cropped-fish.jpgdi Franco Arminio

Una volta c’era la letteratura e poi c’erano gli scrittori. Immaginate un mare con i pesci dentro. Adesso ci sono solo i pesci, tanti, di tutte le taglie, ma il mare è sparito. È successo in poco tempo, e non ce l’ha comunicato un esperto. Ce ne siamo accorti incontrando un poeta da vicino, parlando con un narratore al telefono. Abbiamo sentito che qualcosa non c’era più. Ognuno ha i suoi libri, le sue parole, sono sparite le strade che mettevano in comunicazione uno scrittore con l’altro, tra chi muore e chi vive non c’è alcuna differenza, non c’è differenza tra chi lotta e chi è vile.

Molti lettori hanno lasciato la letteratura come speranza, come luogo del mondo in cui si prova a capire il mondo. Una volta la letteratura esisteva perché era il margine bianco delle opere e in questo margine c’era spazio per riconoscersi, per fare e disfare amicizie, per alimentare polemiche, per esprimere ammirazione. Oggi tra gli scrittori regna un’agitata indifferenza e lo spazio vuoto che c’è tra quelli che scrivono accresce lo spazio tra chi scrive e chi legge. La letteratura è una barca che ha fatto naufragio e ognuno coi suoi libri lancia segnali di avvistamento che nessuno raccoglie.

Forse i lettori sono colpiti dal vuoto che c’è tra gli scrittori e non da quello che dicono le loro pagine. Sentono l’indifferenza con cui si trattano e pure quando trovano uno scrittore che amano sanno che non possono parlarne ad altri, perché parlare di letteratura non ha più senso, sembra un gesto da disadattati.

Poesia è malattia, diceva Kafka. Ora la malattia è nell’argilla espansa che divide le varie esperienze di scrittura. Le voci non si sommano e non spiccano, un’arancia democratica: a ciascuno il suo spicchio, ma dov’è il succo?

[Immagine: Yuriko Nakao, Robo Fish (gm)].

 

28 thoughts on “Sul naufragio della letteratura

  1. Sacrosanto. Ma la letteraturà è finita perché non esiste più una comunità disposta a scprirne il senso. Come i ragazzini a scuola per la poesia: “prof. ma a che serve?”. O il mare è diventato un oceano immane o non si ha la forza di teorizzare un approdo che ripensi in termini di koinè la lingua della letteratura. Senza un senso di appartenenza si continua nella frammentazione

  2. La signorina letteratura, ovvero la letteraturà. Io di letteratura parlo con gli altri, e a volte mi rispondono pure.

  3. Vero, ma la letteratura è prima di tutto un mare per i lettori, e quello non scompare, continua anzi ad allargare i propri confini, dove per forza di cose le rotte si allungano e si complicano, dove col passare del tempo è sempre più facile perdersi, soprattutto per gli scrittori, che per questo tendono a trovarsi il loro piccolo acquario. La funzione di raccordo, sempre più assente, un tempo la praticavano soprattutto gli editori, in parte la critica – negli ultimi anni ci ha provato internet, dove però (per la natura stessa dell’habitat) la tendenza narcisistica di chi scrive trova sfogo facilmente, costruisce bolle di vetro dietro le quali mostrarsi.
    Non credo però che tutto questo abbia a che fare con la perdita di senso della letteratura, magari con un certo tipo di “esperienza della letteratura”, che per forza di cose non può restare immutata nel tempo…

  4. Verissimo. E credo anch’io che si tratti, più che di una perdita di senso della letteratura, dello smarrimento di un’esperienza della letteratura, come dice Ghelli. Voglio dire: di fatto credo che esperienza della letteratura (condivisa e comunicabile, di questo parla Arminio) e suo senso siano la stessa cosa, cioè che sia la prima a creare il secondo. Ma la distinzione è ermeneuticamente utile, sì, è proprio un problema di esperienza.

    Credo che la perdita di quest’esperienza sia imputabile a un’infinità di ragioni. A me, come sempre, preme riflettere sulle responsabilità della scuola, che credo siano grandi (anche se forse in parte preterintenzionali).
    Ho provato a dirne qualcosa qui, se può interessare a qualcuno: http://www.laletteraturaenoi.it/index.php/scuola_e_noi/190-leggere-a-scuola-poeti-del-presente,-del-passato-prossimo-e-del-passato-remoto.html

    Saluti

  5. Mi viene in mente il famoso discorso di David Foster Wallace “This is water”.
    Forse non è l’acqua ad essere sparita. Forse, come diceva DFW, sono i pesci a non essere più capaci di “vedere” l’acqua.

  6. Mbù, Arminio dimostra sempre di essere un bravo scrittore, bel passo, belle metafore ma il pensiero di fondo è debole, nostalgico e generico, si perde nel lirico della prosa. Non capisco quale dimensione della letteratura sia naufragata. Penso si riferisca all’ambiente letterario, incarnato in Italia dai vecchi caffè, dai salottini, dalle riviste ufficiali, dai gruppi, roba del genere non saprei.
    Per quanto mi riguarda, non credo sia un male che gli scrittori vivano in solitudine culturale, che non facciano parte di parrocchie e parrocchiette circoli e circoletti gruppi e gruppetti, che scrivano lontano dai centri della cultura. Che non abbiano nulla a che fare con chi fa cultura. Anzi, sono convinto che sia una condizione ottimale per scrivere: pensiamo solo che ne so agli esuli Di Ruscio e Bolano, o degli esuli in casa nostra come Pinketts, il grandioso Loriano Macchiavelli di cui nei siti letterari non si parla mai (non si parla manco di Pinketts), Rugarli…
    (E i siti letterari, anche LPLC, non possono essere considerati i depositari di quei contenitori di voci e proposte. Che ne pensa Arminio: secondo lui, sti lit-blog hanno fallito da quel punto di vista?).

    Semmai c’è da chiedersi se la nostra società attuale, la società delle lettere, la società editoriale è in grado di mettere in salvo la letteratura contemporanea che alcuni scrittori hanno prodotto in questi nostri anni e renderla disponibile per il futuro. Se per dire siamo in grado di salvare, anche se in zona Cesarini come è stato di fatto per lui, un Delfini dei nostri anni, un Savinio, un Italo Svevo (che se non era per Joyce in primis e Montale dopo ce lo saremmo persi pari pari); se c’abbiamo i mezzi editoriali per portare nel prossimo cinquantennio (la metto facile facile) un canone letterario come può essere quello formato dalle opere (no dalle persone) di Celati, Siti, Di Ruscio, Rugarli. Ce l’abbiamo?

    In più, e concludo, il discorso dei pesci e del mare per come la vedo io è fuorviante. Per me anche se in un anno si produce una sola pagina di letteratura, lì c’è la letteratura. Il salotto, il sito, il letto a baldacchino, la finestra, il bar non c’entrano niente. La letteratura sono i libri, le opere, di scrittori, redazioni culturali, assessorati, riviste e rivistine, dibattiti e dibattitini ce ne abbiamo a ufo. Quindi se ci sono libri che valgono, c’è anche la letteratura. Se non ce ne sono, non c’è nemmeno la letteratura. Poi si può discutere sul livello di questa letteratura, ma è un altro discorso.

  7. @ Lo Vetere e anche gli altri

    Non voglio rompere eh, però onestamente i vostri incipit mi lasciano di stucco. “Sacrosanto; vero; verissimo”. Ora, io leggo le parole di Arminio e mi cascano le braccia, davvero, senza voler offendere ( e scusami @ Ghelli, o il mare scompare o non scompare, e di quale smarrimento stai parlando? ), però non si può leggere una cosa del genere. La letteratura *non* è sparita e non è cambiato il modo di fruirla, non so di cosa parli Arminio, non capisco come faccia a parlare per conto dei lettori. Per caso li conosce tutti? Ma perché questo non è un blog in cui si parla di letteratura? Cosa vorrebbe Arminio, che i telegiornali parlassero solo di romanzi e poesie?

    @ Lo Vetere

    mi ha fatto molto piacere leggere il tuo articolo, non capisco però tutte ‘ste remore. Si buttino al più presto i poeti morti con le loro poesie inutili ( Pascoli, Ungaretti, D’annunzio, se uno vuole stanno comunque il libreria o in biblioteca ). Ma si può pensare una cosa più stupida di rispettare l’ordine cronologico per la letteratura?

  8. Caro Dfw (tralascio il cognome, ;-) ), se ognuno prega il suo dio, può anche spiegare a un altro quanto grande egli sia, ma difficilmente ci si intenderà tacendo, pregando l’uno a fianco dell’altro, sul senso del mondo garantito da quella presenza.
    Poi, per carità, non è che un po’ di laicità faccia male, anzi. Però non è peccato avere remore.

    Ti ringrazio della lettura, se vuoi possiamo discutere del mio pezzo in calce ad esso, qui saremmo abusivi. Solo una battuta: anche ammesso che fosse auspicabile buttare a mare tutti i poeti morti (e non lo è), le palingenesi non hanno mai funzionato, dunque: non è peccato avere remore, anzi.

    Saluti

  9. @dfw: “vero” nel senso che, dalla parte di chi scrive, posso comprendere il senso di smarrimento di Arminio – altro mare, tanto per rimanere in tema, è quello del lettore, come ho cercato di spiegare.

  10. A volte ci si confonde. Io per esempio non credo sia utile raffrontare lo spaccato della visione di un Arminio, vale a dire un autore come Arminio, con il nostro o con quello d’altri. Il valore, diciamo, testimoniale che porta un testo come questo (e come i molti scritti con lo stesso piglio nichilizzatore) non è nel grado di corrispondenza tra le visioni. E’ nella visione stessa. Come quando il mio bisnonno raccontava della guerra, perché l’aveva vissuta sulle sue spalle. Non avrei mai impugnato un libro di storia, che peraltro avevo appena incominciato a studiare, e me ne rendevo conto addirittura. Non mischiamo i ragionamenti con la vita.

  11. @ Lo Vetere

    d’accordo, ci ragiono meglio e posto qualcosa là.

    @ tutti

    Ma se Arminio si sente smarrito perché non scrive in modo da trasmettere solo il suo smarrimento? No, lui sa che la letteratura è sparita, che fra gli scrittori c’è uno spazio vuoto e che è cresciuta la distanza con i lettori, che in ragione di ciò hanno perso la speranza e quelli che invece ancora la amano non ne possono parlare. Ma che caspita sta dicendo? Concretamente quando parlate di esperienza della letteratura mi dite a cosa pensate?

    @ dm

    ok, ma tuo bisnonno parlava di sé, immagino, qua c’è un testo che pretende di parlare del naufragio della letteratura, e il valore testimoniale di questa visione è nullo, perché parla del nulla, non essendoci stato nessun naufragio. Oppure, se gli sta a cuore parlare con i lettori, sia più chiaro e meno visionario, così si sentirà meno solo.

  12. Dfw vs Jf: il mio bisnonno raccontava della guerra, e di sé. Ma tralasciando il bisnonno, che non è più. Proviamo così. Se questo testo fosse scritto in endecasillabi, nella forma del sonetto, solleverebbe le stesse critiche? E’ una provocazione, e l’implicito è: stiamo interrogando il testo nel modo più utile e appropriato…?

  13. @ dm

    Se il testo fosse una poesia l’atteggiamento sarebbe diverso fino a un certo punto, perché io posso pure apprezzare la forma e disprezzare il contenuto. E infatti questo testo è bello da leggere. Non so quali altri modi ci siano di interrogare un testo se non applicandovi il principio di realtà. Se mi racconti un sogno io non mi metto a disquisire sulla veridicità di ciò che mi racconti, posso al limite sospettare che ti stai inventando il sogno, ma rimane un sogno. Questo è un testo che usa la prima persona plurale, che descrive un comportamento collettivo ( i lettori, gli scrittori ) e che si chiude con una domanda. Un testo pubblicato con un titolo che si inserisce in un discorso frequente e che non si limita a parlare di sé, per cui il minimo che si possa fare è dire se dice cose vere o no. E non mi riferisco all’uso delle metafore, quello ci sta, ed è il bello della letteratura e della poesia. Si parli pure dei dubbi e delle inquietudini, ma si verifichi anche ciò che si dice, nei limiti del possibile. Poi è anche un’occasione per sviluppare altri discorsi, va bene, c’è appunto lo spazio dei commenti, ma la sensazione non giustifica tutto, sennò si parla a vanvera e c’è il solipsismo, che poi mi pare sia proprio ciò che lamenta Arminio.

  14. @Dfw:
    con “esperienza della letteratura” faccio riferimento a quello che Arminio definisce “spazio vuoto” tra gli scrittori, che “accresce lo spazio tra chi scrive e chi legge”.
    E’ il modo in cui si viveva la letteratura che è cambiato (e ancora cambierà), così come è cambiato ad esempio il nostro modo di vivere l’esperienza cinematografica con l’avvento del VHS prima, del DVD poi e dello streaming oggi. Io qui avverto forte il senso di spaesamento di uno scrittore che ha fatto parte di una geografia profondamente mutata, che si ritrova in mano una mappa che non corrisponde più al territorio così come lo conosceva. Questo, per quanto mi riguarda, non significa che sia scomparsa la letteratura (il mare), però pone senz’altro dei problemi per chi scrive, problemi che non si può far finta di non vedere così come non si può far finta di non vedere un cartello di pericolo con su scritto “strada interrotta”, a meno che non si voglia finire di sotto a occhi chiusi.

  15. Ok, capisco lo smarrimento, ma vorrei maggior chiarezza. Io sono dell’85 e ho vissuto il passaggio dal vhs al dvd allo streaming ( nel frattempo continuo ad andare al cinema ). Se dovessi però dire cosa è cambiato nel mio modo di esperire il cinema onestamente non saprei che dire. Né credo sia possibile dire che al cinema abbiamo una reazione diversa da quella che avevamo tempo fa. Quindi quando si dice che è cambiato il modo di esperire la letteratura concretamente di cosa si sta parlando? Cosa è questo spazio vuoto tra gli scrittori? Come si fa a dire che lo spazio tra chi scrive e chi legge è aumentato?

  16. @ Ghelli
    ps
    ieri ho preso in prestito L’Atalante di Vigo e oggi mi sono scaricato il tuo saggio, in più ho visto che hai anche scritto su Nanni Moretti, tra i miei preferiti.

  17. @Dfw:
    In quello spazio vuoto ci possono entrare un sacco di cose, senz’altro il venir meno della centralità del discorso letterario nel paradigma culturale attuale (per quanto mi riguarda, questa marginalizzazione potrebbe invece dimostrarsi un vantaggio, figurati).
    Sul cinema sono d’accordo con te: non ho mai creduto alla morte del cinema, così come non credo alla morte della letteratura.

    p.s.: grazie per il tempo che dedicherai alla lettura dei miei saggi ;-)

  18. IL NAUFRAGIO DI MIO NONNO

    Mio bisnonno c’aveva la gobba a punto interrogativo e dagli anni novanta in poi s’era cecato. Prima aveva parato le pecore e i maiali tutta la vita. Può darsi che era diventato cieco poraccio a furia di stare a guardare le pecore. Così diceva pure mia nonna. Quindi forse sotto questo post non ci sta bene, visto che il tema è i bisnonni che hanno fatto la guerra in sé, anche se qualcosa di letterario sto bisnonno ce l’aveva… infatti nella mia personale galleria delle rassomiglianze letterarie c’è una foto di mio bisnonno che sta seduto fuori all’aia a giocare con un cane che gli salta sopra per fargli le feste che mio bisnonno sembra Joyce a Zurigo (mi piace a me a pensarlo così… non gli somiglierà pe’ gnente, non lo so, ve la dovrei far vedere). Lasciamolo stare. L’argomento era il naufragio di qualcosa di indefinito e della guerra in sé dei nonni e/o bisnonni. Eccola.
    Mio nonno cadde prigioniero in Africa non mi ricordo forse nella seconda guerra mondiale. Quando la guerra finì li stivarono tutti in una grande nave più grande della Concordia, penso, per farli tornare in Italia. Questa nave ben presto cominciò a imbarcare acqua. Con molta lentezza come accade in questi casi la notizia si spandette per la nave. Mio nonno fu l’ultimo a scoprire che c’era una falla che incameravano acqua e stavano per naufragare. Lo scoprì perché vide un altro profugo come lui che piangeva. Gli chiese oh, perché stì a piagne? Quello gli disse come stizzito come perché sto a piagne, ma non hai sentito niente, ‘n altro po’ la barca affonda… E mio nonno tutto placido gli rispose e che cazzo te ne frega a te, che la barca è la tua?
    Questo è il naufragio di mio nonno, ex prigioniero profugo dall’Africa all’Italia. Non so se fu un naufragio pieno oppure no, la storia si piantava qua, il finale era aperto anche se mio nonno poi stava in mezzo a noi, io nacqui dopo, penso ebbe modo di tornare nel suo odiato Abruzzo e di fecondare una donna da cui ecc ecc.

    Il breve racconto non è granché ma ci insegna che delle volte noi pensiamo ci sia un naufragio, anche magari in noi stessi, diventiamo catastrofisti, immiseriamo, ci immalinconiamo, ma poi in realtà questo naufragio non c’è davvero. E’ nella nostra testa, perché sono gli altri che mandano in giro notizie false e noi siamo boccaloni, ci crediamo. La ricetta delle volte può essere non credere a niente al primo colpo (manco al secondo e al terzo). Non credere.
    Eppoi, alla fine, pure se sto naufragio c’è, diciamocela tutta, ma che cazzo ve ne frega a voi, che la letteratura è la vostra?

  19. Del naufragio del bisnonno non c’è segno nella Storia, se ho capito, ma la tua narrazione ha una qualche utilità. Questo dico.

  20. Una curiosità: qualcuno saprebbe indicarmi *quando* di precisione è avvenuto questo “naufragio della letteratura”, questo “smarrimento di un’esperienza della letteratura”? E poi: parlate soltanto dell’ambiente culturale italiano o anche di realtà straniere? E soprattutto: mi sapete mostrare qualche effetto concreto di questo “naufragio” o “smarrimento” che non era presente nell’epoca precedente?

    Il fatto è che questi discorsi mi sembrano le classiche affermazioni nostalgiche dei “bei tempi andati” di quando si era giovani che in realtà sono “bei” solo adesso che sono “andati”, (magari anche in quella “età dell’oro” esistevano “non più giovani” di allora parlavano di analoghi “naufragi della letteratura”). Il fatto banale è che la società cambia nel corso del tempo e vari aspetti di essa cambiano, cambiamenti alcuni da giudicare come positivi e altri come negativi, ma io sinceramente non riterrei che i cambiamenti negativi abbiano prevalso.

    Spero vivamente che non si tirino in ballo discorsi sugli influssi delle nuove tecnologie sul tempo libero dei giovani d’oggi, ovvero che la televisione, i videogiochi o internet abbiano “rubato” il posto alle sane letture, anche cento anni fa esistevano passatempi come radio, dischi e cinema (o magari giocare a pallone o a qualche altro sport all’aperto, ma almeno quelli sono più legati all’attività fisica che intellettuale). Mi pare chiaro che media diversi non sono in concorrenza, d’altronde non mi risulta che i dischi abbiano fatto sparire i concerti, che i cinema abbiano fatto sparire i teatri, che radio e tv abbiano fatto sparire i giornali e così via.

    Semmai occorrerebbe riflettere sull’influsso che ha avuto il vero grande mutamento della società italiana del secolo scorso, ovvero l’esser riusciti a insegnare a leggere e scrivere per la prima volta alla stragrande maggioranza della popolazione italiana (ricordo di nuovo dati come quelli riportati da De Mauro del 1963: nel 1861 lo 0,89% della popolazione italiana aveva accesso ad istruzione postelementare e negli anni ’60 la scuola media appena divenuta obbligatoria era frequentata da meno del 60% dei ragazzi in età da scuola media). Dunque occorre evitare di avere pulsioni da “restaurazione” o ritorno a un’inesistente “età dell’oro” dato che anche se quell’età aveva aspetti positivi, essi erano pensati per una società con molti aspetti negativi che per fortuna ora non esiste più.

    A Daniele Lo Vetere:

    non penso che molti ragazzi d’oggi ce l’abbiano con i “poeti morti” in quanto morti, penso che però, se si vuole andare in direzione di “teste ben fatte” invece che di “teste ben piene” 25 canti della Divina Commedia, seppure in tre anni mi sembrano fin troppi, Parini e Alfieri mi sono sempre sembrati improponibili a ragazzi di 17 anni e Carducci (anche se paragonato solo agli altri italiani) mi è sempre sembrato fra gli autori più sopravvalutati nelle antologie. I problemi insomma sono sempre l’italocentrismo e lo storicismo che pretenda di dare uguale spazio a tutte le epoche. Io troverei positiva, come ho già detto altrove, a una proposta analoga a quella di Piras per la filosofia, ovvero una divisione per generi (ad esempio, il primo anno si studiano opere in prosa, il secondo opere teatrali, il terzo opere in versi) all’insegna del “meno cose ma con metodo più approfondito”. Se avranno imparato il metodo non importa che una volta usciti da scuola non abbiano letto neppure una riga del Tasso o di Pascoli, tanto sicuramente, dopo aver terminato gli studi avranno la voglia e gli strumenti per cominciare a leggere e apprezzare loro e tanti altri autori per il resto della loro vita.

  21. @ Michele Dr.

    Il pezzo di Arminio è un bel pezzo. Letteratura. Contiene una sua verità. Non letterale, letteraria.
    Non credo che si vada molto lontano obiettando ad Arminio che la sua è la solita laudatio temporis acti. Cioè, mi pare che, volendolo confutare, si dovrebbe scendere più nel dettaglio, obiettargli, che so, che invece i rapporti fra scrittori che a lui oggi sembrano così difficili sono invece semplicemente diversi (e spiegare quali siano, e perché siano belli lo stesso), che invece il mare che a lui sembra scomparso ha solo cambiato colore (e di colore è diventano, e perché anche quel colore ha belle sfumature), cose del genere…
    Altrimenti, questa è la mia opinione, si resta su di un piano troppo generale, si attaccano non gli argomenti, ma il tono, la posizione nel mondo, si confutano non questo o quell’argomento, ma il diritto stesso di essere: nel caso specifico, essere pessimista. Il pessimismo di Arminio ha qualcosa da dirci, è produttivo, dà da pensare? A me sì.
    Altrimenti facciamo sempre come quei critici di Leopardi, di cui giustamente il poeta si lamentava, che lo liquidavano come pessimista gobbo e ipocondriaco, invece di discuterne le idee. Fra i critici del poeta italiano più significativo per la modernità, Tommaseo, di cui, a parte il dizionario, non leggiamo più granché. Giustizia somma della storia.

    Per quanto riguarda quanto scrivi direttamente a me, forse ti riferisci al pezzo che ho linkato. La mia intenzione, scrivendolo, era di rivolgermi ai colleghi, di riflettere su cosa è successo a noi insegnanti, sull’aria che abbiamo respirato, sull’educazione che abbiamo avuto, su ciò che portiamo in classe senza neanche saperlo. Ai ragazzi, e al loro eventuale odio per i moeti morti, per la verità non pensavo.
    Poi sono d’accordo con te che la didattica della letteratura andrebbe rivista radicalmente. Però il problema è sempre come riempire di sostanza le innovazioni. Per ragioni di studio ho passato gli ultimi mesi a leggere molto sulla didattica della letteratura, e della formula “generi, non più cronologia” si parla grosso modo dagli anni Ottanta. Io continuo a credere che la didattica non possa essere rinnovata cambiando le infrastrutture e le sovrastrutture, ma il minuto fare quotidiano. (Vaste programme!). Cioè, fino a un certo punto mi pare irrilevante che si proceda per generi o cronologicamente, non è quello che conta, IMHO.

  22. @ Daniele Lo Vetere:

    E’ difficile criticare “scendendo nel dettaglio” un pezzo che di fatto esso stesso non “scende nel dettaglio”, che avesse intenti “letterari” è lodevole, il punto però è che io lo avevo inteso come un tentativo di ricostruzione storica e quindi, in un certo senso, scientifica, di come sarebbe mutato il modo di esperire la letteratura da non lontano passato fino ad oggi. Se si parla invece di visioni pessimistiche produttive e che fanno pensare potrei essere d’accordo, basta appunto che non facciano conservare “pensieri” del tutto dogmatici invece di scuoterli e superarli.

    Per quanto riguarda il tuo discorso sulla didattica della letteratura, ho la netta impressione che la strategia di mutare soltanto “il minuto fare quotidiano” sia fallimentare in quanto cambiamenti minuscoli possono dare soltanto miglioramenti minuscoli, poi è vero che ci possono essere insegnamenti in forma “non cronologica” la cui realizzazione manca di sostanza ma bisogna ammetterlo che il metodo “cronologico” nella sua essenza è scarsamente migliorabile più di tanto, imporre a ragazzini di 15 anni come primi passi tra le letture poetiche i componimenti di Giacomo Da Lentini penso sia un’operazione altamente deleteria che contribuisce ben poco ad iniziare a formare menti di buon lettore di opere in versi…

  23. Brevemente, perché il discorso sarebbe lunghissimo (per ulteriori discussione forse è il caso di fare come con Dfw, passare all’altra discussione su La letteratura e noi).
    Sì, se per ordine cronologico si intende che se parlo di Lentini è assolutamente vietato il collegamento con altre poesie e altre epoche, sono d’accordo con te. Ciò non significa che non si possa mantenere la scansione cronologica sulle tre classi, che comunque non ho intenzione di difendere come un feticcio. La lamentata incapacità dei ragazzi di cogliere la profondità storica, non si difende certo con la mera scansione cronologia, mai avuto dubbi al riguardo.
    Sul fare minuto bisogna intendersi: è tutt’altro che fallimentare, anzi, è l’unica via per una riforma vera, sostanziale. Il minuto fare è poi solo ciò che sa fare l’insegnante quando entra in classe. Una cattiva pratica dentro una forma nuova resta una cattiva pratica.
    Saluti

  24. Anch’io negli anni ho provato a documentarmi, a interrogarmi e a sperimentare forme alternative di insegnamento della letteratura. Non è facile e non ho risposte. Sul procedere per “generi” o per “temi” il mio dubbio è che si riproponga nel triennio l’ennesimo doppione delle letture antologiche già sperimentate nella scuola media e nel biennio, dove appunto si procede per generi e temi. Ci sono già molte circostanze che fanno sì che l’insegnamento letterario sia ripetitivo, e che anche ciò che dovrebbe costituire novità assoluta (un sonetto del Foscolo o del Petrarca…) sappia già ora di rimasticato; figuriamoci se anche il modo di presentare le opere fosse sempre il solito. Che differenza ci sarebbe tra un’antologia per il biennio o per il triennio? Andare più a fondo, provare a conoscere l’autore e inserirlo nella sua epoca a me è spesso parso rappresentare quel poco di più che il triennio può dare. L’approccio storicistico forse sarà sorpassato o incompleto, ma modalità più raffinate non sono alla portata, mi pare, e modalità più semplici sono state già proposte ai ragazzi negli anni precedenti del loro percorso.

  25. @ Marisa Salabelle:

    non conosco nei dettagli come sono composti attualmente i programmi, e di conseguenza, le antologie di lettere della scuola media e del biennio, ma mi sembrava di ricordare che sia alle scuole medie che al biennio i testi su cui gli studenti lavorano sono del più vario tipo possibile e non solo i “testi letterari” o, per usare la classificazione di Sabatini, non solo i “testi poco vincolanti” ma anche i testi scientifici, normativi, espositivi e simili come articoli di giornale, istruzioni per l’uso, lettere e così via. Dunque non ci sarebbero reali ripetizioni ma semmai approfondimenti di un sottoinsieme ben preciso di testi. Bisognerebbe in effetti ripensare a questo punto anche come relazionare educazione letteraria ed educazione linguistica più in generale, ma occorrerebbe compiere in effetti un lungo discorso a parte.

  26. E’ vero, alle medie e al biennio le antologie propongono testi di varia tipologia, ma molti insegnanti fanno lavorare i ragazzi anche (e in certi casi in modo massiccio) sui testi letterari, per cui si ha un effetto paradossale: magari i ragazzi non hanno buone competenze lessicali e grammaticali, ma hanno letto già tre o quattro volte “A Zacinto” e “Solo et pensoso”, e quando questi testi gli vengono riproposti in terza o quarta si lamentano “Come, ancora A Zacinto! E’ la terza, è la quarta volta che la faccio!”. Un’altra conseguenza è che di ogni argomento hanno una conoscenza vaga e approssimativa che credono sufficiente ma che invece è del tutto inconsistente.

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