblica, e forse la peggiore concepibile. Non rendeva possibile la governabilità, e allo stesso tempo non garantiva nessuna rappresentatività, a causa del premio di maggioranza del tutto arbitrario. Né va bene dopo l’intervento della Corte Costituzionale: ne è venuto fuori un proporzionale quasi puro, solo con soglia di sbarramento, quindi se volete larghe intese a vita siete serviti. E si illudono anche quelli che pensano che il cosiddetto “mattarellum” sarebbe una buona soluzione. Intanto, anche questo non brillava per rappresentatività, dal momento che la preponderante componente maggioritaria era a un solo turno; inoltre, la parte proporzionale serviva a dare quel tanto di instabilità senza il quale i nostri politici non sopravvivono. L’unica soluzione seria sarebbe un doppio turno uninominale. Se adesso dobbiamo accontentarci di quest’altro pasticcio, in cui il doppio turno si ottiene solo pagando il dazio del premio di maggioranza e delle liste bloccate, il merito va a chi ha messo i propri interessi di bottega prima di ogni visione generale, lasciando il campo all’unico politico, in questo momento, capace di tenere testa a Renzi, cioè Berlusconi.
Ma c’è un’altra ragione, per prendere questa legge elettorale così com’è, con tutti i suoi difetti, votarla in fretta e chiudere questa pratica. La fretta stessa. La gente ha fretta. La forza più consistente, in termini politici, nel paese adesso, è la stanchezza. La stanchezza delle lungaggini, delle indecisioni, delle decisioni mancate, dell’immobilità. La gente vuole vedere subito risultati. Altrimenti monta la furia senza oggetto, che colpisce ogni politico solo perché fa il politico. È questo che la sinistra non ha capito, alle elezioni di febbraio 2013. È questo che non abbiamo capito noi che abbiamo sostenuto il progetto di Bersani. Non abbiamo capito che la semplice forza inarticolata della rabbia e della fretta di cambiare tutto era il fattore determinante. Grillo ha vinto su questo. Renzi ha saputo percepire, di pancia, istintivamente e demagogicamente, la stessa cosa. Ha saputo raccogliere le stesse energie in una parte dell’elettorato di sinistra, e anche in altre parti di elettorato. Il suo problema quindi è correre: ottenere in fretta qualcosa, dare una scossa al governo, e presentarsi alle elezioni con dei risultati in mano. Altrimenti perché dovrebbero votarlo?
Ma allora, perché si è infilato nel tunnel delle riforme? (Come ha scritto Rino Genovese in questo blog.) La domanda avrebbe senso se questo fosse vero. Ma non è vero. Renzi ha posto degli ultimatum. O si fa subito la legge elettorale, o qui salta tutto. E infatti, fino all’approvazione della legge ha bloccato tutto il resto: piano per il lavoro, nuovo contratto di coalizione ecc. Ha legato la riforma della legge elettorale a qualche riforma costituzionale, sì, come l’abolizione del Senato, delle Province ecc. Riforme discutibili, a dir la verità. Ma l’umore nero dei cittadini italiani vuole delle vittime, e Renzi le offre, in fretta. Se riesce a fare queste cose, e a sbloccarne altre tre-quattro in altri campi (lavoro, scuola), allora si presenta come l’unico che ha fatto qualcosa, che ha smosso le acque, e ha buone possibilità di vincere. Perché cavalca l’unica forza che conta, adesso: l’insofferenza, la voglia di vedere che la situazione si sblocchi. Gli italiani sono stufi di questi governi inconcludenti, ma non è vero che vorrebbero subito le elezioni, perché sospettano altre paralisi, altre immobilità. Fare subito qualcosa vuol dire prepararsi il terreno per vincere davvero. Quindi, in realtà, Renzi non si è impantanato proprio per niente. Finché riesce a ricattare le altre forze politiche, traina. Altrimenti, in effetti, sfascia tutto. Ma per ora non ha ragione di farlo.
E qui entrano in gioco i grillini con il loro teatrino (che non è della politica, dio ne scampi). Intanto, si sono tenuti alla larga dalla riforma della legge elettorale non solo per mantenere pura la loro coerenza (Di Battista: “il letame si spala, non ci si tratta”), ma anche perché il loro unico obbiettivo è avere più parlamentari. Con la legge proporzionale di fatto in vigore ottengono più seggi che con altri sistemi con premi di maggioranza, doppi turni ecc. A loro interessa solo stare in parlamento a mostrare al mondo quanto sono bravi a studiare le leggi, mentre gli altri non ci capiscono niente. Studiare però; farne, no, perché dovrebbero allearsi col letame, che non è bello. E poi hanno questo rigurgito di vitalità repressa, perché qualcosa devono fare, no? Quindi, dopo due mesi si attaccano al decreto Imu-Bankitalia gli ultimi giorni, sapendo benissimo che alla fine l’ostruzionismo sarebbe stato fermato, perché fare pagare agli italiani la seconda rata dell’Imu avrebbe provocato un’insurrezione in tutto il paese, questa volta davvero, altroché chiacchiere. E poi, se vi ricordate, anche loro erano a spada tratta per l’abolizione dell’Imu. E si trovano a fare casino contro questo decreto insieme a Forza Italia, altro partito notoriamente pro-Imu. Il bello dei Cinque Stelle, però, è la loro identificazione con la causa. Tutta questa caciara montata per cambiare la scena politica, per togliere terreno a Renzi e spostare demagogicamente il malumore degli elettori. Anzi, meglio, riattivare il malumore, che magari cominciava a calmarsi qua e là. Però loro ci credono veramente, e quindi quando gli tolgono il giocattolo si arrabbiano davvero. E lì viene fuori di che pasta sono fatti. Sono uomini forti, di nervi saldi, che di fronte a opposizioni ferme non si lasciano andare a insulti. Ecc. Conoscete la storia. Va solo ricordato che Adorno, da qualche parte, diceva che il fascista è paranoico, perché vorrebbe trasformare anche il soggetto che ha di fronte in oggetto, ma non ci riesce, e quindi esce fuori di sé, si sente perseguitato. (È solo un pensiero che mi ha attraversato la mente, non fateci caso. Come quella frase dei Manoscritti di Marx in cui si dice che l’emancipazione della specie umana si misura dal rapporto tra uomo e donna. Ma sono cose vecchie).
Mi faccio un po’ pena, a dire il vero. Ho già sprecato quasi novemila caratteri per descrivere una politica da bassa cucina, mediocre. Perché? Perché il dato è questo. Le forze più “innovative”, le giovani energie che devono ripulire e rinnovare la politica italiana, ci propongono questo quadro. Ma poi anche perché c’è un altro problema, dietro. La democrazia, da sola, non sopravvive. Altri regimi politici sì. Il potere carismatico si tiene su finché la massa crede nel carattere “straordinario”, quasi sacrale, del capo. Questo carattere non subisce smentite empiriche. Può solo collassare d’un colpo, come crolla una fede. E il potere tradizionale, o la teocrazia religiosa, hanno anch’essi fonti che sfuggono alla contraddizione della realtà empirica. La democrazia fa promesse empiriche, e muore quando non le mantiene. E poi si regge sulla pia illusione della partecipazione. È ovvio, è un ideale normativo. Tutti devono poter partecipare, perché siamo tutti uguali. Ma tutti sappiamo che la parte della popolazione che partecipa attivamente è una minoranza, per quanto ampia. E gli altri? Gli altri, se non vedono risultati, se non sono tenuti insieme da altre forze (tradizionali, carismatiche, religiose, identitarie) mediate dalla democrazia, seguono o cercano forze di questo genere fuori dalla democrazia, e la attaccano. La democrazia è noiosa, con le sue procedure, con le regole, con il rispetto per le forme (come, per esempio, non saltare sui banchi del governo o non bloccare le commissioni). È un equilibrio cervellotico, che si può giustificare, in tutti i passaggi. Ma che diventa intollerabile per chi non ci è dentro e non vede il rapporto di questo con la propria vita quotidiana. Mentre è facile cogliere un rapporto con la propria vita quotidiana quando si vede un “politico non politico” (tipo Berlusconi, tipo Grillo) che si arrabbia, sputa violenza, insulta. La rabbia repressa della propria vita quotidiana trova il suo luogo naturale. La democrazia ha già perso la partita, quando questa identificazione si è prodotta. La maggioranza dei non partecipanti, di quelli che trovano le procedure un gioco da extraterrestri, diventa la forza d’urto contro la democrazia, quando questa non sa trovare le risorse esterne alla democrazia stessa per tenerli a sé. A sinistra, però, bisogna tenere conto di questo, quando si giudica Renzi e quello che fa.
(Torino, 4 febbraio 2014)
[Immagine: Grillo e Renzi].
Caro Mauro, permettimi solo una rapida battuta, e poi una considerazione amara. Posso anche essere d’accordo con l’ultima parte della tua analisi, ma ho molte perplessità su questo decisionismo renziano, su questo fare qualcosa purché di faccia. E l’amarezza mi viene da quest’ultimo pensiero: perché questo “passare all’azione” non si riesce mai, dico mai, a farlo da sinistra, dicendo e facendo cose da sinistra? Perché?
@ Alberto Ferrero
Perché la sinistra si è ridotta a Renzi (che di sinistra non so cosa abbia). Ergo…
@ Mauro Piras
Le consiglio di ascoltare la trasmissione di Radio TRE (la trova in podcast Rai) “Tutta la città ne parla” di lunedì. Vengono intervistati molti economisti sul decreto bankitalia. Vedrà quello che dicono. La Corte dei Conti parla di danno erariale stimabile intorno al miliardo di euro l’anno. Chi cita Adorno o Marx dei Manoscritti dovrebbe anche andarsi a rileggersi ogni tanto il Marx del Capitale: forse diventrebbe più chiaro il quadro politico contemporaneo, anche italiano.
Per quanto riguarda la bagarre in parlamento va solo ristabilito un principio di realtà: la reazione scomposta (niente di nuovo, nella storia parlamentare occidentale, non solo italiana) è una reazione appunto. Reazione ad un atto di imperio di una presidente della Camera che impedisce l’ostruzionismo per approvare un decreto legge (e c’è stata una precisa richiesta di scorporo fra questione Imu e Bankitalia del M5s che la presidente ha rigettato) che ricapitalizza il sistema bancario privato con soldi pubblici. Anche la presidente della Camera Bordini dovrebbe andarsi a rileggersi qualche pagina del Capitale e lasciar pedere per sempre, per lo meno quando si parla di banche, i pur magnifici Manoscritti…
Ho 37 anni e davvero non riesco a vedermi rappresentato da nessuno, oggi. Però quello che più mi turba e mi preoccupa è il PD e il suo spirito santo (Repubblica). Se uno riesce a superare la coltre di menzogne e di propaganda e di spostamenti mediatici continui, quello che è successo settimana scorsa potrebbe essere semplicemente letto così: violazione di norme procedurali da parte della presidente della Camera, regalo di soldi pubblici al sistema bancario privato, pestaggio di una deputata del M5s mentre le donne del PD cantano Bella Ciao (per aver regalato i miliardi di soldi pubblici al sistema credizio privato). Sembra una scena di Salò.
Capisco anche questa posizione. Mi premeva solo sottolineare – da marxista quale sono – che il gesto mediatico delle deputate del PD sponsorizzato in pompa magna da Repubblica non è neutro ma lavora precisamente per spostare l’attenzione sulle questioni di sostanza che sono in questa situazione precisa tre : violazione di norme procedurali, regalo di soldi pubblici a banche private, pestaggio di una deputata mentre le donne del PD cantavano bella ciao. Sembra una scena di Saló
Caro Mauro, sono stupito da quanto scrivi riguardo al tunnel delle cosiddette riforme. In primo luogo, si direbbe che tu consideri quello di Renzi, al riguardo, un puro bluff. Il che sarebbe parte di un modo di fare molto vecchio, in netta contraddizione con uno che vuole presentarsi come qualcuno che fa le cose e non dice semplicemente di farle. in secondo luogo, questa proposta di riforma elettorale, con il possibile spareggio a livello nazionale, implica necessariamente l’abolizione del senato – a meno di non volere riprecipitare nella stessa discrasia tra camera e senato tipica del “porcellum”. Ti ricordo che un preciso articolo della Costituzione impone che il senato sia eletto su base regionale (questa è la ragione per cui, nel “porcellum”, il premio di maggioranza era appunto regionale, con tutte le conseguenze della discrasia di cui sopra). Insomma, o abolisci il senato o modifichi un articolo della Costituzione, sempre con procedura lunga come in tutti i casi di riforma costituzionale. Il tunnel c’è, eccome! Per questo ho sostenuto che, per andare rapidamente alle elezioni, o almeno mettere sul tavolo la possibilità di farlo, la soluzione sarebbe stata il ritorno al “mattarellum” che non avrebbe implicato alcuna revisione costituzionale.
@ Mauro Piras:
volevo sapere cosa ne pensavi dell’opinione di Rino Genovese del mattarellum modificato qui:
http://www.leparoleelecose.it/?p=13723#comment-150138
secondo il quale questa legge elettorale, ritoccata con l’abolizione dello scorporo e la proibizione delle “liste civetta” avrebbe penalizzato chi non si allea, e riducendo molto i voti dei grillini,
mentre, per quanto riguarda l’attuale proposta di legge elettorale, sempre secondo Genovese, qui:
http://www.leparoleelecose.it/?p=13723
“il doppio turno di coalizione si inscrive invece nella logica “Gesù o Barabba?” che, trasferita a livello nazionale, è appunto la logica plebiscitaria. Ancora una volta: si tratta di un presidenzialismo senza che la Costituzione, pensata invece per una repubblica parlamentare, sia stata modificata. Un presidenzialismo mascherato.”
Volevo inoltre sapere la tua opinione sul superamento del bicameralismo perfetto, solo accennata nel tuo articolo, dove affermi che la riforma attuale è piuttosto discutibile.
Apprezzo questa lettura della situazione e soprattutto leggere come interpreti l’azione di Renzi che per me rappresenta un mistero assoluto. Mia nipote , che ha 32 anni , mi diceva pochi giorni fa che per i cosiddetti ” vecchi ” della sinistra, Renzi è incomprensibile per via soprattutto di aspetti formali circa il suo modo di comunicare. Può darsi… confido nel fatto che devono pur esistere quarantenni diversi da chi ha ” tenuto la scena ” fino ad oggi.
Giuliano
Caro Piras,
mi permetta prima di tutto di congratualrmi col suo stile. Dal mio personalissimo punto di vista, riesce a fare le affermazioni più stravaganti in maniera che a qualcuno (magari un po’ distratto) possono apparire perfino convincenti.
Vorrei adesso di raccontare la stessa storia di cui parrebbe che si volesse occupare anche lei, cioè la cronaca politica recente, da un punto di vista differente, il mio.
A mio modo di vedere dunque, è in corso a livello globale un attacco forsennato alle sovranità nazionali. I capitalisti che si sono globalizzati per una serie di motivi che sarebbe qui troppo lungo specificare, vedono le nazioni come un ostacolo alla loro azione, la nota compulsiva ricerca di profitti crescenti.
In Italia, siamo già a buon punto, rimane ancora come ultima resistenza a questo scippo della sovranità la costituzione. Pertanto, è inutile chiedersi chi oggi comanda, il potere sta già fuori dai confini e chi si occupa di politica in italia ad un certo livello deve solo eseguire ordini altrove ricevuti.
Se le cose stanno così, non possono da noi esistere dei veri conflitti politici, ci sono soltanto conflitti d’interesse di natura strettamente personale tra coloro che vogliono dimostrare agli interlocutori esteri di essere il più bravo ad eseguire gli ordini.
La vicenda politica di Renzi si iscrive pertanto in questa cornice, senza cui ogni cosa perde perfino di senso. E’ così vero questo che è bastato un colloquio con Napolitano perchè Renzi si accordasse col vero protagonista della politica italiana.
Insomma, bisogna distruggere ogni traccia di democrazia attraverso una serie di riforme della cui finalità significativamente chi con più veemenza porta avanti il progetto non parla mai. Si dice soltanto che c’è chi vuole riformare e chi invece non vuole, e naturalmente è implicito che riformare è una cosa in sè positiva. E invece, guarda un po’, queste riforme sono appunto il peggio che ci possa accadere.
Prendiamo il concetto di governabilità (visto l’inutilizzabilità ormai del termine stabilità a causa di quanto l’ha sputtanato Letta). Si dice che un sistema elettorale deve garantire la governabilità. Io dico “magari”, visto che ormai nelle democrazie occidentali non si governa più, proprio in quanto si accettano regole e compatibilità a livello globale (magari anche solo europeo talvolta). Governare significa prima di tutto scegliere, ma nel mondo contemporaneo alle nazioni non è dato di scegliere alcunchè (tranne forse il colore della bandiera). Quindi, il problema della governabilità neanche si pone, bisogna solo apporre un timbro di verifica, di presa d’atto. Mi chiedo se per assicurare la scrupolosa apposizione di un visto, valga la pena di approvare una legge elettorale che io chiamo porcellum.2.
Nel porcellum.1 era data ai partiti la facoltà di esprimere una preferenza nelle liste? Sì, naturalmente. Ebbene, nel porcellum.2 nulla cambia da questo versante, le segreterie continueranno imperterrite a definire un ordine di preferenza tra i propri candidati.
Nel porcellum.1 era previsto che ci fosse uno schieramento che ottenesse la maggioranza dei seggi? Sì, fino al 55% dei seggi assicurati (alla camera). Nel porcellum.2, tanto per non scontentare la consulta, si stabilisce una soglia, ma il bello viene adesso. La soglia ci sta, ma se non viene superata, allora non è che non si applica alcun premio di maggioranza, no, il premio è comunque assicurato, soltanto che è stato predispsosta una modalità differente col doppio turno. Mi chiedo dove sta la differenza, in ogni caso non c’è speranza, anche se nessuno superasse neanche il 12% dei voti (lo dico volutamente esagerando), qualcuno avrebbe comunque la maggioranza dei seggi.
Ma tutto questo assicura la cosiddetta governabilità’? Neanche per sogno, perchè ciascun partito delle coalizioni sarebbe libero di andarsene per proprio conto, uscire dalla maggioranza e mettere il governo in minoranza.
In verità, se si vuole mantenere (e questo lo spero ancora), la mancanza di vincolo di mandato, neanche l’avere un solo partito al governo assicurerebbe alcunchè. Quindi, la governabilità non serve, la stabilità dei governi forse sì per decretare quanto stabilito altrove, ma il premio di maggioranza non serve all’uopo.
Tuttavia, avere un sistema elettorale così iniquo, serve egualmente a qualcosa, a distruggere ogni parvenza di rappresentatività, che mi pare un obiettivo reale per i poteri globali, un passo decisivo nella strada per la distruzione di ogni parvenza di sovranità nazionale.
Prima di chiudere, vorrei chiedere a Piras perchè sia così populista. Egli dice che bisogna fare in fretta perchè questo è ciò che vuole il popolo: quando mai coloro che sono politicamente vicini a Piras si sono posti il problema di ciò che vuole il popolo, a costoro basta sapere cosa vuole la BCE e la commissione europea. Ed allora, tutto si capisce immediatamente, la gente avrà o non avrà fretta, ma il punto è che di questa opinione non frega niente a nessuno, ma ai poteri transnazionali importa invece e tanto che i loro progetti vengano eseguiti celermente e senza disturbi da parte del primo parlamentare che, incredibile a dirsi, creda ancora che l’Italia debba essere un paese sovrano.
Infine, non mi posso astenere da un riferimento alla Boldrini.
La Boldrini in effetti rappresenta l’ideale presidente della camera, perchè dovendo soltanto assecondare un disegno altrove concepito e voluto, l’essere una nullità certificata (basta leggere ciò che dice, mai una sola parola che dimostri un’opinione minimamente originale), aiuta e anche tanto.
«Se le cose stanno così», ma stanno davvero così? D’altra parte con la “teoria del complotto” si riesce sempre a (s)piegare qualsiasi cosa.
Mi scuso se, per ragioni di forza maggiore, intervengo in fretta su un post e su un dibattito che meriterebbero commenti molto più approfonditi, per sottoporre rapidamente a Piras due perplessità.
La prima riguarda il discorso su regole e procedure della democrazia parlamentare, che esistono certo ma sono state sovvertite tante volte, pure con i salti sui banchi: il Parlamento non è una chiesa, non è una scuola, la sua forza sta anche in un dinamismo che può diventare caos, a volte disastroso, a volte produttivo; le opposizioni hanno spesso tenuto testa ad arbitri e astuzie dei governi nel modo più furioso; limitandosi all’Italia, sia in epoca repubblicana che in epoca prefascista (e pure nei primi anni del fascismo, ma con delitti e pestaggi come strascichi) alcune delle battaglie più forti sono andate avanti a suon di gazzarre, insulti e invettive (a volte documentati negli atti parlamentari, a volte censurati). Beninteso invece le orribili offese sessiste (purtroppo neanche quelle una novità) sono un altro discorso.
Circa poi il problema della fretta, sicuramente è un problema che incalza, ma mi sembra anche quello una vecchia storia, sempre a rischio di convertirsi in una trappola: le lungaggini e le indecisioni sono sempre tante, la gente se ne stanca d’altronde troppo, e allora si invoca un nuovo personaggio che cambi tutto, lo si chiami poi uomo della provvidenza o problem solver; di solito non va mai a finire bene.
Perché nessuno rileva che la barbarie del M5S non è nella caciara in aula – l’hanno fatta tanti altri in decenni di storia -, né nelle offese alle parlamentari Pd – scappano, per reazione e incazzatura, e però in effetti non dovrebbero scappare: comunque sono un’imbecillità privata del privato cittadino parlamentare che le esterna -, ma nel post in rete sulla Boldrini?
Io penso che quel post dovrebbe sgomentare tutti e far dire parole chiare su questo Movimento, che è responsabile delle azioni del suo leader finché continua ad accettare il suo modo di fare il leaderì.
Ma come si può tacere sulla riduzione della lotta politica a rituale simbolico primordiale, a ferocia prepolitica, ad animalità senza ritorno? Per me, quel post rappresenta un salto di qualità verso l’abisso.
Questa è la fine della politica.
Dunque: perché nessuno dice parole chiare su questo?
Forse lo schifo vero il capitalismo e le banche fa dimenticare anche questo?
L’unica cosa che mi lascia perplesso nell’articolo è la conclusione. Io temo che la democrazia muoia nel momento in cui viene uccisa sul piano economico dalle sperequazioni sociali stridenti, dal perseguire una politica del risentimento contro categorie e aree del Paese, mentre l’insofferenza dilaga perché dilaga la sofferenza del quotidiano, in termini di impoverimento e di perdita di diritti. Si prepara il momento storico in cui ci si rassegnerà a qualsiasi regime, purché sia in grado di assicurare un minimo di prospettiva che sia migliore del diventare l’immondezzaio o il serbatoio servile della provincia europea della globalizzazione.
@GAB
Non ho mai scritto la parola “complotto”.
L’obbedienza a poteri esterni non ha bisogno per essere perseguita di alcun complotto segreto (seppure sembrerebbe ragionevole ipotizzare che qualcosa di nascosto ci sia), perchè è esplicitamente ripetuto continuamente dai nostri più influenti politici. Anzi, la cosa è tanto più grave proprio in quanto non si nasconde più, si esibisce con la massima evidenza perchè il vero fine non è la singola operazione compiuta, ma determinare un monopensiero che dia per scontato che la sovranità nazionale non può e non deve esistere, è un retaggio del passato di cui liberarsi il più rapidamente possibile, approvando frettolosamente le riforme più antidemocratiche che si siano mai viste in questa repubblica.
“Ma come si può tacere sulla riduzione della lotta politica a rituale simbolico primordiale, a ferocia prepolitica, ad animalità senza ritorno? Per me, quel post rappresenta un salto di qualità verso l’abisso. Questa è la fine della politica.” (Lo Vetere)
Disse un saggio: “Fratello, considera l’abisso, ma non sorvolare sul comportamento di quelli che, con volto benevolo e rassicurante, vi hanno fatto scivolare dentro questo tuo Paese alleandosi da subordinati a dominatori col volto altrettanto benevolo e rassicurante. La primordialità, la ferocia, l’animalità non vederla soltanto nell’ avversario politico urlante e sguaiato. Scovala pure in quelli col volto di bravi giovanotti ben vestiti, rasati e pettinati per cui voti”.
Fossi nelle odiate banche, negli odiati organismi finanziari, nell’odiato potere politico costituito, in un momento di crisi creerei un simulacro sul quale deviare almeno in parte l’odio a lungo covato contro loro stessi. Per crearlo mi basterebbe rivolgermi a un’agenzia di marketing e al mio giornale di riferimento (l’energia politica che stanno adoperando gli affiliati al clan grillocasaleggese è stata prodotta dalla virulenta campagna anticasta del Corriere della Sera, e non per caso, credo, la prima candidata al quirinale del M5SS fu una giornalista dello stesso giornale). Naturalmente c’è il rischio che il simulacro prenda provvisoriamente il sopravvento, ma niente paura: il M5SS, come prova il lavoro di Pizzarotti a Parma, è più liberista ancora di Forza Italia e PD messi insieme (e più bugiardo…).
@ Abate. Benissimo, allora spieghiamo a Grillo chi è Sorel e diamo alle sue urla scomposte almeno la dignità della teoria. Non mi venga a raccontare che il suo è un movimento democratico.
Non sono così ingenuo da credere che la dimensione della forma sia sempre sufficiente a resistere alla violenza.
Ma, appunto, almeno le si dia il nome che ha e si abbia il coraggio di dire che siamo messi così male, e che le belle pettinature leccate e i doppipetti sono così intollerabili che ci vuole il fuoco della palingenesi.
@ Lo Vetere
(E poi chiudo:) “spieghiamo a Grillo chi è Sorel” ? E a Napolitano, Letta, Renzi ecc. chi dovremmo spiegare?
a Napolitano, Letta, Renzi, etc., suggerisco di spiegare il concetto di obsolescenza programmata, orizzonte nel quale si iscrive la loro azione.
Abate, non ho molto da dire. Prevedevo una risposta come quella che mi dà lei. Il fatto è che non è una risposta.
Lei è più colto e preparato politicamente e teoricamente di alcuni simpatizzanti di Grillo di cui leggo in rete gli interventi, ma usa lo stesso argomento, che è più o meno questo: “già, con tutte le schifezze che ci sono in giro, voi vi preoccupate del post della Boldrini”.
Ah, comunque io ho firmato per la lista Tsipras. Proposta per ora molto astratta, tutta da costruire. E’ una via lunga, molto lunga. Per quanto mi riguarda, il riformismo ha fallito, dunque il Pd ha fallito.
Ma preferisco dire parole chiare su certi fenomeni di violenza. O almeno invoco l’onestà intellettuale: per ottenere la quale serve che Grillo legga Sorel.
Saluti
E’ straordinario.
La retorica del “non sono questi i problemi veri” ha infettato anche gli intellettuali. Come se non si potesse parlare, prima di una cosa, poi di un’altra, senza subire la dettatura della Priorità assoluta delle cose.
– Bambini: oggi parliamo dei pesci, facciamo una lezione sui pesci!
– Ma maestra: non dovremmo parlare degli uccelli che volano nel cielo e sono più importanti…?
– Va bene, bambini. Parleremo allora degli uccelli.
– Maestra maestra. Gli elefanti sono più grandi sono più importanti. Perché non parliamo degli elefanti?
– Allora gli elefanti. Ma bambini. Stiamo perdendo tempo.
– Il tempo è più importante degli elefanti, maestra: vero? Parliamo del tempo?
– Parliamo del tempo e…
Etcetera.
Caro Lo Vetere,
mi scusi se mi intrufolo.
Temo che la lista Tsipras non sia una via molto lunga, ma molto breve e molto sbagliata. I campi sono delineati, e sono pro o contro la UE: questa, UE, non il sogno o i sogni della UE. Chi come Tsipras si schiera con un piede di qua e un piede di là non fa che confusione; e confusione a favore della UE così com’è. E dunque, pur facendo salva la buona fede e le migliori intenzioni, fa da gatekeeper delle oligarchie UE, come Melénchon in Francia, o Grillo (sì, proprio Grillo) in Italia.
Caro Alberto,
il problema non è fare qualsiasi cosa, ma fare delle riforme che servono; e inoltre, cercare di andare incontro a una bisogno radicale di cambiamento che viene dalla maggioranza dei cittadini. Quello di Renzi è un modo di rispondere che, pur con tutti i suoi limiti, si colloca in una tradizione democratica e realizza delle mediazioni. Altrimenti ci sono solo le risposte senza mediazioni, e lo scontro finale sarà tra Berlusconi e Grillo. Io non penso che Renzi sia di destra. Alcune sue proposte sono di sinistra, purché le discutiamo nei contenuti. Quanto al fatto che la “sinistra sinistra” sia inconcludente, dipende dal fatto che non vuole affermarsi politicamente, perché se lo volesse per prima cosa eviterebbe di essere frammentata. Ma vuole solo la testimonianza, in tutte le sue componenti. E quindi non fa niente.
Caro Balicco,
grazie, spero di avere il tempo di ascoltare quella puntata di “Tutta la città ne parla”. Devo dire che, per tutte le cose che ho letto finora su quel decreto, ancora non capisco in che senso sarebbe un regalo alle banche e in che senso sarebbe peggiorativo rispetto alla situazione precedente. Ma mi informo meglio.
E’ chiaro, conosco poco “Il Capitale” e non sono molto bravo nella critica dell’economia politica. Ma vorrei dire questo: anche accettando una visione radicalmente critica del capitalismo italiano e globale, non vedo come questo possa giustificare insulti sessisti gravi come quelli fatti dal deputato grillino De Rosa. Questi sono inaccettabili, per due ragioni: per il rispetto tra esseri umani, che implica il rifiuto del sessismo; e per il ruolo che il deputato ricopre. Io insegno al liceo: immagini se io avessi dato delle puttane alle mie colleghe di fronte ai nostri studenti. Il quadro la fa inorridire? Bene, per me è esattamente la stessa cosa.
Questo è un aspetto particolare, che però da solo per me basta a screditare quelle persone e quel movimento, a meno che non ci sia una chiara presa di distanza, e provvedimenti disciplinari interni. Ma non ci sono. La questione degli insulti alla Boldrini a commento del video postato da Grillo è leggermente diversa, ma resta che il leader di quel movimento ha voluto consapevolmente scatenare quel tipo di aggressione sessista.
La questione della “bagarre in aula” invece è un’altra cosa. L’ostruzionismo prima della cosiddetta “ghigliottina” non fa nessun problema. Lo scatenamento successivo è insensato, ma finché resta entro certi limiti non mi fa grandi problemi. I limiti però sono stati passati, impedendo fisicamenta a delle persone di parlare o di votare nelle commissioni, bloccando il lavoro delle commissioni. Questo è inaccettabile, perché si impedisce l’esercizio dell’eguaglianza e della libertà dei rappresentanti. Se lo si ritiene accettabile, è perché si pensa che “la causa” giustifichi questa violazione dei principi e delle procedure fondanti della democrazia. Ma se si pensa questo si è già fuori dalla democrazia, perché questa deve tutelare tutte le posizioni politiche. Non è possibile che una parte si arroghi il diritto di restringere i diritti procedurali di altri perché pensa di essere nel giusto. Tutti pensiamo di essere nel giusto, ma se vogliamo un regime che trasformi semplicemente in realtà il giusto che abbiamo in testa noi nel migliore dei casi abbiamo il dispotismo illuminato (nel peggiore altre cose). Mi va anche bene, ma non diciamo che siamo democratici.
Confesso che non so se la Boldrini, con la “ghigliottina”, abbia fatto una violazione procedurale. Faccio notare che se ne parlava prima che lo facesse, come di una cosa prevista e possibile; nessuno aveva detto che fosse inaccettabile proceduralmente.
Caro Rino,
mi sono spiegato male (lo dico sinceramente: ho scritto in uno stile che argomenta poco, in realtà). Non credo che le riforme proposte da Renzi siano un bluff. Sono però le riforme che vuole il malumore antipolitico che monta dal paese: riformare le istituzioni alleggerendole e ottenendone dei risparmi. Da qui l’abolizione del senato. L’idea di Renzi è che questa cosa deve essere fatta in fretta, dando dei segnali forti all’elettorato (facendo altre riforme, non costituzionali, nel frattempo). Se non ci riesce, è un problema suo. Ma io credo che se verrà rallentato troppo farà saltare il banco.
Non avevo riflettuto sul problema dell’elezione su base regionale del senato, ma continuo a pensare che il mattarellum sia poco rappresentativo.
Riprendo le risposte appena possibile, purtroppo ora non ho tempo.
mp
– Il tuo benaltrismo mi fa schifo!
– Ma permetti, ci saranno problemi più rilevanti del mio benaltrismo o no?
– Ah, e il benaltrista sarei io, allora?
– No, dico semplicemente che il benaltrismo non è un vero problema, dico…
– L’avevo detto: benaltrista, benaltrista!
@Lo Vetere
Devo per forza aggiungere che la mia posizione non è quella colorita e schematica che mi ( o devo tornare a lei?) attribuisci. Schifezze piccole non cancellano né riducono le schifezze grosse. Il senso delle proporzioni resta importante. Specie a livello storico. Inoltre non sono affatto un simpatizzante di Grillo. E sulla lista Tsipras devo dire che nella redazione di Poliscritture ne stiamo discutendo. Ma personalmente condivido gran parte delle obiezioni di Mimmo Porcaro che trovi qui: http://www.sinistrainrete.info/sinistra-radicale/3385-mimmo-porcaro-tsipras-qper-non-sprecare-unoccasioneq-.html
Un saluto
@ dm
C’è anche la retorica di chi allinea tutti i problemi – grandi e piccoli, falsi e veri, urgenti e non urgenti, contingenti ed epocali – e ci passeggia contemplandoli o soffermandosi a capriccio ora sull’uno ora sull’altro. Non tutti possono seguirla.
Sulla lista Tsipras, segnalo di Aldo Giannuli:
http://www.aldogiannuli.it/2014/02/altra-europa-possibile/#more-3342
http://www.aldogiannuli.it/2014/02/lista-tsipras/
Sì, ma Abate, a furia di passeggiare ci si sgranchisce, sgranchirsi è importante sa, o si prendono di quei granchi…
Riporto uno stralcio dell’intervista che Kostas Lapavitsas, economista greco
che insegna all’Università di Londra e scrive sul “Guardian”, ha concesso a “El Diario”. Merita di essere letta per intero. La traduzione italiana qui:
http://vocidallestero.blogspot.it/2014/02/intervista-alleconomista-greco-costas.html#more
“La posizione di Syriza non è maggioritaria all’interno della sinistra perché si oppone alla austerità, però scommette sulla moneta unica e la UE. Che significa questa presa di posizione nel quadro politico dell’Unione Europea?
Per me é esattamente quello che vuole la classe dirigente europea. Perché Syriza dice: “Noi stiamo nell’euro in qualsiasi maniera, succeda quel che succeda, e inoltre saremo radicali”. Però la classe dirigente sa che questa opzione è impossibile. Il vero pericolo di Syriza è nella sua corrente più radicale – circa un 40% della coalizione – che non è d’accordo con questa proposta e può portare a una rottura. In altre parole, Syriza non è affidabile. É imprevedibile. Ed è proprio questa possibilità di una radicalizzazione della coalizione che preoccupa la classe dirigente europea.
Dall’altro lato, se Syriza vincesse le elezioni, le richieste popolari aumenterebbero, coinvolgendo anche la gente che adesso è pessimista e passiva. Con un Governo Syriza, si chiederanno misure sui salari, le pensioni ecc…ed è proprio questa la minaccia più temuta dai dirigenti europei. Inoltre, altri paesi europei penserebbero: anche noi possiamo fare lo stesso. É per questo che Syriza incarna una grande promessa e allo stesso tempo un rischio enorme.
Sembra che lei identifichi la sinistra con la linea che sostiene l’uscita dall’euro, perché?
Per me, questa linea è l’unica che apre alla possibilitá di fare politiche di sinistra radicale che cambino i rapporti di forza a favore del lavoro e contro il capitale; politiche necessarie per recuperare il danno provocato dalla crisi ai paesi europei negli ultimi anni. Sono politiche sensate, fondamentali, come ridistribuzione, controllo o nazionalizzazione delle banche, riorganizzazione della produzione. Secondo me questi cambiamenti sono impossibili restando dentro l’unione monetaria, e rappresentano l’esatto contrario di ciò che oggi significa l’Unione Europea.
Per essere più preciso: un Governo radicale in Grecia dovrebbe rinunciare a pagare una parte importante del debito, che d’altro canto è insostenibile, come anche cambiare la politica fiscale e monetaria. L’austerità non è sostenibile, non possiamo scommettere su risultati di bilancio positivi. Bisogna fare politiche diverse, che permettano la crescita dell’economia. Un Governo radicale dovrebbe nazionalizzare le banche e creare istituti di credito pubblici che diano sostegno alla riorganizzazione della produzione. Se accettiamo queste proposte, ci rendiamo conto che non possono essere realizzate all’interno della struttura dell’unione monetaria di oggi.
no vabbè, che pena sto intervento, la risposta a Daniele Balicco poi è tremenda, nella sua insipienza.
se a questioni di sostanza politica si risponde con questioni di forma, dove vogliamo andare?
i grillini sono scomposti, ignoranti e cafoni? va bene. chi se ne importa.
la politica non è un pranzo di gala, le maniere sono ininfluenti quando in ballo ci sono decisioni politiche, la gestione del potere, del bilancio di uno stato in favore dell’interesse dell’una o dell’altra classe, questioni materiali, non simboliche, come la gestione del denaro pubblico e l’assetto dell’ente preposto alla sua circolazione.
qua mi state a parlare della maleducazione dei grillini, fingendo di non vedere lo svuotamento di senso delle istituzioni repubblicane che tanto stanno a cuore, svuotamento ANTECEDENTE la discesa in campo di Grillo e la costituzione del M5S.
I grillini non sono, e non possono essere altro, che figli dello svuotamento del parlamentarismo e della delegittimazione di ogni forma di politica organizzata e volta al funzionamento nelle istituzioni. Ma fargli una colpa di questo, nel mentre che si sostiene le forze che quello svuotamento hanno praticato attivamente, è, senza mezzi termini, una porcata propagandistica di bassa lega, spiace ci si caschi così miserevolmente.
proviamo a lasciare i grillini a cuocere nel loro brodo, proviamo a guardare nell’orticello della sinistra, mi chiedo perchè:
1) sel non ha fatto ostruzionismo;
2) sel non espelle la Boldrini dalle sue fila, in quanto elemento palesemente strumentale alle logiche burocratico-automatiche di cui è garante il presidente Napolitano, in un parlamento il cui ruolo è diventato quello di una cancelleria che timbra con un visto leggi e decreti del governo.
3) i deputati di sel si comportano da curva/claque di questo presidente della camera votato alla sveltezza procedurale/produttività legislativa/limitazione del libero svolgimento dell’attività parlamentare.
parliamo della prassi governativa, che se non firma decreti da riconvertire urgentemente in legge altrimenti esplode il mondo, propone progetti di legge su cui pone la fiducia perchè c’è l’urgenza e altrimenti esplode il mondo.
date un’occhiata alla prassi parlamentare, c’è sempre una fretta fottuta perchè altrimenti succedono incredibili pasticci e catafasci, ma davvero credete che sia una cosa così, che capita per caso?
quando il Piras dice che quel decreto andava approvato a tutti i costi perchè laggente non vuole pagare l’imu, non si interrogava sul perchè in quel decreto ci fosse anche il riassetto della banca d’italia, che lui, poverino, non trova sia niente di che, ma che è criticata persino da quei marxisti d’assalto de Lavoce.info (qua una spiegazione semplice semplice della faccenda da un giornalisto che chissà come mai non scrive per repubblica-corriere & co:
http://thewalkingdebt.wordpress.com/2013/10/25/il-capitale-di-bankitalia-e-le-tre-scimmiette-sagge/)
notare che persino gente del calibro di Tito Boeri è perplessa, di fronte a un’operazione che di fatto permetterebbe il controllo di quote di capitale della banca centrale a chiunque se le compri, come se fosse una fabbrica di scarpe.
parliamo di una legge elettorale voluta da un partito che si fa chiamare “democratico” e non fa che inseguire il mito fascista della governabilità, del ristabilimento dell’ordine, peraltro attraverso un proprio uomo della provvidenza. un partito che propone un sistema elettorale antidemocratico, fatto per sequestrare il voto delle opinioni minoritarie col ricatto del “voto utile”, fatto per ricondurre la dialettica politica all’interno delle segreterie dei partiti invece che nelle stanze del parlamento, attraverso la creazione di innaturali e assurde coalizioni pre-elettorali.
non c’è democrazia senza sistema proporzionale con sbarramento minimo, non c’è democrazia in sistemi in cui il principio “una testa, un voto” è violato da una contabilità dei seggi che privilegia il voto più conformista, dandogli un peso maggiore rispetto al voto minoritario, spesso azzerandone il valore, e costringe i partiti minori ad accodarsi ai maggiori, pena l’esclusione.
si parla di realtà non trascurabili, come i più di 700000 voti della lista Ingroia, totalmente azzerati, laddove i poco più di 600000 voti dell’UdC hanno avuto valore.
è per questo, en passant, che SEL non può permettersi di essere coerente e fare opposizione, pena la sparizione, laddove il M5S può fare quel che gli pare.
è democratica questa cosa? no, e gli aderenti di SEL meglio avrebbero fatto a sparire con onore.
ma potremmo anche parlare dell’altro decreto, il famoso “destinazione italia”, che garantisce la eventuale possibilità di ottimi affari sui siti inquinati da bonificare alle stesse aziende che hanno inquinato (ma prima del 2007, troppa grazia), senza chiedere la bonifica (vi è la possibilità di limitarsi alla messa in sicurezza), garantendo, attraverso accordi di programma, che i progetti industriali presentati ottengano lo stato di “progetti di interesse nazionale” e che le richieste future per i danni ambientali pregressi siano, di fatto, condonate.
insomma, guardate la luna, cari miei sinistri indignati contro la sporcizia del dito, rendetevi conto che le campagne di stampa vergognose messe su dalla chiesa di Repubblica servono solo a darvi un nemico di riserva da odiare, in caso non bastasse Berlusconi, perchè è ormai 20 anni che il voto di sinistra non è più altro che un impaurito voto “contro”, e tale deve rimanere, affinchè continuiate a guardare i cattivi dell’orticello affianco, girando le spalle alle porcate delle vostre illuminate dirigenze.
noi aspettiamo con ansia che guariate da questa ipnosi collettiva che vi spinge ancora a dare fiducia a gente della risma di Renzi, indifferenti a qualsiasi senso di realtà, ma se non doveste guarire ce ne faremo una ragione, e andremo avanti comunque.
@ Abate. Non siamo mai passati al tu, ma non ho problemi a farlo ora. So che non sei un grillino e che non sposi quelle posizioni. Ma non credo che il modo di fare politica simboleggiato dal post sulla Boldrini sia meno grave delle schifezze grosse cui alludi tu.
Visto che mi sembra che la cosa non desti in altri la stessa preoccupazione che desta in me, può darsi che io drammatizzi. Vale però forse la pena precisare che la cosa che mi spaventa non sono le reazioni, i commenti insomma, che quel post ha scatenato, perché conosco la rete e non sono una novità. Nuovo semmai è il fatto che un politico come Grillo-Casaleggio lo usi scientemente per scatenare quei commenti. E’ pari a esibire un nero, un ebreo, … al pubblico ludibrio per raggiungere un obiettivo politico. Inorridisco.
Comunque su questo chiudo, se no mi ripeto.
@ Buffagni. Forse sono e siamo alla spes contra spem. Grazie dei link (anche ad Abate). Leggerò.
Saluti
Questo inorridire sul metodo Grilo-Casaleggio forse era da auspicare anche quando la Guzzanti prendeva in giro la Carfagna con le parlamentari di sinistra che ridevano ed applaudivano, l’ironia sessista della comica, giù dal palco.
@ Ares. Non capisco la sua polemica. Io sono io, non rispondo della sinistra nella sua interezza, se è questo che vuole dire. Lei mi imputa l’uso di due pesi e due misure quando non ha visto che uno dei due piatti della bilancia.
Il suo intervento mi pare dettato dalla voglia di polemica politica. Prego, la faccia, ma lasci fuori me, che non c’entro.
Grazie e saluti
Dalla lettura dei quotidiani e dei commenti telematici sul progetto ‘bipartisan’ di una nuova legge elettorale si ricava l’impressione che l’unico elemento su cui si polarizza l’attenzione sia quello aritmetico. Bachelard direbbe che, anziché prima riflettere e poi calcolare, qui si fa esattamente il contrario, poiché non si parla d’altro che di numeri, ossia di premi di maggioranza e di soglie di sbarramento, di doppio turno e di collegi elettorali, di opportunità e di convenienze. Insomma, nell’approccio dei vari ‘opinion maker’ si assume come presupposto ciò che non lo è affatto, ovvero che l’esito delle elezioni corrisponda senz’altro alla volontà popolare e sia rappresentativo della società. In realtà, l’unica ‘ratio’ che sta alla base del progetto di Berlusconi e di Renzi è quella che cementa l’intesa fra le due destre e che punta a garantire ad ogni costo la governabilità capitalistica esercitata dalla triade Ue-Bce-Fmi, ricorrendo a dispositivi di carattere talmente autoritario e discriminatorio da far impallidire persino il ricordo della legge Acerbo.
Ma se questa è la ‘ratio’, e non vi è dubbio che lo sia, assume allora un risalto davvero plastico la mistificazione ìnsita nel tipo di democrazia deforme ed autoritaria che la crisi ha partorito: una mistificazione che nasce da ciò, che una repubblica, la quale afferma solennemente nella sua Carta di essere fondata sul lavoro, esclude proprio il lavoro, cioè la classe operaia e in genere i lavoratori salariati, dalla partecipazione diretta alle istituzioni e all’esercizio del potere. Accade così che nel modello ferocemente classista di società, di cui questo progetto di controriforma elettorale è una perfetta metonimia, la classe dominante non si preoccupi neanche di salvare le apparenze, essendo del tutto sicura di controllare sia la gestione del potere politico di Stato sia gli esponenti dei partiti e le forze che dovrebbero rappresentare e difendere gli interessi delle classi subalterne. Che i seggi parlamentari siano infatti monopolio degli esponenti di corporazioni molto potenti è un fatto conclamato sin dalla precedente legislatura, giacché prevale nella loro acquisizione e distribuzione un coacervo formato non solo da professionisti della politica, ma anche e soprattutto da avvocati, giornalisti, medici, ingegneri, imprenditori ed alti funzionari della pubblica amministrazione. Un coacervo, va da sé, che, oltre ad essere socialmente ed economicamente omogeneo, costituisce una cerchia chiusa e determinata nella difesa dei propri interessi di fondo, impermeabile rispetto al potenziale afflusso di elementi nuovi che potrebbero alterare gli equilibri esistenti ed i privilegi consolidati, talché, anche quando essa decide di ‘rinnovare’ i suoi ranghi, lo fa cooptando gli elementi sicuri della sua classe. In questo senso i discorsi sulla formazione delle liste elettorali e sulla ‘libertà di scegliere’ i candidati da parte degli elettori, che pure hanno spazio nei commenti e nelle analisi, sono più squallidi del vento d’autunno che sussurra tra le foglie secche.
Naturalmente, la corrispondenza tra le gerarchie sociali e le istituzioni politiche non è mai così totale da risolversi in una completa coincidenza, poiché esiste un certo margine di oscillazione che lascia spazio ad un simulacro di parvenza democratica. Può quindi verificarsi, come è successo con il M5S nelle ultime elezioni, che una lista elettorale scompagini i soliti giochi e provochi qualche attrito e un minimo di conflittualità, peraltro più apparente che sostanziale. Si tratta, nondimeno, di una variabile il cui impatto è, comunque, limitato sia per la natura neo-qualunquista e piccolo-borghese, cioè endosistemica, del M5S, sia per l’estraneità del medesimo alle questioni e alle rivendicazioni che interessano le masse lavoratrici. La nuda verità è allora questa: il lavoro non ha alcuna rappresentanza nelle istituzioni elettive di questa repubblica, poiché è incompatibile con la natura di classe del sistema socio-economico di cui questa repubblica è l’involucro giuridico-formale. È allora evidente che questioni come la candidatura di Tsipras alle prossime elezioni europee rivestono un interesse del tutto marginale per chi assume un punto di vista marxista e comunista, poiché, rientrando nella fenomenologia dell’opportunismo e della subalternità all’imperialismo euro-americano, possono suscitare attenzione soltanto negli ambienti della socialdemocrazia, che è la forza di sostegno e di collaborazione al servizio di tale imperialismo. Ai comunisti e alle avanguardie del movimento operaio spetta semmai il compito di dare vita ad un fronte unito di tutte le forze sociali, politiche e culturali che mirano a difendere la sovranità nazionale, la democrazia e il lavoro, raccogliendo l’appello alla lotta contro l’Unione Europea lanciato all’inizio della crisi dei debiti sovrani da quei militanti del KKE che esposero lo striscione contenente questo appello sulla collina dove sorge il Partenone.
Lo Vetere lei è troppo suscettibile … anche se, devo ammetterlo, sentire qualcuno che inorridisce sul metodo Grillo/Casaleggio dopo vent’anni di politica al vetriolo, mi pare , se non altro, tardivo, certamente ipocrita politicamente.
Nella storia politica Italiani, il metodo è ben collaudato, forse andava fermata prima la metodologia, magari con una presa di posizione degli intellettuali italiani; farlo ora, puntando il dito, facendo solo alcuni nomi, mi pare … superficiale.
Grazie e Saluti
Caro Lo Vetere,
a proposito del post in rete sulla Boldrini di cui lei dice: “Ma come si può tacere sulla riduzione della lotta politica a rituale simbolico primordiale, a ferocia prepolitica, ad animalità senza ritorno? Per me, quel post rappresenta un salto di qualità verso l’abisso”, delle due l’una. O lei si riferisce al video in rete sulla Boldini, e allora le chiedo se l’ha visto. Io me l’ero perso, poi l’ho visto da Santoro (sì, ho la debolezza di guardare £”Servizio Pubblico”) ieri sera. Lo stesso Santoro (che non è certo un fiancheggiatore di Grillo) l’ha presentato come ironico, graffiante, ma “ineccepibile” quanto a correttezza. Difatti, a visione conclusa, di nulla d’offensivo l’hanno potuto accusare le due deputate lì presenti, una Pd e l’altra Scelta civica. E il “caso” s’è sgonfiato, grazie a un’informazione corretta, che ha mostrato il corpo del “reato”, ma non certo grazie alle grida isteriche dei giornali. Dunque, de che stamo a parla’, caro Lo Vetere? Poi Grillo ha postato il video su feisbuc, presentandolo come : “Belìn, divertente”, e lì, credo, sì sono scatenate le belve, ma lei concorderà con me che su feisbuc c’è di tutto, o per dire meno correttamente, è una fogna. Quindi, gli insulti non mi risulta l’abbia scritti Grillo. I suoi seguaci? Ma dietro a un nick si può nascondere qualsiasi persona, dai forzitalioti ai piddini ai fascisti ai cerebrolesi.
Oppure, altra ipotesi, lei fa riferimento a un post effettivamente pubblicato sul blog di Grillo vari giorni fa col titolo “Boldriniacasa” che non mi pare offensivo, esprime solo un’opzione politica. In questo post viene ri-presentato il video incriminato, col titolo “In viaggio con Lady Ghigliottina”. Be’, anche definire Boldrini “Lady Ghigliottina” non è un insulto sesquipedale. E a mio avviso, è solo quello che la presidente della Camera ha fatto. Ma è possibile che io abbia letto male il post (in quanto al video, escluderei d’averlo capito male, non fosse che per la mancanza d’accuse delle due deputate presenti da Santoro), nel qual caso le sarei grato se mi potesse citare qualcuna delle frasi ignominose che l’hanno spinta a scrivere di “animalità senza ritorno” e di “salto verso l’abisso”.
Grazie
Buffagni, credo che il testo pubblicato in facebook sia, esattamente “Cosa succederebbe se ti trovassi la Boldrini in macchina? Belìn, è fantastico!”
Considerato che il video, abbastanza stupido ma non certo offensivo, è girato in una automobile, la frase non è certo eticamente raccapricciante.
Per questo trovo inopportuno (forse non informato del tutto) il commento:
Perché nessuno rileva che la barbarie del M5S non è nella caciara in aula … ma nel post in rete sulla Boldrini?
Definire barbarie la pubblicazione di un testo simile, non è sensato.
Si può dire che una comunicazione politica di questo tenore sia inopportuna, stupida, inconcludente e in definitiva misera. Ma barbarie per dio…
La strategia intimidatoria del movimento a cinque stelle nel parlamento, quella, quella sì è un’altra cosa.
(E il deputato Stefano Dambruoso non è stato sanzionato come meritava.)
@ tutti. Ho scritto sull’onda dell’indignazione. (E confesso che l’indignazione resta, filologia a parte, perché la sostanza della comunicazione di Grillo resta quella, giocare alla corrida con le facce di chiunque abbia commesso l’errore di pararsi innanzi al suo cammino – dal peccatore veniale al peccatore mortale, INDISTINTAMENTE, come nella migliore prepolitica, senza gironi e senza criteri morali a reggerli -, agitandole davanti al toro scatenato della folla. Il titolo di quel video è equivoco e solo una totale mancanza di ogni remora a creare mostri poteva non far pensare che cosa si sarebbe scatenato. Ma è quello che cerca Grillo, dunque perché avrebbe dovuto farsi problemi?).
Però questo non è uno sfogatoio e avrei dovuto controllarmi. L’effetto prodotto è che stiamo discutendo del mio post e non del pezzo di Piras. Dunque, non per scortesia, vorrei che questo fosse il mio ultimo intervento in calce a questa discussione.
Devo solo un’ulteriore precisazione a @ Ares. Continuo a non vedere come un privato cittadino come me possa essere ritenuto responsabile del silenzio degli intellettuali in questi anni. Anche avessi voluto, non avrei potuto prendere nessuna posizione pubblica. Non mi sento perciò affatto ipocrita.
A meno che non debba, ogni volta che colpisco il cerchio, colpire anche la botte, che è un modo di chiamarsi fuori e restare puliti.
Mi domando quanta antipolitica (fuoriuscita dalla politica) veicoli questo atteggiamento. Io ho cercato in questi anni di stare dentro una forma politica e di continuare ad esercitare, con fatica sempre crescente, il mio diritto di voto. Non che non abbia mai criticato la parte politica in cui mi sforzo di riconoscermi, ma è evidente che la critica alla propria famiglia e ai propri amici è di genere ben diverso da quella dei propri avversari e nemici. “Sei interessato, sei ipocrita e superficiale!”. Certo, ma io sto dentro. E forse è una posizione meno comoda, e in cui si corre il rischio di fare più scivoloni, di quella di chi si è assiso sulla collinetta, e guarda lo schifo di chi si dibatte di sotto con equanime sufficienza.
Caro Michele dr,
sul mattarellum: nel valutare una legge elettorale io non parto da considerazioni strategiche tipo “svantaggiare o meno chi non si allea”. Cerco il punto di equiibrio migliore tra rappresentatività e governabilità, e questo lo dà il doppio turno uninominale. Il mattarellum mi sembrava inadeguato all’epoca e mi sembra ancora tale, perché prevale la logica del maggioritario uninominale, più una componente proporzionale che crea instabilità politica.
Sul doppio turno di collegio: meglio sarebbe stato uninoninale, ma in generale il doppio turno permette di far vincere una maggioranza relativa senza darle per legge un premio, ma costringendola a cercare consensi, quindi per me è la parte più accettabile della legge in discussione; non mi sembra che sia un cambiamento surrettizio della costituzione, allora lo sarebbero stati anche il mattarallum e il porcellum, dal momento che alla fine si votava per una coalizione guidata da un leader. Inoltre, se la sinistra non accetta anche l’elemento leaderistico, ormai centrale, si mette fuori dalla realtà. Si tratta di collocarlo nella giusta dimensione.
Sul bicameralismo perfetto: credo che si possa correggere, ma mi sembra che con l’abolizione del senato elettivo si corra un po’ troppo.
@ Lo Vetere
A me non pare che debba scusarti con Piras per aver distratto l’attenzione di lettori e commentatori dal suo post. C’è, infatti, una continuità e affinità di visione politica tra lui e te: tu, in maniera diretta, e lui, in modi più meditati ed elaborati, sostenete *criticamente* il PD di Renzi e il governo Letta contro il (supposto) caos, la barbarie, lo sfascio, che vedete *soprattutto ed esclusivamente* in Grillo e nel grillismo. E perciò, al di là di frecciate personalistiche che scappano o non possono mai del tutto mancare nella polemica politica, le critiche che stiamo muovendo su LPLC da variegate posizioni hanno come bersaglio questa posizione politica che vi accomuna. E che hai ben riassunto in queste parole: « Io ho cercato in questi anni di stare dentro una forma politica e di continuare ad esercitare, con fatica sempre crescente, il mio diritto di voto. Non che non abbia mai criticato la parte politica in cui mi sforzo di riconoscermi, ma è evidente che la critica alla propria famiglia e ai propri amici è di genere ben diverso da quella dei propri avversari e nemici».
Da qui la contrapposizione *politica* tra te e “noi”: i commentatori che ti e vi criticano da tempo in questo spazio pubblico. Tu consideri «propria famiglia» e «propri amici» quella/quelli che “noi” giudichiamo “famiglia inesistente” o «avversari e nemici».
Chi ha ragione? Lo si vedrà col tempo. (Solo per alcuni già lo si vede o è da tempo che lo si vede). Non pretendo assolutamente di convincerti con argomenti “decisivi”. Non ne ho. Posso però farti notare alcuni ideologismi ( o “cecità necessarie”) presenti nel tuo discorso:
1. Non è « una fissazione da intellettuale da salotto» occuparsi del «degrado linguistico». Anzi per me è giusto distinguere i massimi, i medi e i piccoli responsabili del fenomeno. Avendo però chiaro che il degrado linguistico è sintomo o segnale di un degrado politico (o morale, intellettuale, generale, ecc.); e che ad esso contribuiscono in maniera ben più decisiva quanti hanno più potere politico (presidente della repubblica, governo, leader di partiti). Perché costoro non parlano soltanto ma fanno scelte di fondo (dannose a mio parere) per la parte della popolazione a cui io socialmente, affettivamente, culturalmente appartengo. E le fanno usando un linguaggio politicamente correttissimo, alla mano, apparentemente ragionevole e pieno di buon senso. (È quello che cercavo di dirti nel mio primo commento del 6 febbraio 2014 alle 08:02). Se ti fermassi all’aspetto linguistico, costoro vengono assolti o addirittura ammirati per la loro pacatezza, moderazione, eleganza linguistica. Dimenticheresti però che la maggior parte delle violenze sui “minori” o i “deboli” avviene proprio *in famiglia*. E che negli *amici* non manca mai una proporzione variabile e inquietante di inimicizia. Perciò trovo unilaterale analizzare con (in parte giusto) allarme la comunicazione di Grillo e non quella di un Letta, di un Renzi o dello stesso presidente della repubblica.
2. Non è al «privato cittadino» Lo Vetere che si imputa il silenzio degli intellettuali in questi anni. E non è l’equidistanza (un colpo al cerchio di Renzi e uno alla botte di Grillo o viceversa) che ti propongono i COMMENTATORI CRITICI NON COALIZZATI qui su LPLC. Al cerchiobottismo ci si sottrae in questo momento in un unico modo: accettando il minoritarismo, la marginalità e la scontata irrisione sia dei benpensanti al potere che di quelli all’opposizione apparentemente alternativa. (da qui i miei dubbi anche sulla lista Tsipras). Non so se ci potrà mai essere in questo Paese una “terza via” tra Renzi e Grillo. O prima tra Berlusconi e Bersani. O prima ancora tra il PCI e la DC. So con certezza che le vie che si ripropongono in continuazione sono fasulle. La mia generazione l’ha sperimentato. La tua sta cominciando a farlo. In una situazione bloccata assumersi come intellettuali il lavoro critico a tutto campo, valutare senza sconti i partiti di (falso o vero) governo e di (falsa o vera) opposizione restano attività indispensabili. Al di là delle chiacchiere sulla “morte degli intellettuali”. Conta la *funzione da ospite ingrato*, che altri già esercitarono in passato. E che continua ad essere praticata da diversi, snobbati o silenziati (Cfr. http://www.poliscritture.it/index.php?option=com_content&view=article&id=281:ennio-abate-roberto-bugliani-giulio-toffoli-noi-accusiamo&catid=1:fare-polis&Itemid=13) anche su questo blog.
a dm.
Dev’essersi confuso, indirizzando a me il suo intervento del 7 febbraio 2014 alle 18:13. Io della Boldrini e dei “barbari” non ho parlato, né ho visto il video famigerato.
Se poi vuole sapere che cosa farei se mi trovassi la Boldrini in automobile, è presto detto: scenderei.
Come donna non mi dice nulla, come compagna di viaggio la fuggirei come la peste perché chiacchiera troppo, è nervosa, ha delle fisime da principessina…Insomma, scenderei.
No Abate, io il Pd di Renzi e il governo Letta non li sostengo. Li guardo senza capire con lo smarrimento della formichina che si sente impotente nella storia. C’è una bella differenza.
Noterella a margine dell’intervento di Abate dell’ 8 febbraio 2014 alle 09:28.
Lo stile, verbale e non solo, dice molto degli uomini e anche della politica. Lo stile grillino mi fa legare i denti, le rare volte che li ho visti in video mi hanno rievocato irresistibilmente il dopo partitella scapoli-ammogliati, o la rimpatriata dell’Istituto Tecnico vent’anni dopo. L’impressione di gente fuori posto svirgola nel surrealismo, o nelle tecniche dell’avanguardia artistica novecentesca, tipo Duchamp.
E va be’. Però magari sarebbe opportuno confrontare anche il significato assunto nel corso di questi decenni da parole politicamente pesanti quali “democrazia” e “riformare” con i rispettivi lemmi di dizionario.
[dal dizionario Treccani:]
DEMOCRAZIA: democrazìa s. f. [dal gr. δημοκρατία, comp. di δῆμος «popolo» e -κρατία «-crazia»]. – 1. a. Forma di governo in cui il potere risiede nel popolo, che esercita la sua sovranità attraverso istituti politici diversi; in partic., forma di governo che si basa sulla sovranità popolare esercitata per mezzo di rappresentanze elettive, e che garantisce a ogni cittadino la partecipazione, su base di uguaglianza, all’esercizio del potere pubblico
Qui, ogni rapporto con fatti realmente esistiti nel periodo 1992-2014 è puramente casuale. Clamoroso fallimento del paludato dizionario Treccani.
RIFORMARE: Trasformare dando forma diversa e migliore; riordinare mediante riforme, modificare sostanzialmente (v. riforma): r. le strutture sociali, il sistema economico; r. la scuola, l’università; r. il sistema previdenziale, sanitario; r. l’esercito, l’amministrazione; r. un’accademia, un’istituzione, un ordine religioso; r. la Chiesa; ant., r. lo stato, la città, la repubblica, introducendo una nuova forma di reggimento politico, e r. lo stato in libertà, introdurvi liberi ordinamenti. Con senso più generico: r. una legge, un regolamento; r. la regola (di un ordine religioso); r. la disciplina, i costumi e, meno com., la vita, l’animo; r. le tariffe, i prezzi.
In questo caso, invece, ogni rapporto con fatti realmente esistiti nel periodo 1992-2014 è totalmente antifrastico. Qui, il dizionario Treccani prende spudoratamente in giro il malcapitato, fiducioso lettore.
L’unico significato riportato nel lemma “riformare” che descriva con precisione le riforme realmente esistite nel periodo suddetto è l’ultimo, questo:
“Col senso di mutare, cambiare in peggio, deformare, nell’espressione (non com.) gli riformo i connotati!, minacciando di sfigurare qualcuno con percosse e lesioni. ”
v. “riforma del lavoro” a cura del prof. Treu, “riforma della scuola a cura del prof. Berlinguer e/o della sig,na Gelmini, o “riforma delle pensioni” a cura della prof. Fornero in Deaglio.
A ulteriore illustrazione, fra poco seguirà anche la “riforma elettorale” a cura dei proff. Renzi e Berlusconi.
Appaiono ormai lontanissimi i tempi in cui il linguaggio della politica riusciva a suscitare l’attenzione dei più importanti intellettuali del nostro paese. Chi non si ricorda, per fare un esempio noto a tutti, le famigerate “convergenze parallele”? Un sintagma in grado di polarizzare l’intelligenza critica e la capacità argomentativa di scrittori del calibro di Pasolini e Sciascia, se è vero che il primo, commentando il discorso che Aldo Moro tenne all’inaugurazione dell’autostrada del Sole, arrivò a definirlo la carta di Capua della nuova lingua tecnologica italiana.
Orbene, se Sciascia e Pasolini dedicavano un’attenzione un po’ preoccupata a quel linguaggio, vi è da chiedersi che cosa direbbero oggi di fronte al suo totale imbarbarimento, ridotto com’è, da sinistra a destra (e intendo con questa espressione unicamente la topografia dell’emiciclo parlamentare), a poche sciatte parole, non di rado sguaiato e prossimo all’afasia. Un linguaggio dominato per intero dalla figura retorica detta anacoluto e che ha nello stravolgimento o nella soppressione dei nessi sintattici il suo principale connotato. Un linguaggio, insomma, che corrisponde perfettamente alla definitiva calcistizzazione (non saprei come definirla se non così) della società italiana, laddove ciò che conta è solo la logica tribale ‘amico/nemico’ (‘noi’ e ‘voi’) e niente altro, tanto meno gli argomenti. Sennonché, a causa di quel fenomeno oggi imperante che mi è capitato di definire tersitismo ideologico-culturale, gli anacoluti da linguistici si convertono addirittura in esistenziali, come ci indicano le sconce scene da avanspettacolo interpretate dai cosiddetti rappresentanti del popolo italiano. E’ vero, peraltro, che anche le parolacce fanno parte del linguaggio e dell’essere umano e talvolta si può e si deve usarle, come Dante insegna. C’è uno sdegno, un disprezzo e un coraggio che, in certe circostanze e soprattutto dinanzi al pericolo o a un’infamia intollerabile, le nobilita e le rende necessarie. Altrimenti esse sono soltanto eruttazioni ed è improbabile che un’eruttazione costituisca un ragionamento politico.
Marx ha definito con il termine di “Lumpenproletariat” il proletariato intellettualmente deprivato e inconsciamente disponibile a qualsiasi strumentalizzazione politica, contrapponendolo al proletariato politicamente consapevole. Oggi la società è caratterizzata sul piano dei comportamenti da una sorta di “Lumpenbürgertum” che è paragonabile alla melma che rigurgita dai tombini dopo un lungo periodo di piogge abbondanti. In questo senso, è vero che il disegno satirico avrebbe bisogno di un Georg Grosz, così come la letteratura avrebbe bisogno di un Gadda, l’unico genio in grado di descrivere una simile melma e di ritrarre i grifi porcini dei personaggi che occupano i più alti seggi della repubblica e quelle facce contratte nella smorfia dell’insulto, che ci inducono a rivalutare le vecchie teorie di Lombroso sulla fisiognomica.
Buffagni, le ho scritto precisando il contenuto del post, da lei riportato in parte; e, poi, quanto al resto, non è che se mi rivolgo a lei è necessariamente allo scopo di contestarle qualche cosa.
Nella fattispecie, stranamente mi trovavo in accordo con lei.
cari tutti,
il Piras, con olimpico distacco, non risponde alle questioni che gli sono state poste; capita che non si voglia provare minimamente a relazionare le proprie idiosincrasie manifeste ad un qualunque principio di realtà, quale quello che può scaturire da una riflessione sugli aspetti materiali, e non simbolici, dell’azione politica e amministrativa delle strutture politiche del parlamento e del governo.
direi che questo atteggiamento è sintomatico di ciò che rende la sinistra una presenza fantasmatica nel dibattito politico contemporaneo: un drappo agitato da molti, ma praticato da nessuno, che consente di citare il Marx così, come per aggiungere un pò di zucchero nel sugo, ma senza alcuna effettiva intenzione di particarne la lezione.
è un dibattito incagliato sulle sovrastrutture, anzi, sulle decorazioni degli infissi, quello che s’incaponisce a stigmatizzare le cattive maniere di persone che, forse non viene sottolineato abbastanza, non hanno alcun potere effettivo, nei confronti di persone che invece il potere lo gestiscono, e lo gestiscono in modo anche piuttosto trasparente, tutto sommato.
non si considera le condizioni politiche date, peraltro, dove Grillo e i suoi sono in un cul de sac: o la buttano in caciara o sono destinati ad essere ignorati, non c’è alternativa, esattamente come non c’è alternativa tra il presentare o il non presentare un leader carismatico alle elezioni, uno in grado di muoversi sul palco della rappresentazione mediatica, regolata secondo le logiche dello spettacolo.
Sono regole decise da chi ha in mano la comunicazione politica, l’agenda setting, il fondamento di quell’esercizio comune e diffuso sulle stesse tematiche che viene definito “opinione pubblica”; le chiavi di queste regole sono in mano ancora ai gestori della comunicazione broadcast e mainstream di giornali, televisioni e radio a diffusione nazionale, il resto sono briciole, e soprattutto non generano unità di linguaggio e interessi.
queste persone appartengono in tutto e per tutto a quel coacervo di cui parla Abate sopra: c’è un’ovvia ed evidente solidarietà di classe tra chi rappresenta la realtà simbolicamente da dentro l’oligopolio mediatico e chi la modifica materialmente da dentro l’oligopolio politico.
è, e rimane, una questione di classe. se si preferisce pensare che le cattive maniere dei grillini siano più gravi delle azioni materiali di un governo votato a mediare gli interessi del capitale internazionale con quelli delle ritardatarie e refrattarie élites locali, sulla pelle di tutti gli altri, i casi sono due: o si è completamente stati assorbiti da un’esposizione eccessiva all’incessante (ma nemmeno troppo abile) propaganda degli oligopoli mediatici di cui sopra, al punto da perdere il senso della realtà,o si appartiene alla classe sociale di quelli che possono permettersi di sostenere questo governo, di chi ha più da perdere da un cambiamento che da una conservazione dello status quo.
In verità l’efficacia della propaganda mediatica si fa forza proprio della composizione sociale del suo target di riferimento, un target costituito da persone perlopiù di mezz’età o anziane e perlopiù inserite in contesti lavorativi stabili, perchè va detto che, nonostante tutto, gli assunti a tempo indeterminato e i pensionati sono ancora maggioranza, in questo paese.
è una posizione legittima, ma non è il caso di ammantarla con grandi ideali, o peggio, con citazioni di Marx.
la situazione è insostenbile, nel medio periodo, e se si vuole fare un discorso coerente con i grandi ideali o le citazioni di Marx, bene, il problema dei grillini non sono certo le maniere, bensì l’illusorietà insita nella radicalità simbolica della loro opposizione, che è, come ben dice sempre Abate, endosistemica, incapace di concepire un altrove rispetto alle mappe dell’angusta prigione d’un regime di parademocrazia autoritaria neoliberista, in quanto incapace di concepire alcunchè.
Il problema del Movimento 5 Stelle è che non esiste, non c’è alcun blocco sociale che porti nelle piazze le battaglie parlamentari, che le dia vera sostanza politica e chieda conto delle posizioni assunte, è un movimento di opinione che ha beneficiato della esposizione mediatica di un leader telegenico e amico di alcune persone giuste, come Antonio Ricci. Che ora beneficia dell’ostracismo grottesco e caricaturale che ottiene da parte dei grossi gruppi editoriali legati al centrosinistra.
L’esistenza del M5S l’abbiamo vista in Sardegna, così come in Sardegna vediamo l’impossibilità di coagulare forze alternative senza il personaggio carismatico con entrature dentro l’apparato mediatico oligopolistico di cui sopra, nell’esperienza di Sardegna Possibile, che pure in potenza ha ancora la possibilità di diventare un epigono credibile del famoso (e sopravvalutato) Partito Sardo D’Azione di Lussu.
Per quanto riguarda le risposte non date, caro Piras, le leggi sono comunque scritte nero su bianco, perchè tutto si può dire, ma non che i regimi neoliberisti non siano feticisti del contratto scritto, dell’automatismo legislativo; è un mondo di avvocati e notai, appunto, ed un mondo in cui l’ignoranza delle leggi non è una scusante.
quindi mi aspetto che, la prossima volta, se qualcuno solleva questioni di grande importanza politica quali quelle inerenti il riassetto della Banca d’Italia, lei non alzi le spalle, bensì si vada ad informare.
anche perchè quel riassetto è alla base della sua indignazione verso i grillini, ma se lei non va a verificare cosa ha scatenato quelle maniere così “barbare”, come fa a giudicarle? come può giudicare una reazione senza prendere in esame la causa da cui scaturisce? qui non siamo alla politica, come lei immagino possa comprendere, ma alla logica.
ora, le chiedo, senza preconcetti, si legga i pareri degli esperti, di esperti di parte politica non lontana dal PD, e tragga conseguenze non affrettate sulle conseguenze del provvedimento, se serve si vada a studiare un minimo le funzioni e la storia della Banca d’Italia, perchè io non credo si renda conto dell’importanza di quel provvedimento, e di quanto sia scandaloso che sia stato preso per decreto, alfine ghigliottinando la discussione parlamentare.
potremmo poi parlare della qualità di una dirigenza politica che, in sede europea, accetta di stabilire determinate regole sovranazionali di riassetto del sistema bancario, ipotecando ulteriori pezzi della propria sovranità nazionale, e della sovranità politica più in generale, in favore di enti tecnocratici a base economicista, e poi opera sotterfugi legislativi, con annessi giochi delle tre carte contabili, per aggirare quegli accordi presi, il tutto in un modo che a) non aiuterà il sistema bancario privato a risolvere i suoi problemi strutturali, b) ha un costo pesante per le finanze pubbliche e la stabilità della banca centrale, soprattutto nel medio periodo c) denota un sincero disprezzo per quelle forme della democrazia parlamentare che non coincidono più con la separazione dei poteri e la centralità del parlamento, bensì, a quanto pare, con la buona educazione e la docilità nell’accettare di venire esautorati dalla propria funzione.
si potrebbe, al dunque, chiedere dove sia il rispetto per la rappresentanza del voto in un sistema a doppio turno, ma vabbè, sono quisquilie, la democrazia è una forma d’intrattenimento ed un fine gioco aritmetico, la cui legittimità, in definitiva, poggia sull’indifferenza, la quiescenza e la paura del popolo, quando non sull’organizzazione dell’esercito e delle forze di polizia.
Estrema sintesi, il Movimento cinque stelle è resistenza senza esistenza.
La questione del rapporto tra la democrazia e lo Stato, posta da “Detrito di lune che schiacciano dita”, è strategica (a proposito, caro “Detrito”, nel tuo commento attribuisci ad Abate proposizioni che ho enunciato io, ma fa lo stesso). Infatti, per la teoria marxista e per la strategia che ne dipende l’individuazione dei “confini” dello Stato ha un’importanza fondamentale. Il binomio ‘società civile-Stato’, istituito da Hegel, rielaborato da Marx alla luce della sua critica della filosofia hegeliana e inserito da Engels nel sistema concettuale del materialismo storico, quindi ripreso da tutta la tradizione teorico-politica marxista-leninista e posto al centro delle riflessioni svolte nei «Quaderni del carcere» dallo stesso Gramsci, è una nozione-chiave. Come osserva, in particolare, Engels, soltanto lo Stato possiede un esercito e una polizia, vale a dire gruppi di uomini specializzati nell’“esercizio” della repressione. Ciò significa che esiste sempre, nella distribuzione delle funzioni consensuali e coercitive del potere capitalistico, un’“asimmetria strutturale”. L’ideologia è comune allo Stato e alla società civile, la violenza appartiene allo Stato (come osserverà anche Weber, caratterizzando lo Stato in base al “monopolio della violenza legittima”). Naturalmente, il momento del consenso non va concepito idealisticamente come una libera scelta; esso è influenzato dai rapporti di produzione e dallo sviluppo o dalla crisi dell’economia, così come dall’intervento politico-ideologico delle classi dominanti. Vi sono forme di “coazione economica” la cui azione è diretta a rafforzare il potere borghese: si pensi, ad esempio, al timore della disoccupazione o del licenziamento che può dare origine, fra le masse sfruttate (come accade oggi nel nostro paese e come giustamente ricorda “Detrito”) ad una ‘maggioranza silenziosa’ di cittadini obbedienti e di elettori concilianti. Dunque, in Occidente, a causa dell’anzidetta asimmetria fra Stato e società civile, la coercizione è localizzata solo nel primo, il consenso in entrambi. Eppure, il funzionamento della democrazia borghese sembra confermare l’idea che il capitalismo avanzato si regga sul consenso delle classi lavoratrici. L’accettazione di questa tesi rappresenta, infatti, il fulcro della via parlamentare al socialismo, del ‘Nichtalsparliamentarismus’ (cioè ‘nient’altro che parlamentarismo’, secondo l’efficace formulazione con cui la Luxemburg definiva la teoria di Kautsky). Questa idea, che cioè in Occidente il potere borghese assuma essenzialmente la forma dell’egemonia culturale, è un classico dogma del riformismo, oggi condiviso da quasi tutta la sinistra cosiddetta radicale. In realtà, il modo scientificamente corretto di risolvere il problema del rapporto tra consenso e coercizione in Occidente consiste nel riconoscere che la struttura normale del potere politico negli Stati democratico-borghesi è, ad un tempo, “dominata” dalla cultura e “determinata” dalla coercizione. Negare il ruolo dominante della cultura nel sistema di potere del capitalismo contemporaneo significa sia cancellare la differenza più rilevante che distingue il parlamentarismo occidentale da altri regimi politico-istituzionali, sia ridurre il primo ad un mito. Si tratta invece di comprendere che il dominio culturale della borghesia si materializza in alcuni istituti estremamente concreti: non solo elezioni periodiche, scuola e università, ‘mass media’ (televisione, radio, stampa, Internet), ma anche diritti civili, diritti di riunione e di associazione, i quali tutti esistono in Occidente e nessuno dei quali minaccia direttamente il potere del capitale. Orbene, il ‘segreto’ di questa particolare forma, la repubblica democratica, del dominio di classe, di cui Engels e Marx hanno messo in rilievo la duplice funzione di forma più sviluppata del potere borghese, ma anche di terreno ottimale della lotta di classe del proletariato, è del tutto omologo al ‘segreto’ della produzione del plusvalore nella fase della ‘sussunzione reale’ del lavoro al capitale, cioè nella fase della estensione della legge del valore a sempre più numerosi settori della vita sociale. Questa particolare forma del dominio di classe si fonda sul consenso di massa, il quale acquista la forza di una convinzione ideologica: quella di esercitare l’autogoverno nello Stato rappresentativo. Tutto si svolge, ed in ciò consiste l’illusione della democrazia borghese, “come se” la violenza, ossia la coercizione dello Stato, non esistesse. Ma il ruolo della violenza all’interno della struttura di potere del capitalismo contemporaneo resta determinante.
L’analogia tra il funzionamento dello Stato capitalistico ed il funzionamento del sistema monetario può essere particolarmente chiarificatrice. Nel modo di produzione capitalistico il sistema monetario si basa su “due” distinti mezzi di scambio: la carta-moneta e l’oro. Il sistema stesso non è la “somma” di questi due mezzi, poiché il valore delle emissioni fiduciarie che circolano ogni giorno e mantengono il sistema in condizioni normali “dipende” dalla quantità di metallo esistente in ogni dato momento nelle riserve della banca centrale, nonostante il fatto che questo metallo sia del tutto “assente” dal sistema come mezzo di scambio (quanto poi al ‘mistero’ della collocazione, del controllo e della disponibilità delle riserve auree italiane, le quarte del mondo per la loro consistenza, non mancherà l’occasione per parlarne in questa o in altre sedi). Riprendendo il paragone, è da osservare che soltanto la carta-moneta, non l’oro, compare nella circolazione, ma la carta-moneta è in ultima istanza “determinata” dall’oro, senza il quale cesserebbe di avere corso legale. Che esista una relazione di questo tipo fra la carta-moneta e l’oro è dimostrato dal fatto che, quando subentra una crisi (come sta accadendo in questo periodo), si verifica un brusco ritorno a quello che gli economisti chiamano ‘tallone aureo’, cioè alla base che, per quanto invisibile, sempre sostiene la moneta. Un collasso del credito produce immancabilmente una corsa all’oro (o verso valute straniere più forti, il cui tasso di cambio con l’oro sia maggiore). Nel sistema politico esiste una relazione dello stesso tipo fra l’ideologia e la repressione, il consenso e la coercizione. Le normali condizioni di subordinazione ideologica delle masse, la vita quotidiana che si svolge nei regimi di democrazia parlamentare del nostro tempo (definiti dai politologi anche regimi di “post-democrazia”), si basano su una coercizione silenziosa, invisibile, che costituisce la condizione di possibilità di tale subordinazione: si tratta del monopolio della violenza legale da parte dello Stato. Senza questa condizione di possibilità, il controllo ideologico e culturale della borghesia acquisterebbe la stessa consistenza che hanno rispetto ai comportamenti reali degli italiani i sermoni domenicali sull’etica sessuale cattolica e verrebbero meno le limitazioni poste ad iniziative di carattere antagonistico. Grazie a tale condizione di possibilità il sistema è invece così potente che può, paradossalmente, farne a meno: in effetti la violenza può normalmente non comparire affatto all’interno del sistema. Tuttavia lo svolgimento di una crisi sociale acuta rivela il passaggio della struttura del potere borghese dall’ideologia alla violenza. Nel corso di tale crisi la coercizione diventa insieme “determinante” e “dominante” e si manifesta con l’intervento dell’esercito e delle forze di polizia. Il potere borghese si configura in questo senso come un sistema a geometria variabile: in ogni crisi avviene una dislocazione oggettiva di forze ed il sistema si ricompone attraverso la prevalenza degli apparati repressivi su quelli ideologici o, ancor più esattamente, attraverso la prevalenza, in tutti gli apparati statuali, della funzione repressiva su quella ideologica. Si realizza così un ritorno alla fonte originaria del potere, la forza, posta a protezione dei rapporti di produzione esistenti. Si tratta di una vera e propria legge del capitalismo a cui quest’ultimo non può sottrarsi, poiché l’alternativa è il dissolvimento.
Caro Mauro, devo dire che l’affermazione/invito fatta alla fine della tua ultima risposta (“Inoltre, se la sinistra non accetta anche l’elemento leaderistico, ormai centrale, si mette fuori dalla realtà. Si tratta di collocarlo nella giusta dimensione”) mi sorprende in modo tutt’altro che favorevole. Dirò di più: la ritengo assolutamente irricevibile. A parte che non mi è chiaro come tutto ciò possa essere collocato nella “giusta dimensione” – laddove invece ci si potrebbe vedere dimensioni nascoste (per usare un temine preso in prestito dalla teoria delle stringhe) affatto inquietanti – mi piace assai poco questo richiamo a un principio di realtà per il quale ci si dovrebbe rassegnare a veder ridotta la politica a una guerra per bande, a squallidi scontri (che in realtà sono più incontri, anche se avvengono sotto la foto di Fidel e del Che) tra prime donne, atti più formali che sostanziali, per dirla tutta. Certo, i leader ci sono sempre stati in politica, e non ci vuole molta immaginazione a citarne un buon numero. Ma i migliori rappresentanti di questa categoria – e in Italia ce ne sono stati eccome – mi pare che esprimessero un progetto globale e articolato di società, a differenza di chi, rifiutandosi comunque di uscire dal paradigma odierno vincente, perché imposto a forza, dell’economia di mercato liberista, presenta le proprie posizioni come se fossero istanze corporative di particolari settori del proprio elettorato di riferimento, in contrapposizione a quelle degli altri partecipanti a questo gioco (im)politico, pretendendo oltretutto di universalizzarle in modo arbitrario e senza alcun fondamento: chi non si ricorda l’assurdo invito a diventare imprenditori di se stessi?
E’ chiaro che un tale progetto (se, appunto, esistesse) non può accontentare tutti, ma per tutti comunque ci dovrebbe essere un posto, come succedeva in quelle che, con disprezzo e fastidio, si chiamano le grandi narrazioni politiche del ‘900. Ora invece – fatta salva la conventio ad excludendum nei riguardi dei ceti più svantaggiati e dei lavoratori in generale – si ha l’impressione che a costoro importi solo di impossessarsi della macchina statale a tutto vantaggio della propria parte politica, di propri interessi personali o dei propri sponsor. Stando attenti a non disturbare il Grande Manovratore Transnazionale.
Mai come adesso vale l’osservazione di Marx e Engels sullo Stato come comitato d’affari della borghesia.
Non so presenterò richiesta di iscrizione CCC (COMMENTATORI CRITICI non COALIZZATI) – certe affermazioni neo-nazionaliste variamente modulate non mi convincono molto – ma forse non mi dispiacerebbe vedere un CCCP (COMMENTATORI CRITICI COALIZZATI per il PROLETARIATO) che si opponga anche a questa deriva personalistica della politica.
Caro dm,
non protestavo per l’apostrofe: pensavo proprio che lei si fosse sbagliato (credevo volesse rivolgersi a qualcun altro, per esempio Lo Vetere), e glielo segnalavo.
Quanto all’essere d’accordo con me, come vede tutto può succedere, a questo mondo, che è bello proprio perché è vario…
Caro Barone,
oltre che di Grosz, Gadda, etc., ci sarebbe anche tanto bisogno del generale Cambronne.
Cari amici,
in questo periodo ho dei problemi di connessione a internet, per questo rispondo molto lentamente. Ma lo sto facendo, come sempre seguendo l’ordine degli interventi, quindi risponderò a tutti. Abbiate solo pazienza.
mp
Chiedo scusa per il parto prematuro che è sfociato in un aborto… Di séguito riporto la versione corretta del mio commento.
Caro Buffagni, ricordo un film in cui un’angelica Ingrid Bergman interpretava la parte di Giovanna d’Arco, dicendo a un capitano francese, rude ma valoroso soldataccio dal linguaggio colorito e sboccato, specie in battaglia: «Se proprio non potete farne a meno, capitano, dite “per le mie staffe”». Vi è quindi un’abissale differenza tra la parola «merde» che Cambronne – secondo una tradizione forse leggendaria – grida in risposta all’invito ad arrendersi che gli inglesi gli rivolgono, quando la sera scende sulla disfatta napoleonica a Waterloo, e la stessa parola «merda» che la signora Daniela Santanchè usò riferendosi a Fini, allora presidente della Camera. Difficilmente Victor Hugo potrebbe scorgere qualcosa di alto e di sublime in questo termine adottato dalla signora, che egli celebrava invece nella parola di Cambronne. Volgarità e sconcezze, in questi giorni, arrivano da tutte le parti e da persone che si credono élite, classe dirigente, leader e maestri nell’arte della politica. Ma è questo attualmente il livello del ceto politico italiano, specchio fedele del livello della cosiddetta società civile. Diceva giustamente Paolo Segneri, un grande predicatore del Seicento: «Chi parla male vive peggio».
Dedicato a quelli per cui il grillismo, in fondo, è un movimento di sinistra.
Nel sito di Beppe Grillo si possono leggere le seguenti dichiarazioni, che immagino riempiranno di gioia gli ammiratori del milionario di Sant’Ilario: «…È subito partita la canea dei sindacati, dei “ricatti occupazionali”, del “comportamento inaccettabile”, ma anche della “dittatura dei mercati”. Un pianto unico, lacrime di coccodrillo…La Electrolux leva le tende, taglia i salari, e nessuno si chiede perché. Perché un’azienda straniera dovrebbe venire o restare in Italia? Per pagare più tasse a uno Stato che dilapida buona parte dei suoi incassi di 800 miliardi l’anno? Se altrove il costo del lavoro è più basso, l’azienda andrà in Polonia, in Irlanda, in Romania, in Spagna e persino in Germania. Quasi ovunque in Europa il costo del lavoro e le tasse sono minori… Sarebbe bene che lo Stato non spolpasse le aziende e i lavoratori…».
Il messaggio è dunque: “Riduciamo le tasse ai capitalisti, leviamo loro l’Irap ( che finanzia la sanità), altrimenti fanno bene a licenziare gli operai e ad andare all’estero. La posizione di Grillo sul caso Electrolux è esemplare. Non a caso Grillo e Casaleggio hanno peregrinato nel Nord Est per promettere alle associazioni confindustriali l’abbattimento delle tasse. L’attacco alla “canea sindacale” è quindi speculare alla solidarietà verso i padroni contro gli operai.
La natura reazionaria e antioperaia del grillismo, malamente dissimulata dalla retorica populista e neo-qualunquista, emerge una volta di più alla luce del sole.
Diceva un immigrato maghrebino:
“Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia? quia et latrocinia quid sunt nisi parva regna? Manus et ipsa hominum est, imperio principis regitur, pacto societatis astringitur, placiti lege praeda dividitur. Hoc malum si in tantum perditorum hominum accessibus crescit, ut et loca teneat sedes constituat, civitates occupet populos subiuget, evidentius regni nomen assumit, quod ei iam in manifesto confert non adempta cupiditas, sed addita impunitas. Eleganter enim et veraciter Alexandro illi Magno quidam comprehensus pirata respondit. Nam cum idem rex hominem interrogaret, quid ei videretur, ut mare haberet infestum, ille libera contumacia: Quod tibi, inquit, ut orbem terrarum; sed quia ego exiguo navigio facio, latro vocor; quia tu magna classe, imperator.”
De civitate Dei, Liber IV
Fatemi scrivere subito, anticipandovi, che non ho capito niente. Credevo che la ragione sociale di Renzi fosse cavalcare gli umori neri degli italiani per sottrarli a Grillo e trasformarli in un progetto politico. Invece a quanto pare non è così. Non capisco le ragioni di questa svolta, o le capisco solo in parte. Certo, una è la totale assenza di lucidità della nostra classe politica, la sua mediocrità, che è sempre oltre il concepibile.
Ci sono due cose certe e una incerta, nel “governo Renzi”.
1. La prima cosa certa è che la legittimità delle istituzioni democratiche viene distrutta definitivamente, con il terzo governo senza legittimazione elettorale.
2. La seconda cosa certa è che il Pd alle prossime elezioni prenderà tra il 14 e il 18%.
3. La cosa incerta è se il prossimo governo riuscirà a fare qualcosa. Come fa, se la maggioranza è la stessa, e Alfano già ricatta? Ma questo è incerto: potrebbe fare qualcosa. Al prezzo delle due cose certe, però.
“Matteo Renzi si sta preparando a perdere le prossime elezioni” (R. Genovese)
^^
@Piras
mi permetta di dissentire ulteriormente:
il prossimo governo, se otterrà una maggioranza parlamentare, avrà, come d’altronde gli altri, una legittimità elettorale, essendo noi in un regime di repubblica parlamentare.
la legittimità delle istituzioni democratiche non è distrutta dal fatto che si creino delle maggioranze in parlamento, anzi, quello è precisamente il modo in cui funzionano le democrazie parlamentari (l’Italia è ancora, formalmente, una repubblica parlamentare), piuttosto dal fatto che queste maggioranze sono chiamate semplicemente a esprimere la fiducia a un governo, il quale poi governerà usurpando la funzione legislativa del parlamento per mezzo di decreti (da convertire in legge A-S-S-O-L-U-T-A-M-E-N-T-E), leggi delega e questioni di fiducia poste alle camere.
il parlamento, diventa così una sorta di assemblea dei grandi elettori del governo, e una sorta di ufficio cancelleria delle decisioni governative. da qui a chiederne l’abolizione in quanto ente pleonastico (il governo deve avere una legittimazione elettorale diretta, no? le leggi le fa il governo, no?) il passo è breve, per ora si comincia dal senato, poi si vedrà.
successivamente si potrebbe abolire le province, altro ente pleonastico, e sostiturle con le prefetture.
rimarrebbero le regioni e i comuni, ma insomma, diamo tempo al tempo.
quanto al punto due, non si dia pena: riusciranno a convincere a rivotarlo, il PD, che mica si permetterebbe che andasse Berlusconi al governo, no? Berlusconi è IL MALE, no? Anche Grillo è IL MALE, no? Non si vorrà che vada Grillo al governo? Vedrà che una cifra intorno al 30% non gliela nega nessuno, al PD, almeno fino a quando non passerà a miglior vita lo zoccolo duro dei baby boomers che ancora credono di stare votando il PC o il PSI, che leggono Repubblica, guardano Raitre, eccetera.
mi permetta una chiosa: mi stupisce che lei faccia un commento così, dal momento che nell’articolo che abbiamo commentato si mostra assai disponibile verso la propaganda “menopeggista” degli organi di informazione affini al PD.
sinceramente mi piacerebbe che rispondesse alle perplessità sollevate da numerosi commentatori, sebbene mi renda conto che non è tenuto a farlo.
@Detrito costituzionale
Non si stupisca: (anche) Piras (forse) è approdato alla stanchezza della democrazia.
Non c’è niente da capire.
Come non c’è niente da capire?
Cfr.
1. http://www.conflittiestrategie.it/le-tendenze-della-congiuntura-di-glg-10-13-febbraio-14
2. http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=97569&typeb=0&Ecco-chi-si-nasconde-nell-ombra-di-Renzi-
Ehi, sveglia!
Cari amici,
scusate per questo lungo ritardo, provocato da cause contingenti. Non intendo affatto sottrarmi alla discussione. Tuttavia, è vero che il nuovo (nuovissimo) quadro politico cambia molto, perché sconfessa la mia analisi. Io credevo che Renzi non avrebbe mai accettato di andare a governare senza passare per il voto, invece è successo e non capisco ancora bene perché. L’unica coerenza che posso vedere, rispetto a quello che scrivevo e rispetto a quanto diceva Renzi prima, è questa: il governo Renzi dovrebbe soddisfare il bisogno diffuso di vedere dei risultati, più che di andare alle elezioni. Ma mi chiedo come possa ottenere dei risultati con la stessa maggioranza di prima, con lo stesso parlamento bloccato. Mi sembra un po’ miracolistico fare affidamento sulla forza propulsiva di Renzi e di una nuova classe politica. Quindi, io personalmente starò a guardare, non ho analisi da proporre.
Rispondo però alle obiezioni fatte prima, per i contenuti più generali.
Caro Cucinotta,
sul quadro generale (globale) posso anche concordare, anche se non lo vedrei come il frutto di un progetto politico di pochi capitalisti potentissimi, ma come il risultato di una deriva sistemica (il che è pure peggio, forse, per gli spazi di manovra della politica). Ma questo quadro non toglie che in un paese si possano fare delle scelte politiche giuste o sbagliate (per esempio, si può togliere o tenere l’imu sulla prima casa). Quindi i governi nazionali, nei loro limiti, qualcosa contano.
E infatti anche per lei conta, per esempio, discutere della legge elettorale. Non concordo con lei sul doppio turno: se si va a un ballottaggio, i voti per passare dalla maggioranza relativa a quella assoluta bisogna conquistarseli, quindi l’esito è fondato sulla ricerca del consenso, non su un premio di maggioranza deciso per legge. Sulle altre critiche concordo. Ma questa legge è il meno peggio che si possa fare, in un quadro politico bloccato. Il “porcellum 1” è comunque peggio (e poi adesso non esiste più).
Cara Clotilde Bertoni,
certo, la democrazia procede anche con gli eccessi, con momenti di mancanza di rispetto delle procedure; ma questa mancanza di rispetto non può arrivare a far saltare l’idea fondamentale della democrazia, cioè che tutte le parti possono far contare la propria opinione e contare politicamente allo stesso modo. Se una parte ha deciso che, in nome di quello che ritiene “il Bene”, le forme possono saltare del tutto, siamo già fuori dalla democrazia. E’ questo atteggiamento che trovo inaccettabile. Faccio notare che la negazione dell’aspetto procedurale caratterizza anche Berlusconi, ogni volta che rifiuta le sentenze ecc. con l’argomento “sono stato eletto da milioni di italiani”. Anche nei grillini c’è qualcosa di simile: la fonte di legittimazione della propria azione politica è il contatto diretto con il popolo, certificato in questo caso dal fatto che se ne esprimono gli interessi veri. Il fatto che l’eguaglianza tra i cittadini sia tutelata anche dalle procedure e dallo stato di diritto passa del tutto in secondo piano.
Certo, se la soluzione alla fretta è solo un personaggio carismatico, allora i problemi ci sono, concordo. Ma va detto che adesso, in Italia, la necessità di sbloccarsi e di fare qualcosa è reale: la realtà è infatti che il berlusconismo è stato il tentativo, per l’Italia, di affrontare la globalizzazione senza modernizzarsi. Ora siamo indietro di vent’anni, e questa modernizzazione va fatta, senza continuare a rallentare. Invece molte forze politiche, anche della sinistra, sembrano inclini proprio a rallentare i cambiamenti.
Caro Daniele Ventre,
guardi che stiamo dicendo la stessa cosa: anche io affermo che la democrazia non sopravvive se non garantisce una certa equità sociale, più gli altri elementi che ho citato. E le forze liberate da queste insoddisfazioni poi diventano antidemocratiche.
Caro Detrito (in varie forme),
lei ha lo stile dei grillini: siccome lei ha ragione, si crede legittimato a insultare (e taccio del fatto che lo fa senza metterci il nome, cioè la faccia, bel coraggio). Guardi che io me ne infischio largamente, dei suoi insulti, e infatti sotto le rispondo sui contenuti. Però è su questo che vorrei farle capire che la forma è sostanza: insultare, alzare la voce, arrivare a violenze verbali come quelle dei grillini contro le parlamentari pd ecc., sulla base del fatto che si pensa di avere ragione, si chiama FANATISMO. E il fanatismo per me è stupidità.
Inoltre, riguardo al comportamento dei grillini, ho già detto che il problema non sono tanto le violenze verbali (infatti, nel mio pezzo inizio perdonandogliele), ma il fatto che abbiano impedito FISICAMENTE a dei parlamentari di votare o entrare in commissione. Questo è fanatismo.
Comunque, il mio pezzo non era su questi temi, che ho solo evocato.
Quanto ai suoi punti.
Le posizioni di Sel non sono affar mio, ma penso che si comporti così perché è un partito che rispetta le istituzioni e la democrazia, molto semplicemente.
La prassi di governare per decreto non è frutto di un eccesso di potere dell’esecutivo, ma, al contrario, della sua debolezza. Il governo usa i decreti perché sono l’unico mezzo che ha per tenere sotto controllo una maggioranza eterogenea e irresponsabile. Il problema del sistema politico italiano sono i partiti, non i presunti “golpe” del capo dello stato, né lo strapotere dei governi. Sono i partiti politici che non sanno rappresentare e decidere, che non hanno prospettiva politica.
Sul decreto Bankitalia, Boeri e tanti altri hanno solo delle perplessità, riferite al momento del cosiddetto “pay back”, cioè la rivendita delle quote. Ma la situazione di Bankitalia prima del decreto la esponeva molto di più al potere arbitrario dei privati (basti il fatto che Unicredit e Banca Intesa ne detenevano oltre il 50%, cosa impossibile con il decreto).
Sulla legge elettorale: se i suoi amici grillini si fossero degnati di trattare, non avremmo avuto solo Berlusconi come interlocutore, e la legge sarebbe stata migliore. Invece loro fanno l’opposizione sulla luna, dai loro detriti di luna, e i risultati sono questi. Comunque non è una legge fascista, mi unisco a Buffagni nel reclamare che la si smetta di parlare di fascismo ogni volta che c’è qualcosa che non ci piace.
Sul suo ultimo intervento.
Certo, l’Italia è una repubblica parlamentare, ma esiste un sentimento di legittimità che riguardo il rapporto tra i cittadini e le istituzioni. Quando i cittadini si vedono proporre il terzo governo non frutto di una maggioranza elettorale chiara, i problemi crescono. Inoltre, anche sul piano strettamente parlamentare la cosa è piuttosto confusa, visto che i gruppi parlamentare del Pd sono frutto dell’era Bersani, e ora devono lavorare per Renzi.
Comunque lei continui a rigirarsi i suoi detriti, kein Problem, intanto la politica la fanno altri.
Caro Ares,
sa cosa? sono d’accordo. La sinistra ha sempre sbagliato quando ha usato argomenti di questo genere. Io (non inorridisco, ma) rifiuto il metodo Grillo-Casaleggio per le ragioni che ho detto sopra: non per esteriore rispetto della buona educazione, ma perché il rispetto delle forme procedurali è ancorato ai fondamenti morali della democrazia. Ho già scritto diverse cose nelle risposte, non mi ripeto.
Caro Alberto,
in effetti hai ragione a dire che la personalizzazione della politica in un contesto di svuotamento dei progetti politici può comportare molti rischi. Nel complesso, quelli che vedi tu. Però io volevo dire semplicemente che la sinistra deve accettare un aspetto, della necessità di grandi leader: la loro capacità di cogliere gli umori di ampi strati di elettorato, di riuscire a essere in sintonia con esso. Berlusconi ha vinto finché ha saputo fare questo con il suo elettorato. Noi non abbiamo mai avuto dei capi degni di questo nome, dopo Berlinguer. Renzi è pericoloso perché non è chiaro il suo contenuto, ma ha quella capacità. Anche se quello che sta succedendo adesso non lo capisco, l’ho detto.
Chiedo scusa per i molti problemi che ho lasciato da parte, ma purtroppo non ho il tempo né la possibilità di rispondere in questo periodo.
Inoltre, per un bel po’ non farò commenti politici, perché come ho già detto non ho capito niente.
Un caro saluto,
mp
Quale che sia la posizione di ciascuno, poche cose oggi sono chiare.
1) La classe politica, vecchia e nuova, ha in realtà paura del responso delle urne e cerca di procrastinarlo.
2) Il Capo dello Stato asseconda questa paura, subordinando la legittimità democratica ai mercati finanziari e all’equivoco secondo cui la continuità del Paese è necessariamente rappresentata solo dalla sua classe dirigente -di fatto l’attuale classe dirigente esprime un sistema assiologicamente rovesciato. L’unica eccezione sono i Grillini, ma questi ultimi rappresentano ora come ora uno schieramento dall’identità inquietante, fra retroterra settario (casaleggio) forti componenti razzistiche e idee poco chiare.
3) Come conseguenza, siamo al terzo presidente del consiglio salito al potere per dinamiche interne al palazzo. La sua soluzione sulla riforma elettorale mostra che il suo decisionismo della disperazione potrà condurre solo a frutti ambigui e dagli sviluppi potenzialmente pericolosi. Il decreto salva-lega contemplato in quella riforma è un pericoloso indizio del fatto che la pretesa di Renzi di rappresentare il nuovo è solo un proclama. Se è così, non abbiamo speranze. Avremo un governo in cui l’ambiguità di Letta e la scarsa efficacia dei provvedimenti presi si accompagneranno a un decisionismo estremo nel prendere provvedimenti potenzialmente iniqui, del tutto analoghi a quelli di Monti. Le voci che girano circa un ministro dell’istruzione che potrebbe uscire dalle fila di Scelta Civica confermano questa impressione, almeno fino a fattuale smentita. C’è il rischio che il governo Renzi, anziché rappresentare la scossa per il Paese, rappresenti la scarica ad alto voltaggio della sua sedia elettrica.
Fuori di tutto questo, c’è il Paese reale al collasso, lacerato dai risentimenti interni, e con una disoccupazione crescente. Non so quanto i signori della finanza europea e i nostri tirannelli e oligarchi locali pensano che possa davvero resistere, questa che rischia di trasformarsi in poche settimane in una Weimar mediterranea.
Mediocre post di regime, nulla più.
Favolosa l’immagine di apertura con Renzi che stringe forte la mano di Letta; un moderno bacio di Giuda. L’ipocrisia fatta immagine.
Ma andarvene tutti a casa dopo aver risarcito i cittadini, quando?
Scusami ma trovo fazioso questo tuo ragionamento. Non stento a riconoscere che il m5s a volte esageri con i toni… ma è una offesa all’intelligenza non riconoscere che da tempo si forzi la mano alla costituzione ed alle regole. Ti ricordo che a suo tempi il pd si oppose strenuamente all’uso della tagliola definendola proprio antidemocratica… però non ha esitato ad utilizzarla per rimediare all’incapacità di portare per tempo in aula una discusdione su cui si sapeva ci sarebbero stati troppi mal di pancia… anche tea le fila del pd.
Riguardo alla legge elettorale è quanto meno irrituale che nasca da un accordo a due in una dtanza chiusa e moralmente deprecabile che la si discuta con un condannato all’interdizione dai pubblici uffici. Inoltre contrariamente ad ogni spirito democratico conserva ancora le liste bloccate (per oggettivo calcolo politico), cucita apposta per eliminare il terzo incomodo (non si spiegherebbero diversamente norme come il salva lega e il calcolo del premio di maggioranza senza scorporare le percentuali dei partiti di coalizione che non superano lo sbarramento) e mantenendo giochetti infami da prima repubblica come le candidature multiple. Va bene avere una ideologia ed una opinione politicamente schierata, ma certi ragionamenti e certe scelte sono una offesa all’intelligenza.
Caro Piras,
capisco il suo smarrimento.
Le racconto la favoletta Renzi come la vedo io, andando al sodo.
1. Renzi è il frontman di una cordata politico-affaristica transatlantica, con baricentro nel Partito Democratico (americano, non italiano), confezionato da McKinsey & Ass. Lui personalmente ha contenuti zero, tranne la moglie bruttina che rassicura “il mondo cattolico”. Scopo di questa cordata è impiantare in Italia (terza economia della UE, in posizione geopolitica chiave sul Mediterraneo e sul Levante) un governo il cui azionariato è per il 75% USA e per il 35% UE a dominante germanica, mentre il precedente governo Letta era 50% e 50%.
2. Napolitano aveva presentato qualche timida obiezione ai suoi mandanti USA per conto dei suoi mandanti UE, e gli è stato recapitato da Alan Friedman e dal Corriere della Sera (cioè le grandi banche italiane) un messaggio che ha subito raccolto (per raccogliere i messaggi ci si piega sul busto a 90°). Messaggio: “Inutile che protesti che Renzi non ha legittimazione democratica. Perché Monti invece? Vuoi che scoperchiamo gli altarini, tutti gli altarini Libia compresa? Ragazzo, spazzola!”
3. Così Renzi va al governo, passa se ci riesce una legge elettorale che consente di governare col 51% dei voti parlamentari pur raccogliendo un 20% scarso di voti sulla percentuale sempre più bassa dei votanti, vulgo un 10% sul totale degli aventi diritto, passa il jobs act cioè pone termine per sempre al contratto di lavoro a tempo indeterminato, favorisce gli USA e non la Germania nella svendita delle residue industrie di Stato, spec. ENI che fa gola, appoggia Draghi in una politica meno follemente deflattiva così gli USA esportano un po’ di più nell’eurozona, e soprattutto manda un messaggio a Frau Merkel (che non si sa se raccoglierà, io credo di sì). Messaggio a Frau Merkel: “Se non consegni la merce Ucraina, la ricreazione è finita, visto in Italia che abbiamo messo Nessuno al governo? De te fabula narratur, Angelina.”
4. In tutto ciò, il popolo sovrano che fa? Le belle statuine. Il PD (italiano) che fa? La bella statuina. Berlusconi che fa? La bella statuina. Grillo che fa? La bella statuina.
5. Comunque, non preoccupiamoci che tutto va ben, madama la Marchesa. Vediamo intanto se Marine Le Pen arriva viva e non mediaticamente disintegrata a mezzo scandalo pedofilo/antisemitico/corruttivo a prendersi un bel 40% alle elezioni europee di maggio. Se ci arriva, magari le belle statuine ricominciano a muoversi.
Tanto vi dovevo. Cordiali saluti.
SEGNALAZIONE
Metodo Renzi e squadrismo Cgil: ma che sta succedendo alla sinistra?
http://www.aldogiannuli.it/2014/02/metodo-renzi-e-squadrismo-cgil/
Caro Ferrero,
approfitto di un fatto di cronaca per rispondere anch’io all’accorata domanda che lei rivolse a Piras il 5 febbraio scorso:
“…perché questo “passare all’azione” non si riesce mai, dico mai, a farlo da sinistra, dicendo e facendo cose da sinistra? Perché?”
Ecco perché:
http://video.repubblica.it/edizione/milano/caos-cgil-schiaffi-e-spintoni-all-incontro-con-camusso/155919/154414?ref=vd-auto/
Id est: perché la sinistra reale mena più forte della sinistra ideale.
Caro Buffagni,
in effetti condivido la filosofia complessiva della sue interpretazione, e quindi l’origine estera di questo passaggio politico e il ruolo marginale dei partiti politici italiani.
Tuttavia, non credo che Renzi sia il frontman di nessun potere forte USA, tant’è che a mio modesto parere, è destinato ad essere bruciato nel breve volgere di qualche mese.
Renzi, a mio modo di vedere, è soltanto il mezzo per danneggiare Napolitano che per qualche motivo a noi ignoto, è stato scaricato. Non mi meraviglierei se nel corso di quest’anno, Napolitano dovesse dimettersi, ma come dicevo, non credo che a Renzi andrà meglio.
La verità è che questi poteri sono sì, come dice la stessa parola, potenti, ma non a tal punto da rimettere a posto una situazione economica al tracollo e che potrebbe suicidare il capitalismo senza che purtroppo sia pronta una situazione di ricambio, e quindi un caos da cui non so come si uscirà.
Caro Cucinotta,
grazie per il consenso. Concordo con lei sulla obsolescenza, forse programmata forse no, di Renzi, che vale, come attore, un centomillesimo di Clinton.
Penso però che:
a) “i poteri forti” , USA compreso, siano in un marasma sistemico mica male, e operino in pilota automatico, con personale di un livello barbarico/teppistico. Basti vedere come stanno gestendo la crisi ucraina, un gioco col fuoco atomico affidato a gente come Victoria Nuland, che al tempo di George Kennan non avrebbe fatto neanche la centralinista al Dipartimento di Stato
b) penso anche, senza avere prove, che i suddetti poteri forti e gli USA in particolare stiano preparando una destabilizzazione importante in Italia, e non solo, a seguire o ad accompagnare le elezioni europee, perché mi sembra che la Germania dia sempre meno affidamento, per vari motivi, come proconsole europeo. Renzi è dunque provvisorio, una controfigura. Va da sé che spero vivamente di sbagliarmi di grosso.
«Lo sviluppo normale del sindacato è segnato da una linea di decadenza dello spirito rivoluzionario delle masse: aumenta la forza materiale, illanguidisce o svanisce del tutto lo spirito di conquista, si fiacca lo slancio vitale, all’intransigenza eroica succede la pratica dell’opportunismo… L’incremento quantitativo determina un impoverimento qualitativo e un facile accomodarsi nelle forme sociali capitalistiche, determina il sorgere di una psicologia operaia pidocchiosa, angusta, di piccola e media borghesia». Così osserva in un articolo pubblicato nel 1919 sulla rivista “L’Ordine Nuo-vo” Antonio Gramsci, il quale, sviluppando un’analisi morfologica del sindacato, puntualizza: «Il sindacalismo si è rivelato nient’altro che una forma della società ca-pitalistica, non un potenziale superamento della società capitalistica. Esso organizza gli operai non come produttori, ma come salariati, cioè come creature del regime capitalistico di proprietà privata, come venditori della merce lavoro. Il sindacalismo unisce gli operai… a seconda della forma che loro imprime il regime capitalista, il regime dell’individualismo economico».
Per comprendere le basi strutturali di quello che sta accadendo nel corso del XIX congresso nazionale della Cgil e le origini della degenerazione dello scontro politico tra opposizione e maggioranza all’interno del maggiore sindacato italiano sarebbe quanto mai opportuna un’attenta riflessione su questa fondamentale analisi gramsciana, che pure si riferisce al ben diverso periodo del “biennio rosso”. All’anzidetta riflessione ne unirei un’altra ricavata dalla lettura del bel libro di Franco Piperno sul“’68. L’anno che ritorna”, in cui è raccontato un incontro tra la “Commissione Fabbriche” del movimento studentesco romano e i dirigenti della Fiom nazionale. Si tratta di un episodio che getta una luce particolarmente vivida su almeno due questioni: la diversa tradizione degli operai del mondo anglosassone rispetto a quelli del mondo latino e il progressivo costituirsi, nell’àmbito del movimento sindacale (e dello stesso movimento operaio italiano), di una burocrazia sindacale e politica di origine piccolo-borghese, lontana dalle condizioni di lavoro e di vita della classe dei salariati, di cui pure ha rappresentato, in qualche misura, gli interessi materiali e morali. Se è vero che, come ebbe ad osservare il filosofo Herbert Marcuse, negli Usa la classe operaia ha dei comportamenti di radicale autonomia nello scontro sociale e di passivo conformismo nella lotta politica, è altrettanto vero che, al contrario, in Italia gli operai sono formalmente sovrarrappresentati sul piano politico con almeno quattro partiti che si richiamano, in vario modo e in varia misura, al movimento operaio (Prc, Pdci, Sel, Pd) mentre la fragilità dell’autonomia sociale è impietosamente mostrata da livelli salariali che sono tra i più bassi dell’Europa occidentale. Bene, racconta Piperno, a quell’incontro romano ebbe a partecipare, del tutto per caso, anche un giovane sindacalista, un operaio metalmeccanico di una fabbrica di Belfast, nell’Irlanda del Nord, “turista sovversivo attirato a Roma da Valle Giulia più che dalla messa in San Pietro”. Henry, che conosceva male l’italiano, prestava un’attenzione particolare, fra gli interventi dei partecipanti, alle parole di Bruno Trentin, che alcuni militanti del movimento romano cercavano di tradurre, o almeno di riassumere. L’irlandese era rimasto colpito dalla personalità del sindacalista italiano e più volte nel corso di quella serata aveva chiesto: “Ma Trentin, quale mestiere fa?”. Piperno e i suoi compagni, sulle prime, avevano evitato di rispondere all’insolita domanda; poi, messi alle strette da quel suo insistere, gli avevano detto che era il segretario nazionale della Fiom. Al che Henry aveva replicato che questo lo aveva capito, ma desiderava sapere quale lavoro facesse Trentin ‘prima’ di svolgere la sua funzione di segretario generale, e Piperno e i suoi compagni avevano risposto che prima Trentin era stato il vice-segretario di quella organizzazione. Sennonché l’irlandese, implacabile, insisteva nel chiedere quale fosse stata l’occupazione del sindacalista italiano ‘prima’ di divenire vice-segretario. I suoi interlocutori italiani avevano risposto che era stato membro della segreteria nazionale, ed Henry aveva reiterato la sua domanda: “Ma ‘prima’?”. Al che Piperno e i suoi compagni avevano replicato che Trentin stava nel comitato centrale della Fiom. A quel punto, conclude Piperno, il giovane operaio irlandese aveva cessato di riproporre la sua domanda: guardando a lungo il maglione di cachemire beige che indossava Trentin, s’era reso conto che in Italia il capo di un sindacato operaio può essere tale pur senza mai aver vissuto la condizione economico-sociale di fabbrica.
Per limitarci ad un’analisi della cosiddetta “sinistra radicale”, ciò che balza subito agli occhi è che si tratta di forze senza dignità propria, organicamente subalterne al rilancio del quadro politico bipolare, conservatore e neocentrista, dominato dal blocco tra le due destre: quella populistica e pubblicitaria di Berlusconi e quella tecnocratica ed elitaria, ieri rappresentata da Veltroni e oggi da Renzi. Il carattere subalterno di tale sinistra nasce, innanzitutto, dalla sua composizione, che reca l’impronta di quel ceto parlamentare, amministrativo, sindacale e associativo di ‘professionisti della mediazione istituzionale’, che da tempo costituisce il nucleo sociale della sinistra italiana e che ha del tutto abbandonato, nella sua pratica concreta, ogni legame con un modello politico e ideale fondato sulla militanza, sull’antagonismo di classe e sulla partecipazione di massa. Le varie formazioni, cui una siffatta sinistra ha dato vita (da “La Sinistra e l’Arcobaleno” alla “Federazione della sinistra” e da questa a “Rivoluzione civile”, per giungere alla lista Tsipras), rappresentano, dunque, lo strumento che questo ceto politico ha adoperato e intende ancora adoperare per garantirsi quelli che il vecchio (ma sempre attuale) Lenin definiva i “posticini caldi”, vale a dire la possibilità di sopravvivere, in modo più o meno parassitario, nelle pieghe della ristrutturazione reazionaria del sistema politico posta in essere dalla ‘grande coalizione’ fra il Partito Democratico, il Partito del popolo della libertà, la Confindustria, la Chiesa cattolica e il capitale finanziario globale a direzione euro-americana. Ma una siffatta sinistra è subalterna anche perché non ha altra prospettiva che non sia quella di rappattumare un coacervo interclassista e piccolo-borghese di ambientalisti e di riformisti, il cui obbiettivo è quello di restare (o di ritornare) al governo, alleandosi con il Partito democratico. In terzo luogo, è subalterna perché è priva di un’analisi scientifica della realtà economica, politica e culturale del paese, non possiede una visione comune dei suoi drammatici problemi, non ha elaborato una strategia per farvi fronte e, come a suo tempo ricordò giustamente Edoardo Sanguineti, non coltiva (a differenza dei suoi nemici) l’odio di classe. Crescente precarietà del lavoro, disoccupazione galoppante, bassi salari, incombente crisi energetica, regressione della ricerca tecnologica e scientifica, negazione dei diritti civili, interventi militari di carattere imperialistico e imbarbarimento della vita sociale non possono essere soltanto argomenti da trattare in qualche convegno, da evocare in qualche articolo o intervista sui giornali, da proporre in qualche interrogazione parlamentare: essi sono, prima di tutto, terreni di denuncia e di agitazione, di intervento politico e di organizzazione degli strati proletari .
Al contrario, i ‘professionisti della mediazione istituzionale’ non amano sporcarsi le mani svolgendo lavoro politico nei quartieri popolari, nelle aree metropolitane, nelle fabbriche e nelle scuole, poiché hanno demandato questo tipo di intervento, se non alle parrocchie, alla Lega Nord e a Forza nuova, alla Cgil o ai sindacati di base, scontando a priori la normalizzazione burocratica e il moderatismo rivendicativo imperanti nella prima così come il ‘mix’ di sterile economicismo e di velleitario movimentismo dei secondi. D’altronde, è questo il volto mediocre e spesso cinico di una ‘sinistra senza popolo’, cui corrisponde, in un rapporto di perfetta simmetria speculare, il volto servile e spesso ottuso di un ‘popolo senza sinistra’. Da questo punto di vista, pesa ancora il ricordo del secondo governo Prodi (2006-2008), che vide la presenza di tale sinistra e perfino di due partiti che si richiamano al comunismo coonestare una politica ultraliberista e antisociale.
Di fronte ad una catastrofe etico-politica di questa portata si pone, per le forze sane del movimento operaio e comunista del nostro paese, la domanda cruciale: che fare? Sottoscrivere la piena legittimità della constatazione secondo la quale nella più che secolare storia della sinistra italiana non è dato ricordare un solo momento in cui i suoi dirigenti siano stati altrettanto disprezzati da elettori e militanti, non esime, comunque, le forze sane dal compito, necessario e urgente come non mai, di operare per impedire che il popolo e la democrazia di questo paese siano privati, in maniera definitiva, di un grande patrimonio umano, politico, culturale e ideale, che nel comunismo trova non solo il suo simbolo, ma la sua ragione di esistere.
Scenario 1): Renzi riesce più o meno a fare quel che ha preannunciato -abolisce le province, ridimensiona i costi della politica, ridà al Paese un minimo di tono, riesce addirittura ad arginare le pretese dalla Merkel in Europa a costruire una politica industriale decente e a invertire un po’ la caduta libera di istruzione e cultura: in questo caso il Paese si riprende lentamente, assestandosi, pur con una serie di pecche che rimarranno in sospeso per il prossimo decennio in materia di politica energetica, ambiente e cultura. Anche così, però c’è il rischio che la struttura gerontocratica, familistica e nepotistica della società italiana, ormai incancrenitasi, pesi e freni fortemente questa evoluzione. In ogni caso, morti e feriti sul campo.
Scenario 2): Renzi si è arrampicato alla poltrona, rinnoverà in altro modo la tradizione pdina della doppia verità e dei vuoti proclami di rigore e di aiuto all’impresa, di sostegno alla scuola e al lavoro, ma in realtà fra compromessi e cendimenti vivacchierà quanto può, sarà infine riassorbito dal sistema, mentre le spinte centrifughe e disgregatrici continueranno, e si arriverà alle elezioni con un Berlusconi vecchio, scassato, ma rilegittimato come spaventapasseri per i pescicani della destra, con il rischio che rivinca le elezioni e si porti appresso la Lega, quindi addio idea dei tagli alla politica.
Il secondo scenario è spaventoso, perché implica un crescere progressivo di disoccupazione, disagio, blindamento delle caste, emorraggia di risorse umane, con conseguenze facili da immaginare.
Bene ha fatto Buffagni nella sua analisi a sottolineare la dimensione internazionale della crisi politica italiana. E a chi muova il rilievo, ormai stantio, di fare della dietrologia o di sposare paranoicamente una qualche ‘teoria del complotto’ è facile rispondere che è lo stesso realismo ad imporre un’attenta ricognizione di tutte le forze che stanno giocando la partita che si svolge nel nostro paese. Dagli Usa alla Russia, dalla Cina all’India (e la stessa vicenda dei marò è, dal punto di vista politico, altamente rivelatrice), quelle stesse potenze che stanno comperando vasti settori dell’economia e del territorio italiani a prezzi stracciati si combattono senza esclusioni di colpi, nel quadro di una crisi mondiale, per assicurarsi il controllo di un paese strategico, i cui governanti non hanno più una dignità propria poiché non sono altro che dei ‘Quisling’ i quali vengono creati, finanziati, consigliati e orientati da potenze egemoni, nonché, al termine della reale catena di comando, nominati dal presidente della repubblica (a proposito, caro Genovese, Lei è fin troppo ipocoristico o, se si preferisce, antifrastico, quando attribuisce a Napolitano uno “stile da nonno di famiglia”!). Il confronto con ciò che da mesi sta accadendo in Ukraina è allora veramente istruttivo. In quel paese, infatti, l’imperialismo europeo ricorre senza scrupoli di sorta all’apporto putschista di un coacervo di forze che si richiamano apertamente al nazifascismo, con lo scopo di tagliare l’erba sotto i piedi alla risorta potenza russa. Gli scherani che, fregiandosi della qualificazione di ‘nazionalisti’, hanno posto sotto assedio i centri del potere governativo in Ukraina sono infatti gli eredi diretti delle forze che nel 1941 coadiuvarono senza remore l’Operazione Barbarossa di Hitler e, nel corso della guerra, furono i sostenitori più fanatici e sanguinari del “Nuovo Ordine” che, all’insegna del razzismo e dell’antisemitismo, le armate germaniche avrebbero dovuto instaurare nel bassopiano sarmatico (e chi non ricordasse questo orrore è caldamente invitato a documentarsi, tanto per fare un esempio, sul genocidio di Babi Yar).
Particolarmente feroce e spietata fu, inoltre, l’azione del nazionalismo ucraino, allora filonazista e oggi eurofilo, cioè filotedesco o filopolacco, nel condurre la guerra contro il movimento partigiano e le popolazioni che lo sostenevano. La lezione che si trae da queste vicende storiche e dalla attuale recrudescenza del nazionalismo ukraino sotto altre spoglie, ma con lo stesso obiettivo anti-russo, è quindi duplice: da un lato, in base al principio secondo cui il nemico del mio nemico è mio amico, l’imperialismo non esita, come è accaduto in Afghanistan, in Iraq e in Libia, e come accade oggi in Siria, ad utilizzare cinicamente, prescindendo dalla loro ideologia ultrareazionaria e dalle loro pratiche criminali, forze che possono, comunque, risultare utili al raggiungimento dei suoi scopi; dall’altro, pur sciacquandosi la bocca con la retorica dei diritti umani, i dirigenti dell’imperialismo sono disposti ad obliterare qualsiasi limite morale che possa costituire un argine alla loro azione distruttrice, incendiando di notte, come solevano fare i romani, i villaggi e le città dei regni di cui aspirano ad impossessarsi e offrendo di giorno ai loro governanti aiuto e protezione. A causa della eterogenesi dei fini che questa strategia necessariamente comporta, succede così che in Ukraina un movimento nazionalista, che somiglia non poco a quello dei “forconi”, collimi con il progetto imperialista perseguito dal Pd, da Sel e dai partiti di centro, mentre per la destra italiana un movimento ultranazionalista in apparenza così congeniale come quello ukraino è quanto di più antipodale possa esservi. “Respice finem”, dicevano giustamente i romani dall’alto della loro esperienza politico-militare, consapevoli che, mentre il nemico si sceglie, le alleanze non sono opzionali. L’Ukraina rappresenta oggi una conferma di questa regola politica, che diviene del tutto chiara allorquando si tiene presente che la contraddizione tra capitale e lavoro salariato rimane, certo, la contraddizione principale della fase imperialista, ma i conflitti interimperialistici non sono mai né lievi né transitori a causa di quel contrasto permanente, aspro ed insanabile, che Marx definiva come “la lotta tra i fratelli gemelli del capitale”. Renzi è dunque solo una variabile dipendente del gioco che si svolge sulla “grande scacchiera”, così come l’Italia, “non donna di provincie, ma bordello”, è un pezzo importante della strategia di dominio continentale e mondiale che, in un rapporto alterno di “concordia discors” e “discordia concors” i cui margini non sono tuttavia infiniti, l’imperialismo persegue in un mondo ormai multipolare.
@Piras
la prego di mettere in virgolettato i miei fantomatici insulti. se confonde polemica ed insulto, beh, siamo a posto. non faccia la vittima, nessuno l’ha insultata; lei invece, beh, ha più volte bistrattato la logica, il che può anche offendere, sa.
“il governo usa i decreti perché sono l’unico mezzo che ha per tenere sotto controllo una maggioranza eterogenea e irresponsabile. Il problema del sistema politico italiano sono i partiti, non i presunti “golpe” del capo dello stato, né lo strapotere dei governi”
mi scusi, ma non è come dice ad Ares, dunque, che “il rispetto delle forme procedurali è ancorato ai fondamenti morali della democrazia”? si metta d’accordo con sè stesso.
i decreti sono uno strumento D’EMERGENZA, non uno strumento ordinario, non so se comprende la differenza.
il governo NON ha la funzione di tenere sotto controllo la sua maggioranza, e i decreti non possono rispondere a quella funzione. qui si riorganizza l’assetto proprietario della Banca d’Italia per decreto come se niente fosse, senza parlare degli altri decreti in cantiere. A quando una riforma costituzionale per decreto?
per quanto una maggioranza possa essere eterogenea o irresponsabile, è il parlamento che dovrebbe mantenere una funzione di controllo sull’attività governativa, non viceversa.
si ricordi che è il parlamento ad avere il mandato popolare, non il governo, il quale riceve il suo mandato dal parlamento.
idem per il presidente della repubblica, il quale, perdipiù, dovrebbe essere il guardiano della costituzione, non il fautore del suo stravolgimento de facto.
se il parlamento deve essere legittimato da governo e capo dello stato, beh, siamo di fronte ad un sistema monarchico o dittatoriale con delle camere consultive, non certo ad un sistema democratico. ne prenda atto.
peraltro è piuttosto assurdo considerare governo e capo dello stato come entità esterne al sistema dei partiti, e perciò in grado di direzionarli verso una prospettiva politica, verso decisioni realmente rappresentative, visto che dai partiti sono nominati e nei partiti hanno costruito le posizioni che gli hanno consentito la nomina.
capo dello stato e componenti del governo sono rappresentanti di fazioni all’interno dei partiti, se ne stigmatizzano la litigiosità e l’inefficacia è per costringere le fazioni avverse a seguire la loro linea politica. che questa linea politica sia dettata da entità esterne, fondata su legittimità differenti da quella garantita dal parlamento, non può che essere considerato come un vero e proprio sovvertimento delle forme dell’organizzazione istituzionale dello stato. un sovvertimento peraltro cominciato con la riforma elettorale maggioritaria, quindi non certo ieri, quando si è posto le basi per quella concezione plebiscitaria della premiership di cui anche lei si fa portatore.
per chiudere questo punto mi devo concedere una chiosa: la situazione eccezionale per cui il governo deve controllare il parlamento in quanto espressione del “problema del sistema politico italiano”, ovvero i partiti, è un topos della retorica mussoliniana, e qui mi tocca una precisazione: quello che dà del fascista a ciò che non gli piace è lei, con la sua citazione di Adorno, buttata lì così in maniera sbarazzina, senza argomentazione; per quel che mi riguarda mi sono limitato a registrare il fatto che il mito della governabilità contrapposta alla rappresentatività sia un mito strutturalmente fascista, fondato sullo svilimento della funzione rappresentativa delle camere in funzione del rafforzamento dei poteri del governo; questa non è un’opinione, è un dato di fatto storico, concettuale. Peraltro lei si unisce a Buffagni, ma Buffagni non mi pare si sia unito a lei, nè mi abbia chiesto alcunchè.
sul decreto Bankitalia:
lei si è letto solo Boeri, il quale comunque non parla solo del payback, sul quale lei soprassiede bellamente, come se non fosse il cuore del problema, comunque Boeri parla di “associaizone a delinquere”, alla faccia delle semplici “perplessità”, forse le conviene leggersi altri interventi, sempre di parte vagamente piddina, eh, così giusto per chiarire meglio qualche punto sulla questione:
http://www.sossanita.it/doc/2013_12_LAVOCEdossier-banca-ditalia.pdf
e poi: dal 2005 il Tesoro doveva ricomprare le quote eccedenti dei privati in Banca d’Italia, poi con decreto dell’attuale Presidente della Repubblica (governo Prodi, eh già) del 12 dicembre 2006 si è sancito il fatto che i privati potessero possedere più del 50% delle quote di Bankitalia (sino a quel momento le detenevano illegalmente, e lasciamo perdere come ne sono venute in possesso, dovremmo aprire il capitolo delle privatizzazioni/svendite del patrimonio pubblico negli anni 90), ora si stabilisce che non possono possedere più del 3% a testa, ma che possono operare transazioni liberamente sulle quote possedute, una cosa unica nel panorama internazionale. non è che questo decreto ponga fine al predominio delle aziende private in Bankitalia.
e non ci vuole un genio a capire che, comunque, riacquistare quote valutate su un capitale di 7,5 mld di euro è nettamente più costoso che farlo con quote valutate su 156000 euro.
nè a capire che a) l’operazione è stata fatta solo per rinsaldare i bilanci delle banche italiane in vista dei test europei e ottenere liquidità immediata, attraverso la tassazione, al prezzo di esborsi nettamente maggiori nel futuro, b) la ratio dell’operazione è quella di un ceto politico che si comporta verso le banche privatizzate come se ancora fossero parte del patrimonio pubblico, ma solo quando c’è da aprire i cordoni della borsa, non quando c’è da riscuotere, c) la BCE non sembra dello stesso avviso (http://thewalkingdebt.wordpress.com/2014/01/13/bankitalia-la-bce-e-la-freccia-di-apollo/), col risultato che la manovra potrebbe anche essere neutralizzata d) la natura della Banca d’Italia muta in maniera sostanziale, essendo il suo capitale ora soggetto a transazione come quello di qualsiasi banca, è una quasi privatizzazione, una cosa molto strana e suscettibile di sviluppi inattesi e sinistri, sebbene ancora piuttosto remoti e) essendo questa materia discussa da anni, essendo già decaduta una legge delega, al riguardo, non si vede dove fossero i criteri di urgenza per l’inserimento di questa norma in un decreto, ma certo, “il rispetto delle forme procedurali è ancorato ai fondamenti morali della democrazia”.
sulla legge elettorale: la proposta di Renzi è antidemocratica, punto. Non è colpa dei grillini, ma di Renzi. E’ un’altra legge elettorale che calpesta il principio della rappresentatività in nome della governabilità, ovvero, come detto e ribadito, secondo principi basilari della dottrina fascista, la quale giunse al potere con la legge Acerbo, ricordata da Eros Barone, la quale consentiva maggioranze politiche a minoranze elettorali esattamente quanto la proposta Renzi, con il suo mitico doppio turno.
Nell’ottica bipolare ribadita mille volte da Renzi, è ovvio che c’è posto per solo due contendenti (più il codazzo di piccoli servi scemi), su che basi un aspirante terzo incomodo dovrebbe trattare? Suvvia.
Comunque, se il tenore delle risposte è questo, è meglio che non risponda più.
I suoi esercizi di bipensiero sono insopportabili e asfissianti, il suo fanatismo non è meno ottuso di quello dei grillini, lei arriva addirittura a usare il noi, quando parla dell’attività di Renzi, come un tifoso di una squadra di calcio, un’identificazione totale: buon pro le faccia. Arriva pure a identificarmi col terribile nemico grillino (i miei amici? ma lasci perdere), perchè senza mettermi la maglietta di una squadra non sarebbe in grado di rispondermi, perchè lei non può affrontare i concetti, ma solo gli schieramenti; il che, in un sito come questo, è avvilente.
Due piccole aggiunte.
1) Una delle ragioni per la fretta indecente con cui s’è svolta questa operazione Renzi, è che nei prossimi mesi si nomina una cinquantina di alte cariche nelle industrie di Stato (ENI compresa) e nell’alta burocrazia.
2) In Ucraina, la potenza egemone mondiale e il suo principale alleato europeo stanno facendo un giochino per soli adulti con metodi e personale che definire infantili è generoso. Il confine ucraino è a 460 km da Mosca. In questi 460 km di pianura sarmatica non c’è neanche un montarozzo su cui appoggiare un dispositivo di difesa, è una pista di collaudo per i reparti corazzati. Un governo ucraino alleato di potenza nemica (per esempio, NATO), per la Russia significherebbe che resta scoperto il fianco del dispositivo di difesa del bastione caucasico, sola protezione dei giacimenti petroliferi e minerari più importanti della Russia europea. Infatti, nelle ultime settimane il presidente del consiglio russo Medvedev ha ordinato il trasferimento in Estremo Oriente di molte importanti industrie con sede nella Russia europea: queste sono misure, complicate e costosissime, che gli Stati prendono appena prima di ordinare la mobilitazione.
Sintesi: l’Ucraina riveste un interesse vitale per la Russia. La Russia è una potenza nucleare in grado di cancellare dalla faccia della terra una buona metà degli Stato Uniti, e di trasformare le principali città europee in un parcheggio radioattivo. Nel 2014 ricorre un centenario che dovrebbe far pensare.