di Rino Genovese
Gli ingenui che nel dicembre scorso hanno votato Renzi alle primarie per cambiare le cose, o per reagire alla delusione della mancata vittoria di Bersani un anno fa, sono serviti. La smisurata ambizione dell’ex rottamatore era dunque compresa nell’orizzonte ristrettissimo di una manovrina di palazzo architettata in compagnia degli storici maneggioni di quella che nel frattempo, di intrigo in intrigo, è riuscita a diventare la minoranza del Pd. Non si sa se più preoccupati, questi ultimi, dei posti che non avrebbero più ottenuto nel caso di elezioni anticipate, o d’incastrare come a sua volta rottamabile proprio colui che aveva deciso di rottamarli. Il tutto con il consenso attivo di Napolitano che, sotto l’incubo da cui non riesce a destarsi di una possibile fine della legislatura, con uno stile istituzionale da nonno di famiglia anziché da capo dello Stato, nel corso di una cenetta a due ha dato il beneplacito alla messa in congedo di Enrico Letta senza uno straccio di passaggio parlamentare. Una crisi maturata nelle stanze del Pd – quando ancora si dichiarava, pur punzecchiandolo, la fedeltà al presidente del consiglio in carica, rovesciando così in poche ore alla maniera dei più consumati politicanti quanto si era detto fino al giorno prima – e terminata con un voto formale in direzione su un breve documento di ridicola vaghezza. Soltanto i sedici che hanno votato contro (tra questi c’è Andrea Ranieri, che mi è capitato di conoscere personalmente e a cui va il mio plauso) hanno salvato non l’insalvabile dignità del loro partito ma quella della politica in generale.
Il programma delle riforme costituzionali, che nelle intenzioni dovrebbe ora arrivare fino a un improbabile 2018, mette noia soltanto a elencarlo, come ha osservato Pippo Civati. Non soltanto perché (è questo soprattutto il caso dell’abolizione del senato e della sua trasformazione in una imprecisata camera delle autonomie) non se ne sente un particolare bisogno, ma perché si sa perfettamente che è la foglia di fico che copre la massima cui nella sostanza ci s’ispira: arraffa il potere quando puoi. Quella che ben riassume l’intera prospettiva politica del ragazzotto proiettato dai quiz di Mike Bongiorno a presidente della provincia di Firenze e poi – saltando di primarie in primarie – a sindaco, alla segreteria del Pd e alla presidenza del consiglio. Del resto non ci voleva la sfera di cristallo per sapere che un esito del genere era nelle cose per chi, pur presentandosi come innovatore, non aveva disdegnato di essere inserito nella rosa di nomi dell’incarico di governo delle larghe intese insieme con lo stesso Letta, preferito poi da Berlusconi, e (addirittura) con Giuliano Amato.
L’irrimediabile democristianizzazione del partito nato, come si disse, da una fusione a freddo tra ex dc ed ex comunisti, a questo punto è un processo compiuto. Il morto ha mangiato il vivo – ammesso che qualcosa di vivo ci sia mai stato. Ma le correnti della vecchia Balena Bianca erano per lo più espressione di potentati locali radicati nel territorio, mentre questo partito che costituisce di fatto da solo la nebulosa neocentrista di cui alcuni (come Mario Monti) erano alla ricerca, è da sempre lacerato dai personalismi. E unisce in sé il peggio della repubblica parlamentare – la tendenza alla manovra – con il peggio di una repubblica presidenziale, peraltro in Italia mai formalmente dichiarata, basata sulla funzione più o meno plebiscitaria del leader. Assurdo pensare di combattere un simile cancro del sistema politico con il palliativo di una sorta di leaderismo sostenibile (auspicato ancora pochi giorni fa dal mio amico Mauro Piras). Perché la malattia è profonda e appunto sistemica.
Il Pd non è alla sua nascita, come taluni credono, la riedizione in formato ridotto del “compromesso storico” (lontani i tempi di ferro e di fuoco che videro la proposta politicamente dignitosa, anche se puramente difensiva, di Enrico Berlinguer) ma un grave errore strategico nel fronteggiare, in assenza di un quadro normativo capace d’impedirlo o almeno di contenerlo, l’attacco da parte del neopopulismo mediatico berlusconiano. Mentre resta vero che soltanto alleanze ampie possono reggere l’impatto con il populismo grazie a una varietà di culture democratiche al loro interno, è falso che a questo ci si possa opporre con un partito unico dall’identità introvabile, che riproduce per giunta in maniera simmetrica, moltiplicandoli, quei personalismi che nel populismo si esprimono più facilmente in un personalismo solo. Di qui un’inclinazione a rincorrere l’avversario sul suo terreno, nella illusione che alla fine il leader “giusto” possa avere la meglio su quello opposto. Ma questo leader non c’è, mentre solo la paziente tessitura di un programma politico alternativo può contrastare la deformazione della democrazia di cui la sindrome populistica è il sintomo. La capacità di presa del populismo, del resto, non è data soltanto da una malìa nella comunicazione politica, condotta all’estremo nell’uso che Berlusconi ha fatto delle televisioni o in quello che della rete oggi fa Grillo; è resa possibile soprattutto dalla eclissi della sinistra che, perdendo la propria ragione sociale e gli interessi di riferimento (il che è anche il portato storico di un avvenuto mutamento, del fatto per esempio che oggi i variegatissimi ceti medi, anziché gli operai e i contadini, sono il terreno elettorale privilegiato della sinistra), li lascia alla mercé di qualsiasi vento antipolitico.
In questa situazione si può prevedere che il Pd renziano neppure sarà in grado di recuperare quel quattro o cinque per cento di voti che, nelle ultime settimane della campagna elettorale di un anno fa, si spostò secondo gli osservatori dal Pd di Bersani al movimento di Grillo. Il Renzi di governo è destinato a perdere l’allure antipolitica di cui, in concorrenza con il neoqualunquismo grillino, aveva fatto mostra nella sua scalata. La scissione quindi in questo caso non sarebbe, come nei vecchi partiti socialisti, qualcosa di mortifero ma un soprassalto di vitalità, quello che soltanto un organismo in parte ancora sano saprebbe mettere in atto. C’è infatti qualcosa di peggiore di una scissione – una vera e propria implosione – che l’apertura del cantiere di una sinistra né moderata né radicale, semplicemente di una sinistra, potrebbe scongiurare.
[Immagine: Matteo Renzi].
Caro Rino,
che dire? Quasi tutto giusto. O forse Renzi pensa davvero di cambiare le cose così, ma allora il suo è un delirio di onnipotenza.
Un saluto,
Mauro
Commissioniamo a Marcel Proust una “Recherche de la gauche perdue”.
D’accordo su tutto, ma trovo che non serva a molto continuare a dare giudizi liquidatori al M5S solo per via della loro dichiarata ostinazione a non volersi porre all’interno di una data ideologia. L’accusa di qualunquismo è generica e non tiene conto della realtà in cui si viene a trovare la sinistra dopo il crollo storico dell’ideologia. Se l’alternativa sta nell “l’apertura del cantiere di una sinistra né moderata né radicale, semplicemente di una sinistra”, allora cari miei tanto vale rassegnarsi a vivere nell’incazzatura perenne. Esiste un’anima di sinistra, sia negli elettori del M5S che in parte dei suoi eletti al parlamento, che non saranno delle volpi ma dio ce ne scampi se essere delle volpi significa costruire ragnatele mortali per la democrazia. Se la sinistra di cui qui si parla fosse realmente in parlamento cosa farebbe di diverso dal M5S? Farebbe “politica” d’altre alleanze? Probabilmente no, ma senza quei qualunquisti questa sinistra non potrebbe fare altro che lagnarsi. Io sarei per un lavoro critico, meno oscurantista nei confronti del M5S, più costruttivo.
A me sembra che l’analisi di Francesco Costa sia più lucida:
http://www.francescocosta.net/2014/02/13/nella-testa-di-renzi/
E mi sembra che trattare Renzi come uno stupido è assieme ingenuo e arrogante. Per conquistare in pochissimo tempo la direzione del più grande partito italiano non basta una ‘smisurata ambizione’.
A Rino Genovese:
fermo restando che anch’io ritengo che con il nuovo governo Renzi non cambi in meglio il progetto realizzazione delle riforme che aveva in programma il governo Letta io comunque sottolineerei che stiamo vivendo un periodo temporaneo di “emergenza” dovuta allo stallo nato dalle elezioni dell’anno scorso e dunque a prescindere dal giudizio su quanto le posizioni di Renzi siano vicine a una “sinistra ideale” l’espressione “pur presentandosi come innovatore, non aveva disdegnato di essere inserito nella rosa di nomi dell’incarico di governo delle larghe intese” sembra presupporre un voler dire che ci fossero alternative alle larghe intese Pd-Pdl subito dopo le ultime elezioni cosa che non mi risulta.
Per il resto concordo che il Pd sia un partito mai nato in cui sopravvivono esperienze politiche di un passato ormai concluso, ma sinceramente non farei una equazione leaderismo=populismo espresso in un personalismo. Non basta proprio una “paziente tessitura di un programma politico alternativo” occorre anche un capitano di bordo che possa avere la personalità necessaria per far arrivare in porto tale programma, pensare ad una nave in cui ogni membro dell’equipaggio a turno tiene il timone è un’assurdità e penso che in Italia manchi una concezione del leader diversa dal populismo berlusconiano a causa della sfiducia da parte degli elettori italiani di una classe dirigente pensata in quanto discontinua dal popolo governato,e perciò o si sceglie un leader “come noi” con virtù e soprattutto vizi (ed è per questo che in Italia non ci si dimette affatto neppure se dopo condanne penali definitive, a differenza dell’estero dove si dimettono anche se solo indagati) oppure si è contrari alla stessa idea di leader o a perfino quello di rappresentanza politica, vedi il caso estremo dei grillini.
Comunque mi interesserebbe sapere non solo quale contenuto di programmi politici dovrebbe avere un “cantiere di una sinistra né moderata né radicale, semplicemente di una sinistra” ma soprattutto di quale percorso di azioni concrete politiche si vuole intraprendere per poterlo realizzare, perché ho l’impressione che da un po’ di tempo a questa parte molti progetti politici, non solo di sinistra, a causa dell’ostinazione di fare passi da soli in linea diritta verso un certo ideale, non abbia visto che, nella necessaria e concreta dialettica politica, tali passi portano a un nulla di fatto o peggio ancora portano a lungo andare ad allontanarsi da quell’ideale, cosa che non sarebbe successa in una prospettiva più realista e consapevole che in quel momento concreta l’ideale non è realizzabile neppure in parte e che dunque si devono compiere anche alcuni passi di lato o addirittura indietro che però sono necessari se a lungo termine si vuole arrivare a questo ideale (e questo è un atteggiamento chiaramente assente nei grillini, ma anche in una certa sinistra).
Bene ha fatto Buffagni nella sua analisi a sottolineare la dimensione internazionale della crisi politica italiana. E a chi muova il rilievo, ormai stantio, di fare della dietrologia o di sposare paranoicamente una qualche ‘teoria del complotto’ è facile rispondere che è lo stesso realismo ad imporre un’attenta ricognizione di tutte le forze che stanno giocando la partita che si svolge nel nostro paese. Dagli Usa alla Russia, dalla Cina all’India (e la stessa vicenda dei marò è, dal punto di vista politico, altamente rivelatrice), quelle stesse potenze che stanno comperando vasti settori dell’economia e del territorio italiani a prezzi stracciati si combattono senza esclusioni di colpi, nel quadro di una crisi mondiale, per assicurarsi il controllo di un paese strategico, i cui governanti non hanno più una dignità propria poiché non sono altro che dei ‘Quisling’ i quali vengono creati, finanziati, consigliati e orientati da potenze egemoni, nonché, al termine della reale catena di comando, nominati dal presidente della repubblica (a proposito, caro Genovese, Lei è fin troppo ipocoristico o, se si preferisce, antifrastico, quando attribuisce a Napolitano uno “stile da nonno di famiglia”!). Il confronto con ciò che da mesi sta accadendo in Ukraina è allora veramente istruttivo. In quel paese, infatti, l’imperialismo europeo ricorre senza scrupoli di sorta all’apporto putschista di un coacervo di forze che si richiamano apertamente al nazifascismo, con lo scopo di tagliare l’erba sotto i piedi alla risorta potenza russa. Gli scherani che, fregiandosi della qualificazione di ‘nazionalisti’, hanno posto sotto assedio i centri del potere governativo in Ukraina sono infatti gli eredi diretti delle forze che nel 1941 coadiuvarono senza remore l’Operazione Barbarossa di Hitler e, nel corso della guerra, furono i sostenitori più fanatici e sanguinari del “Nuovo Ordine” che, all’insegna del razzismo e dell’antisemitismo, le armate germaniche avrebbero dovuto instaurare in quel territorio (e chi non ricordasse questo orrore è caldamente invitato a documentarsi, tanto per fare un esempio, sul genocidio di Babi Yar).
Particolarmente feroce e spietata fu, inoltre, l’azione del nazionalismo ucraino, allora filonazista e oggi eurofilo, cioè filotedesco o filopolacco, nel condurre la guerra contro il movimento partigiano e le popolazioni che lo sostenevano. La lezione che si trae da queste vicende storiche e dalla attuale recrudescenza del nazionalismo ukraino sotto altre spoglie, ma con lo stesso obiettivo anti-russo, è quindi duplice: da un lato, in base al principio secondo cui il nemico del mio nemico è mio amico, l’imperialismo non esita, come è accaduto in Afghanistan, in Iraq e in Libia, e come accade oggi in Siria, ad utilizzare cinicamente, prescindendo dalla loro ideologia reazionaria e dalle loro pratiche criminali, forze che possono, comunque, risultare utili al raggiungimento dei suoi scopi; dall’altro, pur sciacquandosi la bocca con la retorica dei diritti umani, i dirigenti dell’imperialismo sono disposti ad obliterare qualsiasi limite morale che possa costituire un argine alla loro azione distruttrice, incendiando di notte, come solevano fare i romani, i villaggi e le città dei regni di cui aspirano ad impossessarsi e offrendo di giorno ai loro governanti aiuto e protezione. A causa della eterogenesi dei fini che questa strategia necessariamente comporta, succede così che in Ukraina un movimento nazionalista, che somiglia non poco a quello dei “forconi”, collimi con il progetto imperialista perseguito dal Pd, da Sel e dai partiti di centro, mentre per la destra italiana un movimento ultranazionalista in apparenza così congeniale come quello ukraino è quanto di più antipodale possa esservi. “Respice finem”, dicevano giustamente i romani dall’alto della loro esperienza politico-militare, consapevoli che, mentre il nemico si sceglie, le alleanze non sono opzionali. L’Ukraina rappresenta oggi una conferma di questa regola politica, che diviene del tutto chiara allorquando si tiene presente che la contraddizione tra capitale e lavoro salariato rimane, certo, la contraddizione principale della fase imperialista, ma i conflitti interimperialistici non sono mai né lievi né transitori a causa di quel contrasto permanente, aspro ed insanabile, che Marx definiva come “la lotta tra i fratelli gemelli del capitale”. Renzi è dunque solo una variabile dipendente del gioco che si svolge sulla “grande scacchiera”, così come l’Italia, “non donna di provincie, ma bordello”, è un pezzo importante della strategia di dominio continentale e mondiale che, in un rapporto alterno di “concordia discors” i cui margini non sono tuttavia infiniti, l’imperialismo persegue in un mondo ormai multipolare.
Grazie Real Guy, l’analisi di Francesco Costa in effetti è molto utile.
L’analisi di Francesco Costa più lucida? “Permettere a Renzi di fare Renzi?” Un mix di incensamento del presunto capo carismatico, di giustificazione della “dittatura commissaria” e delle procedure extra-parlamentari di cambiamento del governo, di esecutivo forte, di concretismo postulatorio e di “politica del fare” in versione para-berlusconiana. Siamo dunque tra Crispi e Mussolini? Insomma, siamo al bonapartismo secondo cui “il potere viene dall’alto e la fiducia dal basso”? Meno male che c’è Rino Genovese, allora…
Per Real Guy (dietro cui si cela un nostro amico) e Mauro Piras.
L’analisi di Francesco Costa è assolutorio-giustificazionista. Renzi aveva un’altra strada, più lineare, per mostrare di essere Renzi: proporre una legge elettorale facile da realizzare in parlamento (senza combinarla con il lungo “iter” delle riforme costituzionali) e cercare di andare alle elezioni già in maggio. Ma – si dice – Napolitano non avrebbe acconsentito e si sarebbe dimesso? Bene, il Renzi che fa il Renzi non si spaventa e affronta, eventualmente, anche il passaggio della elezione di un nuovo capo dello Stato. (Qui apro una parentesi, rispondendo a Michele: lo so che siamo nella trappola delle “intese”, grandi o piccole che siano, ma, a parte il fatto che questa è dovuta più che al risultato elettorale conseguito da Bersani, alla scelta nefasta di rieleggere Napolitano, Renzi si è presentato come il “nuovo” e quindi mai avrebbe dovuto inserirsi in quella rosa di nomi in cui era già inserito un annetto fa). Tornando al testo di Costa, questi sembra pensare che Renzi sia una specie di superuomo, il quale starebbe oggi rischiando il tutto per tutto per non farsi logorare. Vivo “part time” a Firenze e posso assicurarvi che le buche nei marciapiedi ci sono sempre, che le zanzare tigre svolazzano anche in questo inverno piovoso ma non freddo; quello che il sindaco è riuscito a fare è chiudere – questo sì – il centro alle auto. Se ambisce alla sufficienza, diamogliela pure. Il punto è che, con tutto il suo dinamismo, Renzi è uno come gli altri. La soluzione miracolistica ai problemi di una città non c’è, soprattutto quando mancano i soldi… Stessa cosa per i problemi del paese, dell’austerità europea e così via. Neanche con la bacchetta magica si riuscirebbe a cambiare sostanzialmente le cose in pochi mesi. Ma quali i vantaggi dell’arraffare il potere quando possibile? Rafforzare i legami con la schiera dei “clientes”, per esempio, dare posti di ministro e sottosegretario, fare fuori dai possibili giochi futuri (nuove primarie?) uno come Letta. Che poi alle elezioni europee il Pd riprenda il 25 % o arrivi al 29-30 è secondario per una politica di corto respiro. Infine – a Real Guy -, guarda che la “smisurata ambizione”, o qualcosa del genere, è una citazione dal finale del discorso con cui Renzi stesso ha presentato la “svolta” in direzione. Per me il tipo è piuttosto di anguste vedute.
Assistevo allibita stamattina a un dibattito televisivo in cui una renziana negava al giornalista del Fatto Liuzzi ciò che era sotto gli occhi di tutti, in diretta streaming, cioè che Renzi aveva cacciato di brutto Letta: in base a cosa poi? non s’è capito, “c’è stata una direzione, Letta non ha aderito ai dispositivi della direzione, ecc.”! dove la direzione sembra il comintern, dove il governo sembra una cosa inter loro; alle primarie è vero (io ho votato Civati) abbiamo votato anche chi non era iscritto al Pd ma il governo è un’altra cosa e la smisurata ambizione di cui questo ragazzo si fa portavoce non corrisponde, mi pare, a criteri di chiarezza. Quanto ai cantieri invocati da genovese, ricordo che qui in Puglia ci sono stati i cantieri di Nichi, uno aveva sede in pieno centro a Bari (via De Rossi, nomen omen) ma non appena rieletto Vendola, il cantiere è stato chiuso, la sera stessa e quella che doveva essere una sede di riferimento per chi avrebbe voluto partecipare è risultata soltanto una sede elettorale, vittoria conquistata cantiere andato a farsi benedire. Sintomatico, vero?
Che tenerezza, e allo stesso tempo che squallore, questi discorsi di politica che, con la politica vera e propria, non hanno nulla a che fare. A vedere lo spaventoso divario, in termini di qualità, che separa gli articoli “di cultura” (ottimi) e gli articoli “di attualità” (pessimi) che compaiono su LPLC, c’è davvero da aver orrore dell’intellighenzia italiana.
Dubito che sfogare su carta il proprio magnanimo disappunto, con cedimenti linguistici del tipo “manovrina”, “maneggioni”, “nonno di famiglia”, etc., sia di qualche utilità per la riflessione. Di certo non lo è scrivere frasi antipatiche e poco intelligenti come “ragazzotto proiettato dai quiz di Mike Bongiorno a presidente della provincia di Firenze”: come se tra le due cose ci fosse un nesso, e come se non servisse, un tale sberleffo, soltanto a ribadire la diversa dignità di chi scrive, che naturalmente in televisione (il regno del “neopopulismo mediatico berlusconiano”: come il prezzemolo, l’assunto sta bene un po’ dappertutto) non c’è andato mai.
Quando leggo di queste cose, io mi vergogno, sì, mi vergogno di essere un intellettuale!
Per Mariateresa.
Non ho difficoltà a credere che il cantiere aperto sia stato subito chiuso. Purtroppo Vendola non è affatto immune, o almeno non lo è stato, da un certo leaderismo – pensi al nome nel simbolo! – e da una visione della politica subalterna a quella che si esprime nelle primarie.
Per Metlica.
Si sbaglia. In tv ci sono stato, non una ma due volte, una in più di quelle sufficienti a capire come funziona. Lì cercano o gli urlatori o quelli dell’ “alta cultura” che non dicono niente. Se continua a non dire niente e a prendersela soltanto con i “cedimenti linguistici”, vedrà che la chiameranno di sicuro.
Mi scuso, non intendevo dubitare della sua chiara fama. Ma la sua riflessione su Renzi resta quella che è: sempliciotta, banale, retorica. Non dire niente, a volte, può essere più saggio che dire sciocchezze, mi creda. E con questo, per l’appunto, mi taccio.
Behind The Real Guy there is only a real guy
Sul resto non so: la maniera non è stata né elegante né particolarmente innovativa, ma politicamente non sembra che ci fossero altre strade.
E una persona che è riuscita ad essere una delle cause del rinnovamento radicale della classe politica italiana (da qualche mese ormai i nuovi referenti politici hanno un’età anagrafica pressoché dimezzata) va giudicata con un po’ più di carità ermenutica. Perché giudicarlo prima che al governo ci arrivi? E’ difficile prevedere certe cose, anche sulla base di presunte qualità personali. Letta è una persona particolarmente abile e capace, ma il suo governo è stato oggettivamente catastrofico.
@ The Real Guy
Ecco un’altra prospettiva splendida: invece di Proust, Beckett: Aspettando… Renzi
Genovese dice, in fin dei conti, cose che trovano largo riscontro nel parere di tanti militanti locali del Pd che pare in queste ore non si raccapezzino più, un po’ come quando si siglò il patto per le larghe intese col Pdl.
In effetti, Genovese, il suo articolo ragiona dentro il perimetro delimitato in questi giorni dai giornali e forse è per questo che il suo pezzo risulta un tantinello superficiale. In più, la sua conclusione è assai consolatoria, perché psicanalizzare la persona Renzi (“arraffa il potere quando puoi”) invece di sforzarsi di leggere tra le righe delle attuali geometrie politiche mi sembra più la visione di un romantico critico letterario che di uno che ragiona di politica.
Sul governo Letta (che vanta comunque di aver fatto tornare “il segno +” su alcune caselle e di aver rimesso i conti a posto) pesano alcuni niet da parte di Confindustria e dei sindacati (Landini da ultimo pare aver trovato alcune intese con Renzi) ma soprattutto della Confindustria. Squinzi scalpitava per parlare col Capo dello Stato (l’ultimatum era di pochi giorni fa: o risposte o appello a Napolitano). Queste sono cose che logorano i governi, specialmente se in posizioni così precarie come quello Letta… Il Corriere ha avuto delle uscite molto spettacolari in settimana ed è stato sempre il Corriere a lanciare Renzi. Il Corriere, per storpiare un po’ Di Pietro, è il Corriere. Lo scenario non permetteva il Letta-bis e non era auspicabile andare al voto con una legge elettorale impossibile e la rielezione del Presidente della Repubblica alle porte. Un rielezione che oggi coi numeri che ci sono il Pd ha la possibilità di scegliere giocando in casa. A questo punto credo che a Renzi non era data altra strada che chiedere l’incarico che sta bene anche alle parti sociali… altrimenti ci sarebbe stato il logoramento del governo e il logoramento della sua segreteria. Nemmeno l’ala più a sinistra capeggiata da Cuperlo (e non dall’inconsistente Civati in vena come sempre di pigliare qualche flash a sinistra) ha avuto nulla da obiettare, perché era l’unica strada percorribile, al momento.
Non sono d’accordo nemmeno sul fatto della legge elettorale. Anche a me l’Italicum non piace (sembra molto più porno del Porcellum ad essere sinceri) in più non sono affatto d’accordo sull’abolizione del Senato, ma la manovra di Renzi e il contrattino con Berlusconi blindava il governo Letta per anni. Questo depone a favore secondo me che il cambio di passo della segreteria è stato davvero una risposta inevitabile al nuovo scenario che s’è venuto a creare in queste ultime ore e alla necessità del Pd di evitare a tutti i costi le elezioni che attualmente premierebbero il centro-destra e che comunque sconbussolerebbero l’assetto maggioritario del Pd. C’entra poco credo io la brama di potere del singolo o l’ambizione. Ora bisogna vedere come riuscirà a fare un governo politico con quei numeri e come andranno le elezioni del Capo dello Stato.
Considerazione inattuale.
Per cambiare la Costituzione, il sistema elettorale, etc., ci sarebbe, in teoria, una via regia: indire un’Assemblea Costituente, eletta con la proporzionale pura.
Background di Renzi: un articolo di Marcello Foa.
No, non riesco a fidarmi di Renzi. E non solo perché non mi convince la persona, come ho già avuto modo di spiegare recentemente (“Renzi? Vi deluderà”). Nel valutare un leader politico cerco sempre di capire da dove venga, quali siano i suoi referenti e quali le sue intenzioni. Insomma, bisogna scavare nel suo passato, non per scoprire che ha fatto il boy scout e che ha partecipato alla “Ruota della Fortuna” – questa è aneddottica per il grande pubblico televisivo – ma per valutare i suoi legami politici e di interesse, soprattutto fuori dall’Italia, nonché la sua tempra e l’autenticità delle sue intenzioni.
Scrivo fuori dall’Italia, perché ormai i veri poteri – anzi, i cosiddetti poteri forti – non si trovano più all’interno del Paese ma in consessi sovranazionali, che perseguono i propri interessi applicando tecniche assai sofisticate.
Una di questi riguarda il reclutamento delle élite nazionali; trattasi di politici e alti funzionari che applicano agende in apparenza “patriottiche” ma in realtà funzionali ad altri obiettivi, mai dichiarati, e sovente antitetici rispetti a quelli nazionali. Ai loro occhi la distinzione destra-sinistra, che continua a infiammare gli animi, è ininfluente, perché il reclutamento è trasversale; include sia conservatori che progressisti; peraltro con una decisa predilizione per i leader « di sinistra » e i « tecnici » come Mario Draghi, Romano Prodi, Mario Monti, Ciampi, fino alla sua scomparsa Tommaso Padoa Schioppa, e a un livello più basso Enrico Letta, Giorgio Napolitano, Gianfranco Fini, Giuliano Amato, Gianni Letta.
I leader esclusi da questi consessi, che non sono graditi, vengono demonizzati mediaticamente. E a chi mi riferisca è evidente (Berlusconi, Grillo, Bossi…).
La domanda da porsi è: ma Matteo Renzi da che parte sta ? Come si parametra con le lobby sovranazionali ? La risposta non è rassicurante. Matteo Renzi viene da lontano, da molto lontano. Il paragone più appropriato è con Barack Obama. E non è uno scherzo.
Ricordate ? Nel 2008 Obama sembrava il rottamatore della politica americana, l’uomo che dava speranza, che prometteva lotta dura alle lobby della grande finanza Usa e del Pentagono. All’epoca seguivo in America la campagna elettorale e decisi di non lasciarmi annebbiare dalla retorica collettiva ma di analizzare l’indole del personaggio e, soprattutto, le sue reali relazioni con il potere che conta. Trovati i riscontri, scrissi, in perfetta solitudine e con largo anticipo, che Obama non avrebbe fatto nulla di quanto prometteva e che le lobby messe sotto accusa per il crash del 2008 avrebbero mantenuto la propria influenza; una verità che oggi è una banalità. Sei anni fa era eresia.
Ho applicato lo stesso approccio a Renzi.
Lo scoprii nel febbraio 2009, quando era solo il presidente della Provincia di Firenze, del tutto sconosciuto a livello nazionale. Lo scoprii perché il settimanale « Time » gli dedicò un articolo presentandolo come « l’Obama italiano ». Ne scrissi subito sul blog (vedi qui). Il mondo dei giornali è il mio mondo, come quello dello spin, e conosco molto bene le logiche della stampa americana. E’ assolutalmente inverosimile che un inviato speciale paracadutato a Roma da Washington possa scoprire, grazie al suo fiuto, le potenzialià di un giovanissimo presidente di Provincia. Quando avvengono questi miracoli c’è una ragione ovvero qualcuno ha fatto sì che alla redazione del settimanale arrivasse, nei modi appropriati, la dritta giusta. E un articolo su «Time» è una consacrazione ; il viatico per salire ancora più su o perlomeno per provarci.
E così fu. Da allora ho trovato altri riscontri sulla sua rete di relazioni. da una decina d’anni è grande amico dell’americano Michael Ledeen, ex alto funzionario del Dipartimento di Stato ancora oggi pensatore molto influente, che lo accolse a Washington nel 2007. Il suo guru economico è un israeliano, ex uomo Mc Kinsey, Yoram Gutgeld, mentre Marco Carra, giovane descritto come molto brillante e ben introdotto a livello internazionale, è il suo grande uomo di fiducia, che lo ha accompagnato a incontrare dapprima Tony Blair e poi Barack Obama alla Convention democratica del 2012.
Il puzzle delle relazioni è certamente incompleto, ma sufficiente per delinare un disegno, una tendenza e soprattutto un clima.
Osservate le reazioni della stampa internazionale e delle cancellerie internazionali alle incredibili vicende di queste ore, con l’esautorazione senza voto in Parlamento e senza spiegazioni plausibili ddel capo del governo italiano.
Nessuno scandalo, nessuna preoccupazione. Va bene così, perché un uomo di assoluta fiducia ma forse troppo prudente, come Enrico Letta, viene sostituito da un altro uomo di assoluta fiducia ma più deciso, più spregiudicato Matteo Renzi.
Temo che Renzi non sia un rottamatore ma un continuatore delle politiche di Mario Monti e di Enrico Letta. Stessi interessi, stesse logiche, stesse conseguenze. A voi di giudicare se positive o negative per l’Italia. Io, al riguardo, non ho dubbi.
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=47473
Ma quanto sono patetici gli avvocaticchi renziani?
Renzy è fantasia se racconta una bugia. Renzy è l’allegria che ci tiene compagnia. È un sogno colorato, è l’ingenuità. È un desiderio che si avvererà. Renzy, oh Renzy, che sorrisi grandi che fai, che sapore dolce, che occhi puliti che hai! Renzy è poesia, Renzy Renzy è l’armonia. Renzy è la magia. Renzy Renzy è simpatia. È zucchero filato, è curiosità, è un mondo di pensieri e libertà…
A Rino Genovese: quando scrive “lo so che siamo nella trappola delle “intese”, grandi o piccole che siano, ma, a parte il fatto che questa è dovuta più che al risultato elettorale conseguito da Bersani, alla scelta nefasta di rieleggere Napolitano, Renzi si è presentato come il “nuovo” e quindi mai avrebbe dovuto inserirsi in quella rosa di nomi in cui era già inserito un annetto fa”
mi interessebbe quali scenari di “storia alternativa” diversi dalle larghe intese con il pdl/ncd immagina se non fosse stato rieletto Napolitano e se Renzi non fosse stato inserito nella rosa di probabili premier. Grillo dai risultati delle elezioni politiche fino alle elezioni del Presidente della Repubblica ha sempre rifiutato non solo qualsiasi governo formato dagli altri partiti come Pd e Pdl, ma anche qualsiasi governo tecnico o “di alto profilo”. Basta leggere le dichiarazioni di quel periodo:
http://www.ilpost.it/davidedeluca/2013/05/02/le-balle-su-grillo-il-pd-e-il-governo/
L’unico governo che Grillo e i 5 stelle erano disposti a votare, (a prescindere se fosse stato Presidente della Repubblica Rodotà o Zagrebelsky piuttosto che Prodi o Napolitano) era un esecutivo a 5 stelle, a cui magari potessero dare la fiducia il Pd e il Pdl. Era questa l’alternativa di cui sembra parlare? Non vedo peraltro che differenze avrebbe portato una elezione di Prodi rispetto al secondo mandato di Napolitano.
Detto questo mi pare quasi irrilevante che Renzi fosse dentro una rosa di probabili premier dopo la rielezione di Napolitano, tanto i risultati delle primarie di dicembre hanno detto che gli elettori non hanno trovato alternative migliori di Renzi alla guida del Pd. Mi dica pure quindi se lei può contestare questa ricostruzione dei fatti che mostra quali possibili strade si potevano percorrere partendo dai risultati delle ultime elezioni politiche.
Scusi Michele, non capisco perchè, ma lei e molti altri ricordate bene alcuni fatti, ma sembrate dimenticarne altri.
Lei ha dimenticato evidentemente quando Bersani, che non mi pare nè un pazzo, nè tanto meno un irresponsabile estremista, anzi è uno dei membri dell’establishmet politico, andò da napolitano chiedendogli di andare davanti le camere a verificare lì se questa maggioranza sul suo governo, ci fosse o no.
Allora, e non si capisce perchè, Napolitano glielo rifiutò dopo svariate ore di aspra discussione tra loro. E tutto questo Napolitano l’ha fatto violando la consolidata prassi della seconda repubblica di fare espletare fino in fondo un tentativo al leader dello schieramento maggioritario.
La cosa è tanto più incomprensibile, visto che non si capisce quale danno irreparabile ci sarebbe stato nell’eventualità che bersani fosse stato bocciato, si sarebbe messo da parte e le tanto desiderate grandi intese sarebbero partite lo stesso, tranne magari una settimana più tardi.
Per tutto questo, siamo del tutto autorizzati a credere che riguardo alla fiducia a bersani non ci fosse il timore che non fosse raggiunta, ma che al contrario il timore fosse che potesse essere raggiunta, impedendo la strategia di napolitano del governo di grandi intese.
Insomma, la possiamo pensare come vogliamo, ma che Bersani non raggiungesse la fiducia non è stato mai verificato, e questo è il secondo fatto (dopo la clamorosa bocciatura di prodi in circostanze tuttora misteriose), che impedisce di andare avanti come se tutto stesse a posto.
Dove non si fa nulla per eliminare ogni sospetto, è inevitabile poi che i sospetti ritornino ad ogni piè sospinto.
Caro Michele Dr, anzitutto grazie delle obiezioni puntuali. Cerco di risponderle mettendo in campo altre ipotesi, sperando che lei non sia uno di coloro che insistono sul fatto che la storia non si farebbe con i “se”.
Primo punto, la rielezione di Napolitano non è stata una semplice quasi violazione della Carta (in realtà la Costituzione non dice espressamente che un presidente non possa essere rieletto, ma il suo impianto si combina male con l’idea stessa della rielezione, e Napolitano stesso, fino a un certo punto, l’aveva esclusa); è stata soprattutto il crollo, nel giro di una notte, della segreteria Bersani. Ancora non riesco a capire quale istinto suicida abbia mosso Pierluigi e il suo gruppo. Non c’era alcuna necessità di “chiudere” immediatamente la partita. Bersani avrebbe potuto impuntarsi, contro i famosi 101, continuando a indicare Prodi, oppure avrebbe potuto mettere in campo un altro candidato. Ricordo che la Dc dei tempi andati arrivava a un numero altissimo di votazioni prima di riuscire a eleggere il presidente della repubblica mettendo d’accordo le sue correnti (nel frattempo, di scrutinio in scrutinio, votava scheda bianca). E perché poi “tutti tranne Napolitano”? Ma perché Napolitano aveva già detto che per lui solo le “larghe intese” sarebbero state da fare… Dunque, la (mini)strategia bersaniana post-elettorale risultava vanificata. In che cosa consisteva questa proposta? Attenzione, non tanto nel convincere i grillini (questo si era rapidamente capito che non sarebbe stato possibile, a parte qualche defezione a livello individuale). No: il succo della proposta post-elettorale di Bersani era un altro: un governo di minoranza, cioè un governo che, avendo un’ampia maggioranza alla camera, si presentasse dinanzi al senato per ottenere una fiducia – diciamo una fiducia a tempo, per fare la (solita) legge elettorale con una certa rapidità e tornare a votare in tempi brevi (per es. nell’autunno scorso). Questo scenario era già stato impedito da Napolitano prima della scadenza del suo precedente mandato. Bersani glielo aveva chiesto, Napolitano non l’aveva voluto (è questa poi una delle ragioni del consenso berlusconiano sul nome di Napolitano al momento della rielezione). Un governo di minoranza in uno dei rami del parlamento è una cosa perfettamente possibile da un punto di vista costituzionale; certo, non può durare a lungo: ma Napolitano aveva già messo dei paletti, niente nuove elezioni, stabilità innanzitutto… Quindi è arrivato Letta, che sarebbe dovuto durare fino al 2015.
Secondo punto: Renzi. Fermo restando che personalmente sono contrario al meccanismo delle primarie, specialmente nell’elezione di un segretario di partito, resta il fatto che tutta la “mitologia” renziana è basata sulle primarie. Dunque come ha potuto Renzi infilarsi in quella rosa di candidati (insieme con Letta e Amato) alla presidenza del consiglio, in un’operazione che era il contrario della via elettorale, previo passaggio per le primarie non tanto alla segreteria ma proprio alla candidatura alla presidenza del consiglio? La mia risposta è semplice: perché Renzi non disdegna primarie ed elezioni se possono servire alla scalata, ma è pronto ad andare per altre strade quando c’è l’opportunità. Questo si era visto nel momento in cui è nato il governo Letta, e si è visto ancora meglio qualche settimana fa quando Letta è stato bruscamente congedato. Siamo dinanzi a un personaggio che è un po’ la sintesi tra la vecchia Dc, con le sue manovre di palazzo, e il nuovo plebiscitarismo berlusconiano… Guardi ora, anche con la scelta dei ministri: un esempio di bilancino democristiano, con in più l’apertura sia alla destra berlusconiana sia alla sinistra civatiana. Tenere insieme tutto per un disegno di potere: il contrario delle scelte limpide e dirette di cui si era fatto portatore nel momento della scalata. Renzi – se fosse stato quell’innovatore che alcuni continuano a credere che sia -, una volta diventato segretario, avrebbe proposto una legge elettorale realizzabile e avrebbe spinto il paese alle urne in tempi ragionevoli. Ora invece si dovrebbe arrivare al 2018! E soprattutto, una legge elettorale combinata con la soppressione del senato ha tempi lunghissimi e incerti. Proprio quello che ci vuole per restare al governo, con la speranza che, magari agganciando una qualche ripresina e insistendo sul tasto della propaganda (la giovinezza dell’esecutivo…), riesca a restarci ancora di più. A mio modo di vedere un calcolo miope.
A Vincenzo Cucinotta:
lei scrive:
“Bersani, che non mi pare nè un pazzo, nè tanto meno un irresponsabile estremista, anzi è uno dei membri dell’establishmet politico, andò da napolitano chiedendogli di andare davanti le camere a verificare lì se questa maggioranza sul suo governo, ci fosse o no.
Allora, e non si capisce perchè, Napolitano glielo rifiutò dopo svariate ore di aspra discussione tra loro.”
Forse perché, dopo l’esito fallimentare dell’incarico esplorativo, era ormai tempo perso arrivare a verificare la fiducia in parlamento, sperando in un cambiamento all’ultimo minuto di posizione da parte o del M5s o del Pdl? E dubito che Napolitano decise di saltare la verifica perché voleva imporre un governo di larghe intese, semmai pensava che le seguenti elezioni del presidente della repubblica potessero migliorare la situazione per formare il governo.
A rino genovese:
lei scrive:
“Ancora non riesco a capire quale istinto suicida abbia mosso Pierluigi e il suo gruppo. Non c’era alcuna necessità di “chiudere” immediatamente la partita. Bersani avrebbe potuto impuntarsi, contro i famosi 101, continuando a indicare Prodi, oppure avrebbe potuto mettere in campo un altro candidato.”
Semplicemente lo si capisce perché lo stesso Prodi aveva deciso la sera del 19 aprile, dopo il voto dei 101 franchi tiratori, di ritirarsi dalla candidatura e perché un eventuale “impuntarsi” di Bersani di fronte al secondo fallimento in due giorni di indicare un candidato al Quirinale sarebbe stato un’assurdità ed è inutile fare confronti con la Prima Repubblica, qui Bersani partiva già con una pessima figura, dato che non era riuscito a vincere neppure questa volta contro Berlusconi, la bocciatura delle due candidature di Marini e Prodi è stato il colpo di grazia, dopodiché sono stati tutti i rappresentanti dei grandi partiti tranne il M5s a chiedere la mattina del 20 aprile a Napolitano che lui accettasse di poter essere rieletto.
In quanto al governo di minoranza, mi sembra evidente che sarebbe stato del tutto impossibile formarlo in quanto, oltre al fatto che secondo la costituzione entro 10 giorni dalla formazione del governo deve esserci la presentazione alle camere per la fiducia, bisogna tener conto che al senato l’astensione è equivalente al voto contrario:
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-03-26/salita-governo-minoranza-065937.shtml?uuid=AbFOsbhH
e comunque anche un semplice “governo di scopo” al solo fine di formare una nuova legge elettorale per poi tornare alle urne in tempi brevi avrebbe presupposto che tale nuova legge elettorale si potesse approvare in tempi brevissimi, ma chissà perché, in ben 8 anni dal 2005 al 2013 non si è mai riusciti ad approvarne una legge sostituta del porcellum e allora a questo punto conveniva un governo di larghe intese che potesse durare anche il tempo di fare le riforme costituzionali del parlamento e così via. Tanto se poi sulle riforme costituzionali non si riesce a trovare l’accordo è automatico che si decida solo sulla legge elettorale e poi si vada subito al voto.
In quanto a Renzi, premesso che non vedo certo in lui il Messia, possiamo dire di lui tutto il male possibile, ma mi pare che per il momento non ci siano vie alternative alla sua che possano realizzare le cose più urgenti come la nuova legge elettorale, abolizione del bicameralismo perfetto e riforma dell’articolo V.
Si tratta insomma di comprendere che se al momento le priorità da compiere sono queste, che poi non si sia d’accordo con Renzi su altre sue posizioni politiche e su certe modalità del suo agire politico può andar bene, ma si deve comprendere che in politica spesso a furia di volere in una sola volta “tutto e subito” si rischia di allontanarsi ancora di più dal raggiungere anche solo parte degli obiettivi. Insomma, si deve capire che in certe situazioni di necessità si è costretti fare un passo indietro al fine di compiere a lungo termine due passi avanti per arrivare all’obiettivo che ci si è prefissati.
@Michele
Lei può pensare ciò che crede, ma non può negare che un tentativo che la prassi richiedeva è stato negato, Questi sono i fatti, che dovremmo sempre imparare a distinguere dalle opinioni.
Il concetto di “democrazia” si fa sempre più flou, svirgola nell’enigma insieme ad altre parole & cose quali “elezioni”, “pace”, “fascismo”, antifascismo”, “Europa”, etc.
Stamattina, giornale radio di Radio3: “Fugge il dittatore ucraino”. Yanukovitch, che come minimo è un coglione, era però il legittimo presidente dello Stato ucraino, legalmente eletto in consultazioni elettorali sulle quali gli osservatori OCSE non avevano avanzato la minima obiezione.
Perchè “dittatore”? Perchè ha perso?
Segnalo altresì che l’ Unione Europea, questa forza di pace abituata a portarla, a rimorchio degli USA, nelle plaghe più lontane del mondo, ha apertamente appoggiato il rovesciamento violento di un governo legalmente eletto; e insieme alla signora Nuland del Dipartimento di Stato, ha portato i dolcetti in piazza (c’è la foto, cercatela sul web) ai manifestanti armati che hanno per primi aperto il fuoco sulle forze di polizia ucraine, ammazzando una diecina di agenti prima che questi si decidessero a rispondere al fuoco.
I manifestanti, o meglio le formazioni paramilitari che li organizzano, sono, stavolta sul serio, neofascisti o neonazisti, con tanto di slogan che inneggiano a Hitler, slogan antisemiti, etc. (hanno i loro motivi, l’Holodomor non fu una gita a Disneyland).
Il rabbino capo di Kiev, memore di quel che accadde in Ucraina durante l’occupazione nazista (pogrom colossali spontanei chei nazisti dovettero contenere per evitare un eccessivo disordine, i tedeschi amano la precisione) ha invitato gli ebrei che risiedono nella parte ovest dell’Ucraina a darsela a gambe (controllare su “The Guardian”, non mi invento niente).
Chissà che ne direbbe “l’Europa” se facessimo così anche qua?
A me, per esempio, il governo Renzi (che nessuno ha eletto) non piace per niente.
E se organizzassi una manifestazione davanti a palazzo Chigi e mi portassi un quattro-cinquemila amici armati di armi da fuoco? E se faute de mieux li cercassi tra i neonazi, i quali già che ci sono magari decidessero di fare fuori un po’ di ebrei nel Ghetto?
Che ne direbbe l’Europa? Che ne direbbe la sinistra italiana? “Bravo, vai avanti così, sei un vero democratico, un antifascista serio”?
Chissà.
E infatti l’Ucraina rischia di diventare un mero concetto geografico. Questa è adesso la preoccupazione più grande dei “rivoluzionari”. La Crimea è praticamente andata: i russi non accetteranno mai che la loro potente flotta, ormeggiata a Sebastopoli – con relative portaerei e sottomarini infarciti di missili MIRV – passi sotto tutela (o anche solo sorveglianza) occidentale. E anche la parte orientale (russofona) ha già fatto capire apertamente come la pensa, senza contare che, a questo punto, i russi avranno bisogno come il pane di una zona cuscinetto tra un’Ucraina filo occidentale e la madre patria, per i motivi già chiariti da Roberto Buffagni. Ogni colpo di mano, da parte di EU e/o USA, rischia di essere un gioco molto pericoloso.
Caro Ferrero,
probabilmente l’Ucraina diventerà DUE “concetti geografici”. La minaccia esistenziale per la Russia di un ingresso dell’Ucraina nella NATO non dipende solo dall’accesso al mare, ma anche e soprattutto dal fatto che il confine ucraino dista 460 km di pista di collaudo per formazioni corazzate (neanche una collinetta) da Mosca, e che una Ucraina inserita nella NATO scopre il fianco del bastione caucasico, che è l’unica difesa dei principali giacimenti di petrolio e minerali della Russia europea. Il presidente Medvedev ha già ordinato, due o tre settimane fa, il trasferimento delle principali industrie che si trovano nella zona a rischio dalla Russia europea all’Estremo Oriente. In questo quadro strategico, i missili nucleari russi Iskander saranno puntati sull’Europa, e siccome in Europa nessuno è in grado di offrire una dissuasione nucleare adeguata (neanche la Francia e la Gran Bretagna) la dissuasione verrà fornita direttamente dagli USA, con il rischio di un conflitto diretto fra due potenze nucleari che, se si impegnano insieme, sono in grado di mettere una pietra tombale sopra a tutta questa Storiella.
E adesso, mi scusi, Ferrero, ma la domanda mi sorge spontanea: voi della sinistra italiana, che cosa aspettate per secolarizzare questa vostra religione della UE? La guerra nucleare? La riforma protestante di cui da sempre lamentate la mancanza in Italia, perchè non cominciate a farvela sulla religione vostra?
Sul piano economico, la UE è un’idrovora ben peggiore della vendita delle indulgenze e dell’imposizione delle decime del Vaticano rinascimentale (che se non altro investiva in beni culturali mica male); sul piano culturale, tra l’ordine dei Gesuiti e la Commissione europea non c’è partita; sul piano politico interno, la UE non è meno antidemocratica del Sant’Uffizio, addirittura ti scomunica e cambia i governi a piacer suo, ti purga il vocabolario e ti mette in galera se non aderisci alla storia ufficiale; sul piano politico internazionale, è tremila volte più stupida e pericolosa di quasiasi Crociata, se non altro perchè i turchi ti impalavano, ma non avevano la bomba atomica.
A quando un Lutero di sinistra?
Caro Buffagni,
la ringrazio per aver riconosciuto nel sottoscritto un portavoce della sinistra, ma mi permetta di contraddirla: per prima cosa perché non merito un tale onore e poi perché è molto probabile che la sinistra a cui penso io probabilmente non esiste neanche, se non nella mia testa, che è veramente, mi creda, poca cosa.
Che dire, magari io sono decisamente più europeista di lei, ma il modo in cui si declina “Europa” adesso, secondo la vulgata finanziario-liberista, mi disgusta forse più di quanto disgusti lei. Da vecchio marxista credo ancora in un internazionalismo “degli ultimi”, che forse ormai è desueto, convinto come sono che il problema continui ad essere, adesso come nel 1848, quello di prendere coscienza, da parte di questi ultimi, di essere una classe “per sé”, lasciando alle elucubrazioni di storici, filosofi e sociologi tutti i ragionamenti relativi a ciò che la caratterizza come classe in sé. Non succederà, ma tant’è.
Per quanto riguarda un Lutero della sinistra… non so, forse preferirei comunque un riformatore un po’ più laico.
Per il resto condivido la sua analisi geopolitica su quello che succede, e potrebbe succedere, da quelle parti.
Caro Ferrero,
l’internazionalismo dei poveri non è che sia desueto, è purtroppo, cosa ben più grave, ininfluente in quanto inesistente.
L’unico internazionalismo che oggi esista realmente è quello del capitale, e bisognerà prima o poi accorgersene e distrarsi dai propri personali fantasmi.
Oggi non v’è dubbio alcuno che la lotta passa per il sovranismo, sovranismo che è l’esatto contrario di un nazionalismo sciovinista nel fatto di proporsi come una soluzione universale, per tutti i popoli, e non come una dottrina a supporto di uno specifico popolo che si confronta aggressivamente verso gli altri.
Il compito del maestro risulta spesso noioso, poiché accade a chi svolge questa funzione di dover correggere sempre gli stessi errori. E’ questo il caso della tesi, che trova sempre qualche volenteroso replicante, circa la riformabilità della Ue. Ecco perché sono convinto che la sinistra dovrebbe riconoscere la sua responsabilità per aver contribuito in misura determinante al disastro dell’euro, dal momento che questo mostriciattolo politico-economico-monetario è anche il prodotto della subalternità della sinistra al neoliberismo e al suo ‘internazionalismo’. Pertanto, la prima cosa che occorre comprendere è che la fuoriuscita dalla crisi è impossibile senza la riconquista della sovranità nazionale: in altri termini, non basta recuperare la moneta nazionale e abbandonare l’euro; bisogna uscire dalla Ue, spezzando la gabbia in cui è imprigionato il nostro popolo e rompendo le catene che soffocano il suo autonomo sviluppo. In questa ottica, è allora fuorviante e controproducente ogni critica delle politiche europee che, come quella di Tsipras, non si fondi sull’obiettivo di uscire dalla Ue. Si tratta infatti di posizioni che ignorano un aspetto fondamentale della crisi dell’euro e della Ue, che merita invece un adeguato approfondimento a causa del contrasto in cui tale aspetto si pone non solo rispetto alla prospettiva euro-federalista ancor oggi maggioritaria nella sinistra, ma anche rispetto alla legge economica e politica dello ‘sviluppo ineguale’, enunciata da Lenin, che di quella prospettiva rappresenta la più evidente smentita (una legge che perfino Paul Krugman, senza citarla, sta prendendo in considerazione per giungere a trovare una spiegazione della “bassa produttività” che caratterizza l’economia italiana a partire dagli anni novanta del secolo scorso). Eppure, per definire e misurare le crescenti divaricazioni generate da un regime di accumulazione del capitale che ha il suo vettore strategico nel mercato finanziario i dati statistici relativi alla produzione, all’occupazione e alle insolvenze non mancano, e si tratta di dati che non hanno precedenti storici. Basti considerare che tra il 2008 e il 2013 si è avuta una variazione della produzione che ha oscillato vertiginosamente tra un aumento del 3% in Germania e una caduta del 23% in Grecia, con tutti gli altri paesi dell’eurozona che si collocano all’interno di questa forbice estremamente divaricata. Per quanto riguarda l’occupazione in Germania, tra il 2008 e il 2013, nel pieno della crisi, i dati indicano che l’occupazione è aumentata del 3,5%, mentre in Grecia è crollata del 20%. Sempre in tema di divaricazioni fra la Germania ed i paesi cosiddetti ‘periferici’ della Ue, si è avuto, nello stesso torno di tempo, un incremento totale di 1.360.000 unità nella prima, mentre in Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna si è registrato un crollo di 6.200.000 unità di occupati. Divaricazioni così marcate non erano mai state rilevate in precedenza, così come non sono mai emersi precedenti di questo tipo nelle insolvenze delle imprese, che raggiungono in Spagna il 208 %, in Portogallo il 163 %, in Irlanda il 107 % e in Italia il 90 %, mentre in Germania e in Austria le insolvenze sono diminuite nella misura, rispettivamente, del 3% e del 4 %. A questo proposito, è opportuno osservare che l’insolvenza delle imprese ricade, con un effetto domino, sulle banche, incidendo ovviamente sulla prospettiva della ristrutturazione delle banche e, in particolare, della cosiddetta Unione bancaria. Coloro che a sinistra ritengono che l’Unione bancaria rappresenti la salvezza dell’euro dovrebbero entrare nel merito di questa tesi, perché una siffatta prospettiva dipende da come l’Unione bancaria si realizzerà e soprattutto da come affronterà le divaricazioni di cui è questione. Il rischio concreto è, in queste condizioni, che l’Unione bancaria finisca col provocare una situazione in cui i paesi cosiddetti ‘periferici’ della Ue saranno costretti a liquidare a prezzi di saldo i loro istituti bancari a favore dei soggetti creditori. In conclusione, come hanno spiegato prima Irving Fisher e poi Maynard Keynes, la pretesa di riequilibrare i rapporti tra debito e credito a colpi di deflazione selvaggia fa piombare l’economia capitalistica in una grande depressione. A parti invertite (oggi la Germania è creditrice, mentre all’epoca era debitrice) l’impressione che oggi prevale fra gli stessi economisti borghesi più avvertiti, indipendentemente dalla scuola di appartenenza, è che gli errori che si stanno commettendo siano gli stessi da cui mise in guardia Keynes all’indomani del Trattato di Versailles: il carattere ‘cartaginese’, cioè punitivo, che improntò quel trattato è infatti identico a quello che si ritrova negli attuali trattati e meccanismi di funzionamento della Ue. In barba a quell’obiettivo di uno “sviluppo armonico, sostenibile e duraturo” fra i diversi paesi della Ue, che era in quei documenti originariamente presente e che l’euro, espressione della legge dello sviluppo ineguale e strumento dell’egemonia neomercantilista della Germania, ha progressivamente messo in ombra e di fatto cancellato. È allora evidente che, sia in linea teorica che in via di fatto, evocare la possibilità di realizzare un’“Europa sociale” da sostituire all’Europa delle banche e della finanza è, nel migliore dei casi, una variante del “cattivo infinito” che caratterizza le utopie scarsamente critiche e, nel peggiore, fare, senza rendersene conto, il gioco del nemico di classe.
Un articolo breve ma efficace che chiarisce chi Renzi deve ringraziare per essere arrivato dove è adesso:
http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/02/26/cari-amici-del-pd-a-cui-sta-sulle-scatole-renzi/
Insomma, vorrei sentire da qualcuno di questi critici di Renzi quali alternative (a lui e alla classe dirigente di sinistra che con i suoi disastri lo ha portato al governo) sono attualmente presenti, di nomi e soprattutto di idee.
E’ evidente che il nanismo politico-intellettuale di alcuni esponenti (ahimè, femminili) dell’attuale governo è funzionale al gigantismo psicologico-caratteriale di Matteo Renzi e, soprattutto, alla concentrazione dei poteri nelle mani di quest’ultimo.
Tanto per fare un esempio, risulta che ad una domanda della giornalista Daria Bignardi il nuovo ministro della difesa abbia biascicato la seguente risposta: «… di fatto i cacciabombardieri servono perché, a parte che se tu hai delle truppe, dove c’è necessità di avere una difesa aerea, però potrebbe succedere che qualcuno decide di sparare… un missile magari… e potrebbe decidere, ormai ci sono dei missili che possono arrivare a distanze estreme, potrebbero decidere di volere, con quello, distruggere o… ehm… ovviamente creare, oggi purtroppo le armi sono micidiali».
E poi dicono che per cambiare l’Italia c’è bisogno dei giovani e delle donne (sì, però quali giovani e quali donne?). Sicuramente un cambiamento vi è stato, ma in peggio, poiché un simile livello di dislessia espressiva e di confusione mentale non si era mai registrato negli esponenti, anche i più scalcinati, di un governo italiano. Del resto, l’espressione “governo italiano” mal si attaglia all’attuale esecutivo, che è con tutta evidenza, per origine e funzione, uno strumento nelle mani della triade Ue-Bce-Fmi, ossia un giocattolo nelle mani della Merkel e di Obama. Tornando all’episodio testé riferito, resta solo da ringraziare il grande Ugo Tognazzi, che ha insegnato la ‘supercazzola’ veramente a tutti, anche al “rottamatore” e al codazzo delle sue cameriere.