cropped-Penetentiary_Panopticon_Plan.jpgdi Claudio Giunta

È giusto pubblicare online i giudizi negativi delle commissioni di concorso? Non vuol dire incoraggiare una brutta forma di voyeurismo, e aggiungere dispiacere a dispiacere? Full disclosure sempre e comunque?

Chi non ci lavora non lo sa, ma l’università italiana sta vivendo una piccola rivoluzione. Si è appena conclusa (in alcuni settori si sta concludendo) l’ASN, cioè il concorso per l’Abilitazione Scientifica Nazionale: un certo numero di commissioni, una per ogni settore disciplinare (tutti: dalla geometria all’econometria, dalla filologia romanza alla chimica analitica), ha esaminato i curricula e le pubblicazioni di migliaia di studiosi italiani, e ha deciso chi di loro è idoneo a diventare professore associato o professore ordinario. Idoneo vuol dire (solo) idoneo. Per diventare davvero professori associati o ordinari bisogna che ci sia un’università che decide di ‘chiamare’ i vincitori, cioè di assumerli (se non sono già nel loro organico) o di promuoverli aumentando loro lo stipendio (se sono già nel loro organico).

Che cosa, nell’umana convivenza, non si presta a dubbi, obiezioni, proteste? Questo è anche il caso dell’ASN, solo elevato alla terza potenza, per infinite ragioni. Siamo sicuri che i commissari fossero tutti super partes? Certo che no. Siamo sicuri che fossero sempre all’altezza? Certo che no. Che non abbiano promosso i simili a sé e bocciato i diversi da sé? Certo che no. Che abbiano avuto sempre il tempo per formulare un giudizio meditato? È matematicamente sicuro il contrario. Eccetera. Si poteva fare diversamente? Probabilmente sì. Ma quello che mi preme qui è un dettaglio che secondo me non è per niente un dettaglio.

I giudizi dei commissari si possono leggere tutti nel sito del MIUR: sia quelli degli abilitati sia quelli dei non abilitati. E il passatempo preferito di molti accademici o aspiranti accademici, la scorsa settimana, è stato vedere chi è passato e chi no, e leggere i giudizi, specie quelli dei non abilitati. Conosco uno che li ha letti tutti, da Anestesiologia a Zoologia, «perché è un genere letterario, no? Si potrebbe dare una bella tesi…». Conosco un altro, malato quasi terminale, che adesso morirà col sorriso perché ha letto i giudizi spietati che un commissario suo allievo ha dato degli allievi di un suo vecchio nemico.

Il mondo va così, gli esseri umani sono quello sono. Ma proprio per questo mi domando se era davvero necessario che i giudizi dei non idonei fossero pubblici. A che serve? Perché «tutti devono sapere tutto»? Non mi sembra una buona ragione. Tutti gli interessati (direttori di dipartimento o di corso di studi, membri dei senati accademici, eccetera) sanno già che X non ha avuto l’idoneità, sanno che non potrà essere ‘chiamato’. Perché fare sì che il giudizio negativo su X possa essere letto da tutti – colleghi malevoli, amici e nemici, allievi, figli, madri, padri – non per un giorno o per una settimana ma per n anni (la longue durée di internet)? Sono – sotto il velo delle buone maniere accademiche – giudizi a volte aspri, che in dieci righe dicono quanto vale o non vale la carriera, cioè mezza vita, di un uomo o di una donna. Alcuni giudizi sono certamente sbagliati, o dettati dalla volontà di vendicarsi, o dati da incompetenti. Proprio per questo – si può obiettare – occorre che siano pubblici: per fare in modo che l’operato delle commissioni sia trasparente, e che chi è del ramo possa vedere come le commissioni hanno lavorato: se il commissario Y sa che il suo giudizio negativo su un candidato verrà letto dagli esperti della sua disciplina ci penserà due volte prima di commettere scientemente un’ingiustizia. È un’obiezione sensata, ma che non mi convince del tutto. Sia perché è raro che le ingiustizie si commettano scientemente (la buona fede è molto più diffusa di quanto immaginiamo, specialmente tra i criminali) sia perché non credo che la prospettiva di essere a propria volta giudicati abbia indotto i commissari ad agire meglio di come hanno agito.

Posto però che il giudizio di non idoneità sia giusto (come sarà in tantissimi casi), digerire un no è già difficile: non sono convinto che occorresse costringere i non idonei a digerire anche (1) il fatto che il giudizio che spiega (e secondo molti di loro ovviamente non spiega) la loro bocciatura venga letto da tutti quelli che hanno una connessione internet senza che loro possano replicare, far valere le loro ragioni; e (2) il fatto che il contenuto di quel giudizio venga indicizzato nei motori di ricerca, sicché salterà fuori ogni volta che qualcuno, per mille motivi diversi, farà una ricerca su di loro in rete. Forse era sufficiente che i giudizi dei non abilitati fossero leggibili, a richiesta, soltanto dagli interessati. O forse addirittura si potevano mettere in rete soltanto i nomi (e i giudizi) dei vincitori. Non vedo quale interesse abbia il ‘pubblico’, o anche il ‘pubblico degli addetti ai lavori’, a sapere che il candidato X non ha ricevuto l’abilitazione. Mentre vedo (so) quanta pena questa full disclosure (a ogni epoca i suoi idola) può causare al candidato X.

D’altra parte so bene (se provo a cavar fuori una Lezione Morale da questa storia) che parole come crudeltà o gentilezza o pietà, o idee come ‘sarebbe bene che questo non venisse letto da una madre, o da un allievo, perché gli darebbe un terribile dispiacere’, stanno in un tutt’altro ordine di discorso rispetto a quello sul quale ha competenza il Legislatore, o la Burocrazia, o qualsiasi altro nome si voglia dare all’iperuranica astrazione che amministra le nostre vite. «La civiltà moderna, quanto più diventa complessa e specializzata, tanto più esige per l’apparato esterno che la sostiene il competente indifferente a considerazioni umane, e perciò rigorosamente ‘oggettivo’ […]. La burocrazia nel suo pieno sviluppo si trova anche, in senso specifico, sotto il principio della condotta sine ira ac studio. La sua specifica caratteristica […] ne promuove lo sviluppo in modo tanto più perfetto quanto più essa si disumanizza». Funziona così, e forse non può funzionare che così. Solo che al tempo di Weber, da cui ho tolto queste righe, non c’era internet. Adesso c’è, e quanto immeritato dolore possa infliggere forse non è ancora ben chiaro a tutti.

[Già pubblicato su www.internazionale.it]

[Immagine: Jeremy Bentham, Panopticon (gm)].

 

10 thoughts on “L’ho sempre detto che quello non valeva niente

  1. Si parlava di “barbari” (qui:http://www.leparoleelecose.it/?p=5644#comment-154198).
    E in questo post se ne ha una dimostrazione.
    Vi ricordate la sorte del povero Walter Benjamin, stroncato da una banda di questi imbecillotti che hanno il potere di gestire il teatrino accademico-burocratico? In più qui diventa patibolo e gogna allo stesso tempo.
    Che schifo. Fa venir voglia di sottoporre i commissari ad un esame simile a quello che hanno appena fatto agli altri. Altro che “Funziona così, e forse non può funzionare che così”…

  2. In realta’ e’ ancora peggio, e le conseguenze ancora piu’ serie, di come scrivi.
    Chi dopo un giudizio ingiustamente negativo rimane nel mondo accademico ha la consolazione che almeno chi conosce il contesto sa che quei giudizi contano poco.
    Ma quelli che cercano lavoro anche nel privato, o all’estero, sanno che quel giudizio potra’ essere interpretato ingenuamente come giudizio in buona fede da parte di esperti, e contare contro di loro. Quello si’ che ha conseguenze, ancora piu’ che il fatto stesso di non avere l’idoneita’ (perche’ tanto anche la maggioranza di quelli che l’hanno avuta – tipo me – non se ne fara’ niente).

  3. un collega e prof tedesco e’ rimasto schoccato dal fatto che sono stati resi pubblici i giudizi negativi. in germania non sarebbe mai potuto succedere!

  4. Dopo aver letto questo articolo sul blog di Claudio Giunta ho inserito la sigla su un motore di ricerca e ho trovato tutti i risultati. A mero titolo gnoseologico ne ho guardato qualcuno. Ma chi ha insegnato a scrivere a questi “travet” della cultura? Io non so nulla del mondo accademico ma non ho capito i motivi per cui x è ammesso e y è escluso. Burocratese e assenza di parametri comprensibili. L’unico parametro che sembrava dare qualche certezza era quello relativo al numero di pubblicazioni. Ma poi ho visto un congruo numero di pubblicazioni accompagnate da giudizio negativo. Schifata ho smesso!

  5. Al di là delle tante cose che si stanno dicendo, e si potrebbero ancora dire su queste valutazioni, Giunta ha pienamente ragione: la pubblicità dei giudizi scatena una curiosità morbosa, che per chi ha subito ingiustizie è un’ulteriore e orrenda violenza.
    E tuttavia secondo me non è un male che i giudizi negativi siano resi pubblici: permettono, come dice Giunta stesso, di verificare subito alcune delle ingiustizie più clamorose; ad esempio di notare i casi in cui libri e saggi interi (che figurano nei curricula accanto ai giudizi) vengono ridimensionati o cancellati addirittura; i casi in cui i giudizi negativi non riguardano in effetti per nulla la persona, ma il raggio dei suoi interessi, e sottendono (o esplicitano pure) una visione ristretta, datata o del tutto sballata della disciplina in questione; i casi in cui la qualità palese viene respinta a suon di acrobazie retoriche o pure a suon di insulti così curiosi e gratuiti, da far inevitabilmente sospettare un fatto personale.
    Con altri tipi di valutazioni le cose sono di solito peggiori: io, boh, faccio teatro, ma ne ho conosciuti di tapine e tapini che arrancavano a far concorsi locali per tutta la penisola, bocciati con estrema disinvoltura, tanto chi andava a consultare i verbali e a verificare le prove e i titoli; e in quei casi mentre i commissari si trovavano fuori dalla portata di ogni critica, i candidati erano in effetti molto più alla gogna perché – siccome moltissima gente tende a ignorare o negare l’evidenza se non ce l’ha proprio sotto gli occhi – il “l’ho sempre detto che non valeva niente” era molto più in agguato.
    In questo modo invece il comportamento in malafede, o gli errori in buonafede, o la concezione angusta di certi campi disciplinari, sono sotto gli occhi di tutti; anche le commissioni si trovano esposte al giudizio o comunque alla riflessione.
    Purtroppo poi alla riflessione sensata si accompagnano quasi sempre le curiosità inutili, i pettegolezzi fastidiosi, il voyeurismo gratuito. Che fare. Tante cose si dovrebbero e potrebbero migliorare nel caso specifico, ma in parte, come si dice, è la stampa bellezza: la ricerca della trasparenza ha sempre comunque parecchi retaggi sgradevoli.
    In Germania non poteva succedere? E perdonatemi, che ce ne importa. Davanti ai tedeschi stiamo già genuflessi abbastanza. E poi, mi perdoni Graziano, forse il suo sensibilissimo collega qualche motivo di choc potrebbe trovarlo anche in patria: senza allargare il discorso, ché sarebbe troppo facile, nel suo bel paese si scoprì che due ministri avevano in gran parte plagiato le loro tesi di dottorato, senza che mai nessuno se ne accorgesse, o magari senza che mai nessuno lo segnalasse per lungo tempo; certo, almeno si dimisero, da noi non sarebbe al momento successo neanche questo; ma in grazia delle dimissioni moltissimi da noi li additarono subito come modelli di condotta; suvvia.

  6. E’ vero che può essere opportuno non pubblicare giudizi negativi.
    Tuttavia, una commissione che lo ha fatto (sono stati pubblicati i giudizi sintetici e si rimanda agli atti, comunque accessibili, per i giudizi estesi), proprio per tutelare l’immagine dei non abilitati, è stata accusata di mancanza di trasparenza (SC 08/A1).
    Piovono ricorsi con le motivazioni più svariate (e tra loro contraddittorie), dopo che per anni si sono accettati in silenzio i risultati dei concorsi locali, con vincitori che alle ASN non si sarebbero nemmeno potuti presentare …
    Cordiali saluti,
    Alessandro

  7. Sono fra quelli dichiarati (giudicati, valutati, giustiziati) come NON-idoneo. Posso non condividere quanto scritto da Claudio Giunta? Non mi resta che ringraziarlo per aver focalizzato con tanta intelligenza, empatia e precisione il problema. Solo una cosa: a me non me ne fotte nulla se quacuno che mi conosce legge la s-valutazione della commissione, perché chi mi conosce sa chi sono e cosa valgo o non valgo davvero. Gazie Claudio. Ti abbracc.

  8. La commissione del settore SC 08/A1, tramite MIUR, non ha pubblicato i giudizi negativi e ha resisitito anche all’accesso agli atti. Dopo ricorso vittorioso al TAR, i sub-idonei (qualifica data da uno degli idonei, evidentemente ammantato di gloria) hanno potuto verificare che il giudizio esteso di inidoneità era una tabella in Excel nella quale i valori numerici dei pesi erano incongruenti tra i vari candidati, oltre che intrinsecamente incongruenti. Esempio: due candidati coautori della stessa memoria, hanno visto classificare la memoria in maniera difforme per ciò che riguardava la sede di pubblicazione. Gli esempi potrebbero essere numerosissimi e il giudizio del TAR è ancora sospeso. In definitiva: auspico una piena trasparenza anche per i giudizi negativi, a salvaguardia della correttezza. Chi ritiene di essere giudicato ingiustamente inidoneo non ha timore della pubblicità, anche perché la legge garantisce la rivalsa nei confronti dei soccombenti. La Commissione, forse, ha timore di scelte che potrebbero non apparire coerenti al mondo extra-universitario.

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