cropped-hires9302.jpgdi Emanuele Canzaniello

Je régardais avec stupeur ces adolescents superbes, au corps hâle, aux longues jambes musclées; j’aspirais l’air imprégné d’une fraîche odeur d’herbe et de chaleureuse émanation de ces corps virils transfigurés par l’effort de la course; je compris la rayonnante beauté de la vie physique.

(J. de Pierrefeu, Paterne ou l’Ennemi du sport)

Dall’iconografia alla pagina scritta la stagione fascista ha costruito se stessa specchiandosi nella creazione di un nuovo corpo umano. Dalla scultura ufficiale, dai nudi bronzei di Arno Brecker[1], ammirati da tutta Parigi all’Orangerie nel maggio-luglio del ’42 (due dei quali posti a guardia del portale d’ingresso della Cancelleria del Reich[2]) dai manifesti ciclostilati della propaganda, alle associazioni nudiste e sportive e ai marmi del Foro italico[3], passando per l’invenzione della toilette di Malaparte, il fascismo e la sua traccia di stile hanno segnato l’interpretazione, la visione e la pratica della corporeità del XX secolo. Probabilmente in questo campo la spinta modernista del fascismo ha esercitato l’influenza più duratura e pervasiva, informando di sé le inquietudini future delle democrazie recenti. Le premesse storiche del fenomeno sono oggetto d’interesse da lungo tempo e hanno dato risultati consolidati; uno dei primi e più importanti è lo studio di George Lachmann Mosse, L’image de l’homme. L’invention de la virilité moderne, un’analisi dell’idea di nazione messa a confronto con l’elaborazione coeva di un canone antropometrico del maschile, rispetto a una norma, a un ideale e alle sue anomalie[4]. Il ventennio fascista, da questo punto di vista, costituirebbe solo una delle fasi di sviluppo e solo uno degli apporti riconducibili alla creazione occidentale e moderna del corpo maschile e delle sue valenze simboliche[5]. Per Mosse è impossibile dire precisamente

[…] quando è nato l’ideale moderno della virilità, ma ha iniziato a giocare il suo ruolo nella storia a partire dalla seconda metà del XVIII secolo e all’inizio del XIX. […] Più si affermava la dimensione simbolica del corpo umano, più la sua educazione e la sua bellezza diventavano importanti[6].

Il moderno, nella sua radice e nei suoi prodromi settecenteschi, ha dunque inventato e imposto la maîtrise umana sui corpi, così come l’aveva rivolta alla natura, alla fisica del mondo, ai flussi economici, alla perfettibilità infinita che in due secoli ha già trascolorato nell’inorganico. Vediamo dunque che per Mosse il potere simbolico di cui il corpo è investito e la pratica educativa alla salute corporea si accrescono e si alimentano a vicenda. Le tracce di quest’importanza accresciuta della corporeità saranno per noi oggetto di analisi solo nella realtà narrativa di questi corpi nuovi, di questa nudità nuova che abita il romanzo degli anni totalitari. Escluderemo per ora anche la pratica erotica, l’azione dei corpi nuovi, e prenderemo visione della loro immobile, scolpita presenza nelle ecfrasi della prosa. Lo studio di Mosse può aiutarci a comprendere quali virtù morali abitino e in qualche modo sostengano le virtù plastiche che esploreremo, in quale modo si sia formato il canone morale dietro l’antropometria winckelmanniana[7] e la sua lunga presa del potere sull’immaginario occidentale.

Quando ci si mise a dibattere sull’esercizio fisico dal punto di vista morale, si decretò che aiutasse a dominare le passioni pericolose. L’equivalenza anima-corpo di cui abbiamo parlato in precedenza, fondava le virtù dell’atletismo, e per le stesse ragioni, il ruolo della ginnastica nella costruzione dell’uomo ideale. Rousseau pensava che l’educatore non dovesse considerare la cultura fisica come secondaria, successiva alla formazione dello spirito: l’una completa l’altra se si vuole vivere in accordo con la natura. La Gymnastik für die Jugend di J.F.C. Guts Muth (1793) è il testo fondatore della ginnastica moderna, benché dei dibattiti sulle virtù educative della ginnastica avessero già avuto luogo in Germania qualche anno prima. Il suo libro fu ripubblicato per tutto il XX secolo[8].

Si andavano rigenerando quindi le virtù del corpo a opera del secolo illuminista e materialista, dopo il dissidio duale, platonico e teologico con l’anima; ma andavano allo stesso tempo rielaborate sostanze spirituali per il rovesciamento che inseguiva un nuovo accordo neoclassico con la natura. Una curiosa contemporaneità ci permette di notare che nell’anno 1793, decapitato il re, gli uomini iniziarono a fare ginnastica. E non a caso in Germania, pronti a prepararsi a due secoli di eccidi nel continente. Sta di fatto che l’equivalenza tra esercizio fisico e qualità morali, temperanza, resistenza, sacrificio era tutta da porsi e ancora da farsi. In quali fasi si operarono progressivi scivolamenti da una codifica della ginnastica per la santé ad altri scopi, da quello militare a quello simbolico, erotico (di feticcio, oggetto sessuale) o in senso lato estetico. Parlando della Gymnastik für die Jugend di J.F.C. Guts Muth (1793), Mosse riporta:

Un corpo sgraziato, dei nervi fragili e una cattiva saluta, deformano la nostra visione del mondo – poiché la coscienza passa dal corpo allo spirito. […] Ma egli si contraddice quando sostiene che i suoi consigli non hanno niente a che vedere con l’estetica: eppure egli è ben lontano dall’esserne indifferente proprio perché la bellezza fisica crea un’affezione che coinvolge la bellezza dello spirito. La bellezza maschile è dunque un segno di valore morale[9].

Siamo qui davanti a un passaggio nodale in cui la cattiva salute inizia a diventare una piaga della coscienza, un problema della morale individuale, della condotta civica[10], e ancora più in profondità – anticipando la nozione nietzscheana di rigetto del disprezzo romantico per le doti fisiche – qualcosa in grado di alterare, falsare, corrompere la visione e la limpidezza dello spirito. Dunque l’armonia di un corpo che prenda forma nell’esercizio, nel disciplinamento, nell’allineamento a un canone di conformità non poteva essere motivato da una scelta estetica, esclusivamente estetica: bisognava caricare di segno di valore morale la superficie modellata dei corpi. Trasferire, lasciar emergere alla pelle ciò che un vero uomo debba essere per il corpo nascente delle nazioni europee e dei loro imperi, rendere visibile la costruzone dell’uomo ideale, o rendere indubbia la tensione, di per sé etica e di un’etica capitalista[11], verso l’ideale dato. Quali erano e a cosa dovevano servire questi segni del valore, in quali condizioni prendevano forma?

Jahn riconobbe in Guts Muth il suo predecessore e riprese la sua teoria. Quando ebbe scritto la sua Deutche Turnkunst (“Ginnastica tedesca”, 1816), l’occupazione francese della Prussia volgeva al termine, Napoleone era stato sconfitto, ma l’unità tedesca di cui egli era fautore non era stata ottenuta. Lo spirito comunitario, la resistenza, il disinteresse dei ginnasti erano adatti a formare dei patrioti pronti a battersi per la causa tedesca. Jahn insiste sul fatto che i ginnasti dovevano essere “casti, puri, competenti, intrepidi, leali e pronti a prendere le armi”[12].

Permettiamoci ora di cominciare a introdurre bruschi spostamenti di prospettiva dai primordi della ginnastica ancora tardo settecentesca di questi primi trattati di Guts Muth e Jahn prima citati in Mosse, agli esiti preconizzati o soppesati dalla critica successiva alle esperienze totalitarie, con lo scopo di ottenere una panoramica vasta prima di osservarne i profili nelle pagine delle opere romanzesche. Sulla base di questa prima aporia tra resa estetica dei corpi e bisogno di una loro giustificazione morale, Susan Sontag nel suo saggio Fascinant fascisme, dedicato al cinema[13]di Leni Riefenstahl e alle seduzioni o soluzioni incantatorie dei regimi, evoca un possibile esito perdurante di quell’aporia cui accennavamo. Il rilievo della Sontag è il seguente: negli stati comunisti – Unione Sovietica e Cina – l’arte ufficiale è fondata su una morale utopica. L’arte fascista invece su un’estetica utopica: l’idea della perfezione fisica, come si è detto ampiamente in precedenza. Da qui la presenza costante dei nudi, scolpiti e dipinti, ma sempre senza alcun difetto fisico. Nudi che assomigliano alle foto del culturismo da rivista, modelli devotamente asessuali[14] e (nel senso tecnico del termine) pornografici, perché portatoti di una reificazione dell’immaginario[15].

La Sontag nel suo breve saggio concede alla Riefenstahl il dono di un gusto più sofisticato anche nella scelta di più varietà di tipi fisici, di saper apprezzare la perfezione in forme diverse, di non essere razzista sotto il profilo della plastica corporea. Se di estetica utopica stiamo parlando per il nazismo e possiamo farlo quando la Riefenstahl dichiarava che niente di ciò che è medio, realistico, vita generale e comune poteva interessarla, quest’estetica implicherà e genererà un’erotica della sublimazione, un’utopia della sessualità infinita[16]. La Sontag avanza l’affermazione che l’ideale fascista consista nel trasformare l’energia sessuale in forza spirituale al servizio della comunità. Alcuni esiti del dibattito iniziale o del debutto della ginnastica moderna anticipano con chiarezza gli esiti poi sottoposti all’attenzione della Sontag. Scrive Mosse:

Jahn propone una definizione della ginnastica estremamente ampia che include la scherma, il nuoto, la danza, il pattinaggio, l’equitazione e le arti marziali. Queste pratiche atletiche sono opposte agli sport di squadra. Per condurre il corpo in prossimità dell’ideale, questi ultimi sono giudicati inutili. […] Jahn non cerca soltanto di formare dei bei corpi sani, riflessi di un vigoroso senso morale, ma di creare dei nuovi Tedeschi. Egli scrive che il dovere più sacro dei giovani è quello di diventare veri Tedeschi. […] Il Turnplatz (il terreno d’allenamento) diventa una sorta di santuario pubblico dove, come riporta una brochure, la leggenda degli eroi tedeschi riprende vita, e dove il passato disegna il futuro[17].

Il tentativo di formare una comunità scolpita dall’arte, sorte de sanctuaire publique secondo bisogni estetici, sfocerebbe quindi in una trattenuta erotica del mondo. E qui richiamo un interrogativo in qualche modo posto già nel titolo di questo lavoro: un’erotica pubblicitaria del mondo moderno e postindustriale sarebbe forse un sottile lascito degli esperimenti totalitari? Questa plasticità erotica iniziava già ad essere presente ovunque nella società europea degli anni ’30, forse esasperando una tendenza Art déco di fine diciannovesimo secolo, e fu avvertita dai nuovi regimi come tentazione onnipresente, cui rispondere con rifiuto, il solo gesto considerato degno[18]. La pulsione sessuale rifiutata si canalizzava in forza, precisione militare. La Riefenstahl mostrava quest’atteggiamento anche riferendosi ai suoi documentari sui Nuba, aristocrazia tribale dell’Africa nera, le cui danze rituali non sono manifestazioni di sensualità ma “feste della castità”, della forza vitale trattenuta.

Indagare quali conseguenze possano derivare, in sede sia estetica sia sociale, da una simile ipnosi della procrastinazione, di una carica sensuale continuamente alimentata e insieme elusa può essere interessante. Rircordo che la Sontag sottolineava come l’arte nazista non fosse affatto terrore e brutalità. Il nazismo rappresenterebbe ideali di più lunga durata, ancora presenti oggi,[19] persuasivi, mutati di forma: ideali della vita modellata come arte, sartorialità morale su misura, culto della bellezza, feticismo della bravura, dell’efficacia, rifiuto dell’intelletto e delle complessità. Parte del fascino di questa figuratività sta nelle sue linee semplici, nei suoi materiali netti, nella sua assenza di peso intellettuale, nella sua sorcellerie evocatoire.

Riprendiamo ora brevemente alcune tappe essenziali della configurazione della nuova idea di corporeità che la modernità ha alimentato e costruito pazientemente; lo studio di Mosse c’introduce ai motivi chiave che resero necessaria questa nuova pagina nella storia della virilità:

[…] gli uomini sono gli strumenti del potere: essi obbediscono ai loro superiori e fanno sì che i loro inferiori obbediscano. Nondimeno lo stesso Impero britannico non auspicava che i suoi rappresentanti esercitassero questo potere senza limitazioni: ciò doveva essere associato al dominio di sé e al controllo delle pulsioni. Il sangue freddo è un attributo essenziale dello stereotipo maschile, come vedremo un vero uomo dovrà essere sempre signore delle proprie passioni[20].

Primo passo intrapreso: il corpo maschile è lo strumento del potere, e lo era sicuramente in quella fase, garante della gerarchia sociale; il suo rigore virile dava la misura e l’equilibrio della catena di sottoposti e superiori. L’etica liberale interna alle potenze occidentali giocava il suo ruolo nell’accento posto sull’importanza e la necessità del controllo, della maîtrise de soi, di nuovo legata al controllo pulsionale, all’irregimentazione delle passioni. Da allora (ma solo dal XVIII secolo?) il prestigio delle qualità del sang-froid nutrì generazioni e romanzi d’avventura fino a Malraux, nutrì le giovani trincee della prima guerra mondiale[21], non senza conseguenze per gli eroi di von Salomon, di Jünger, di Drieu, di Brasillach, di tutta la generazione ammirata del fascismo. La vera scuola delle virtù virili fu sin dall’inizio un campo di Marte; la nuova realtà degli eserciti nazionali costituitisi dopo la Rivoluzione dell’89 fu il vero materiale conduttore della nuova energia:

L’eroismo, la morte e il sacrificio furono associati alla virilità, senza dimenticare il senso della disciplina, tutto ciò aveva spinto i militari ad applaudire per l’introduzione della ginnastica nella scuola. Il nuovo esercito di cittadini della Rivoluzione francese era una scuola di virilità. All’inizio i rivoluzionari avevano contato su dei volontari per la loro difesa, ma, nel 1793, l’Assemblea legislativa decretò il reclutamento di tutti gli uomini capaci di portare le armi. Era un nuovo inizio e la fine di quei mercenari che si battevano per il danaro o per l’avventura. Dei soldati furono coscritti per una nobile causa, e il servizio militare divenne un apprendistato della virilità[22].

Sarebbe quindi ancora una volta impossibile descrivere e comprendere il reducismo prima e lo squadrismo poi senza osservarne la filiazione diretta con gli antecedenti dell’engagement giacobino e rivoluzionario, la rivoluzione operata dall’armée citoyenne. Nobile causa, servizio alla Nazione, reclutamento come selezione dei “capaci e degli abili”, tutto questo creò lentamente l’idea e la pratica sul campo, appresa sin dalla scuola, della realtà bruciante di un apprendistato della virilità.

È d’altra parte legato ai mutamenti della realtà militare quel codice del sacrificio di sé fino alla morte, celebrato poi dal culto dei caduti che avrà largo seguito nei riti di massa del nazismo. Il corpo eletto, carico di tutte le attese rivoluzionarie, davidiane, napoleoniche, attenderebbe solo il momento di dissipare se stesso, di disperdersi nella morte giovane, nella morte degli eroi:

Così, l’eroismo, la morte e il sacrificio per una causa divennero degli attributi della virilità. I rivoluzionari francesi che veneravano “lo stoicismo eroico e la dignità” diventarono dei soggetti di rappresentazione visiva: come il Laocoonte di Winckelmann che aveva già simbolizzato, nella sua sofferenza, la “forza serena”. Jacques Louis David dipinse i suoi eroi; nelle innumerevoli celebrazioni che la Rivoluzione organizzò per onorare i suoi martiri, morte e sacrificio erano inesorabilmente legati. La descrizione fisica delle grandi figure della Rivoluzione contava molto. Un giovane deputato girondino, sul punto di essere ghigliottinato dai giacobini, è descritto da un suo sostenitore come capace di mantenere la testa alta anche in prigione. La sua forza di carattere rende nobile il volto di quest’“uomo virile, giovane e bello”. Alex Potts ha mostrato come il neoclassicismo che ha dominato l’arte rivoluzionaria rese più vigorosa ancora la bellezza maschile nell’impugnare il violento confronto del corpo atletico con la morte – un gusto estetico che apparteneva senza dubbio al nuovo spirito militare[23].

Solo i nuovi Stati-nazione avrebbero potuto celebrare i propri martiri, non più mercenari ma figli di un’entità impersonale e organica, di un corpo mistico trasferito dalle spoglie dei re alle membra vive dei beaux jeunes hommes virils. Il nuovo gusto militare non ignorava le lusinghe e la civetteria dei primi flirt con la morte, il gusto per essa e per una sua estetica. I nudi neoclassici furono subito deposti in tutto il loro vigore al violento confronto con le fosse comuni, in un disperato dandismo con gli altri corpi, cadaveri senza distinzioni.

In questa palestra prese il via l’esercitazione alla guerra per la futura Europa, furono poste le basi per considerare con Joseph de Maistre, già nel 1797, “che i più nobili ideali dell’uomo si realizzano nella guerra, allo stesso modo le nazioni non attingono la loro vera grandezza che dopo un lungo e sanguinoso conflitto”[24].

In che modo la società prodotta dalla Rivoluzione si adeguò e si preparò ai futuri conflitti, in che modo tenne alta la bandiera dei nobili ideali dell’uomo e quali controtendenze dovette affrontare?[25]

Non si deve pertanto perdere di vista una distinzione importante: i costumi della borghesia potevano essere attaccati, e il suo ideale virile nondimeno riaffermato. Il Movimento della gioventù tedesca ne è un perfetto esempio, ché pur ribellandosi contro alcune regole sociali, tuttavia ne sorreggeva l’ideale maschile. Fondato nel 1901, questa organizzazione riuniva dei gruppi di giovani, di ragazzi che percorrevano la campagna senza essere sorvegliati dagli adulti. Essi creavano così il loro proprio folklore, cantando, campeggiando, discutendo, giocando. Molti di questi giovani erano dei patrioti, fieri della loro virilità nascente[26].

Inizia qui per noi la storia di quei movimenti che furono prossimi, se non all’ideologia, al costume che segnò il nonconformismo degli anni totalitari. Movimenti della gioventù[27], a sua volta nata come un fenomeno a sé tra le età umane: nudisti, naturisti, esploratori di quella natura ritrovata intenti a ogni genere di attività ginnica:

Le copertine della rivista Vortrupp di Hermann Popert, legato al Movimento della gioventù, esibivano dei corpi perfetti di uomini svestiti; la nudità giocava qui un grande ruolo, come in Winckelmann, ma con questa differenza: in questo caso l’autorità non procedeva dall’esempio greco ma dalla natura. Verso la fine del secolo la riscoperta del corpo s’inscrisse in un desiderio di vita autentica, opposta agli artifici delle città; si trattava di preservare la natura contro la modernità. I giovani Tedeschi non erano i soli a gettare i loro vestiti alle ortiche, i movimenti nudisti (che fecero allora la loro apparizione) e i partigiani dell’educazione fisica vi scorgevano un modo per rigenerare i corpi. Il sole, la luce, le attività all’aria aperta in paesaggi preservati, si presumeva apportassero salute e vigore. La ginnastica (questa via regale verso la bellezza maschile) proprio per questo non fu trascurata, ma questi gruppi di giovani Tedeschi esaltavano soprattutto l’amore per la natura. La nudità, senza sensualità, non era accettabile che in un paesaggio incontaminato: il corpo dell’uomo o della donna (poco importava, in questo caso) appariva come un bell’oggetto tra gli altri – i prati, i giardini, il mare, un’alba. Da sempre emblema di armonia e di forza, il corpo si circondava ormai di simboli d’autenticità e di eternità[28].

Questi ultimi rilievi indicati da Mosse saranno molto importanti per delineare la qualità non erotica e astratta di bel objet parmi d’autres del nudo fascista, più emblema che dato reale, più Art déco che imposizione realistica di una presenza viva[29]. Ampliando la prospettiva risulta chiara la ripresa in Mosse di tutti i motivi evocati e avocati a sé dall’ispirazione fascista; preservare la natura contro la modernità e al naturale attribuire le virtù del corpo, dell’armonia e della forza, del tentativo hölderliniano e tedesco di riattingere dalla natura la misura della civiltà greca[30] e non già dai modelli imitati della grecità, “come per Winckelmann, con questa differenza: in questo caso l’autorità non procedeva dall’esempio greco ma dalla natura”. La soluzione per offrire la nudità alla contemplazione e al contempo sottrarla a una sua carica di coinvolgimento erotico è presto indicata da Mosse:

La nudità pertanto poneva sempre un problema alla società. Per superarlo bisognava conservare il modello del corpo perfettamente liscio, senza sensualità, alla Winckelmann, il quale, posto in una cornice naturale, diventava ancor meno minaccioso. Astratta, come nella statuaria greca, la nudità non costituiva un pericolo, ma ormai praticata dai gruppi giovanili e dai nudisti, doveva essere maneggiata con precauzione[31].

La precauzione messa in gioco è parte del connubio di presenza, esibizione visiva dei nudi e loro reificazione sublimante e asessuata, tesa a convogliare asceticamente energie in forza trattenuta. Si ricordi l’elogio della castità e della continenza nei Nuba della Riefenstahl, o persino la tradizione germanica primitiva attestata in Tacito, che vedeva i giovani guerrieri allontanarsi anche dopo i vent’anni da ogni rapporto con le donne, per aumentare la propria aggressività e persino la statura.

Nell’officina della nuova virilità, largamente condivisa nella società europea e per nulla peculiare ai soli fascismi, la guerra giocava un ruolo crescente, sempre più attitudinale e importante[32]:

Gli igienisti razzisti, non soltanto tedeschi, difendevano questo genere di tesi. In Francia, Henry de Montherlant affermava che la guerra e lo sport, ferro di lancia del cameratismo maschile, erano antidoti contro la degenerazione. Drieu la Rochelle, scrittore e saggista che aveva fatto la guerra (diventerà poi fascista), pensava che se l’uomo avesse smesso di battersi, tutta la vitalità in lui si sarebbe estinta e ch’egli si sarebbe condannato alla decadenza. Le destre d’Europa, proseguivano la loro lotta contro la degenerazione, consideravano la guerra la restauratrice di un’autentica virilità. E se questa visione fu codificata dal fascismo, essa era largamente condivisa[33].

Il centro d’interesse restava in fondo la restaurazione o anche solo la messa in allarme di uno statuto della virilità autentica in qualche modo sentito sotto minaccia. Un intero problema di civilizzazione sollevato negli anni ’30 si concentrava in maniera apparentemente sorprendente intorno alla ridefinizione o alla conservazione di un dato meramente biologico e insieme di complessa stratificazione culturale, l’immagine dell’uomo[34]:

In una maniera generale, si ebbe il sentimento che un nuovo tipo d’uomo era uscito dalle trincee. Jünger aprì la strada: la guerre aveva creato degli uomini d’acciaio[35], energici, sempre pronti a lottare, il loro corpo rivelava, ben inteso, il loro temperamento: magro, elastico, muscoloso, con dei tratti indimenticabili e degli occhi che avevano visto migliaia di morti. Nel 1917, il pittore tedesco Fritz Erler offrì un’immagine di questo Tedesco d’elezione in un manifesto: un soldato in uniforme da combattimento si staglia su uno sfondo di filo spinato, una maschera a gas sul petto e due granate nella bisaccia; sembra sul punto di andare all’assalto[36]. Il suo viso è annerito dalla polvere del fronte, ma i suoi occhi brillanti attirano la volpe: essi dicono tutte le esperienze che l’ hanno indurito. Per Erler si trattava di un “autentico volto tedesco”. La locandina rendeva popolare un nuovo tipo di soldato da cui i Nazisti tirarono fuori il massimo[37].

D’immagini si tratta quando pensiamo all’immensa capacità di penetrazione della propaganda che creava e sperimentava per la prima volta i propri effetti. La ricchezza d’esperienza della guerra veniva consolidata in queste immagini d’immediato effetto in cui veniva posto all’attenzione il risultato visibile, non mediato e non argomentato della guerra, l’uomo al suo meglio. Strappato al comfort e indurito, scalfito, l’uomo diventò più prezioso, quasi che la guerra fosse solo un mezzo (e così era nelle parole di Marinetti) per la creazione o il recupero di un uomo completo, privato della protezione soffocante della civiltà e insieme fattosi degno di una riconoscibile tradizione europea della battaglia, per lo meno dal Quattrocento allo stupore di Del Dongo:

Il fascismo, in quanto movimento politico, era un prodotto della guerra. Che fosse italiano o nazionalsocialista tedesco si percepiva come l’erede dell’esperienza del 1914. Quelli che avevano sfiorato la morte erano dei veri eroi che conoscevano il senso della parola sacrificio. Quando uno aveva subito la prova del fuoco sapeva mettere ai margini la morte, e giustamente perché pieno di vitalità e di amore per la vita. L’ideologia fascista glorificò la Prima Guerra mondiale: il soldato che si era battuto era sentito come opposto al borghese, che non sapeva né vivere né morire. Ma questo antico combattente idealizzato non era un individualista, egli non era che una cosa sola con il suo squadrone, con il suo popolo. Il cameratismo di guerra fu per tutti i fascismi il paradigma della società e soprattutto dello Stato, ritenuto interamente basato su questo tipo di solidarietà maschile. I nazisti evocavano spesso il Mannerbünde, e i fascisti italiani avevano una concezione simile […]. Il cameratismo virile doveva legare la nazione intera e in particolare le parti, dove uno le supponeva desiderate, mai forzate, come nelle trincee. Per arrivare a questa élite fascista, bisognava essere volontari, cosa che dava una volta di più un ruolo preponderante alla volontà. L’antico combattente che aveva conosciuto la guerra poteva impegnarsi nelle squadriglie fasciste e rappresentare in questo modo il prototipo dell’ideale maschile[38].

Tocchiamo qui un elemento essenziale che fa da collante tra costituzione di una virilità-idolo (nel paradigma della Mannerbünde[39]), paradigma di ogni valore, e la sua finalità ultima che era lo Stato e non già un isolamento individuale. Cameratismo[40], squadrismo, agonismo, tutto alimenta un’esigenza di crescita tra maschi che abbiano necessità di maturare in compagnia di soli uomini[41]. Il recupero di una certa classicità passava anche attraverso la ricostituzione del legame sociale per mezzo di forme di solidarietà maschile conosciute e sperimentate dal mondo antico: “Se la maggior parte dei soldati avevano il sentimento di non fare che il loro dovere (“il servizio”), molti amavano vedere che la loro virilità si arricchiva di una nuova dimensione, la brutale[42], e questo, non tanto sotto il fuoco quanto dopo, pensandoci retrospettivamente”[43].

Le ricadute furono incalcolabili. I condizionamenti sulle abitudini, gli interessi e il repertorio d’immagini della cultura popolare furono enormi; la lunga durata e la portata del fenomeno ancora oggi sono difficili da ponderare e forse ci vedono ancora immersi in sue variazioni. Una rivista britannica ci fornisce i numeri sulla diffusione reale della cultura fisica:

[…] stimava fino a 100.000 il numero dei culturisti inglesi nel 1908 – molto meno che nel resto d’Europa. Le sue pagine erano piene di voli patriottici che chiamavano a prestazioni migliori (gli Inglesi erano mediocri nelle competizioni internazionali di atletismo) e di passaggi lirici sull’uomo “così bello, così forte, così nobile”. La bellezza si piegava ormai verso la forza e i muscoli dimenticando l’armonia delle proporzioni.[44].

La componente nazionalista[45] ha un ruolo decisivo, come abbiamo visto, nell’attribuzione di senso alla virilità come statuto e garanzia dei valori patrii[46]. In base ad essa si stabiliscono le anomalie e le difformità; e tuttavia il potere di un immaginario largamente condiviso permeò anche zone liminari della virilità tradizionale[47]:

Il primo periodico omosessuale tedesco di una certa importanza, Der Eigene (1898-1933), difendeva una virilità militante. Il suo proprietario ed editore, Adolf Brand, si lamentava della mancanza di virilità di una epoca marcata da un’attitudine irrispettosa verso gli uomini forti e i monarchi. Le illustrazioni che accompagnavano i testi rappresentavano gli stessi giovani delle pubblicazioni eterosessuali, con la differenza che qui erano nudi e manifestavano delle attitudini tenere – cosa d’altronde interdetta. Corpi e gesti erano assolutamente conformi all’ideale maschile normativo. Del resto è significativo che un certo numero di collaboratori avesse visto nell’emancipazione delle donne una disastrosa conseguenza di un’età corrotta, democratizzata[48].

Anche in questo caso la sovrapposizione visiva nello stesso codice estetico creava un’ambiguità che i regimi tendevano a negare, tollerandola e implicitamente accettandola come intrinseca alle modalità dell’immagine[49]. Non a caso la Collaborazione ebbe i suoi esiti erotici, da Pompes funèbres[50] di Genet all’ufficiale nazista amato da Jouhandeau; una cultura e un immaginario erano fecondi per aprirsi meno dolorosamente e prontamente all’invasore, come scrive Sartre in La Mort dans l’âme (1949), terzo romanzo del trittico Les Chemins de la liberté, dove mette a nudo le sensazioni del suo eroe all’entrata a Parigi dell’esercito tedesco nel ’40:

(Daniel) non aveva paura, si abbandonava con fiducia a queste migliaia d’occhi, egli pensava: “Noi vincitori!” ed egli era avviluppato nelle delizie. Restituiva loro arditamente lo sguardo, si riempiva di quei capelli biondi, di quei volti pallidi in cui gli occhi sembravano dei laghi di Glacier, stretti in vita, e dalle cosce incredibilmente lunghe e muscolose. Egli mormorò: “Come sono belli!” (…) Qualcosa precipitò dal cielo: era la legge antica. Abbattuta la società dei giusti, oscurata la sentenza; in ritirata gli orrendi piccoli soldati kaki, campioni dei diritti dell’uomo e del cittadino… Un turbamento insopportabile e delizioso risaliva in lui dalle cosce fino alle tempie; egli non vedeva più molto chiaramente, ripeteva un po’ ansimando: “Come nel burro – entrano a Parigi come nel burro.” (…) Avrebbe voluto essere una donna per lanciare loro dei fiori[51].

L’insistenza sulle qualità fisiche degli invasori tedeschi è qui sorprendente e inequivocabile pur nella sua natura di provocazione estrema. “Come sono belli!”, esclama il protagonista, e per questo tutto poteva esser loro permesso; era su base estetica, sulla taglia e la statura che si giocava in estremo paradosso la sconfitta e la mancanza di appeal delle democrazie, in quelle loro divise de “gli orrendi piccoli soldati kaki, campioni dei diritti dell’uomo e del cittadino…”. Fu certo questa una presa d’atto allucinatoria e a posteriori della sconfitta francese nel giugno ’40, e tuttavia non può essere del tutto elusa nella sua poesia intuitiva degli eventi. D’altra parte è da notare che l’incontro e l’attrazione furono reciproci, tra Parigi e Berlino, favoriti da livelli omogenei di pratica e consuetudine con esperimenti e varianti intorno a quella che Mosse definisce “virilità normativa”:

Magnus Hirschfeld, sessuologo tedesco, contava più di venti bar omosessuali a Berlino nel 1904 (nel 1914, ce n’erano trent’otto), e gli Urningsbälle (dei balli che avevano luogo regolarmente e potevano attirare fino a ottocento persone) divennero una delle grandi attrazioni turistiche berlinesi. Quando il popolare autore di teatro Oscar Méténier visitò Berlino nel 1904, trovò una città molto più aperta all’omosessualità di Parigi. La serenità e la naturalezza degli omosessuali che incontrava in questi balli lo meravigliavano[52].

È in questo milieu che Berlino divenne la capitale della decadenza del primo Novecento, è qui che si organizzerà la presa del potere e la nazificazione di una società aperta, all’avanguardia in ogni campo del sapere e abituata a dettare le mode e il colore di quegli anni. In questa capitale:

Ben lontana dall’essere sfidata, la virilità normativa era riaffermata. L’ammirazione per la bellezza classica e i riferimenti alla Grecia antica, legittimando storicamente l’omosessualità, portavano a una forte valorizzazione dello stereotipo maschile in Germania, in Inghilterra e in Francia. […] perpetuando nella modernità l’eredità di Winckelmann. Le immagini di uomini dal corpo levigato, senza peli, dal profilo greco, pubblicate in Der Eigene l’attestano. […] Der Eigene fornisce un buon esempio dell’inutilità di questo tentativo: i Nazisti, adoratori dell’ideale del bello maschile, impedirono a queste immagini l’accesso ai giornali appena presero il potere[53].

La virilità normativa viene quindi riaffermata e lasciata emergere nei travestimenti cui dà vita nei casi in cui questa normatività prevarica e assorbe anche l’elemento femminile. In altri termini, come ora vedremo, anche l’immagine della donna assume tratti, caratteristiche del vestiario e del portamento tipicamente maschili. Questa deriva è sì causata da una “disastrosa […] età corrotta, democratizzata” d’emancipazione femminile, ma è altresì condizionata dal fantasma dominante e ossessivo del maschile, in corpo e figura. Malaparte, di cui Maurizio Serra dirà “che egli sviluppa per le classi medie l’igiene dell’esistenza, concepita come una lotta di ogni giorno, di ogni ora, secondo l’insuperabile modello dannunziano”[54], ci descrive una maestosa metamorfosi del femminile già virilizzato nel maschile tout court in una scena barocca da cabaret berniniano:

Gerda von H* indossava una lunga tunica celeste, che le ricadeva sui piedi nudi in morbide pieghe, simili alle scalanature di una colonna dorica. Aveva i capelli biondi rialzati sulle tempie, e raccolti al sommo del capo, come Nausicaa all’uscir dal mare. […] Gerda von H* era rimasta fedele all’ideale di bellezza classica che era in voga in Germania intorno al 1930: era stata allieva di Curtius a Bonn, aveva per qualche tempo frequentato il piccolo mondo di intellettuali e di esteti iniziati al culto di Stephan George, e pareva muoversi e respirare in quel paesaggio convenzionale della poesia di Stephan George, dove le architetture neoclassiche di Winckelmann e gli scenari del Secondo Faust fanno da sfondo alle spettrali Muse di Hölderlin e di Rainer Maria Rilke[55].

Inizia così, dallo sfondo, il ritratto di una spia del Reich. Prima di percorrerne le arcate del corpo ne vengono indicate le ascendenze di gusto neoclassico, le ispirazioni per le dorature e i retroterra culturali. Secondo una maniera tipicamente malapartiana si prosegue con una una teoria di nomi, scelti per la capacità di suggestione ancor prima che per la precisione del contesto e dei referenti più adatti. Il nome di George conferisce alla scena un’intercessione ieratica, come un’ipotesi di smaterializzazione dei corpi che entreranno in scena, presto smentita dal rilievo dei volumi, dalla tornitura verbale che si occupa di singole parti anatomiche:

Erano vestite da sera, per l’ampia scollatura appariva la spalla dorata dal sole, tonda, liscia, color del miele. Avevano le caviglie un po’ grosse, come hanno le ragazze tedesche, ma la gamba era ben modellata, agile e lunga, dal ginocchio un po’ sporgente e magro. Quella tra loro che appariva più ardita, e sembrava Diana fra le Ninfe cacciatrici, disse che avevano passato la giornata in barca sul Wannsee, e che erano ancora ubbriache di sole. Rideva, gettando la testa all’indietro, e quel gesto scopriva la gola asciutta, il petto ampio e muscoloso di Amazzone[56].

Nessun rilievo più netto e inequivocabile del collo inarcato e teso, e del petto muscoloso, aperto, può stampare nei nostri occhi la nitida qualità scultorea e virile di queste donne, i loro antecedenti mitologici che esse incarnano in un interno borghese d’ambasciata. Le loro stesse abitudini, le gita in barca, l’aria aperta, la spalla levigata dal sole sono altrettanti attributi moderni e in questo senso orientati al nuovo costume voluto dal regime[57]. In che modo questo ritratto asciutto può virare ancor più clamorosamente verso il maschile, quale potrebbe esserne la causa, il motivo scatenante? Le quattro donne mutano atteggiamento con i due diplomatici italiani al termine di una cena privata, dopo aver appreso per radio la notizia dell’arresto di Mussolini per ordine di Sua Maestà il Re:

I gesti, gli atteggiamenti, il sorriso, la voce, lo sguardo di quelle ragazze a poco a poco subirono una meravigliosa metamorfosi: gli occhi azzurri si oscurarono, il sorriso si spense sulle labbra divenute improvvisamente pallide e taglienti, la voce si fece profonda e aspra, i gesti, poco innanzi languidi, si ruppero, le braccia, poco prima carnose e morbide, s’indurirono, divennero legnose, come avviene di un ramo d’albero stroncato dal vento, che, inaridendosi a poco a poco la sua linfa vitale, perde il suo verde bagliore, la lucentezza della scorza, quella tenerezza della natura arborea, e divien duro e aspro. Ma quel che nel ramo d’albero si compie a poco a poco, in quelle ragazze avvenne ad un tratto. Lanza e il suo compagno stavano di fronte a quelle giovani donne con lo stesso sbalordito spavento di Apollo davanti a Dafne, da giovinetta trasformantesi in alloro. Quelle ragazze così bionde e soavi mutarono in pochi istanti in uomini. Erano uomini. […] “Jawohl, mein Hauptmann” risposero i quattro ufficiali di aviazione sbattendo forte i tacchi. Il capitano e i suoi compagni s’inchinarono in silenzio davanti a Gerda von H*, e senza degnar di uno sguardo i due stupefatti italiani, se ne andarono in gran fretta con passo virile, facendo risuonare i tacchi sul pavimento[58].

Quei tacchi sono già entrati in una dimensione olografica[59] e stilizzata di rendere secondo un’estetica che era già maniera il retaggio decadente ma virile, castrante e disciplinato, di cui quelle donne sono un’estrema propaggine e un’ultima testimonianza della capacità attrattiva del progetto nazista. Di fatto solo qualche istante prima non era mancata loro la sensualità:

“Balli con la mia amica” disse Gerda spingendo Lanza nelle braccia di quella che pareva Diana, e traendo a sé per la mano, con grazia innocente, il collega di Lanza. Le altre quattro ragazze avevano fatto coppia tra loro, e ballavano languidamente, premendo forte l’una contro l’altra il petto e le anche. La compagna di Lanza si stringeva a lui e sorridendo lo fissava negli occhi, con un frequente batter di ciglia. Lanza sentiva contro il proprio petto il pulsare di quel petto vigoroso, l’ondeggiar di quei fianchi contro i suoi fianchi, quel ventre fermo contro il suo ventre […][60].

La colonna dorica si muove e produce un’impressione di vigore, di compatto ondeggiare, di fermezza persino nel ventre femminile, talmente fermo da produrre coppie omoerotiche e autosufficienti o quanto meno inclini a diventarlo.


[1] “Les nazis utilisaient sans cesse ce corps d’homme idéalisé sur les édifices publics. Ainsi, deux nus d’Arno Brecker accueillaient les visiteurs à la nouvelle chancellerie du Reich. Ce symbole nazi est, bien sûr, d’inspiration grecque: l’aryen était compare au type grec, emblème de la santé physique et mentale. Selon les théoriciens racists, les aryens, lors de leur migration depuis l’Inde jusqu’au nord de l’Europe, s’étaient arrêtes en Grèce et avaient emporté avec eux le meilleur de sa civilisation” (George Lachmann Mosse, L’image de l’homme. L’invention de la virilité moderne, Paris, Éditions Abbeville, 1997, pp. 193-194).

[2] “[…] le nombreux nus ou projets de nus guerriers dessinés et sculptés par un des artistes favoris du régime, Arno Breker. L’un d’entre eux, intitulé La Garde (Der Wächter), exprime particulièrement bien le canon viril nazi. Ce nu est syncrétique: le visage du guerrier possède des caractères physiques considérés comme nordiques par la raciologie de l’époque (chevaux raides et abondants, nez droit, pommettes hautes et mâchoire carrée); son drapé fait référence à la statuaire grecque, de même que son bouclier rond (hoplon), apanage du fantassin hellène, l’hoplite; son glaive, cependant, est romain. Ainsi un seul bas-relief parvient-il à résumer toute une philosophie de l’histoire: la virilité nazie est un archétype anhistorique qui mêle les vertus de l’hellénité classique, de la romanité antique et de la germanité contemporaine, le grec, le romain et l’allemand participant de la même race. Un autre élément de ce bas-relief interroge le spectateur: la musculature du guerrier représenté est abondante, voire hypertrophiée. On est, avec Breker, bien loin de l’éphébie parfois gracile d’une virilité grecque volontiers fine et souple. Tout, ici, indique une massivité compacte et rigide. L’historien de l’art Daniel Wildmann observe que s’opère, dans les années 1920, une mutation de la répresentation du nu masculin dans la photographie: le corps adolescent recule au profit d’une virilité adulte et musclée, sans doute par réaction à la fragilité manifeste du corps masculin révélée par la Grande Guerre. Les sculptures d’Arno Breker se situent au terme de cette évolution: la sévérité du regard, la contraction des mâchoires et la proéminence des muscles expriment une force sans ambiguïté, une virilité incontestable. Cette muscolature semble par ailleurs tout droit issue d’une planche d’anatomie. Son dessin physiologiquement parfait, sa symétrie impeccabile ne donnent à voir aucun élément d’individualisation: ni relief épidermique, ni cicatrice, ni pilosité, ni sueur. Le bas-relief de Breker montre non un sujet identifiable, mais un type holistique. L’acquisition d’une musculature ne doit pas se faire pour la défense et l’illustration d’un individu narcissique, elle est un devoir de protection de la race. Plus qu’une musculature n’appartenant qu’à un seul, Breker dessine une armure propre à tous” (Alain Corbin, Jean Jacques Courtine, Georges Vigarello, Histoire de la virilité, cit., p. 289). Sulle vicende legate all’ambasciata sovietica si legge in Mosse: “Bien après la chute du régime, Arno Breker, le sculpteur quasi official du IIIe Reich continua à faire l’éloge de la jeunesse ‘révolutionnaire’ de cette époque qui avait déchiré l’épaisse couche de honte enveloppant les corps et dévoilé l’état original et paradisiaque de l’homme. La Grèce avait déifié l’human et humanisé le divin. Presque quarante ans après la fin d’Hitler, Breker déclara qu’il n’avait pas voulu glorifier la puissance nazie, mais exalter la beauté du corps. Il n’empêche que c’en était une puissante expression, qui donnait le portrait d’un homme (pour reprendre ses mots) ‘préservé du nervosisme hectique de l’époque’. Le nu rappelait donc l’existence d’un monde sain, antérieur à la corruption de la modernité. Il était souvent armé d’un glaive ou situé en pleine nature. Breker travallait à partir de modèles vivants, et son préféré fut, évidemment, un athlète, champion de decathlon. Ce Gustav Stührk était l’exemple vivant du nouvel Allemand. Du reste, le réalisme de Breker donnait à voir, dans le modèle aryen, non seulement un idéal, mais une realité: la sculpture seule peut exprimer une veritable identité, déclara un admirateur de Breker. Les sculptures et les reliefs de Breker jouèrent un grand rôle dans l’image que le IIIe Reich voulut donner de lui, symbolisant la volonté héroïque et la disposition au sacrifice du people. Deux d’entre elles (des nus figurant le Parti et l’Armée) comptaient, pour Hitler, parmi les plus grandes creations artistiques de l’Allemagne. Elle dégagent une impression de force imperturbable: bras tendus, jambs écartées, elles sont en alterte, vigilantes, mais n’ont pas les gestes violents ou menaçants que l’on retrouve dans d’autres œuvres de Breker. Beaucoup d’entre elles étaient destinées à orner les edifices monumentaux projetés pour la reconstruction de Berlin après la guerre mondiale, prevue supplémentaire, s’il en fallait, que le nu masculine était bien devenu le symbole de la force et de la beauté du IIIe Reich. […] L’Allemagne n’était pas seule à entretenir cette mythologie. Pendant l’occupation allemande, le vernissage de 1942, fut un événement important accompagné d’un grande battage pubblicitaire. Huit mille visiteurs français vinrent se mêler aux Allemands en uniforme. Le ministre de l’Éducation de la France de Vichy, Abel Bonnard, admirait ces sculptures, ainsi que l’écrivain Jean Cocteau, (qui voyait en son amant Jean Marais une œuvre de Breker). Le sculpteur était apprécié des intellectuels parisiens. Deux de ses nus trônerent même devant un campement soviétique en Allemagne jusqu’à l’effondrement de l’U.R.S.S.” (George Lachmann Mosse, L’image de l’homme. L’invention de la virilité moderne, cit., pp. 195-197).

[3] “Depuis le début, la culture du corps a été présente dans la formation de la virilité moderne, mais elle atteignit alors son apogée. Le nu, reflet de la beauté classique grecque, devint un important symbole du national-socialisme et, à un moindre degré, du fascisme italien. Le Forum Mussolini à Rome, le grand stade construit entre 1932 et 1937, était ceint de sculptures d’athlètes nus (hommes et femmes) offertes par les provinces italiennes. C’étaient des figures classiques illustrant la remarquable continuité de cette inspiration, bien que les deux sexes fussent représentés. […] En tout cas, si la nudité virile, parfaitement dessinée, fut un symbole fasciste, celle de la femme était rare: un minimum de vêtements s’imposait” (ivi, p. 184).

[4] “Dans le couple homme-femme, si la femme est relative, l’homme est indubitablement un absolu: source de toute valeur morale, il incarne l’essence du phénomène fasciste. […] Définir la virilité, c’est donc d’abord exclure les antithèses supposte et posées de l’être masculin – l’homme devant être suffisamment entier et ferme pour savoir lui-même exclure: exclure le féminin et l’allogène” (A. Corbin, J-J. Courtine, G. Vigarello, Histoire de la virilité, Paris, Seuil, 2011, p. 278).

[5] “Mais le stereotype fut aussi nécessaire à l’existence de la nation: la virilité moderne et les consciences nationales ont grandi ensemble, non seulement parce que l’idéal de l’homme prit, à certaines époques, l’apparence du soldat, mais aussi parce qui’il devint un symbole incarnant de manière vivante le concept abstrait de nation” (George Lachmann Mosse, L’image de l’homme. L’invention de la virilité moderne, cit., p. 219).

[6] Ivi, p. 12. La traduzione italiana dei passi citati nel corpo del testo è di chi scrive, basandomi sulle edizioni di volta in volta citate per i singoli brani.

[7] “Les anthropologues du XVIIIe siècle avaient recours à des critères esthétiques pour établir les differences entre les Blancs et les peoples primitifs, et ils affectionnaient les mèthods dites scientifiques de la craniologie et des mensurations facials pour exalter le ‘physiquement beau’ en tant qu’attribut de l’‘espèce supérieure’ européenne. Dans les années 1790 (à une époque très éprise de classification), un anthropologue influent qui cherchait à établir des distinctions entre les races, Peter Camper, utilisa l’idéal de beauté de Winckelmann comme critère. D’autres anthropologues et physiognomistes prirent la relève. Les norms du beau s’enchâssaient désormais autant dans l’ésthétique que dans les sciences de l’homme” (ivi, p. 71). Per logica consequenzialità leggiamo in un discorso di Wilhelm von Humboldt su Goethe e Winckelmann dell’ideale di un “corps d’homme qui […] symbolise notre foi dans le corps humain en général” (ivi, p. 80).

[8] Ivi, pp. 49-50.

[9] Ivi, p. 50.

[10] “Qui s’étonnerait alors de lire dans une encyclopédie de 1788 que celui qui neglige sa santé offense la société dans laquelle il vit?” (ivi, p. 75).

[11] “La maîtrise des passions, la tempérance, la pureté sexuelle et morale, étaient des exigences du protestantisme bien avant que Winckelmann ne les personnifie par ses jeunes païens grecs”, scrive Mosse in L’image de l’homme (p. 58).

[12] Ivi, p. 53.

[13] “Virilité formelle pourtant. Il faut s’attarder à ces contours toujours répétés, ces gymnastes uniformément alignés dans Les Dieux du stade de Leni Riefenstahl, ces marbre grandis et galbés dans la statuaire d’Arno Breker: enveloppes impassibles, visages figés, ils transposent l’esthétique en référence théorique, réduisant à de simples signes abstraits les corps grecs dont ils sont censés s’inspirer. Le regard s’est absenté, l’allure a été ‘idéologisée’: érotisation et personnalisation sont refusées. La fusion dans le collectif a effacé l’individuel et le singulier. Le versant masculin domine aussi, massivement: profil mêlant le ferme et l’élancé. C’est bien l’‘homme nouveau’ et non la ‘femme nouvelle’ d’ailleurs que promettent ces entreprises d’enrôlement: une force musculaire précise au service du ‘tout’. La femme n’y est pas ignorée, mais promue en épouse et mère, ‘musclée’ et éduquée en agent de démographie. D’où ces corps féminins dont la fermeté renoue avec les plus classiques des formes ‘maternelles’: ‘poitrine pleine, hanches larges, épaules petites’” (Alain Corbin, Jean-Jacques Courtine, Georges Vigarello, Histoire de la virilité, cit., p. 236).

[14] Asessuali o quanto meno unisex, stando anche al giudizio della Sontag secondo il quale i movimenti di destra tendono a formulare sogni asessuati dell’immaginario, un essere unisex, che parrebbe confermato da dati simili riportati da Mosse: “En Angleterre, l’article de Charles KainJackson, “La nouvelle chevalerie”, publié en 1894, nous donne un exemple de la veneration portée à une beauté qui trascende les sexes: ‘Déjà, les plus spirituels des homes britanniques recherchent d’abord la beauté’. Homme ou femme, peu importe, puisque la beauté fonde toute relation intime” (George Lachmann Mosse, L’image de l’homme. L’invention de la virilité moderne, cit., p. 108).

[15] “Assistant à un défilé de la jeunesse italienne dans le Forum Mussolini, un Allemand eut une réaction caractéristique: il déclara que le vœu le plus cher de ces jeunes était de ressembler, mentalement et physiquement, aux statues des athlètes grecs disposte autour du stade. Mais, contrairement aux Allemands, les Italiens, quand ils parlaient de sport et de gymnastique, n’insistaient pas constamment sur la beauté. Certes, Mussolini déplorait que les Italiens marchent comme des estropiés et souhaitait qu’ils apprennent à se tenir droit, mais il ne manifesta jamais l’enthousiasme débridé pour la beauté virile d’Hitler, qui vanta, dans Mein Kampf, l’immortalité de l’idéal grec, alliant la beauté physique la plus glorieuse à un esprit brilliant et à une âme noble” (ivi, p. 185).

[16] “Cette force nouvelle, voulue ‘réactive’, résistante, possède territoire et frontières. Elle est ‘virile’, sans doute, mais non directement ‘sexuelle’. Le ‘surmâle’ d’Alfred Jarry n’est autre ici qu’une subtile fiction littéraire. La convergence entre la montée des muscles d’athlète et celle des plaisirs d’‘amant absolu’, leur association jusqu’à la mort du surmâle, ‘tordu dans le fer de sa machine’, par excès de désir ou d’infini sexuel, sont étrangères aux très prudentes affirmations des ‘dogmes’ sportifs du temps. L’athlète est d’abord un être de stade. Rares, même, sont les évocations d’exploits réalisés pour séduire l’autre sexe” (Alain Corbin, Jean-Jacques Courtine, Georges Vigarello, Histoire de la virilité, cit., p. 234).

[17] George Lachmann Mosse, L’image de l’homme. L’invention de la virilité moderne, cit., pp. 53-54.

[18] “Le Parti national-socialiste mobilisa toute son énergie pour se donner des allures respectables. Le nudisme et la pornographie furent interdits peu après son accession au pouvoir, comme, du reste, tous matériaux imprimés (images, titres, articles) avec des connotations érotiques” (ivi, p. 198).

[19] “Les images viriles restent prégnantes dans notre culture. En 1993, un écrivain décrivait encore l’angoisse des hommes sur leur virilité comme ‘la malediction de leur sexe’. Il est vrai qu’il n’y a plus d’indications concretes pour mener sur la voie de la virilité, ni d’épreuves pour l’attester. Dans le passé, certaines critères avaient été fixes, et divers tests permettaient de prouver que l’on était un vrai homme: le duel, la bravoure à la guerre, et, plus généralment, des conduits montrant que l’on était doté d’une grande volonté et d’une ‘force sereine’. L’aspect physique, le comportament, prouvaient que l’on était un homme. Nous l’avons vu, c’est la correspondence entre la beauté extérieure et la valeur morale qui fonde le stéréotype. Aujourd’hui, les contours sont moins nets, mais nullement effacés. Le récent engouement pour la musculation et le ‘bodybuilding’, en cette fin du XXe siècle, n’est généralement pas motivé par le désir de passer une épreuve de virilité en se façonnant un corps conforme aux normes – facteur qui avait été determinant pour la gymnastique un siècle plus tôt” (ivi, p. 219).

[20] Ivi, p. 19.

[21] “Les garçons trop jeunes pour se battre lisaient des récits de guerre et feuilletaient des livres illustrés (nettoyés de toute horreur) en regrettant de n’avoir pas participe à cette merveilleuse epopée virile” (ivi, p. 133).

[22] Ivi, p. 61.

[23] Ivi, p. 62.

[24] Ivi, p. 64.

[25] “C’est avec l’évocation d’anciennes victoires militaires françaises d’ailleurs que s’ouvre la Morale des sports de Paul Adam en 1907: ‘Cent ans après la période qu’illustrèrent les efforts de nos aïeux sur les champs d’Austerlitz et d’Iéna, veuillons aider à la résurrection des ces héroïsmes dans les âmes et dans les corps de la jeunesse latine’” (Alain Corbin, Jean-Jacques Courtine, Georges Vigarello, Histoire de la virilité, cit., p. 232).

[26] George Lachmann Mosse, L’image de l’homme. L’invention de la virilité moderne, cit., p. 110.

[27] “Le Mouvement de la jeunesse allemande avait pratiquement voué un culte au corps d’acier, bien dessiné, et le livre très populaire de Walter Flex, Der Wanderer zwischen beiden Welten (‘Le vagabond entre deux monde’, 1917), avait immédiatement popularise son héros, ancient membre du Mouvement, dans l’éclatante nudité de sa jeunesse. Sur les monuments aux morts, les nus de soldats étaient très courants, en Allemagne comme en Italie” (ivi, p. 194).

[28] Ivi, p. 111.

[29] “L’auteur d’un manuel quasi official, Gymnastik der Deutchen, Körpers Schönheit und Schlung (‘Gymnastique allemande, beauté physique et entraînement’, 1938), Hans Süren, souhaitait une nudité presque totale dans les exercises sportifs et les courses à pied dans la nature. Mais cela exigeait une soigneuse preparation. On ne pouvait exposer aux regards qu’une peau lisse, sans poils, bronzé, dépourvue par consequent de toute caractéristique individuelle, de toute charge sexuelle. Ainsi épuré et halé, le corps devint un symbole abstrait de la beauté aryenne incarnée par les athlètes de Leni Riefenstahl dans son film sur les jeux Olympiques de 1936”. E ancora: “Les sculptures d’athlètes ‘de la race nordique accomplissent l’idéal de beauté antique avec une force vive qui trascende l’individu et symbolise […] un people puissant’, écrivit un critique d’art nazi. On pouvait les vénérer, mais ni les desirer ni les aimer” (ivi, p. 195).

[30] “Prononçant un discours lors de la réception, à Munich, d’une copie du Discobole de Myron, Hitler déclare ainsi à ses auditeurs: ‘Pussiez-vous y trouver un étalon de mesure pour les tâches et les réalisations de notre temps. Puissiez-vous tous tendre vers le beau et le sublime, pour que notre peuple et notre art soutiennent également le regard critique des millénaires […]. Puissiez-vous tous, vous qui visitez cette Maison, ne pas manquer de vous rendre à la Glyptothèque pour voir à quel point l’homme, jadis, était beau, combien il avait un beau corps. Nous ne pouvons parler de progrès que si nous parvenons à égaler cette beauté’” (Alain Corbin, Jean-Jacques Courtine, Georges Vigarello, Histoire de la virilité, cit., p. 288).

[31] George Lachmann Mosse, L’image de l’homme. L’invention de la virilité moderne, cit., p. 111.

[32] “L’homme nouveau de Mussolini devait vivre dans un état de guerre permanent. Le port constant de l’uniforme, les défilés, l’exercice et la bonne forme physique, en un mot la virilité, étaient nécessaires pour lutter contre l’ennemi. Celui-ci (du moins jusqu’à la guerre d’Éthiopie en 1935 et aux lois ratiale de 1938), ne s’incarnait pas dans une minorité (les Juifs) ni dans une puissance étrangère, mais était figuré dans la menace de dégénérescence qui sapait le pays de l’intérieur. Toutes les vertus viriles de discipline, d’action, de camaraderie, furent élevées au rang de suprêmes valeurs morales. Achille Starace, secrétaire general du Parti fasciste entre 1931 et 1938 organisa des croisades de pureté qui en appelaient à plus d’austérité et de rigueur. Le fasciste était un être exemplaire, en lutte contre la dégénérescence, incarnant la pureté masculine” (George Lachmann Mosse, L’image de l’homme. L’invention de la virilité moderne, cit., p. 183.

[33] Ivi, p. 131.

[34] “De la part des nazis, cette décision de faire du nu masculine un symbole d’une telle importance politique était habile, car l’idéal de l’homme reflétait depuis longtemps l’aspiration au dynamisme et à l’ordre de la société moderne, et constituait pour pas mal de gens (nous l’avons dit au début de ce livre) une sorte de substitute de la religion établie. Avec ses échos de beauté classique, il était apte à assumer une function representative, et continuait à projeter la même image totalisante que les jeunes athlètes de Winckelmann” (ivi, p. 194).

[35] “Ce traumatisme de l’insignifiance a sans doute catalysé la célébration vitaliste du corps masculin après la guerre: pour conjurer son impuissance constatée, on a exalté sa puissance sportive, sexuelle et guerrière; pour exorciser les images de mort, on a célébré une vie qui, par le recours aux références historiques, semlait pérenne; pour faire oublier la laideur du blessé et du cadavre, on a célébré la beauté tautologique de l’homme aryen ou italien. On a volontiers vu dans le fascisme et le nazisme des réponses anxieuses à des phénomènes d’une modernité menaçante: du point de vue de la virilité, on assiste sans doute là à la réponse angoissée d’une virilité obsidionale, menacée non seulement par l’émancipation des femme set autres mutations culturelles issues du XIXe siècle, mais uassi par des phénomènes techniques – révélés par la Grande Guerre – qui le dépassent et le détruisent jusqu’à l’anéantir. La guerre a révélé toute l faiblesse de la chair face à l’acier. Le phénomène n’est certes pas nouveau mais, démocratisé par la conscription et les mobilisations généraes, il est d’une ampleur inédite. Fascisme et nazisme promettent de conjurer la faiblesse de la chair en endurcissant les corps: la prégnance obsessionnelle de la métaphore de l’acier ne peut guère se comprendre autrement. Quand Hitler commande de ‘durcir’ le corps par la pratique du sport, de la rendre ‘semblable à l’acier’ (stählern), il parle en ancien combattant qui a vécu le traumatisme de la vulnérabilité et de la péremption de la chair, et sur lequel il s’agit de remporter une revanche symbolique: l’homme, qui s’est révélé faible et déliquescent face au métal de la machine de mort, doit se rendre semblable à cette machine elle-même” (Alain Corbin, Jean-Jacques Courtine, Georges Vigarello, Histoire de la virilité, cit., p. 287).

[36] Da considerare nondimeno l’apporto degli Arditi italiani all’immaginario dei corpi franchi, dei Fasci di Combattimento, di tutto il movimentismo armato del primo dopoguerra: “Aristocrazia, dunque, di carattere, di muscoli, di fede, di coraggio, di sangue, di cervello” o ancora: “Io li vidi dunque per la prima volta una notte del settembre 1917, sul San Gabriele. Fiamme al bavero, giubba aperta, maglione col teschio, tascone pieno di petardi, un pugnaletto affilato, un piccolo corpo muscoloso di belva, due occhi neri e decisi, poche parole” (Mario Carli, Arditismo, Milano, Ritter, 2011, p. 14 e p. 25).

[37] George Lachmann Mosse, L’image de l’homme. L’invention de la virilité moderne, cit., p. 134.

[38] George Lachmann Mosse, L’image de l’homme. L’invention de la virilité moderne, cit., p. 183.

[39] “Dans le long commentaire qu’il fait de la littérature des corps francs, Klaus Theweleit remarque que les femmes ne sont quasiment jamais évoquées. Les anciens combattants de ces troupes ne mentionnent que leurs camarades de combat. […] Les combattants des corps francs sont des durs, et l’anonymation performative des femmes de leur vie contribue à purifier leur identité de toute ambiguïté: le féminin ne participe pas de leur monde, et l’exclusion prend ici la forme du refoulement, ou du déni. Volontiers sémiologue, voire psychanalyste, Theweleit note également, au-delà de la simple occultation, un véritable dégoût des auteurs issus des corps francs pour l’élément feminin. Ils se montrent effrayés et écœurés devant le flux et le flot: l’homme est le pôle de la rétention contre l’écoulement, de la constance contre la pusillanimité, de la substance contre la désintégration. Inspiré par Theweleit, Jonathan Littel a noté, chez le nazi belge Léon Degrelle, la même obsession de l’antithèse entre Le Sec et l’Humide, titre de son ouvrage sur le fondateur du parti rexiste, puis officier de la WaffenSS: le sec, le dur, c’est l’homme. L’humide, c’est le féminin (faiblesse et écoulement menstruel), le fuyant, le traître, le marais (républicain de Weimar) et la marée (bolchevique, rouge). Les oppositions ont le mérite d’être claires et de permettre la construction d’une virilité méliorative: l’homme est l’instance de stabilité dans un monde d’écoulement et de passage. Stable, il est fiable: il ne change pas de camp ou d’avis, il ne varie ni ne trahit. La virilité demeure et maintient, de même que, au combat, elle tient le positions” (Alain Corbin, Jean-Jacques Courtine, Georges Vigarello, Histoire de la virilité, cit., pp. 278-279).

[40] “Un éducateur nazi écrivit que le sport, grâce à la camaraderie, permettait d’aborder la vie joyeusement. Ce n’est pas un détail: on se souvient que l’idéal de la camaraderie masculine fonde l’État national-socialiste. Revenons à l’Italie, où le langage du corps (dans son ensemble et pas seulement réduit au renard et à l’attitude générale) compte beaucoup. Il construit une expressivité commune aux pays du Sud, que l’on ne retrouve pas dans l’Europe du Nord protestante. Le langage corporel de Mussolini produisait une théâtralité fort différente de celle d’Adolf Hitler, qui l’aurait jugée déplacée, voire efféminée. Les nazis, quand ils défilaient ou s’assemblaient, avaient évidemment leur langage physique propre, plus rapide et plus discipliné. Le Duce, lui, haranguait les foules en mettant en scène un corps plus souple, plus malleable (son fameux coup de menton destine à demontrer sa force de decision, par exemple)” (ivi, p. 185).

[41] “Les SS, les sections spéciales, auraient pu metre en danger la virilité normative. Cette organisation aux members soigneusement choisis (‘de purs aryens’) défendait, comme son chef Heinrich Himmler, l’idée d’un État cementé par la camaraderie: ‘Pendant des siècles, des millénaires en vérité, les Allemands ont été dirigés comme un Männerstaat’. Mais ces liens masculins suscitaient la peur de l’homoérotisme, voire de l’homosexualité. Himmler insista sur la difference entre l’amitié virile, encouragé chez les SS, et l’amitié chargé d’érotisme. De rigoureux châtiments devaient être infligés aux SS qui se touchaient (même entièrement vêtus); un SS accusé d’homosexualité était passible d’exécution. En fait, cela ne produisait pas: les hommes suspectés étaient chasses ou mis à la retraite. Himmler évoqua l’époque où les anciens Germains noyaient les homosexuels dans les marais, rendant ainsi à la nature ses propres erreurs” (ivi, p. 198).

[42] “D’autres nationalistes italiens, à l’orée du XXe siècle, jouèrent aussi avec l’idée d’un homme nouveau. Giovanni Papini, célèbre écrivain, illustra l’importance de cet idéal en intitulant une série d’essais Maschilità (1915), c’est-à-dire masculinité. Nietzsche y est érigé en modèle (comme dans le Sexe et caractère d’Otto Weininger déjà mentionné), car il distingue (dit Papini en le paraphrasant) les hommes vigoreux, énergiques, durs et fiers, des femmes, faibles, molles, douces et larmoyantes. Les ‘vrais hommes’, dans un style nietzschéen, qui exhorte à rompre avec l’ordre établi pour réinventer la vraie Italie. Il faut affronter la vie sereinement, sans romantisme, mais avoir aussi le courage d’être brutal, bestial, barbare” (ivi, p. 181).

[43] Ivi, pp. 128-129.

[44] Ivi, p. 157.

[45] “La virilité se définit alors comme intensément nationaliste, pleine de foi dans la grandeur et le destin de l’Italie, empreinté d’une ferveur révolutionnaire. On croyait dans la régénération par la violence, un thème qui, selon Renzo de Felice, seyait au tempérament de Mussolini” (ivi, p. 182).

[46] Ci fa notare Malaparte che “[g]li organi genitali hanno sempre avuto una grande importanza nella vita dei popoli latini, e specialmente nella vita del popolo italiano, nella storia d’Italia. La vera bandiera italiana non è il tricolore, ma il sesso, il sesso maschile. Il patriottismo del popolo italiano è tutto lì, nel pube. L’onore, la morale, la religione cattolica, il culto della famiglia, tutto è lì, fra le gambe, tutto è lì, nel sesso: che in Italia è bellissimo, degno delle nostre antiche e gloriose tradizioni di civiltà” (Curzio Malaparte, La Pelle, cit., p. 65).

[47] “L’idéal du beau masculine avait captivé l’imaginaire des homosexuels comme celui de la société en general. Nous avons mentionné cette persistence dans un precedent chapitre, en prenant pour exemple les histories d’amour homosexuelles écrites entre 1924 et 1979, dans lesquelles les ‘beaux jeunes hommes’ sont invariablement souples, muscles, blonds, avec des visages aux traits fermes, comme taillés dans la Pierre (portrait qui rappelled le soldat d’Ernes Jünger). Descriptions et photos y sont parfaitement conformes aux statues grecques de Winckelmann: les modèles ont des corps sans poils, lisses. Il n’y avait plus de diffèrence entre la norme et son envers. Nous l’avons vu, ce phénomène d’assimilation du stéréotype par ceux qui en étaient exclus (et defines en contretypes) ne caractérisait pas les seuls homosexuels. Les Juifs aussi avaient interiorise l’idéal, comme le montrent les plaidoyers de Max Nordau pour un ‘judaïsme musclé’” (George Lachmann Mosse, L’image de l’homme. L’invention de la virilité moderne, cit., p. 217).

[48] Ivi, p. 172.

[49] “En outre, cette insistence sur le corps de l’homme et la camaraderie masculine ne risquait-elle pas de se retourner comme un gant et d’encourager l’homosexualité, de transformer ces homes vigoureux en creatures efféminées, bref de renverser le stéréotype en contretype? Ces questions sont importantes, d’abord parce que les nazis ne manquèrent pas de se les poser, ensuite parce qu’elles permettent d’approfondir notre compréhension des problèmes lies à la virilité en tant que force politique” (ivi, p. 194).

[50] “Trente secondes après lui, Erik, trop mal à son aise sur la chaise, toujours silencieux, venait se coucher à côté de Riton. Erik tombait de sommeil. En se baissant pour s’allonger à la droite du gosse qu’il venait d’enjamber, le cuir de son ceinturon neuf crissa légèrement. – Il est souple, pensa Riton, ignorant lui-même s’il pensait ce mot à propos du cuir ou du torse de l’athlète. Évoquant la force musculaire, la puissance de reins solides et nerveux, un jeu parfait des articulations, ce craquement le rassura et tout à la fois le troubla. Erik s’étendit, tourné légèrement du côté droit, parce que son revolver dans l’étui, était à gauche et l’eût gêné, mais il garda les jambes parallèle set droites. Il était déchaussé. Son bras droit se trouva emprisonné, écrasé par son corps sur le sol et sa main gauche, dans son demi-sommeil, prit connaissance de sa force en caressant son cou terrible dont elle fit le tour, comme pour le polir, mais en ayant soin de savoir ce qu’elle faisait, gardant toujours présente à elle-même, sous sa paume, la puissance de ce cou musculeux, se complaisant à la nuque, elle caressa son visage durci et adouci par sa barbe blonde, pui elle revint se poser sur sa poitrine où elle resta, étendue à plat, l’extrémité de quelques doigts passés dans l’échancrure de la veste et de la chemise touchant sa peau et ses poils dorés” (Jean Genet, Pompes funèbres, Paris, Gallimard, 2009, p. 173).

[51] Susan Sontag, Sous le signe de Saturne, cit., p. 110, nota 5.

[52] George Lachmann Mosse, L’image de l’homme. L’invention de la virilité moderne, cit., p. 105.

[53] Ivi, pp. 172-173.

[54] “Affirmer que Malaparte était obsédé par son apparence n’est qu’une evidence banale, donc moins que vraie, un chemin qui ne mène qu’au cimetière des lieux communs. Sa toilette n’est pas une messe dont il serait l’officiant stérile comme lord Brummell. Il rejette les langueurs et les poses de l’esthète, en produit volitif, positif, assertif de la modernité. […] Car il fut socialement un bourgeois anti-bourgeois, tandis que l’autre resta toute sa vie un solide et méfiant paysan des Abruzzes, sorte d’Auvergnat italien, travesti en prince féodal. Comme le divino Gabriele, Malaparte semble dédaigner les plaisir faciles du tabac, de l’alcool, de la drogue […] ‘A en juger par la photo publiée dans le New York Herald Tribune, vous penserez que je suis un fumeur de pipe invétéré – écrira-t-il dans une lettre adaptée au goût puritain d’un correspondant américain. – Or, je suis heureux de vous informer que la pipe était éteinte et que je la tenais seulement comme compagnon de ma solitude en Finlande et Laponie. Les docteurs m’ont dit que je dois à mon habitude de vivre en complète abstinence de café, tabac et surtout alcool, si j’ai pu me tirer d’une sérieuse maladie. J’ai toujours pensé qu’une vie propre est la meilleure façon de préserver un esprit clair et que la santé physique aide la santé morale. D’ordinaire, je ne vis pas en ville, mais dans la campagne toscane ou dans l’île de Capri loin de tout centre habité. Ce n’est pas par égotisme, mais par besoin d’être loin de la vie corrompue, si à la mode de nos jours. Je vis seul, dans la compagnie de plusieurs chiens qui m’enseignent beaucoup de choses. Chez moi il n’y a pas une seule bouteille de vin et je ne me souviens pas que mes pensées se soient embrumées par moments, c’est le spectacle de la depravation et de la cruauté humaines que j’ai dû observer pendant la guerre. Eternel cabotin! A la même époque des témoignages et des photos nous le montrent fumeur de Gauloises et de Gitanes et amateur de champagne. […] Peu dépensier, du moins avec son argent, il investit avec parcimonie des revenues souvent considérables dans ses residences et son mobilier, ce qui ne l’empêchera pas d’arriver à peu près ruiné à la fin de sa vie. Il aime le luxe des palaces et la beauté des couverts, beaucoup plus que le confort des lits ou la diversité des mets, attentive, bien avant la mode, au décompte des calories. En amour, les soins de toilette et l’art des preliminaries lui important plus que l’assouvissement physique. Il a le culte du corps et de la forme, qu’il poursuit avec la discipline d’un athlète et l’apprêt d’un mannequin. Cet édifice si bien entretenu cédait par fois à quelque chose de mou et d’indécis, quand il s’animait, ce qu’un témoin malveillant appela l’effet ‘boudin’ ou ‘crème caramel’ chez Malaparte” (Maurizio Serra, Malaparte, vies et légendes, cit., pp. 24-25).

[55] Curzio Malaparte, La Pelle, cit., p. 114.

[56] Ivi, p. 115.

[57] “Depuis le tournant du siècle, les Italiens défendaient un type de nationalisme révolutionnaire en rupture avec les traditions. Ces mouvements, lies à l’avant-garde littéraire et artistique, se voulaient résolument modernes et défendaient les nouvelles technologies qui effrayaient généralment leurs contemporains. Loin de souhaiter arrêter les temps, ils voulaient reconstruire l’Italie et provoquer une revolution spirituelle qui aboutirait à la formation de nouvelles élites” (George Lachmann Mosse, L’image de l’homme. L’invention de la virilité moderne, cit., p. 180).

[58] Curzio Malaparte, La Pelle, cit., p. 118.

[59] Per rendere l’idea della profondità di campo di questo manierismo nella rappresentazione del nudo, si vedano le affermazioni del filosofo Pascal Bruckner su uno dei maggiori fotografi cresciuti e formati in quella Berlino: “Helmut Newton, c’est l’irruption du militarisme prussien dans l’univers de la mode. Irruption ironique car les soldats en question n’ont pour seule armure que leurs longues jambes, leur tendre postérieur et leur ravissante silhouette. Le plus doux, le plus vulnerable mis en scène dans des postures de fantassins, de cavaliers. L’armée comme l’école et le ballet fait de l’ordonnement des corps la condition de son exercice, et le défilé est d’abord guerrier avant d’être celui des mannequins sur le podium. […] Détourner l’appareil de la violence, l’uniforme, le cuir, le casque à pointe pour le mettre au service de la beauté, tel est son premier exploit. On se souvient également que, dans les années 1970, le mouvement gay regorgeait de seyantes costauds déguisés en SS, en tortionnaires, amoureusement enlancés à d’autres athlètes. […] Comme Hitler a lancé ses divisions blindées dans toute l’Europe, Newton a lancé ses legions de nus à l’assaut du monde, semant le trouble et la splendeur. […] Tout l’élan de la première modernité est là, en arrière-fond” (Pascal Bruckner, L’héroïsme de la chair, Paris, Catalogue de l’expo au Grand Palais, p. 233).

[60] Curzio Malaparte, La Pelle, cit., p. 116.

[Immagine: Leni Riefenstahl, Olympia (gm)].

 

7 thoughts on “Genealogie del corpo. Origini, derive totalitarie, ipermodernità

  1. Condivido per quanto riguarda il tema qui trattato questa splendida citazione tratta da Walter Benjamin: “All efforts to make politics aesthetic culminate in one thing, war.”
    ― Walter Benjamin

  2. Le parole e le cose, ma che vi succede? Li leggete gli articoli, o almeno li scorrete prima di pubblicarli?
    Questo saggio, per altro piuttosto scolastico, è stato evidentemente scritto per un pubblico francese, e lo si doveva almeno indicare per evitare al lettore lo straniamento di vedere Mosse, Sontag, e persino von Humboldt citati in francese. Davanti a tanta sciatteria, si capisce che Walter Benjamin risponda in inglese…

  3. E ha ragione Benjamin, ci sono nomi di tutti i tipi, si esaltala virilità. Ma non capisco chesignifica questa concezione del corpo. Dev’essere tutto più dialettico, aricolato. Tutto parte dal corpo, ma non restalì, E dal orpo virile? Rileggete un po’ per piacere….

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