cropped-Nocera-Inferiore.jpgdi Enrico De Vivo

[Questa è la sesta puntata della rubrica dedicata alle piazze a cura di Adelelmo Ruggieri. In precedenza erano usciti i testi di Enrico CapodaglioFranca MancinelliLinnio AccorroniEliana Petrizzi e Marilena Renda].

C’è un giovane uomo seduto su una panchina della piazza principale del paese – piazza circolare a forma convessa di ampia cupola. Vestito di nero, occhiali scuri, le braccia aperte a croce e poggiate sulla spalliera della panchina. Le gambe distese lunghe in avanti una sull’altra.

È un pomeriggio di primavera degli anni Novanta, non c’è nessuno in giro, l’aria è limpida e fresca. Fanno da contorno alla piazza alberelli che all’improvviso appaiono al giovane uomo come le sbarre di una cella. Lui è in cella, e gli alberi sono le inferriate. Un senso di angoscia lo pervade, e lui resta inchiodato alla panchina.

Lungo la strada che costeggia la piazza come un fiume, cominciano a scorrere grosse motociclette con uomini vestiti di nero, bandane e barbe in bella mostra. Rombi potenti, sguardi minacciosi, un corteo infinito. È un raduno di giovani fascisti verso la fine degli anni Settanta. Sui bordi dei marciapiedi della piazza, giovani comunisti, bardati di rosso, sguardano minacciosi a loro volta. È tutto solo un gioco di sguardi e pose da combattimento. Si tratta forse di attori, altrove stanno le persone e le cose vere – la “realtà”.

L’aria è dolce, e il giovane uomo comincia a capire che dovrà rimanere in quella prigione circondata di alberi non si sa ancora per quanto tempo. Aspetta, ma non spera.

Alle spalle del monumento ai caduti, dall’altro lato della piazza, intravede, sfocate ma riconoscibili, le sagome di suo padre e dei suoi compagni, negli anni Sessanta. Anch’essi alle prese con fascisti di paese che manifestano contro Saragat Presidente della Repubblica. Il padre butta per aria con gesto improvviso i cartelloni dei fascisti. Scoppia una rissa furibonda, intervento dei carabinieri, tutti portati via e denunciati. Che sia finalmente questa la “realtà”?

La piazza è stata rimodernata. Oggi ha dei muretti al posto dei marciapiedi, e su questi muretti siedono i ragazzi, i vecchi, i bambini. Sedeva una sera anche Felice, il caro Felice infelice da sempre, che un giorno incontrava il giovane uomo e gli diceva: Non vedi che siamo invecchiati? Aveva le pantofole e una vestaglia da notte slacciata, fumava e sorrideva, ma soprattutto sedeva su quel muretto comodamente come se fosse a teatro.

Al di là degli alberi-inferriate, fa capolino una visione particolarmente incantevole. Anni Ottanta. Due giovani al cospetto di un intruso dialogano d’amore. L’intruso tace, forse invidioso, mentre la ragazza colpisce il ragazzo con strali dorati che partono dagli occhi e dalla bocca: si vedono proprio dei fili d’oro che legano i due come una ragnatela. Il giovane uomo, sulla panchina, ha un soprassalto, un pugno allo stomaco lo fa deglutire e agitare leggermente. L’angoscia si è già trasformata in perplessità. Non sa come andrà a finire, neanche riesce a immaginarlo, ha la sensazione che gli sia sfuggito qualcosa. Gli alberi si fanno ancora più minacciosi, più serrati e alti, come se le inferriate si innalzassero adesso fino al cielo.

Poi ancora tanti uomini più e meno giovani, sempre poche donne, capannelli di chiacchiere, struscio perenne, inseguimenti e pistolettate all’aria aperta, ragazzi morti di droga, ragazzi morti d’amore, ragazzi morti di niente, giovani donne con carrozzine, donne anziane con la permanente che vanno a braccetto, Angioletto & Campidoglio, macchine e motorini, puzza di smog, aria umida…

Il giovane uomo si alza dalla panchina e se ne va, passando attraverso gli alberi-inferriate come se qualcuno all’improvviso gli avesse spalancato le porte della prigione, o come se lui da solo, e da vero eroe, avesse dimenticato tutto.

Passano vent’anni, e ora – anni duemila e più – è qui, accanto a me, che mi detta la sua storia qualunque, che io non so ancora bene come trascrivere. Ma prima o poi lo saprò.

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