di Carlo Mazza Galanti
Il romanzo borghese, in Italia, ha sempre avuto vita difficile. Ancora oggi la narrativa che ha per oggetto gli ambienti più benestanti non sembra paragonabile per qualità e quantità a quella prodotta nel nord Europa. Prendiamo il caso di Michele Masneri. Bresciano, romanizzato, quarantenne, ha appena pubblicato per minimum fax il suo romanzo d’esordio, Addio, Monti, satira brillante delle alte sfere radical chic romane raccolte intorno a un paio di quartieri simbolo della recente gentrificazione: Monti (quello del titolo) e Pigneto. Salta all’occhio la cifra stilistica dell’autore e come questa derivi, con uno spirito più vicino all’emulazione che all’omaggio, dal nume Arbasino: un Arbasino addomesticato, semplificato, leggibile e iper-localizzato (niente gita a Chiasso). Così il pastiche gaddiano, verso metà libro: grazioso, ma la scrittura dell’ingegnere risulta inesorabilmente svuotata della sua contorta e furiosa cerebralità. Non mancano pagine genuinamente comiche, acute, ma se dobbiamo tener conto del severo monito di Capote piazzato in epigrafe (“Davvero pensavano che io fossi lì solo per divertirli?”) Masneri convince poco, e fa piuttosto pensare alle parole di Wallace (nome ampiamente masticato dal milieu del libro) sul gioco tutto al ribasso dell’ironia contemporanea, o a quelle di Girard (invece assente dal repertorio) sullo snobismo (“l’indignazione che accende in noi lo snob è dunque sempre la misura del nostro stesso snobismo”). Insomma l’impressione è che Addio, Monti sia un libro divertente, ben scritto (se prescindiamo dal suo carattere imitativo), ma piuttosto compiacente, complice, poco ambizioso.
Quanto lontano da tutto ciò Felici i felici (Adelphi), lo splendido ultimo romanzo di Yasmina Reza, autrice teatrale del pluripremiato Il dio del massacro (Carnage, nella versione cinematografica di Polanski), indubbiamente una maestra nella rappresentazione della borghesia (francese). Si tratta di una serie di monologhi sapientemente incastrati a comporre l’immagine di una cerchia esclusiva di personaggi che, come quelli di Masneri, si muovono tra finanza, giornalismo, politica, imprenditoria, spettacolo. Reza punta tutto sull’alternarsi delle prospettive, offrendoci sguardi interni ed esterni su una ventina di soggetti altolocati e mostrando il contrasto tipicamente upper class tra una svergognata e fragilissima intimità e i rigidi rituali della vita sociale. Le rappresentazioni offerte dai due libri sono quasi diametralmente opposte: da una parte superficialità spumeggiante e feticismo culturale (Masneri), dall’altra culto protestante del lavoro, della carriera, della reputazione, con improvvise aperture di abissi interiori (Reza). Da un lato il chiacchiericcio mondano, dall’altro lo scavo psicologico. Masneri imbastisce una messa in scena derisoria, grottesca, caricaturale, come se il soggetto non meritasse la dignità dell’alto, del serio; Reza una visione a strapiombo tragica, drammatica, asciutta e spietata. Parrebbe una lezione sulla fisionomia sociale dei rispettivi paesi: dal cafonal alla Grande bellezza, da Ammaniti a Siti, quando l’Italia racconta i suoi ricchi scatta facilmente il registro grottesco o, se va male, macchiettistico. Ma tra la borghesia imparaticcia, modaiola e arrivista di Addio, Monti e quella patriarcale, dirigenziale, cosmopolita di Felici i felici c’è una differenza più sostanziale: uno scarto che sta nella qualità della visione, nel peso specifico dell’autore, nella sua capacità di scardinare, di spalancare il nostro immaginario. E questo decide definitivamente del valore di un libro.
[Immagine: Il Rione Monti nella mappa del 1777].
E’ stata la prima volta che ho amato dei racconti, forse è il fascino discreto della borghesia
http://gynepraio.it/2014/05/09/sveltine-letterarie/#more-3886