di Massimo Raffaeli
Un mare calmo, piatto, nessuna foschia, solo piccole montagne di sabbia bagnata, rastrelli appoggiati alle stecche di legno che dividono lo stabilimento dal successivo, e ce ne sono a perdita d’occhio sotto il limpido sole invernale che si spande su Cesenatico. Il poeta Stefano Simoncelli ha voluto portare qui i suoi amici (fra cui un altro lirico di pronuncia verticale, Francesco Scarabicchi), nel posto che una volta si chiamava “Bagno Sirena”, luogo elettivo per i lettori di poesia perché Quadernetto del Bagno Sirena si intitola appunto la suite baricentrica di uno dei libri essenziali nei peraltro gelidissimi anni settanta, Sinopie, che uscì da Mondadori nel ’77 quale terza raccolta del ticinese Giorgio Orelli, mancato a novantatre anni lo scorso 10 novembre a Ravecchia, la frazione di Bellinzona dove viveva da decenni dividendo le sue parche giornate, fino a non troppo tempo fa, tra i libri e il Liceo Cantonale che, lui altissimo e dinoccolato, raggiungeva in bicicletta: nella poesia che dà il titolo a quel libro centrale si parla infatti di qualcuno, tale Marzio, che ogni volta lo ferma per strada chiedendogli come si chiamava la moglie di Dante. Domanda elementare ma persino fatale per uno formatosi a Friburgo nei seminari di Gianfranco Contini (che aveva prefato, nel ’44, il suo primo libretto dal titolo ovviamente dantesco, Né bianco né viola, con una epistola in versi, nientemeno) e per uno che a Dante così come a Petrarca, a Pascoli e a Montale, aveva dedicato dei saggi scintillanti (si direbbe virtualmente strutturalisti, senza affatto volerlo), i quali, per esempio Accertamenti verbali (’78), doppiavano o scandivano una produzione in versi tanto controllata, soppesata, da apparire talvolta avara di sé: non più di quattro raccolte in tutta una vita longeva, dopo la plaquette giovanile, e cioè L’ora del tempo (’62), Sinopie (’77), Spiracoli (’89) e Il collo dell’anitra (2001) cui va aggiunto un libro di racconti esplicativi di un set per lui inderogabile, che uscì nel ’60 da Lerici, Un giorno della vita, e un manipolo di versioni goethiane dal Divan edite un’ultima volta come Poesie scelte negli Oscar Mondadori (’74).
A suo tempo non gli aveva giovato, anzi aveva sbiadito il rilievo della sua fisionomia, l’inclusione nella celebre antologia di Luciano Anceschi (Linea lombarda, del ’52, dove si ritrova fra presenze dissimili, di Erba, di Risi, per non parlare di Vittorio Sereni), ma chi sapeva leggere, e intenderne l’hésitation prolongée entre le sens et le son di memoria jakobsoniana che è un suo tratto elettivo, l’aveva però riconosciuto: non solo lettori storici come Giuseppe De Robertis, Marcel Raymond e Pier Vincenzo Mengaldo (che lo include nella classica antologia Poeti italiani del Novecento, ’78), ma anche esegeti del valore di Gilberto Lonardi, Maria Antonietta Grignani, Stefano Prandi, Silvio Ramat, Giorgio Luzzi, Stefano Agosti insieme con una pattuglia di ticinesi che hanno sempre orgogliosamente rivendicato il magistero di Orelli, da Fabio Pusterla, divenuto uno dei poeti del nostro tempo, ai saggisti Maurizio Chiaruttini e Pietro De Marchi cui si deve l’unica ma davvero notevole monografia in italiano su di lui, Dove portano le parole (2002).
Il mare di Cesenatico non potrebbe essere più remoto dallo spazio consueto della poesia orelliana, che l’autore amava riferire, nella sua essenzialità, al “cerchio familiare” che è pure contenuto nel titolo di un testo giovanile. Quando pensa a Orelli, ogni lettore va subito ad immagini canoniche, ai boschi della natìa Airolo appena sotto il San Gottardo, ai prati e alle montagne dell’Alto Ticino, all’azzurro delle ortensie sul Ceneri, alle mucche al pascolo non meno malinconiche e filosofe di quelle di Segantini, alle capre e alle martore (presenze emblematiche, rispettivamente in Sera a Bedretto e in Frammento della martora, entrambe nella raccolta del ’62), agli uomini persi nei campi innevati o rinchiusi all’osteria per il povero rito del bicchiere e delle carte. Per lo più sono flash, attimi sottratti alla dispersione dell’esserci, brevi e brucianti intermezzi luminosi, scrisse Mengaldo, “entro il buio e la crudeltà della vita quotidiana”. Memorabile è lo scatto finale di un’altra poesia, Primo Maggio a Bellinzona, ancora in Sinopie, che alla percezione di un vuoto o di uno sperpero (è la festa operaia disertata, rinnegata da un’intera città) risponde con un’immagine in cui la citazione e la allegoria sono ormai una cosa sola: “Non capre, né bovi, né vacche, neanche un maiale nero/ rompe al mercato che vide Rimbaud//”. Orelli, evidentemente, ad altro non mirava se non a serbare la memoria di attimi, la loro miracolosa perfezione, a eternarli se possibile in un giro veloce di versi che dallo scatto della clausola andasse a ritroso per successive vibrazioni, per onde acustiche e contrappunti fonici. Sono, queste, le adnominationes (paronomasie, figure etimologiche, poliptoti, anadiplosi) per cui la sua poesia va famosa ma, queste, non sono mai l’esibizione di una sapienza retorica bensì la necessaria intramatura, con ogni evidenza fonosimbolica, per cui l’immagine e la parola si incontrano ovvero il suono e il senso, in connubio e/o conflitto, si richiamano e infine si combinano. Del resto, già Contini aveva detto, in proposito e a scanso di equivoci, che se Orelli è il possessore di una straordinaria memoria poetica nondimeno è qualcuno che, per averla tutta quanta metabolizzata, paradossalmente “ottiene della poesia cancellando il linguaggio speciale della poesia”.
Sappiamo dal ricordo di Simoncelli e da un riscontro interno (dov’è menzionata una canzonetta allora in voga, Così piccola, e fragile) che il Quadernetto del Bagno Sirena risale al luglio del 1974. Orelli, sua moglie Mimma e le piccole Giovanna e Lucia, scendevano all’Hotel “Gaia”, davanti a una pineta che serviva da dancing e a pochi passi dall’arenile sud, nemmeno un chilometro dal porto-canale di Cesenatico. Grande fu lo stupore quando il bagnino, al nome dei nuovi arrivati, mentre sistemava l’ombrellone domandò di colpo: “Ma lei, Orelli, è il poeta de L’ora del tempo?” Fatto sta che Chino Biagini era un intimo amico, un sodale, dei tre giovani poeti (Ferruccio Benzoni, Walter Valeri, lo stesso Simoncelli) che allora redigevano una rivista, “Sul Porto”, che ospitava di proposito i grandi autori messi in ombra, sconciati o liquidati, dalla neoavanguardia come Pasolini, Penna, Fortini, Raboni, Bandini. Non poteva che essere ammesso fra gli altri maestri, Giorgio Orelli, che infatti si vedeva arrivare puntuali ogni sera, sulla veranda dell’hotel, i tre redattori: pare che li accogliesse sempre con la simpatia e la generosità note a chiunque l’abbia incontrato ma pare anche che parlasse più volentieri di Dante o del Tasso che non di politica o di calcio come quelli avrebbero desiderato. Tuttavia la politica, o forse più semplicemente lo spirito del tempo, fermenta in Sinopie (che sta ai libri precedenti e susseguenti, in termini di tono e di stile, come l’esplicito può stare all’implicito, quasi per improvvisa emersione di una materia incandescente) ed in particolare nel baricentrico Quadernetto del Bagno Sirena, steso in otto movimenti e direttamente riferito al qui-e-ora. Brani di conversazione lo costellano, e fatti minuti di cronaca: un pronunciamento del Sant’Uffizio, la convalescenza del Caudillo Francisco Franco; voci e suoni di presenze balneari invece lo attraversano: le bimbe che sguazzano a riva, l’altoparlante della spiaggia che annuncia il ritrovamento di una ragazzina, motti sboccati e in dialetto, un croato-tedesco senza più una gamba (pallottole dum dum di partigiani jugoslavi), un vecchio bagnino già prigioniero degli inglesi che rastrella la battigia, soprattutto un’orrenda famiglia di fascisti lombardi, i vicini d’ombrellone, che propongono una gita a Predappio per rendere omaggio alla tomba del Duce. E’ la voce medesima del poeta a rispondere nel secondo movimento della suite, che in questo modo si conclude: “E così, mentre quelli andavano a Predappio, / non certo a meditare sul nodo e la catastrofe,/ sì per fortificare/ il mito,/ io, mia moglie, e le due figliole viaggiammo in una valle/ stupendamente pezzata, sparsa di/ lingotti d’oro bianco, finché, tra due colline,/ là dove i bambini nei loro disegni mettono il sole,/ scorgemmo, rosa vecchio, Urbino.// Dentro, profanavano l’ostia, flagellavano Cristo//”. E’ la risposta, l’unica, che può dare un umanista a chi tuttora si compiace del disumano. E’ la risposta etica, comportamentale per etimologia, di chi, senza alzare mai la voce, al disumano non solo si è sottratto ma per tutta la vita lo ha tenacemente combattuto parlando d’altro soltanto per parlare di questo.
Seduto al sole sul piccolo patio di quello che fu il Bagno Sirena, Simoncelli adesso ricorda che quel luglio del ’74 (ma forse era l’anno precedente) in un’altra canzonetta, bislacca e struggente, La mosca, un uomo recluso nella casa di città diceva di invidiare chi faceva, intanto, il bagno a Cesenatico. Per parte sua, Giorgio Orelli non sapeva nuotare come è scritto nel primo movimento del suo Quadernetto che comincia con un “Calmo, limpido il mare”: anche questo frammento è divenuto nel 1991 una canzone, bellissima, Calmo mare, musicata in suo onore da Lucio Dalla.
Giorgio Orelli
Calmo, limpido il mare
che prende e dà memoria
e a te darà sopra tutto salute.
Il cielo in qualche zona
ha l’azzurro nutrito dal ferro
delle ortensie sul Ceneri.
“Vieni”, dici, “fa’ il morto,
è così facile”. A me …
che appena il vivo so fare.
[Quadernetto del Bagno Sirena, I, in Sinopie, Mondadori 1977].
[Immagine: Giorgio Orelli (mg)].
Complimenti per l’intervento, che ho letto volentieri (e, per quel che vale, sponsorizzato un po’ online). Soltanto un appunto: il “quadernetto” del Bagno Sirena era uscito in parte su un giornale studentesco, a Bellinzona, nel 1973, e ancora nel gennaio del 1974 nel terzo “Almanacco dello Specchio”. La data di stesura andrà quindi anticipata un po’ (ma non cambia la sostanza).
Bel ricordo
grazie, ottimo riepilogo della poetica e soprattutto dell’etica di Orelli
Vorrei ricordare il grande Giorgio Orelli nel modo forse più semplice, con una poesia. L’ho scritta apposta per l’occasione, e ora ve la mando, sperando di fare cosa gradita.
Il fiato
a Giorgio Orelli
Che infine giunga lieve
là dove non ci sono bancarelle
classifiche da scalare
trofei da conquistare
prime pagine delle vanità
conti da quadrare
il fiato della tua penna
libero senza la gravità
che ti legò a questa polvere
per chiedere il visto
alla tua poesia.