di Mauro Piras
Questo non è un intervento sul governo Renzi. O meglio: non è un intervento di valutazione del suo operato. Simili valutazioni, oggi, sono condannate a essere superficiali. Si fanno tante chiacchiere, nelle cosiddette analisi politiche dal 22 febbraio a oggi, sulla politica degli annunci, sulla politica da spot, sull’arte della comunicazione, sull’assenza però di veri contenuti, sulla spericolatezza, sull’arroganza ecc. Tutto vero, o quasi, ma c’è da chiedersi come si fa a giudicare l’azione di un governo che dura da appena due mesi. Se gli annunci corrisponderanno a una sostanza, lo vedremo nel momento in cui avremo dei risultati, e i risultati non si ottengono in qualche settimana.
Quindi questo intervento vuole valutare solo due cose: alcune direzioni di marcia avviate; la posizione che la sinistra può prendere rispetto a esse. Per ragioni di spazio, mi concentrerò sugli aspetti più importanti della politica economica.
Una premessa. Che aspetto potrebbe avere una politica economica di sinistra nel contesto attuale? Per contesto attuale, intendo i vincoli dell’unione monetaria e i margini ristretti in cui si muovono le democrazie europee. Una risposta ambiziosa è questa: cercare di promuovere una politica espansiva, utilizzando la spesa pubblica, e trovando risorse non solo nei tagli di altri capitoli di spesa, ma anche nella tassazione delle ricchezze più elevate. Ipotizzando un paese non troppo dissestato sul piano finanziario, e una chiara vittoria elettorale della sinistra, questo tipo di politica è possibile. La tassazione dei patrimoni non è esclusa, anzi è promossa dall’Unione Europea. La speculazione finanziaria sui mercati europei sembra, per il momento, frenata dalla iniziative della Bce; potrebbe colpire chi decidesse di fare una politica di spesa “allegra”, senza stare dentro i vincoli europei, ma non colpirebbe necessariamente chi tassasse i patrimoni.
Questo nelle condizioni migliori pensabili adesso, cioè, come ho detto, una situazione finanziaria dello Stato accettabile, e una chiara vittoria politica della sinistra. Nel caso italiano, le cose purtroppo non stanno così: la situazione debitoria è pessima, quindi qualsiasi politica avventata rischia di risvegliare la speculazione finanziaria; la sinistra ha perso le elezioni del 2013, e si è ritrovata a governare con i propri avversari politici, e messa alle strette dal M5S, chiuso a ogni mediazione. I margini, quindi, sono minimi: instabilità finanziaria e poco consenso interno. La politica possibile dentro questi margini difficilmente potrà essere di sinistra, nel senso proposto qui. Però si può valutare quanto si avvicini a quella prospettiva.
Intanto, il governo Renzi è un governo politico. In esso cioè il partito più importante della maggioranza, il Pd, impone la linea, e gli altri seguono, come dovrebbe essere naturale. Prima questo non succedeva. Ora sì, grazie a due fattori: la spregiudicatezza di Renzi, che fa alleanze su due lati, per tenere in scacco tutti; e il suo fiuto politico, che coglie benissimo gli umori dell’opinione pubblica, del suo elettorato e non solo, e li cavalca, mettendo le altre forze politiche di fronte al ricatto: “o si fa così, o si va tutti a casa, perché gli Italiani non lo capirebbero”. Sembrava una presunzione smodata, quella di Renzi quando ha preso il governo: sembrava dire “ora arrivo io e vi faccio vedere”. E tutti ci chiedevamo: ma con la stessa alleanza di Letta, che cosa può fare di diverso? Invece fa cose diverse, e non perché è Superman, ma perché ha saputo scegliere l’alleato più importante, quello represso dal rigorismo di Monti e inavvicinabile dall’equilibrismo di Letta: cioè l’opinione pubblica media, che ha idee semplici e sbrigative. E con cui Renzi instaura un canale di comunicazione diretto, fin dal discorso di presentazione del governo al Senato, dove ha parlato agli Italiani, e non ai Senatori. Ogni conferenza stampa, ogni intervista rafforza questa alleanza. È questa forza che Renzi scaglia contro gli altri partiti, e contro le opposizioni interne al Pd: se esitate, la pagate cara elettoralmente, con questi umori qui nel paese. E non è solo lui, sono tutti i suoi seguaci. L’uscita della Boschi sui “professoroni” non era affatto ingenua: era cinicamente rivolta a rinsaldare l’alleanza e a mettere nell’angolo la riottosa intellighenzia di sinistra.
Quindi, un governo politico, che mostra una notevole forza propulsiva, grazie a queste strategie. Ma che politica fa? Di destra, di sinistra, postpolitica? Gioca solo sull’immagine, per mantenere il potere? Mira a creare un nuovo populismo, incentrato sul carisma del capo? Per ora, lascio da parte questi problemi. Mi concentro sui contenuti, usando il metro proposto all’inizio: vanno in una direzione di sinistra o no?
Dentro i limiti che abbiamo detto (finanze statali dissestate, alleanza di governo con forze non di sinistra), Renzi cerca di fare una politica economica espansiva, usando la spesa pubblica. Il suo punto qualificante è l’aumento delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti. Cioè una misura che: a) va a vantaggio di chi ha visto contrarsi sempre di più, negli ultimi decenni, la sua quota di partecipazione al Pil; b) può aiutare a stimolare la domanda interna. Quindi questa è una misura di sinistra, tra parentesi anche perché ha un leggero effetto redistributivo. Gli economisti incravattati discettano sul fatto che non è chiaro se la crescita può essere aiutata maggiormente dall’aumento di reddito dei lavoratori dipendenti o dagli sgravi fiscali alle imprese. Intanto Renzi ha dato la precedenza a quella, e così ha fatto una scelta tradizionalmente di sinistra. Certo, molti hanno storto il naso dicendo: “e le coperture?” Bene, le coperture sono un problema, si sa, per ora si va sullo straordinario, e vedremo come si farà a regime. Però va detta una cosa, molto importante per la sinistra: mettere avanti il problema delle coperture finanziare, e poi, sulla base di queste, decidere le scelte di politica economica è il contrario di una politica di sinistra. Una politica di sinistra, che vuole cercare di promuovere la crescita e magari di redistribuire qualche risorsa, prima si pone questi obbiettivi, e poi cerca le coperture. Questa è la differenza fondamentale tra Renzi e Monti o Letta: questi ultimi, ponendosi prima il problema della compatibilità finanziaria, erano portati inevitabilmente a promuovere misure di rigore, piuttosto che di crescita o di equità. Quindi, per favore, la sinistra, di qualsiasi tipo, eviti di sollevare l’obiezione sulle coperture: la lasci alla destra, è di sua pertinenza.
L’altro lato della politica di stimolo alla crescita è lo sgravio fiscale sulle imprese. Qui, la riduzione promessa del 10% verrà coperta dall’aumento dell’aliquota sulle rendite finanziarie, dal 20 al 26%. Un semplice gesto demagogico? Intanto, sul fronte degli sgravi fiscali alle imprese era urgente intervenire, e anche qui la priorità dell’obbiettivo doveva prevalere, come è giusto, su altre considerazioni. Inoltre, l’aumento dell’aliquota sulle rendite finanziarie è una piccola operazione di equità sociale, che va nel senso di spostare il carico fiscale dal lavoro e dalla produzione ai patrimoni. Ora, come al solito economisti più o meno bocconiani gemono, sia per l’attacco demagogico alla finanza, sia perché vengono di fatto tassati anche i risparmi nei conti correnti. Ma diciamo due cose chiare: questo aumento della tassazione sui conti correnti è leggero o leggerissimo sui depositi sotto i 50 mila euro; se le risorse sono scarse, è necessario che chi ha di più contribuisca di più, e che i soldi si trovino tassando i patrimoni e non le attività produttive. Forse non tutti sanno che lo vuole anche l’Europa, che non chiede solo di stringere la cinghia. Quindi, nel suo piccolo, anche questo è un intervento di sinistra.
Altri interventi di politica economica. Un po’ di soldi vengono trovati applicando l’aliquota del 26% anche alla ricapitalizzazione di Bankitalia. Questa è, ovviamente, una decisione tutta politica, visto quanto era stata contestata quell’operazione. Però anche qui: può la sinistra opporsi al fatto che si chieda un contributo alle banche, per pagare qualcosa ai lavoratori? E poi, le grida d’allarme dell’Abi sono rassicuranti. Più seriamente: sembra poco probabile che questa misura possa provocare qualche contrazione del credito, dal momento che è una tantum; se ci fosse questo rischio, il governo dovrebbe fare appello alla responsabilità delle banche nei confronti dell’economia reale, in questo momento di crisi. Anche qui, il problema è capire che dalla crisi si esce con uno sforzo da parte di chi ha più risorse.
Inoltre, questo governo aveva anche proposto un’altra idea, in fondo sempre (nel suo piccolo) redistributiva: un contributo di solidarietà sulle pensioni più elevate. Se l’è rimangiata, perché ci sono state molte opposizioni, tra cui i sindacati. Sarò ingenuo, ma io i sindacati in questo caso non li capisco: che cosa c’è di male nel chiedere un contributo di solidarietà a chi riceve tremila euro di pensione al mese? Certo non lo si getta sul lastrico, ma il contributo può essere utile a sostenere redditi più bassi. Si tratta di una giusta proposta di redistribuzione dei sacrifici, in un periodo difficile. Comunque, Renzi ha paura di perdere voti e l’ha ritirata. Ma mi sto ancora chiedendo per quale ragione una misura del genere non sarebbe di sinistra.
Il tetto alle retribuzioni dei dirigenti e dipendenti pubblici. Anche qui, non capisco le spallucce dell’opinione colta di sinistra. Il problema qui non è tanto l’aspetto finanziario, ma l’equità e la sensibilità pubblica. Lo sappiamo bene, la gente (uso apposta quest’espressione: “la gente” è il soggetto dell’opinione pubblica media, quella dagli umori neri che non piacciono tanto agli intellettuali e ai politici raffinati) non tollera più i privilegi, e la loro visibilità. Quindi giù a distruggere questi privilegi. Ma comunque è giusto. E un’altra cosa importante: ogni volta che si tocca questo tasto, della retribuzione dei manager pubblici, qualcuno (economista, politico, manager stesso) dice “ma così fuggiranno (fuggiremo) all’estero”. Moretti ha avuto la faccia tosta di dirlo in prima persona. Le battutacce di Renzi (“vadano, gli facciamo la lettera di referenze”) esprimono quello che pensa la gente, da sempre: ma questi chi si credono di essere? vadano, vadano, vediamo se li prendono, in un altro paese. Anche qui, alleanza irresistibile tra umori diffusi e (minima) correzione di iniquità. Se non è elegante, forse non è di sinistra, ma io me la tengo.
Ancora: la richiesta di rinviare il pareggio strutturale di bilancio al 2016. L’obbligo del pareggio strutturale di bilancio era stato preso da un governo di centrodestra, ed era stato necessario rispettarlo finché ci trovavamo sotto la speculazione finanziaria. Ora siamo un po’ più liberi, da questo punto di vista, per quanto la massa del debito sia cresciuta ancora. Ma questo fatto, adesso, non crea allarme immediato. Quindi iniziare a rompere il tabù del pareggio di bilancio è un passo importante per mettere l’Unione Europea di fronte alle proprie responsabilità. E in effetti questa richiesta è stata sostenuta in Parlamento da una alleanza di sinistra, che univa Pd e Sel.
Poi, l’altro lato della politica economica, i tagli. Qui, si sa, il deus ex machina dovrebbe essere Cottarelli, con la sua revisione di spesa. Si sa anche che il suo piano non è stato adottato tale e quale dal governo, e che i suoi rapporti con Renzi non sono ottimi. Meno male, viene da dire, perché la questione dei tagli alla spesa è politica, e deve essere maneggiata con cautela, dopo le cure da cavallo che abbiamo subito finora. Intanto, dal poco che è stato deciso vediamo questo: sono stati esclusi tagli lineari, e soprattutto tagli ai settori che più hanno pagato, come la scuola o la sanità. Per quest’ultima si punta su criteri per imporre (finalmente?) i costi standard nell’acquisto di beni e servizi, dove si trovano i veri sprechi. Anche a Regioni ed enti locali è stata imposta una cura di questo genere. Delrio sostiene che non si tratta di tagli, ma di una razionalizzazione della spesa per fornitori che gli enti locali devono compiere per conto loro. Vedremo. Intanto, per una volta non assistiamo a tagli di miliardi e miliardi imposti dall’amministrazione centrale, come è successo dal 2010 a oggi.
Infine, il mercato del lavoro. Su questo terreno, non abbiamo ancora un quadro chiaro. C’è il decreto sulla durata e i termini di proroga dei contratti a tempo determinato. Si tratta di una misura che li rende più flessibili, in quanto abolisce la causale per il rinnovo fino a 36 mesi, e allunga il periodo e le volte in cui possono essere prorogati. Qui i problemi sono due: 1) se questo sistema rende maggiormente precario il mercato del lavoro; 2) se entra in contraddizione con la riforma più volte annunciata, cioè la creazione di un contratto unico a tempo indeterminato, a tutele crescenti.
Alla radice c’è il sistema contraddittorio creato dalla riforma Fornero, che ha alleggerito i vincoli in uscita (articolo 18) e ha però, su pressione dei sindacati, aumentato i vincoli sul contratto a tempo determinato e sull’apprendistato. Questi hanno creato dei problemi nel mercato del lavoro, non tanto in termini di minori posti (in recessione i posti si creano con il rilancio della domanda, non con i contratti), quanto in termini di precarizzazione: i datori di lavoro preferiscono usare contratti parasubordinati, o cambiano continuamente il personale per aggirare il vincolo della causale. Il governo ha cercato in effetti di dare un segnale positivo alle imprese, con questo provvedimento che rende più flessibili i contratti, ma bisogna tenere conto anche di questi aspetti. D’altro lato, bisogna valutare se i cambiamenti introdotti sul contratto a tempo determinato rischiano di rendere possibile un allungarsi patologico del periodo di prova: i tre anni del tempo determinato, più i tre anni del nuovo contratto a tutele crescenti. Ma si dovrà vedere come si articola con la riforma generale, di cui per il momento abbiamo solo anticipazioni vaghe. In ogni caso, prima di gridare al neoliberismo, bisogna avere il quadro completo e, soprattutto, bisogna tenere conto della situazione reale del mercato del lavoro, e di quanto il sistema attuale di contratti favorisca il dualismo tra precari e non.
Sempre sul fronte del lavoro, altre due proposte vanno seguite con attenzione. La prima, l’idea di un sussidio universale di disoccupazione, che copra anche quei gruppi di lavoratori che non sono protetti dalla Cassa integrazione ordinaria, e non sempre vengono raggiunti da quella in deroga (soprattutto i parasubordinati). La seconda, l’idea di un salario minimo per legge. Sulla prima, c’è ovviamente un largo accordo, ma il problema sarà trovare le risorse. Sulla seconda, i sindacati hanno obbiettato che il salario minimo sarà al di sotto dei minimi salariali contrattuali, quindi poi rischia di abbassare i livelli salariali e di far saltare i contratti nazionali. Tutto giusto, ma i minimi salariali contrattuali lasciano fuori moltissimi lavoratori, soprattutto giovani e precari, che non sono coperti dai contratti nazionali. Anche qui, l’esigenza di equità impone di affrontare queste riforme senza fare muro. Non sono riforme di destra, si tratta solo di pensarle bene e di trovare le risorse. Ma in questo senso ci vuole sostegno e convinzione nel farle, non l’opposizione preconcetta che paralizza l’iniziativa di governo.
Non c’è spazio qui per parlare delle riforme istituzionali, e del resto ho limitato il discorso all’ambito economico. Solo poche considerazioni. Sulla legge elettorale e sulla riforma del Senato sono state sollevate, da sinistra, molte obiezioni fondate. La prima colpisce troppo i piccoli partiti, perché le soglie di sbarramento sono troppo alte; e si fonda sul premio di maggioranza, che è sempre una bestemmia, anche se appena corretto dalla possibilità del doppio turno. La riforma del Senato rischia di ridurne drasticamente la rappresentatività; e le componenti “nominate” sono troppe, lasciando spazio a un controllo delle maggioranze dall’alto. Sulla riforma elettorale, ritengo che si possa accettare il compromesso, pur di uscire dallo stallo in cui eravamo entrati. In contesti politici migliori si potrà correggere. Faccio notare però che, se non abbiamo già una legge elettorale completa, per entrambe le camere, la responsabilità è anche della cosiddetta “sinistra del Pd”, che, insieme ad Alfano, ha ottenuto di agganciare il completamento della riforma a quella del Senato. E lo ha fatto, come Alfano, solo per prendere tempo e per indebolire Renzi. Sulla riforma del Senato, è necessario essere molto più cauti. Non è corretto dire che un Senato eletto da collettività locali sarebbe l’inizio di un regime autoritario, dal momento che questo accade in molti paesi democratici (basti citare Francia e Germania). È vero però che dovremmo interrogarci su quale tipo di rappresentanza vogliamo, su quale debba essere il metodo di elezione indiretta, sulle funzioni di controllo di questo organo sull’esecutivo. Si tratta di una ridefinizione fondamentale dei poteri dello Stato, è giusto che il dibattito sia aperto.
In sintesi, che dire dei rapporti tra “la sinistra” e le iniziative politiche, soprattutto economiche, del governo Renzi? Nelle aree che si ritengono eredi legittime della sinistra, cioè la sinistra Pd, Sel e giù a scendere, si è ormai affermata la vulgata secondo cui Renzi non è di sinistra. Ammettiamolo pure. Però io credo che queste sinistre (cosiddette) potrebbero accettare come modello di una politica economica di sinistra fattibile quella che ho presentato all’inizio. E potrebbero vedere che alcune delle direzioni di marcia indicate da Renzi vanno in quel senso, e per la prima volta da quando lo Stato italiano è entrato nella crisi finanziaria, cioè dal 2011. Anzi, forse da molto prima. Se le sinistre sono capaci di accettare questo, e di valutare punto per punto, invece di agitare ogni volta il vuoto spettro del neoliberismo, etichetta usata per rifiutare indiscriminatamente qualsiasi politica economica istituzionale, allora forse hanno due carte importante da giocare: partecipare a una politica economica espansiva, migliorandola; salvarsi elettoralmente, come forze di sinistra ancorate alla realtà e non chiuse in un sogno ideologico. Altrimenti, sono condannate all’irrilevanza, dal momento che la rabbia antisistema è raccolta e capitalizzata da Grillo e da movimenti simili, in Europa. E su questo, un altro punto su cui questa sinistra deve svegliarsi: fare tanto i difficili sullo stile comunicativo di Renzi, sul suo autoritarismo (che però è riuscito a rimettere in sesto un partito un anno fa totalmente disintegrato), sul suo populismo ecc. significa non capire che o queste forze vengono intercettate e incanalate da un partito politico rispettoso della democrazia rappresentativa, o corrodono e distruggono dall’interno le istituzioni, fino a farle esplodere. La crisi di legittimazione della politica si recupera anche così, non l’abbiamo capito nella campagna elettorale del 2013, cerchiamo di capirlo ora.
In sintesi, adesso la sinistra, in generale, può cogliere o perdere due occasioni: può contribuire a ridisegnare una politica economica meno ingiusta, in un contesto in cui lo spazio per lo stato sociale come lo conoscevamo non c’è più; può contribuire a intercettare il malumore antisistema e trasformarlo in una forza positiva per salvare la democrazia rappresentativa. Se riesce a confrontarsi con i contenuti, lo può fare. Altrimenti, si ripeterà una scena già vista più volte, in Italia. La sinistra ha già perso molti treni, nel nostro paese: il passaggio aperto alla socialdemocrazia nel dopoguerra, la riforma dello stato sociale negli anni novanta, la riforma del mercato del lavoro negli anni duemila. Se vuole perdere di nuovo il treno, si accomodi pure. Però vedremo, come al solito, che forze di destra o populiste, o entrambe le cose, prenderanno in mano queste esigenze e le realizzeranno a modo loro. Come al solito, il paese verrà guidato da partiti di destra e blocchi di interessi conservatori, e gli incontentabili di sinistra resteranno ai margini a fare la loro eroica testimonianza.
(Torino, 27 aprile 2014)
Certo che Renzi è di sinistra.
Si fa dare i compiti a casa dalla Merkel, è costruito dai consiglieri della McKinsey e del Partito Democratico (americano), appoggia il governo golpista e nazistoide ucraino, liquida i contratti di lavoro a tempo indeterminato, propone una legge elettorale meno democratica della Legge Acerbo, giura che euro e UE sono ottimi, abbondanti e irreversibili, non crea un posto di lavoro che è uno, glissa elegantemente sulla disindustrializzazione d’Italia che procede a passi da gigante e sulla campagna acquisti straniera a prezzi di saldo degli asset nazionali in corso, si prepara a svendere quel che resta dell’industria di Stato, incoraggia l’immigrazione clandestina, prepara una patrimoniale da brivido (dopo le elezioni), mette le quote rosa: non può che essere di sinistra.
Una cosa di destra per la verità l’ha fatta: comprarsi i voti dei suoi elettori indecisi con 80 euro, come il monarchico comm. Achille Lauro si comprava i voti dando ai suoi elettori la scarpa sinistra prima delle elezioni, la scarpa destra dopo. Però, guardando meglio, Renzi si conferma di sinistra, perchè a) non si si compra i voti coi soldi suoi, ma con i soldi dei contribuenti b) ricava i fondi per la campagna acquisti aumentando le tasse sui TdS, così quel che entra in una tasca esce dall’altra.
Pur non condividendo certe sue osservazioni specifiche, in linea generale non posso che concordare con Roberto Buffagni. Alcune osservazioni.
Il taglio del Cuneo fiscale NON È di sinistra: prendere Confindustria per un orecchio e obbligarla ad aumentare i salari lo è. Lo è agganciare i contratti atipici e/o a tempo determinato ai contratti collettivi nazionali, aumentando quelli di un 20-30%, così da disincentivare l’assunzione di TD se non laddove ce ne fosse davvero bisogno. Gli ottanta euro una tantum sono un obolo per la classe media, che ormai è diventata povera quanto quella americana.
Gli “sgravi alle imprese” generalizzati non sono di sinistra: indirizzare la politica industriale lo è, usando la leva fiscale (o mezzi meno gentili) per spingere le imprese a rinconvertirsi in aziende ad alto contenuto tecnologico, lo è. Lo è anche dire chiaramente al piccolo imprenditore che porta i soldi in Svizzera e alla prima aria di crisi delocalizza, mettendo sul lastrico centinaia di famiglie e appesantendo con la CIG, la mobilità ecc. i conti dello Stato, che se vuole andarsene in Polonia, liberissimo; ma la sua azienda e i suoi beni restano qua.
Quella di Renzi non è una politica economica di sinistra “fattibile”, ma una politica di destra un po’ più paracula.
L’autoritarismo di Renzi non è un problema in sè, ma lo diventa quando, fintanto che R. stava all’opposizione interna, chi gli diceva “ora buono, e pedala con il gruppo” era tacciato di criptostalinismo (e nemmeno tanto cripto), mentre chi ora accusa lui di avere un pugno ben più di ferro di Bersani, e senza un’investitura popolare altrettanto cospicua, non capisce, stolto lui, che è un modo per “recuperare la crisi di legittimazione della politica”. E l’ipocrisia non è un valore di sinistra.
La legge elettorale non è un “compromesso”, ma una versione anabolizzata della legge truffa: e in una repubblica parlamentare come la nostra di sicuro comprimere gli spazi di rappresentanza per nascondere (e nascondersi) i cocci di una rappresentatività andata in frantumi non è di sinistra.
Renzi ricorda Blair: nominalmente di centro-sinistra, di fatto continuatore delle politiche tatcheriane, che ha condotto il Labour a una crisi da cui ancora oggi, a quasi vent’anni di distanza, stenta a uscire.
Non è essere “incontentabili”, significa volere almeno un contentino. Che non arriva e, fintanto che avremo Renzi alla testa del PD, non arriverà. Il taglio di UN cacciabombardiere? Vogliamo ridere?!
È come se il vicino di casa che si mangiava le vecchine si fosse trasferito, e al suo posto fosse arrivato uno che le sevizia solamente, e dire: beh, ma almeno questo non è un cannibale. D’accordo, ma il non essere cannibale non ne fa una persona per bene, mentre le sevizie fanno di lui, comunque, uno psicopatico.
Un refuso: par. 7, “finanziarie” non “finanziare”.
Davvero un articolo interessante, Mauro. Comunque io sinceramente, se io fossi al posto tuo come commentatore delle dichiarazioni e azioni del Governo, sarei più preoccupato a dare giudizi se i progetti di interventi politici del governo Renzi siano più adatti al momento attuale e più consoni al mio sistema attuale di valori e ideali etico-politici piuttosto che chiedermi se questi progetti del governo e questo mio sistema di valori e ideali si possano identificare in una definizione più o meno condivisa di “sinistra” che presuppone una identificazione o meno con gruppi politici e partitici del presente e del passato.
Probabilmente affermo questo perché per motivi anagrafici (sono del 1985) non ho mai conosciuto direttamente i partiti e le ideologie dell’epoca dei Due Blocchi o della Prima Repubblica (peraltro è proprio un male che a scuola non approfondiscano questo periodo), ma a volte ho l’impressione che la preoccupazione che il proprio insieme di valori sia identificato in un preciso e non equivoco termine del linguaggio politico finisca per mettere in secondo piano il fatto che nuove situazioni sociali, economiche e politiche internazionali dovrebbero far riflettere e far scegliere nuove azioni politiche anche mantenendo lo stesso insieme di valori (cosa che la “sinistra” italiana negli anni passati sembra abbia sempre faticato a comprendere).
Peraltro ho notato varie somiglianze tra queste tue analisi politiche su Renzi e quelle compiute da Massimo Cacciari, anche se ci sono alcune differenze, ad esempio Cacciari ha più volte ritenuto che destra e sinistra siano categorie ormai legate al Novecento e altre categorie come quelle di progressisti e conservatori, o anche altre “pluridimensionali” sarebbero più appropriate per una discussione politica attuale. Ti volevo chiedere perciò se nella tua visione di politica economica basata in ” cercare di promuovere una politica espansiva, utilizzando la spesa pubblica, e trovando risorse non solo nei tagli di altri capitoli di spesa, ma anche nella tassazione delle ricchezze più elevate” abbia importanza che in questo attuale periodo debba essere definita come legata alla “sinistra” oppure se ci sono terminologie alternative che potrebbero essere migliori, non tanto per motivi dossografici o classificatori, quanto per motivi di efficacia e comunicativa in modo di “raggruppare” più facilmente i sostenitori di questo sistema di valori denominato con tale termine.
Non sappiamo se Renzi sia di sinistra, ma ora sappiamo che Renzi è piu’ a sinistra dei due presidenti del Consiglio (Monti, Letta) che l’hanno preceduto, e anche del quasi presidente del consiglio in pectore che non l’ha preceduto (Bersani). C’e’ solo un particolare che non torna nell’analisi di Piras: cosa c’entra il Pd con tutto questo?
Noterella semantica: suggerirei di distinguere, quando si usa il termine “sinistra”, tra “sinistra ideale eterna” alla maniera di G.B. Vico, e “sinistra effettualmente esistente oggi in Europa”, sennò non si capisce più niente.
Nella fattispecie: Renzi NON appartiene alla “sinistra ideale eterna”, perchè le sue politiche (e la sua ideologia liberista) accrescono il potere e il reddito del grande capitale, diminuiscono potere e reddito dei lavoratori.
Renzi invece appartiene a pieno titolo alla “sinistra effettualmente esistente oggi in Europa”, per le stesse identiche ragioni.
Sintesi: la “sinistra effettualmente esistente oggi in Europa” invera la definizione di Oswald Spengler, secondo il quale “la sinistra fa sempre l’interesse del grande capitale, a volte senza saperlo”.
Unica differenza: oggi lo sa sempre, e in un attacco di hybris comincia anche a dirlo apertamente (“il liberismo è di sinistra”).
Dai e dai, cominciano ad accorgersene anche i suoi militanti ed elettori, pur usi a obbedir tacendo e tacendo morir, tra i quali forse albeggia il realismo: si vedano le percentuali di voto operaio e popolare al Front National nelle ultime elezioni francesi.
a Carlo Tirinanzi De Medici.
Grazie per il consenso. A proposito del suo rilievo sulla classe media italiana “diventata povera come quella americana”, le segnalo questo interessante articolo, assai utile per un pronostico di quel che accadrà anche in Europa con il TIFF:
“The 1% won a counter-revolution while we played. We forgot that we are crew (not passengers) of America”
http://fabiusmaximus.com/2014/04/28/inequality-piketty-67704/
Ringrazio @ Piras per le sue riflessioni, che leggo sempre con grande attenzione e interesse. Ci sarebbero molte cose da dire. Avrei due commenti e vorrei sapere cosa ne pensa @ Piras.
Per me è altrettanto grave che la destra in Italia abbia perso l’occasione di governare i cambiamenti in corso – e con più responsabilità, perché la destra ha avuto maggioranze più ampie, durature e più potere negli ultimi venti anni.
Non penso che potremmo ancora rimandare il governo dei cambiamenti in corso (che sia un governo di destra o di sinistra fa differenza); altrimenti ci penserà qualcun altro. Per come la vedo io, la scelta di non stare né a destra é a sinistra oggi in Italia si alimenta dell’illusione di potere ancora rimandare il governo dei cambiamenti in corso (siamo già in ritardo di vent’anni) – e sarebbe terribile per me se questa illusione guadagnasse ancora più consenso.
Mauro Piras scrive:
Si fanno tante chiacchiere, nelle cosiddette analisi politiche dal 22 febbraio a oggi, sulla politica degli annunci, sulla politica da spot, sull’arte della comunicazione, sull’assenza però di veri contenuti, sulla spericolatezza, sull’arroganza ecc. Tutto vero, o quasi, ma c’è da chiedersi come si fa a giudicare l’azione di un governo che dura da appena due mesi. Se gli annunci corrisponderanno a una sostanza, lo vedremo nel momento in cui avremo dei risultati, e i risultati non si ottengono in qualche settimana.
Tenendo ferma l’onestà intellettuale dell’autore dell’articolo, è bizzarro che perfino in quest’ambito – non siamo in Rai1 – il tentativo di analisi si fermi a un passo dalla cortina retorica del potere, e faccia il gioco dell’ipnotizzatore di turno. E, lo dico meglio, voglio esser certo dell’onestà intellettuale di Piras (e questa certezza mi fa paura perché allora…)
Il presidente del consiglio ha buttato fuori una salva di promesse, sicuro del fatto che la coreografia avrebbe avuto la meglio sulla verifica successiva. Funziona. Ci cascano anche quelli che una volta si chiamavano intellettuali (quando io ancora non ero maggiorenne).
E’ d’una noia sfibrante mettersi giù a verificare, data su data, le promesse pre-elettorali. E’ più divertente giocare a scacchi da soli.
Ma in rete qualche fesso c’è – di sicuro non troppo intellettuale – che dedica il proprio tempo a una verifica degli annunci (“promise check?”).
Il primo capitato a tiro
http://www.valigiablu.it/le-promesse-del-governo-renzi-alla-prova-del-countdown/
p.s.
Da notare pure l’entità e la tempistica delle promesse non ancora scadute.
Se Renzi ha potuto sfidare gli avvertimenti minacciosi del “cinico Baffetto”, è perché egli lo ha soppiantato come uomo di fiducia delle multinazionali anglo-americane, nonché come segretario del partito cui fanno riferimento le suddette multinazionali. Il mandato di Renzi è chiaro ed inequivocabile, di là dagli orpelli populistici (vedi gli 80 euro in busta paga) con i quali egli ammanta la mercanzia che intende spacciare: attuare fino in fondo il neoliberismo in Italia, riducendo al minimo la spesa pubblica ed operando il passaggio dalla democrazia autoritaria e “commissaria” oggi vigente ad una progressiva, ulteriore fascistizzazione delle istituzioni e del sistema politico modellata sul paradigma americano (“adeguare la Costituzione formale alla Costituzione materiale”, diceva Mario Monti, il Giovanni Battista che ha preceduto Renzi e gli ha indicato la strada). Il ‘bipartitismo perfetto’ fondato su due partiti falsamente alternativi, che praticano in realtà un’alternanza al servizio delle multinazionali anglo-americane, è dunque lo strumento per attuare questo programma politico ispirato dalla loggia P2 di un altro toscano: Licio Gelli. La svendita dei ‘gioielli di famiglia’ dell’industria di Stato, troppo grandi per essere comprati da acquirenti italiani, andrà perciò a beneficio delle multinazionali anglo-americane, nel mentre la liquidazione dello Stato sociale e il diritto alla salute, alla pensione e all’istruzione saranno progressivamente trasferiti dalla sfera pubblica alla sfera della valorizzazione capitalistica gestita dalle multinazionali, il purgatorio infernale dove finiranno anche le piccole e medie imprese vittime della concentrazione e centralizzazione del capitale monopolistico del quale Renzi è il fiduciario. Il programma ultraliberista e populista di Renzi, una sorta di peronismo in salsa italiana, che, a quanto pare, piace molto a Piras, sarà poi completato con gli interventi di quella polizia internazionale che si chiama Nato, dei quali l’Italia, come è già avvenuto in Libia e in Siria e ora in Ucraina, è organicamente corresponsabile, anche se con un ruolo subalterno e gregario e perfino contro i propri interessi. Ma l’attuazione compiuta del programma neoliberista comporterà l’impoverimento di sempre maggiori strati della popolazione, anche di quelli che si illudevano di scampare alla mattanza della dittatura del capitale monopolistico. La ridefinizione degli assetti istituzionali è infatti necessaria al pieno dominio delle multinazionali, a maggior ragione in un paese che è storicamente a sovranità limitata.
All’interno di questo disegno, la Costituzione nata dalla Resistenza, pur con tutte le sue limitazioni, è destinata ad essere violata non più in maniera episodica, ma sistematicamente, sino alla sua completa revisione. La separazione dei poteri, dei compiti e delle istituzioni, che, pur con evidenti limiti e carenze, caratterizzava la società politica, è diventata ormai una camicia di Nesso della quale la borghesia imperialista vuole liberarsi dando vita ad un “sistema integrato” in cui poliziotti, magistrati e militari devono essere pronti a scambiarsi i ruoli. Il potere dovrà concentrarsi tutto nelle mani dell’esecutivo, espressione degli interessi delle multinazionali che cooptano, di volta in volta, chi è più spendibile sul mercato elettorale, esattamente come avviene negli Stati Uniti. La forza-lavoro deve diventare oggetto di un’estrema intensificazione dello sfruttamento capitalistico attraverso il ‘combinato disposto’ del Jobs Act, della privatizzazione dei servizi pubblici, del Fiscal Compact e dell’esercito industriale di riserva alimentato da un’immigrazione selvaggia. Conclusione: il nemico di classe non è mai stato così pericoloso come in questa variante del berlusconismo e del thatcherismo. Mai come ora ha assunto un’evidenza così spettacolare e così conclamata, attraverso la metastasi in corso, quel cancro socio-politico-culturale del nostro paese, che si chiama Pd.
Per la serie “il liberismo è di sinistra”, segnalo ai lettori la constituency di Renzi:
“Security e riservatezza ai massimi livelli per i tre giorni milanesi di BlackRock che ha deciso di portare il suo stato maggiore sotto la Madonnina per il Global leadership summit 2014, proprio nell’anno in cui il colosso Usa ha praticamente colonizzato Piazza Affari. Il mega fondo, infatti, è ormai il primo investitore del Paese, pur avendovi destinato per ora solo 58 miliardi, una goccia dell’immenso patrimonio del gruppo (4,3 trilioni di dollari, sette volte il valore di Borsa, più del doppio del debito pubblico italiano).
E la sensazione è che lo shopping non sia ancora finito, tanto più che i tre giorni milanesi del gruppo sono stati programmati proprio a Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa Italiana. Per questo, nonostante le 72 ore milanesi dei 150 top manager mondiali di BlackRock siano rigorosamente a porte chiuse, impazza il toto investimento, in Borsa ma non solo. «L’Italia, il suo mercato, le aziende medie e grandi dell’energia, delle tlc, del credito e del settore manifatturiero sono estremamente attraenti non solo in termini di valutazioni, ma anche di fattori più strutturali, come riforme e privatizzazioni», ha recentemente dichiarato, in merito, Andrea Viganò, country head per l’Italia. Ieri, intanto, le danze sono state aperte da un incontro riservato organizzato da Borsa Italiana, tra l’ormai leggendario Larry Fink, co-fondatore (con Robert Kapito) e numero uno di BlackRock, e alcuni dei più blasonati rappresentanti dell’imprenditoria italiana. Assenti le banche retail. Ma Fink dovrebbe già avere in agenda incontri con i vertici delle maggiori istituzioni finanziarie e politiche del Paese. Intanto ieri erano presenti, oltre allo stesso Fink e a Massimo Tononi (Borsa Italiana), anche Marco Tronchetti Provera (Pirelli), Gabriele Galateri di Genola (Generali), Pietro Scott Jovane (Rcs), Alberto Nagel (Mediobanca) e Carlo Pesenti (Italcementi). Volti rilassati e commenti soddisfatti: «È andato bene», ha dichiarato Tronchetti Provera, mentre Scott Jovane, intrattenutosi con Nagel qualche minuto sulla porta di Palazzo Mezzanotte, alla domanda se BlackRock voglia diventare azionista dell’editore del Corriere ha rinviato sorridendo allo stesso Fink.
D’altro canto, BlackRock negli ultimi mesi si è distinto per uno shopping quasi compulsivo su banche e blue chip. In poco tempo Fink è diventato il nuovo Mr 5% di Piazza Affari con posizioni di rilievo su Intesa Sanpaolo (al 5,004%), Unicredit (al 5,246%), Banco Popolare (al 6,851%), Azimut (5,004%), Telecom Italia (al 4,8%), Hera (a quasi il 2% del capitale), Ei Towers (al 6,846%), Ubi (al 4,9%), e Mps (dove è recentemente sceso al 3,2% dal 5,7%). Il colosso, che si avvale della facoltà di non comunicare le partecipazioni sotto al 5%, dovrebbe poi sfiorare il 5% in Atlantia e Prysmian, e detenere partecipazioni in Generali (accreditato al 2,85%), Pirelli (all’1,95%), Saipem (di nuovo al 2,83% dopo la vendita del gennaio 2013 a ridosso del profit warning), Eni (al 2,73%), Terna (al 2,73%), Mediaset (al 2,5%), Fiat (al 3,16%), Enel (al 3,33%), Salvatore Ferragamo (2%), Snam (1,56%), Poppolare di Milano (1%) e Popolare Emilia Romagna(1,2%).”
http://www.ilgiornale.it/news/economia/blackrock-pigliatutto-missione-piazza-affari-1014884.html
Nei nostri anni l’opzione politica a livello mondiale è semplice. Da una parte ciò che c’è – ma che non è sostenibile – : l’economia di mercato. Dall’altra ciò che ci potrebbe essere: un’economia non di mercato – non di soldi, non di finanza, non di simboli, non di lavoro, non di inquinamento – ma delle cose. Della materia.
Tutto il resto – ogni altro atto o giudizio politico – dovrebbe esserne una conseguenza. Ancor oggi però tutte le opzioni paiono interne all’economia di mercato. Ormai nemmeno più avvertita come tale. Bensì considerata come l’Economia e basta. Tanto che – non prospettandosi ulteriori modelli economici – nemmeno di economia si parla. Perché la si identifica con il mercato e questo – onnipresente – rende indistinguibile l’economico dal non-economico; e soprattutto il modello economico dominante con altri possibili e diversi.
(La inerziale galassia marxista rientra nell’economia di mercato perché non può elaborare in quanto antropocentrica un’economia delle cose. Perché incapace di proprorre adeguate alternative all’economia di mercato. La quale – antropocentrica quanto la marxista – risulta ad essa assimilabile. Marx era allievo di Hegel.)
Il male Renzi – e dell’Italia che lo segue – consiste nel suo essere uno sfacciato alfiere dell’economia di mercato. E siccome l’economia di mercato consuma uomini e mondo – essendo ad essa intrinseche disoccupazione, stacanovismo e inquinamento – il male Renzi è molto più mortale, va molto più oltre la politica – rispetto a quanto si creda. È biofisico. Oltre che intellettuale e culturale.
Le riforme che propone Renzi non sono riforme ma incentivi all’economia di mercato. Dice di voler dare ai lavoratori 80 euro in più al mese. Significa chiedere ai lavoratori di prostituirsi. “Vendentevi (datemi il voto) per 80 euro”. Milioni lo faranno. Perché la loro cultura è quella dell’economia di mercato. Con quelle 80 euro – ha detto lo stesso Renzi – i lavoratori non faranno altro che consumare un po’ di più. E con ciò incentivare la crescita dell’economia di mercato. La riforma pertanto non riguarda i lavoratori ma questa economia. Riforme riguardanti i lavoratori avrebbero dovuto andare nella direzione di una diminuzione della disoccpazione tramite la riduzione dell’orario lavorativo. Avrebbero dovuto andare nella direzione di sostegni medici e scolastici maggiori. Per quanto riguarda la scuola – cioè l’essenza dell’uomo, animale che vive solo se educato – Renzi vuole investire non nell’insegnamento o nel sostegno alle famiglie bisognose ma nell’edilizia. Risultato: soldi – miliardi – ai principali distruttori d’Italia. Imprese edili e costruttori. Soldi a chi vince gli appalti. E chi vince gli appalti in Italia? O la mafia o costruttori che vivono della morte del paesaggio. E allora tra la mafia e loro – per quanto riguarda il male che fanno – non c’è differenza.
Giornali sedicenti di sinistra e sindacati si augurano che simili riforme renziane abbiano successo. Giornali sedicenti di sinistra e sindacati stanno dalla parte del male – sono contro l’ecologia – e lo sono da sempre. Altrimenti non si sarebbe giunti all’imbonitore Renzi.
Ringrazio molto Mauro Piras per queste sue lucidissime riflessioni.
Ringrazio anch’io Mauro per la problematicità del suo intervento. Da antirenziano, che cerca però di non essere pregiudizialmente tale, penso che nell’operato del governo ci sia una discontinuità rispetto all’andazzo precedente, e che in esso si veda se non altro un accenno a una ridistribuzione del reddito, che è uno degli assi portanti di qualsiasi politica di sinistra. Sul “Jobs act”, per quello che si è visto finora, mi sembra invece che ci sia soprattutto un’ulteriore precarizzazione del lavoro. E sulle riforme istituzionali non ci siamo proprio… Per essere sintetici, Renzi unisce uno stile di comunicazione nettamente berlusconiano a una capacità politica – anche nel senso della mediazione – da vecchia scuola democristiana. È un impasto tipicamente italiano.
Caro Mauro,
Wolfgang Pauli (quello del principio di esclusione, in virtù di quale esiste la chimica e, in ultima analisi, noi e questo mondo), quando ascoltava un’ipotesi o una teoria che non lo convinceva per niente, o che giudicava inconsistente come fisica, era solito scuotere vistosamente la testa e commentare ad alta voce: “non è neanche sbagliata!”
E’ quello che mi è venuto in mente subito ponderando quanto da te scritto.
Ma poi, ragionandoci ulteriormente, ho pensato che non è certo da te argomentare in modo inconsistente o infondato.
Quindi, o tutto questo è surreale, oppure c’è un equivoco di fondo, riconducibile alle definizioni e a quello che consegue da esse e dalle premesse che sono necessarie per arrivarci.
Forse, molto banalmente, pensavo di avere un’idea della sinistra che non è quella secondo la quale si (auto)definisce adesso la sinistra e quindi, sic stantibus rebus, non mi sono reso conto di non essere più di sinistra! Almeno nel senso di “sinistra effettuale” di cui parla Buffagni.
Sembrerebbe, da quello che dici, che ormai il problema sia quello della (minima) dose di “cose di sinistra” che si può inoculare nel nostro miserevole sistema politico senza provocare sussulti e rigetti al corpaccione dell’economia di mercato di cui, è dato per scontato, è pervasivamente e esclusivamente costituita la nostra società (secondo la vulgata liberista – fammelo dire – imperante).
Sì, perché è a questo che si devono alla fine ricondurre tutti i distinguo e le precauzioni di cui parli, e di cui dovrebbe farsi una ragione una certa sinistra refrattaria alla ragionevolezza, se non vuole rischiare di rimanere residuale, di sola testimonianza.
Io continuo a pensare che il perno di tutta la questione sia l’eguaglianza, e a quale quantità di essa si sia disposti a rinunciare in nome di una (supposta) efficienza sociale, articolata nei termini o dell’economico o del gerarchico, più o meno mascherato da ineluttabile naturalismo – quest’ultimo di pertinenza quasi esclusiva del pensiero di destra, per cui di nessun interesse qui.
Mi pare che questa sinistra di cui parli, pragmatica e realista, stia da lungo tempo rinunciando a quantità sempre maggiori della suddetta eguaglianza, eguaglianza sostanziale, legata alle condizioni di vita materiali, a favore di quella (supposta) efficienza economica incarnata dal modo di produzione capitalistico, e senza neanche un ragionamento politico che non sia il mero prendere atto di una situazione assunta di per sé ormai incorreggibile – e tralascio quei discorsi che parlano di squallido traccheggiare per rimanere a galla, “Cicero pro domo sua”, di cui si fanno forza i vari populismi oggi di moda.
Si sa che due sono i modi per rimettere in carreggiata il treno di quest’eguaglianza ormai finito su un binario morto: o prendere il toro dell’economia di mercato capitalista per le corna e regolare con esso i conti sin che si può e come si può, oppure correggerne il più possibile l’impeto distruttivo, regolarlo senza fermane la corsa. Il primo modo ipotizza il rivolgimento completo dei rapporti di produzione e dovrebbe portare al socialismo; il secondo è quello seguito dalle socialdemocrazie e comunque da tutte quelle democrazie “keynesiane” che hanno avuto fortuna sino agli ’70 del ‘900.
Probabilmente avresti da ridire sia sul primo, sia sul secondo, ma va da sé che entrambi erano comunque considerati, senza poi litigare tanto, più o meno di sinistra; ed è anche vero che questa sinistra “effettuale”, Renziana o meno che sia, invece le considera ormai delle mere sciocchezze!
Ne consegue quindi che i provvedimenti del governo ricordati da Genovese, da Barone e da altri, tutto fanno fuorché di provare a rimettere in movimento quel treno di cui più sopra: scusami, ma non vedo proprio come potrebbero farlo, senza mettere le mani sul quadro di comando del potere economico, o almeno provare a entrare nella sala in cui vengono prese le decisioni senza uscirne tutte le volte con la lista dei compiti da fare: per esempio le privatizzazioni a tappe forzate, o la rinuncia a qualsiasi politica di stimolo dell’offerta (e non solo della domanda).
Sono solo misure di “contenimento” del disagio sociale, del progressivo impoverimento e “declassamento” di interi settori della società, che non disturbano minimamente – se fossero davvero di sinistra lo farebbero, almeno secondo me – i padroni del vapore, anche se tu pensi il contrario.
Poi, se i vuole, si abbandoni pure questa terminologia (sinistra, destra e tutte le relative variazioni di grigio), da qualcuno considerata obsoleta in altri interventi: il problema non cambia.
Si, si effettivamente è tutta roba di sinistra, giusta per amministrare un borgo o un piccolo comune però…
Contrariamente a ciò che si può desumere dalle apparenze (l’assordante rullo di tamburi in pro del governo Renzi, la risorta politica democristiana delle mance, la permanente grancassa mediatica sull’attuale papato), la borghesia italiana manifesta nella fase attuale una crescente crisi di consenso: la borghesia domina più di prima, ma si riduce la sua egemonia nella società italiana. Si tratta di una crisi di consenso che non ha un significato congiunturale e di superficie, ma ha un carattere di fondo e una base materiale. L’impoverimento progressivo del lavoro dipendente, l’espansione enorme del precariato, la proletarizzazione di ampi settori impiegatizi, l’indebitamento drammatico di milioni di famiglie e la crisi di ampie fasce della piccola borghesia e del lavoro autonomo hanno scavato nel corso degli anni un fossato profondo tra la maggioranza della società e le politiche dominanti. Tutto ciò, anche se non determina meccanicamente una radicalizzazione e può, in un primo momento, produrre demotivazione e passività, porta nondimeno, col passare del tempo, ad accumulare il combustibile di una crisi sociale di ampia portata. Gli stessi gruppi dominanti manifestano una preoccupazione crescente: infatti, se addirittura lo stesso ‘capo del governo’ (e uso intenzionalmente questa espressione di origine fascista, anziché quella costituzionale di ‘presidente del Consiglio’) e il presidente della Confindustria riconoscono il carattere esplosivo della questione salariale, ciò avviene non perché costoro abbiano motivazioni umanitarie, ma perché sono preoccupati dal forte calo dei consumi e temono il rischio di una imminente rottura sociale. Alla crisi di consenso si aggiunge, poi, la crisi delle forme di rappresentanza politiche e istituzionali. Più di venti anni fa, dopo la dissoluzione della Dc, la borghesia appoggiò leggi elettorali maggioritarie e bipolari al fine di assicurarsi governi più stabili e intercambiabili nella gestione delle politiche anti-operaie, ottenendo indubbi risultati. Tuttavia, i due poli di alternanza forgiati nella storia politica intercorsa da allora fino ad oggi hanno rivelato contraddizioni interne esplosive e sono oggi frantumati. Il centrodestra è esploso, oltre che per le vicende giudiziarie del suo leader, a causa di un ritorno populistico del berlusconismo, cioè dell’anomalia di un coacervo di interessi privatistici, aziendali e di clan, che dimostra la congenita difficoltà di Berlusconi nel dare vita ad un normale partito borghese e conservatore. Ma anche il centrosinistra si è disgregato, perché è entrato in crisi il suo blocco sociale di riferimento: tenere insieme Marchionne e gli operai della Fiat, le banche e le famiglie indebitate è, invero, un’impresa improba, quando non si possono ridistribuire (se non attraverso partite di giro ed ulteriori tagli alla spesa pubblica) le risorse esistenti. Del resto, è il caso di osservare che per la borghesia l’impossibilità di una politica redistributiva non nasce, in astratto, dalla carenza di risorse, bensì dal carattere prioritario della competizione economica intercapitalistica sui mercati internazionali, che richiede una rigorosa canalizzazione delle risorse economiche su questo terreno.
Questa, peraltro, è (e sarà) la vera radice della crisi del governo Renzi e della sua strutturale impossibilità nel coniugare rispetto dei vincoli posti dalla Unione Europea, crescita economica ed equità. Il fatto che la crisi segua il classico andamento ‘a doppia vu’ (recessione-ripresina-recessione-ripresina) dà la misura della gravità della depressione (in questo senso, più simile alla prima grande crisi del capitalismo che ebbe luogo tra il 1873 e il 1896 che non a quella del 1929). Vi è poi da rilevare che l’asse Renzi-Berlusconi, finalizzato ad attuare le riforme elettorali e istituzionali, non è solo il frutto della convergenza programmatica tra il maggiore partito del centrodestra e il maggiore partito del centrosinistra, ma è il frutto della crisi del bipolarismo della ‘seconda repubblica’ e della difficoltà a trovare un nuovo equilibrio.
Da questo punto di vista, si palesano tutte le enormi responsabilità delle sinistre e dei loro gruppi dirigenti in questi venti anni. Invece di investire le loro forze nella opposizione ai gruppi dominanti, ai loro partiti e ai loro governi, incuneandosi nella loro crisi politica e di consenso, i gruppi dirigenti delle sinistre hanno fatto l’opposto: hanno utilizzato quella crisi di consenso per offrire alle classi dominanti il loro soccorso. E in tutti i passaggi difficili degli ultimi dieci anni, dai parametri di Maastricht all’attuale stretta sociale, quel soccorso è stato davvero indispensabile per la borghesia italiana. Le peggiori misure antioperaie e antipolari dei decenni che stanno alle nostre spalle hanno avuto il voto e il sostegno dei gruppi dirigenti delle sinistre, a partire dalle leggi che hanno reso sempre più precario il lavoro (pacchetto Treu del 1997) si-no al cosiddetto “Jobs Act” attualmente in discussione. Un sostegno che è stato decisivo per far passare nella società italiana e fra le masse misure che altrimenti avrebbero incontrato ben altre reazioni e resistenze.
Il grande movimento sviluppatosi, con una potenzialità straordinaria e con una massa critica imponente, negli anni di Berlusconi, contro Berlusconi, è stato politicamente castrato e subordinato ad una prospettiva di centrosinistra, ossia agli avversari politici e sociali di quel ciclo di lotte, in cambio di qualche ‘posticino caldo’ nelle istituzioni e nel governo: una bastonata micidiale, che ha ancor più tramortito e disorientato la base proletaria e popolare delle sinistre.
A questo punto, sarà quindi lecito porsi, nella forma più crudamente dilemmatica, la seguente domanda: è una sinistra che sbaglia e che fallisce o è uno strumento delle classi dominanti che opera per conto di queste all’interno delle classi subalterne? E ha ancora senso usare il termine di ‘sinistra’ per designare un complesso di posizioni totalmente endosistemiche? Si veda, a titolo di esempio, l’impostazione data dal Pd alla campagna elettorale in corso: impostazione che fa coincidere la rappresentanza politica con una sorta di servizio alla clientela. E infine, non è forse giunto il momento di separare nettamente e drasticamente la ‘sinistra’ (borghese, liberista e proimperialista) dal ‘comunismo’ (proletario, anticapitalista e antimperialista)?
SEGNALAZIONE
http://www.poliscritture.it/2014/04/29/2034/
Caro Buffagni,
lei presenta una lista di cose piuttosto eterogenee: alcune sono di sinistra (le quote rosa, la politica sull’immigrazione, la tassazione sui patrimoni) e lei le detesta, coerentemente, da destra; altre sono o deliranti o di destra (dipendere dalle multinazionali, dal potere americano, precarizzare il lavoro, fare una legge elettorale antidemocratica ecc.), e lei le detesta da un punto di vista nazionalista, di destra, ma la sinistra le detesta da altri punti di vista. In ogni caso, questo modo confuso di presentare le cose non ci aiuta. E soprattutto non aiuta mettere insieme cose che si fanno effettivamente con cose che si si attribuiscono a un politico solo perché si è deciso che quel politico è fatto così, e perché si è affascinati dal complottismo.
In particolare, due idee che ritengo molto limitate, e lo dico anche agli altri che le hanno formulate:
che Renzi, o chiunque altro, prenda ordini dalla Merkel: questo è un modo per lavarsi le mani della responsabilità della gestione della finanza pubblica in Italia, negli ultimi decenni;
che gli 80 euro siano un regalo elettorale: sono anni che si parla della riduzione del cuneo fiscale, e farla con urgenza significa dare un segnale di fiducia, quindi questo era il modo per farlo in fretta; poi c’è anche un tornaconto elettorale, ovviamente, ma mi sorprende che un realista politico come lei se ne scandalizzi.
Quanto alle sue considerazioni su destra e sinistra: l’ho già detto, se ogni politica economica dentro le istituzioni viene etichettata come neoliberista, il neoliberismo diventa la notte in cui tutte le vacche sono nere, cioè serve solo a mascherare la pigrizia intellettuale di chi non vuole trovare vie di intervento politico in contesti difficili. Perché la politica serve a questo, non a dire che tutto quello che si fa è dominio e ingiustizia, e quindi a condannare qualsiasi tentativo di azione.
Non ho ho poi ancora capito in che senso quella roba che ci ha citato dal Giornale sarebbe la constituency di Renzi.
Caro Tirinanzi De Medici,
certo, anche garantire a tutti di campare cento anni belli, felici e ricchi è di sinistra.
Le cose che lei presenta come di sinistra sono irrealizzabili, con l’azione politica. Certo, forse con un’azione rivoluzionaria si potrebbero creare le condizioni per realizzarle, ma costruite bene la teoria perché ci si è già sbagliati una volta.
Battute a parte: il problema è se, di fronte a un problema, si vuole trovare una soluzione, o se se si vogliono seguire i sogni, che consolano proprio perché sono irrealizzabili.
Sull’autoritarismo: Renzi, finché era all’opposizione, ha sempre rispettato le regole. Poi certo, adesso impone la linea, ma che credibilità hanno i dirigenti del Pd, che l’hanno portato allo sfascio in cui l’ha trovato? La ragione per cui alla fine chinano la testa è questa: ormai non hanno più niente da proporre.
Caro Michele Dr,
grazie per l’apprezzamento.
Io mantengo la distinzione tra destra e sinistra perché non sono portato a farmi influenzare dalle “mode intellettuali”, e cerco di guardare le cose sul lungo periodo (ben oltre la mia età anagrafica). Ho spiegato in due interventi che si trovano qui su LPLC alcune mie idee sulla sinistra. Io penso che la politica moderna sia fondata sull’ideale di una democrazia di liberi e eguali, e che questo necessariamente metta in moto la distinzione tra la destra, che interpreta l’idea di eguaglianza in termini più ristretti, e la sinistra, che cerca di darle una interpretazione più forte. Per questo valuto quello che serve in questo momento a partire da questo punto di vista. Però calato nella realtà, possibilmente. Ecco perché non condivido il discorso di Cacciari sulla fine di destra e sinistra. La spinta verso un riconoscimento dell’eguaglianza è inevitabile, nelle democrazie moderne, e questa spinta innesca una critica che tende a superare i rapporti di fatto, in un modo o nell’altro. Questo spiega il fatto che la sinistra sia inevitabilmente divisa tra una parte istituzionale e una parte “antisistema”: restando dentro il sistema, quell’ideale di eguaglianza viene inevitabilmente, in parte, tradito; questo provoca il rilancio “più a sinistra”. Ma allo stesso tempo una politica istituzionale che cerchi di raccogliere quella tendenza deve esistere. Insomma, la cosa è complessa, ma mi sembra superficiale dire che destra e sinistra non esistono più. Lo potremo dire quanto non esisteranno più le democrazie moderne.
Caro antimachiavellus,
c’entra perché Renzi è il segretario del Pd – o davvero lei pensa che abbia vinto le primarie solo perché degli elettori innocenti lo hanno votato (cosa vera), e non anche perché una parte consistente dell’apparato del partito, ormai liquefatto, si è consegnato a lui?
Caro Baldini,
grazie a lei per l’apprezzamento e l’attenzione.
Concordo su tutto.
Che la destra abbia perso l’occasione di governare i cambiamenti è grave, perché mostra che l’Italia, dal 1992, non è riuscita a ricostruire un sistema politico; nessuna delle due parti ha saputo governare e fare delle scelte, perché il sistema politico che si era creato non era stabile. Gli scossoni di questi ultimi due anni forse faranno nascere un sistema politico nuovo, e speriamo più stabile. Forse riusciremo ad avere una destra che non surroga la modernizzazione con il berlusconismo, e una sinistra che non resta chiusa nel suo recinto. Ma non è detto.
Del secondo commento condivido ogni virgola.
Caro dm,
la ringrazio, ma io non mi ritengo un intellettuale. Cerco solo di capire alcune cose; l’onestà intellettuale la garantisco, ma posso essere stupido, questo lo riconosco.
Le promesse di Renzi vanno verificate nel tempo; e tempo vuol dire mesi e mesi, non poche settimane, perché viviamo nella realtà e non nei sogni. Prendere alla lettera le scadenze che Renzi stesso propone è puerile: quello è solo un modo per impegnarsi a darsi una mossa, e noi dobbiamo verificare questo, non il rispetto pedante delle scadenze.
Io volevo solo dire questo: sulle direzioni di marcia, la sinistra è disposta a sostenere, a fare da forza propulsiva, o preferisce stare a guardare?
Caro Coccia,
grazie a lei, il suo apprezzamento mi fa molto piacere.
Riprendo domani a rispondere agli altri commenti.
mp
@Mauro Piras,
Grazie, della risposta, conoscevo in effetti i tuoi due articoli “Lo spazio della critica sociale” sulla sinistra, in effetti più che a un abbandono dello schema destra-sinistra, una definizione estremamente breve e generica dei due poli che tiene conto del lungo periodo a cui si aggiungono eventuali precisazioni sulle ulteriori divisioni (come la sinistra istituzionale e quella “antisistema”) riesce meglio a inquadrare le complessità dello spettro politico.
Ritieni comunque che la sinistra italiana degli ultimi vent’anni ha “perso molti treni” (ovvero molte occasioni di realizzare azioni politiche durature e di successo nel paese) soprattutto a causa di fattori estranei a idee ed azioni di sinistra (maggioranze fragili, mancanza di leader carismatici e comunicativi…) oppure anche a causa di visione distorte dei valori della sinistra o più che altro di non riuscire ad applicarli a nuove situazioni sociali ed economiche? O tutti questi fattori hanno contribuito in maniera uguale a questo fallimento?
Caro Piras,
“dipendere dalle multinazionali, dal potere americano, precarizzare il lavoro, fare una legge elettorale antidemocratica” sono cose che la “sinistra ideale eterna” detesta, ma che la “sinistra effettuale” fa.
Scusi, chi ha dato il via alla precarizzazione del lavoro in Italia? A me pare che sia stata la legge Treu, e mi pare anche di ricordare che Tiziano Treu fosse ministro di un governo di sinistra. O no? Chi ha iniziato la svendita dell’IRI? A me pare di ricordare che sia stato Romano Prodi, e mi pare anche di ricordare che Prodi fosse il presidente del consiglio di vari governi di sinistra. O no? Mi pare anche che la legge elettorale proposta da Renzi abbia il principale scopo di rendere più facile la “governabilità”, cioè a dire di ridurre la rappresentatività elettorale, vulgo governare con la minor percentuale possibile di voti. E che Renzi sia di sinistra me lo certifica lei.
Quanto alla destra, anch’essa va distinta fra “destra ideale eterna” e “destra effettualmente esistente”. La “destra effettualmente esistente” fa non meno schifo della “sinistra effettualmente esistente”, e infatti fa, in buona sostanza, le stesse politiche.
Quanto alla constituency di Renzi (Blackrock), cosa vuole, come dice lei io sono complottista.
Quando un presidente del consiglio italiano viene nominato, senza il minimo ricorso alle urne, dal presidente della repubblica più ubbidiente agli americani della storia italiana (che non ne annovera pochi), e nel gruppo ristretto dei suoi consiglieri e spin doctors c’è una percentuale elevatissima di pr della McKinsey (impresa che ha un rapporto strettissimo con il clan Clinton, del quale ha gestito le campagne elettorali presidenziali); quando il presidente USA viene in Italia e si spertica in lodi per Napolitano e Renzi; e quando poi, dopo poche settimane, il gruppo Blackrock viene a fare shopping mettendo piede in imprese chiave come Saipem; quando nel consiglio di amministrazione ENI Renzi piazza Marta Dassù (Aspen); il mio complottismo mi suggerisce che Renzi stia pagando il primo acconto su un debito di riconoscenza verso chi lo ha votato.
No, non mi riferisco agli elettori delle primarie PD. Gli elettori delle primarie PD potevano al massimo conferirgli la carica di segretario del partito. A conferirgli la carica di presidente del consiglio potevano essere a) gli elettori italiani, in seguito a consultazione elettorale b) il presidente della repubblica, in seguito a consultazione telefonica con i suoi cari amici stranieri.
Caro Piras,
con gli attuali vincoli europei è semplicemente impossibile una politica egalitaria. Anzi in base ai vari trattati succedutisi dal 1992 in poi alla lunga sarà impossibile anche qualsiasi politica economica pubblica: il che – lei lo saprà benissimo – è uno dei dogmi principali del liberismo che pur smentito dalla storia (recente e passata) viene riproposto come nulla fosse In tutta la zona euro (ivi compresa la germania) i diritti sociali (condizioni di lavoro, pensione, sanità, istruzione) sono stati ridimensionati, appunto perchè con quei vincoli non si può che fare una politica liberista: ossia una politica solo sul lato dell’offerta e non su quello della domanda effettiva.
Perciò chiedersi se Renzi sia più o meno di sinistra è un’esercitazione astratta e fine a se stessa in quanto la sinistra è da un pezzo tramontata a livello europeo.
@Buffagni
per dirla tutta subito dopo le legge Treu sul lavoro varata durante uno dei brevi governi tecnici, non propriamente di sinistra( mi pare che fosse durante il governo Dini), abbiamo assistito al ritorno di BERLUSCONI, che ridendo e scherzando ci ha governato per vent’anni; strano che lei non se ne ricordi, eppure è stato un suo sostenitore, ma nel commento qui sopra deve averlo completamente dimenticato.
Le ricordo che durante il governo Berlusconi il ministro del lavoro MARONI firmò la legge comunemente nominata legge Biagi (il giuslavorista ucciso proprio per il suo lavoro su questa legge).
Il lavoro determinato introdotto dalla legge Treu con i co.co.co prevedeva la possibilità del datore di lavoro di assumere personale con un contratto di lavoro di collaborazione a tempo “determinato” la legge Treu però garantiva gli stessi diritti del lavoratore a tempo “indeterminato”: ferie, malattia, permessi, maternità.
La legge Biagi/Maroni del 2003 sostituì il co.co.co con il co.co.pro e introdusse i contratti a progetto e in pratica abolì ogni forma di diritto per il lavoratore e distinse completamente i diritti di chi lavorava a tempo “ indeterminato” con chi era a tempo “determinato”.
Giusto per la precisione dei fatti:
“Per pacchetto Treu si intende quell’insieme di misure “contro la disoccupazione” ideate principalmente da Tiziano Treu, ministro del Lavoro del governo Dini, e presentate da questi il 12 aprile 1995, ed emanate con la legge 24 giugno 1997 n. 196.
Dopo mesi di confronti fra governo e parti sociali, e dopo una fase di stasi, il pacchetto Treu fu ripreso dal successivo governo Prodi I, governo nel quale Treu era stato riconfermato ministro del Lavoro. Le misure infine vennero emanate con la legge n. 196/1997 approvata definitivamente alla Camera dei Deputati il 4 giugno 1997.”
(fonte Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Legge_24_giugno_1997,_n._196)
Presento un dialogo fra due amici, il cui tema è “la dicotomia tra destra e sinistra nel tempo presente”. È quasi un’ovvietà sottolineare quanto la personalità intellettuale e l’orientamento politico di questi due simpatici personaggi siano profondamente legati alla storia recente e meno recente del Bel Paese e in particolare, come è chiaro, alle vicende della sinistra italiana.
Caio: carissimo Mevio, oggi, nel riprendere i nostri conversari sullo stato presente del nostro paese e sulle prospettive di quel ‘movimento reale’ che ci sta molto a cuore per la buona ragione che ‘abolisce lo stato di cose presente’, ti propongo, dopo la catastrofe storico-morale della sinistra e a fronte delle ‘prove tecniche’ di ripresa combattiva del movimento proletario e comunista, un motto meritamente celebre, che forse può essere assunto come epigrafe del momento attuale: “È quando il gioco si fa duro che i duri cominciano a giocare”.
Mevio: il motto è certamente adeguato al momento e indica per la sinistra italiana una direttiva di marcia e una conseguente selezione dei quadri politici, il cui senso si può riassumere con due figure mitologiche: è finito il tempo di Proteo, è cominciato il tempo di Anteo.
Caio: immagino che, evocando Proteo, tu intenda riferirti ai comportamenti di tipo trasformistico che hanno segnato la storia del declino della sinistra a partire dal 1989-1991; così come, contrapponendo Anteo a Proteo, simboleggi nel primo la sorgente inesauribile di forza e determinazione che la sinistra può attingere solamente dal popolo, giacché Anteo fu vinto da Ercole quando questi lo strozzò staccandolo da quel contatto con il suolo che era in grado di rigenerare le forze di Anteo.
Mevio: ma vi è di più, mio caro Caio, tu che ami, come Stalin e come Roosevelt che la usarono nei loro discorsi degli anni Trenta del secolo scorso, questa potente meta-fora tratta dalla mitologia greca. Io, per me, sono convinto che, malgrado le dure pro-ve che ci toccano, questo è un momento favorevole. Ed è favorevole perché è in corso un passaggio di fase. Non di epoca, poiché non è dato al nostro tempo di vivere un passaggio di epoca. A noi è dato vivere solo un passaggio di fase.
Caio: del resto, i passaggi di epoca sono rari, piombano sugli uomini all’improvviso con balzo di tigre, spezzano la continuità storica, producono formidabili accelerazioni del tempo storico: giorni che valgono anni (come quei “dieci giorni che sconvolsero il mondo”), non anni che valgono giorni, come quelli che attualmente ci è dato di vive-re: anni in cui in cui non succede più niente e il meglio che ti possa capitare è un ’68. Gli ‘anni mirabiles’ come il 1648, il 1789, il 1917, il 1945, ossia i momenti in cui rotolano le teste dei potenti, si dà l’assalto al Palazzo d’Inverno, si porta a termine vittoriosamente una guerra di liberazione, be’, quelli, beato chi ha avuto la fortuna di viverli.
Mevio: ora, però, mettiamo da parte sia la mitologia che la filosofia della storia e facciamo il punto sul passaggio di fase che si sta realizzando. Ebbene, i due processi politici e sociali che hanno caratterizzato l’ultimo ventennio mi pare che si stiano concludendo: da un lato, la trasformazione del sistema politico-istituzionale e, dall’altro, la dissoluzione e trasformazione della sinistra.
Caio: forse possiamo dire che al passaggio di fase corrisponde un passaggio di ciclo, nel senso che è ormai sotto i nostri occhi l’esaurimento del ciclo neoliberista. Eppure, che lo sviluppo capitalistico abbia un andamento ciclico ce lo avevano insegnato i nostri maestri, da Marx a Schumpeter, ma evidentemente ce lo siamo dimenticato.
Mevio: e invece la soluzione neoliberista è stata assolutizzata, come se fosse l’approdo definitivo della storia del capitalismo. Ti ricordi quel dispositivo ideologico, denominato ‘fine della storia’, che fu allestito dopo la sconfitta del socialismo?
Caio: come no? D’altronde, lo sappiamo, la funzione delle ideologie è quella di rovesciare e di occultare la realtà oggettiva. Sennonché la realtà, come ha detto qualcuno (forse uno specialista di fantascienza), è ciò che si rifiuta di sparire anche quando smetti di crederci.
Mevio: ebbene, di fronte a una crisi economica mondiale in pieno dispiegamento, con una progressiva contrazione dello sviluppo e una conseguente perdita di competitività, non di questo o quel paese, ma dell’intero Occidente rispetto ad un resto del mondo che comincia a sfuggire alla sua egemonia, io vedo i segni di un risorgente primato della politica. Naturalmente, si tratta di una svolta che è funzionale agli equi-libri e agli imperativi del sistema capitalistico e imperialistico, ma che crea, nel contempo, le condizioni per l’estensione di tale primato al campo delle forze antagonistiche.
Caio: seguendo il filo della tua ipotesi, si potrebbe dire allora che le stesse guerre scatenate dagli Usa dopo l’11 settembre 2001 siano meno determinate dagli interessi economici che non dagli obiettivi geopolitici: come è stato detto acutamente, sono guerre la cui posta in gioco è il ‘fattore tempo’, ossia il ‘gap’, che si sta sempre più riducendo e ora sembra essersi annullato, fra la crescita del Drago cinese e la capacità di iniziativa e di controllo dei rapporti internazionali messa in campo dal Gigante americano. Insomma, abbiamo assistito ai prodromi di un ritorno del primato della politica, gestito dalla destra.
Mevio: sì, è esatto. Dal punto di vista della documentazione più significativa, il ‘terminus a quo’ della fase precedente, ossia l’inizio della svolta neoliberista, si può individuare nel Rapporto della Trilateral, che risale al 1973, mentre le premesse teoriche e culturali della fase attuale si possono individuare nel libro di Huntington sullo scontro di civiltà, che è del 1993.
Caio: stiamo arrivando al ‘cuore di tenebra’ della cosiddetta ‘rivoluzione conservatrice’, la quale non va vista come pura reazione, come semplice ritorno al passato, ma è, per così dire, una ‘restaurazione modernizzatrice’. Ancora una volta la dialettica reale ci ha spiazzati.
Mevio: la definizione binaria che hai formulato sembra costituita da due termini in apparenza incompatibili, anche se in realtà inscindibili. Ma se le cose stanno in questi termini, allora è sbagliato, oggi non ieri, ridurre la destra a fascismo. In realtà, la dicotomia non è fra una destra per vocazione premoderna e una sinistra moderna, come sbagliando si è creduto finora, ma fra una destra moderna e una sinistra postmoderna. Se questa è l’alternativa, non desta meraviglia che la sinistra sia stata finora sconfitta.
Caio: seguendo la corretta linea divisoria che l’analisi dialettica ci ha portato a tracciare, quella realtà delle cose si potrebbe dire in tanti altri modi: una destra concreta e una sinistra astratta, una destra pesante e una sinistra leggera, una destra realista e una sinistra ideologica, una destra dei bisogni e una sinistra dei diritti, una destra antropologica e una sinistra sociologica, una destra sul territorio e una sinistra nelle piazze, una destra storica e una sinistra senza storia. Risultato finale: una destra con il popolo e una sinistra senza popolo.
Mevio: ma se quanto siamo venuti dicendo è esatto, ciò che ne consegue è che i due problemi prioritari della sinistra sono: 1) il primato della politica rettamente inteso (senza la riduzione ‘politicistica’ della politica all’azione puramente istituzionale, ma anche senza la riduzione ‘movimentistica’ della politica all’azione puramente conflit-tuale nel vivo delle contraddizioni sociali), il che vuol dire il primato della politica fondato, conforme alla lezione di Lenin, sul nesso tra teoria e prassi, tra lotta di classe e organizzazione, tra tattica e strategia, tra economia e società; 2) la selezione qualitativa dei quadri politici cui spetta il compito, dopo un lungo periodo in cui a idee sempre più duramente di destra si è risposto con idee vagamente di sinistra, di capovolgere radicalmente questa linea, contrapponendo a idee sempre più duramente di destra idee sempre più duramente di sinistra.
Caio: mi sembra che il nostro dialogo stia avanzando nella direzione giusta, poiché rispecchia con sufficiente approssimazione la realtà oggettiva e ne fornisce un’interpretazione utile a chi si propone di cambiarla. Per dirla in termini filosofici, se l’utile non coincide con il vero, esso tuttavia è il sigillo inconfondibile del vero.
Mevio: diceva il buon vecchio Engels che il sapore del ‘pudding’ si conosce mangiandolo. Come sempre, il criterio della verità è costituito dalla prassi. È questa che deciderà, in ultima analisi, della correttezza dell’analisi e della rispondenza della teoria nell’attuale passaggio di fase.
Per evitare perdite di tempo, segnalo che a me la “destra effettuale” italiana fa schifo quanto la “sinistra effettuale”, e se proprio vogliamo pesare col bilancino, anche di più.
Scusi, Piras, lei scrive “Prendere alla lettera le scadenze che Renzi stesso propone è puerile: quello è solo un modo per impegnarsi a darsi una mossa, e noi dobbiamo verificare questo, non il rispetto pedante delle scadenze.”
Va bene, lei dice di non essere un intellettuale (e garantisce sulla propria onestà intellettuale). E tuttavia considera “puerile” prendere sul serio le parole di un politico. Se è “puerile” prendere sul serio le parole di un politico, allora è “puerile” ritenere che quel politico dica il vero. E questo, ovviamente, è un discorso anti-politico. Lei utilizza però questo discorso per esortarci a esser fiduciosi in quel politico. Ci dice: – Suvvia, mica penserete che quello parli sul serio, quando dice che attuerà quel provvedimento entro la tal data, la riforma entro la tal scadenza. Dice bubbole!
E nel frattempo però sembra dica: – Proviamo a fidarci!
Strano, lei.
Redazione, vorrei sapere perchè da domenica non riesco a postare un commento al post sul crocifisso. Grazie.
Caro Barone,
scusi, ma chi è il “cinico baffetto”?
Sono ammirato dal volo delle sue analisi e dalle sue rocciose certezze. Se ho capito bene, le cose sono chiare: la sinistra istituzionale è “endosistemica”, cioè tutte le vacche sono nere, quindi è indifferente qualsiasi scelta di politica economica in questo contesto; inoltre, questa sinistra-serva-della-borghesia condurrà a una forma di fascismo soft.
Ok, l’analisi c’è. Adesso mi dica: l’elmetto ce l’ha? Oppure, concretamente, qual è la sua proposta politica? Che si deve fare?
Caro Franci,
la sua teoria è molto chiara, ma forse un po’ vaga. Che cosa vuol dire un’economia “delle cose” e “della materia”? Non afferro.
Tornando sul concreto:
– se gli 80 euro sono irrilevanti, sono irrilevanti tutti i problemi di reddito, tasse ecc. che la gente comune si pone; va bene, glielo vada a dire;
– in Sicilia ci sono scuole che sono disperse in appartamenti di edifici privati; l’edilizia scolastica non è un problema, lo vada dire a quegli studenti.
Caro Rino,
grazie, apprezzo molto, come sempre, la tua apertura e capacità di dialogo.
La tua sintesi è efficace, io la correggerei così: sulla politica economica, cerchiamo di rafforzare e sostenere un cambiamento di rotta; sul mercato del lavoro, vediamo bene i dettagli prima di fare muro, perché il dualismo attuale è solo dannoso; sulle riforme istituzionali, cautela.
Su queste ultime, segnalo questo intervento di Mario Dogliani, molto critico verso la proposta del governo:
http://www.centroriformastato.org/crs2/IMG/pdf/Dogliani_CRS_10_aprile_Chiti.pdf
Non condivido un certo eccesso di pessimismo, ma molte osservazioni mi sembrano importanti.
Caro Alberto,
il nodo sono le due prospettive riguardo alle diseguaglianza generate dal sistema economico: il rovesciamento del capitalismo o la sua regolazione.
Ho già scritto perché ritengo il rovesciamento del capitalismo, come prospettiva, non solo impossibile, ma anche non auspicabile. Il sistema economico di mercato risponde a certe esigenze, e corrisponde a un certo livello di differenziazione sociale. Pensare di sostituirlo con una pianificazione dell’economia vuol dire imporre il dominio di un altro sistema sociale, lo stato, su tutta la società. Questo vuol dire un potere eccessivo della politica e dell’apparato statale, che genera forme di totalitarismo e corruzione, si è visto.
Quindi l’unica opzione che abbiamo è cercare di mantenere i confini dell’economia di mercato, nei confronti degli altri sistemi sociali (lo stato, la politica ecc.), e cercare di orientarla in senso democratico. Questa è la grande sfida, realmente. Ed è difficile affrontarla, perché l’economia di mercato si è globalizzata, e non per un complotto del capitale, ma perché si è resa sempre più autonoma, e perché le economie emergenti traggono vantaggio da questa globalizzazione.
Quindi, il grande problema è: quali istituzioni e quali politiche possono regolare, in qualche modo, l’economia di mercato, senza impedirle di produrre quella ricchezza da cui dipende il nostro benessere? Questo è il problema in termini concreti. Se ci illudiamo di poterlo presentare in termini più semplici, non lo vediamo.
Ovviamente, il governo Renzi non è all’altezza di questa sfida. Ho detto infatti che, nel contesto in cui si muove, può solo vagamente avvicinarsi a tendenze di sinistra. Però questo sforzo c’è, e va appoggiato e rafforzato. Dire che non porta niente è sbagliato, perché si possono fare politiche ben più di destra, si guardi la Spagna.
Inoltre: i problemi di efficienza vanno presi in considerazione, perché bloccare il sistema economico significa creare povertà. E’ questa la responsabilità a cui sembra volersi sottrarre molta sinistra.
Quindi, io penso che un rilancio di politiche economiche espansive, che recuperino anche elementi keynesiani, si possa fare sostenendo anche timide inversioni di tendenza come quella a cui assistiamo.
In generale, invece, il problema di un controllo democratico dell’economia ormai può trovare una soluzione solo a livello sovranazionale. La sinistra, se tiene all’idea di eguaglianza, deve lottare per poteri sovranazionali forti.
Caro Abate,
grazie della segnalazione, leggerò l’intervento e risponderò in quella sede.
Caro Michele,
direi che la sinistra italiana ha perso molte occasioni sia per fattori contingenti (gruppi di potere, interessi, ecc.) sia per incapacità culturale di pensare le idee della sinistra in contesti nuovi.
Come mostra anche in parte il dibattito su questo blog, una cultura politica che parta da una idea di democrazia liberale, per spingerla verso una democrazia sociale, viene sempre vista con sospetto, pregiudizialmente.
“Caro Franci,
la sua teoria è molto chiara, ma forse un po’ vaga. Che cosa vuol dire un’economia “delle cose” e “della materia”? Non afferro.
Tornando sul concreto:
– se gli 80 euro sono irrilevanti, sono irrilevanti tutti i problemi di reddito, tasse ecc. che la gente comune si pone; va bene, glielo vada a dire;
– in Sicilia ci sono scuole che sono disperse in appartamenti di edifici privati; l’edilizia scolastica non è un problema, lo vada dire a quegli studenti”.
Gent. Piras,
La ringrazio per la considerazione.
1) con “economia delle cose” intendo l’ecologia: dare valore a prodotti e realtà non in base a mediazioni simboliche (mercato, mode ecc.) ma alle loro cause e ai loro effetti fisici. (Le opere artistiche risulterebbero ovviamente senza possibilità di compravendita. Dovrebbero essere tutte e a tutti i livelli gratis e senza proprietà alcuna.)
2) gli 80 euro e l’edilizia scolastica sono due facce della stessa medaglia: quella di una politica senza progettualità, senza disegno complessivo, senza idea di vita. Si mira ad una sopravvivenza giorno per giorno:
a) fatalmente pronta a ritorcersi in morte (80 euro e non un piano occupazionale; edilizia e non riforma scolastica incardinata sul limite per classe di 15 ragazzi e l’obbligo scolastico fino a 19 anni);
b) altrettanto fatalmente conservatrice delle, comunque inevitabili, progettualità, disegni complessivi, idee di vita vigenti: quelli – senza progettualità, disegni complessivi, idee di vita degni del nome – del liberismo consumistico e dei giochi simbolici privi di considerazione alcuna per la materia.
3) Sostenere il Movimento 5 Stelle – soprattutto nel senso di aiutarlo a sviluppare il potenziale ecodemocratico che possiede e a prenderne piena coscienza – significa molto di più che votare un partito politico: significa avviare, partendo da ciascuno di noi, un cambiamento epocale nella progettualità, nel disegno complessivo, nell’idea di vita: nelle parole e nelle cose, per citare l’intestazione di questo blog.
Caro professor Piras,
Non giudico, nè in positivo nè in negativo, il suo articolo e la sua analisi, non ritenendomi abbastanza preparato per farlo, soprattutto per l’inesperienza derivante dalla mia giovane età.
In primo luogo chiedo quindi dei chiarimenti su questioni forse scontate per i partecipanti a questo dibattito, ma per me nuove: che cosa si intende precisamente con politica economica “espansiva”? A cosa si riferisce parlando del “vincolo della causale”?
In secondo luogo vorrei commentare le sue righe riguardo al famigerato “bonus da 80 euro”: Lei dice che la sinistra dovrebbe prima pensare agli interventi necessari e poi alle coperture, opinione con la quale sono perfettamente d’accordo, ma credo che, una volta individuati gli obiettivi, nella stesura dei decreti sia fondamentale scegliere bene da dove recuperare i fondi. Nel Def presentato poco tempo fa, tra le misure adottate per permettere il bonus e la diminuzione dell’Irap, ci sono anche 10 miliardi di tagli quadriennali “non lineari”alla Sanità (fonti: http://www.lettera43.it/politica/def-2014-il-governo-renzi-illustra-i-provvedimenti_43675126618.htm e http://www.ilsecoloxix.it/p/economia/2014/04/08/AQfkOiPC-misure_ecco_tutte.shtml) e, passando a un altro scenario, se non ho travisato, anche la Tasi (la nuova Imu) ha subito un rincaro (http://www.pmi.it/impresa/normativa/approfondimenti/77947/tasi-aliquote-rate-e-scadenze-nel-decreto-salva-roma.html).
Non crede che due provvedimenti del genere, che vanno a colpire tutte le classi e le danneggiano tutte, mal si inseriscano in una politica economica “di sinistra”?
In conclusione quindi credo che, se non è produttivo anteporre le coperture agli interventi, non lo è nemmeno spostare il peso da una parte all’altra, lasciando sostanzialmente invariato lo scenario.
Scusandomi fin d’ora se ho riportato per sbaglio informazioni errate, spero che questo dibattito così positivo possa continuare.
@ Tommaso Franci. Quello che scrive sull’ “idea di vita” mi preoccupa. Certo, la politica e la legge fanno parte di una complessa rete di relazioni in cui rientrano la morale e l’etica – ma bisogna anche distinguere queste dimensioni. Lei rischia di sostenere una posizione autoritaria, quando scrive che la politica debba (i) proporre un’idea complessiva di vita e (ii) “avviare”, cioè realizzare questa idea, che lei presenta sempre al singolare – e poco importa se come punto di partenza lei riconosce le persone nella loro pluralità, perché il risultato è poi “avviare” un “disegno di vita” unico, senza per altro ben spiegare quale sia – è il punto (3) (2 maggio ore 10:00).
Perché invece di discutere di idee complessive di vita, non si cerca invece di gestire politicamente i problemi che abbiamo di fronte? In Italia manca progettualità politica anche perché molte tradizioni politiche italiane sono appunto radicate in posizioni di tipo etico – cioè vogliono anche elaborare e proporre idee complessive di vita.
Gent. Baldini,
la questione che Lei avanza a livello politico è simile a quella che ha caratterizzato l’epistemologia novecentesca nello scontro fra l’empirismo neopositivista e Popper.
Il primo riteneva che si potesse operare a partire da una tabula rasa e quindi del tutto a posteriori (la validità di una teoria coincideva con la sua verifica), il secondo mescolava ragione ed esperienza, a priori e a posteriori, parlando com’è noto di theory ladenness.
Insomma, applicando un po’ di Popper a noi, com’è possibile “gestire politicamente i problemi che abbiamo di fronte” senza “discutere di idee complessive di vita”? Come accade adesso! Dove abbiamo una mancanza di gestione proprio per mancanza di simili discussioni. E con ciò mi auguro di aver fugato ogni accusa di autoritarismo. L’autoritarismo c’è piuttosto adesso. Quando non discutendo si dà per scontato che la ricchezza (economica) sia un bene, che lavorare 8 ore al giorno sia un bene, che l’antropocentrismo sia un bene ecc.
Poi, siccome si può non accorgersene, ma una Weltanschauung emerge sempre, è tale anche quella dei vecchi postmoderni che Lei mi pare riecheggiare e che consisteva nel pretendere di non averne una, agevolando così il liberismo, che oggi si chiama Renzi.
Siamo in un’epoca in cui, più di altre, è di fatto in discussione il nostro complessivo stare al mondo.
Il renzismo – cioè il non discutere in tal senso – è il modo peggiore per vivere il presente. Coincide col non viverlo. Col subire il più reazionario conformismo borghese tardonovecentesco.
Aggiungo anche che il Movimento 5 Stelle, potenzialmente, risponde ad entrambe le esigenze qui rilevate, quella pragmatica e quella progettuale:
1) ai problemi politici di natura tecnica risponde con la sua struttura da sempre fatta di gruppi di lavoro su temi specifici, meet-up locali, sostenitori in buona parte laureati in discipline quali l’ingegneria, l’informatica ecc.
2) all’esigenza di avere un’idea di vita (politica) o come la si voglia chiamare per risolvere le questioni strutturali risponde con le 2 direttive (2 facce della stessa medaglia) della democrazia partecipata e capillare e dell’ecologia.
Il Movimento 5 Stelle non è il Paradiso, il Paradiso del resto non esistendo. Ma aiuta a rilevare l’Inferno presente e le strade se non per uscirvi subito e del tutto almeno per renderlo meno … infernale. Il Movimento 5 Stelle sarà anche quello che i cittadini, di cui è costituito in maniera più aperta e spontanea rispetto ai partiti tradizionali, lo faranno o non faranno essere.
Cari redattori,
si può sapere cosa sta succedendo, visto che non solo non riesco a postare commenti al post sul crocefisso, ma che non mi usate neanche la cortesia (invero mi pare dovuta a chiunque) di chiarirmi il motivo di questo blocco.
Mi chiedo come si possa spiegare questo perdurante silenzio su una vicenda che appare sempre più inquitante.
Spero che questo possa essere l’ultima sollecitazione per avere una spiegazione da parte di una redazione incomprensibilmente timida.
@Cucinotta
Non è colpa nostra se alcuni dei suoi commenti finiscono nello spam. Non le abbiamo segnalato il blocco perché non abbiamo ricevuto i suoi messaggi. Tutto qui.
Cara redazione, se finiscono nello spam, significa che li avete ricevuti, e magari sarebbe il caso che controlliate meglio la casella dello spam. Che i commenti siano stati ricevuti, lo testimonia il fatto che se tento di ripostare lo stesso commento, ricevo la risposta automatica che mi avvisa che sto duplicando il commento.
Così, penso che ci sia qualcosa non funzionante propriamente nel vostro sistema, e credo di meritare una risposta appena più cortese, invece di una frase che finisce con l’attribuire a me la responsabilità dell’inconveniente.
Infine, avreste potuto almeno evitarmi il silenzio di ventiquattro ore alla mia esplicita richiesta. Magari sarebbe carino anche sapere quale redattore mi sta rispondendo, visto che usa un tono così sbrigativo nei miei confronti.
Caro @ Tommaso Franci, mi conforta che lei non si identifichi con posizioni autoritarie. Quello che scrive mi lascia perplesso, perché non mi è chiaro. Mi sembra anche che lei continui a proporre idee totalizzanti di vita (“il nostro complessivo stare al mondo”) e descrizioni metaforiche del presente (“l’inferno”) che per me sono difficili da capire. La ringrazio comunque per l’attenzione e la disponibilità al dialogo.
@Cucinotta
in questo momento la nostra casella antispam contiene circa 6320 messaggi accumulati in sei giorni. Lei capisce che non è facile controllare.
Non sappiamo bene come funzioni wordpress, ma pensiamo che qualcuno, su qualche altro blog wordpress, abbia inserito il suo nome fra gli indesiderati. Questo spiegherebbe l’accanimento dell’antispam nei suoi confronti.
LPLC non ha redattori di mestiere. Si regge sul volontariato. Può capitare che qualcosa sfugga.
@ Piras
Mi domando se Lei abbia la capacità di riassumere correttamente e fedelmente le posizioni dei suoi interlocutori, poiché quelle che mi attribuisce sono, benché io abbia svolto tre commenti di un certo spessore, un esempio da manuale dello “straw man argument”. Trovo poi risibile il fatto che Lei equipari l’elargizione degli 80 euro e il “Jobs Act” ad una politica economica e sociale, quando entrambi i provvedimenti non sono altro che manifestazioni del “capitalismo compassionevole” e della strategia padronale fondata sulla precarizzazione generalizzata della forza-lavoro, quindi del tutto funzionali, l’una come ammortizzatore e l’altro come vettore, al dominio del capitale globale. Definire poi, per un servitore di più padroni come Renzi, quale sia il peso specifico del rapporto di subordinazione di questo governo, per un verso, alle direttive della triade UE-BCE-FMI e, per un altro verso, agli interessi (che in questa fase mi sembrano predominanti) delle multinazionali anglo-americane è un problema importante, che però non può essere affrontato in questa sede. Per sapere poi chi sia il “cinico baffetto” Lei non ha da far altro che guardare all’interno del Suo partito, in alto: un partito, mi permetto di aggiungere, che somma, con Renzi segretario e con Renzi capo del governo, il peggio della Dc al peggio del Pci. Ciò nondimeno, non credo che stare all’interno di un partito di questo tipo sia mai stato per i liberali un problema politico o etico, essendo questa la loro destinazione naturale. Anche se la memoria storica è nel nostro paese alquanto labile, ci ricordiamo ancora che questo genere di liberali tenne la scala ai fascisti. – Che cosa fare, allora? – , Lei mi chiede. Le rispondo ripetendo ciò che dissi rivolgendomi ad un frequentatore di questo blog, quando questi mi pose la stessa domanda. Non è mia intenzione predicare una ‘imitatio Christi’; affermo però che il percorso di Lenin, fondato sul nesso tra teoria e prassi e, nella fattispecie, sul nesso tra scienza e strategia, strategia e tattica, filosofia e politica, fondato in altri termini sulla costruzione del partito comunista, è un percorso che conserva un significato oggettivamente esemplare ed ha un valore straordinariamente attuale. A mio giudizio, il compito dei comunisti è oggi quello di lavorare, muovendo dagli apparati in cui òperano (fabbrica, scuola, stampa, sindacati ecc.), per riconnettere il marxismo al movimento operaio e viceversa. La prospettiva che deve guidare questo percorso di militanza globale (politica, organizzativa e ideologica) è quella del socialismo e del comunismo, idee troppo grandi per potersi fermare sotto i colpi della controrivoluzione permanente e preventiva condotta dalla borghesia imperialista o nelle sabbie mobili dell’opportunismo e del riformismo, che di questa classe sono gli strumenti e gli agenti tra gli strati subalterni.
Gent. Alessio Baldini,
anni fa nel testo che sotto linko ho cercato di argomentare maggiormente le mie posizioni politiche.
Mi permetto di segnalarglielo in considerazione dell’interesse che pare dimostrarmi:
http://www.tommasofranci.it/potere-e-prostituzione-nellitalia-di-berlusconi-retrospettiva-filosofica-per-un-futuro-con-almeno-qualche-stella/
Oggi, “l’Unità” batte il record mondiale della balla giornalistica:
“Incendiata la sede dei sindacati, messa a fuoco dai separatisti filorussi.”
http://www.unita.it/?refresh_ce
(Come sa chiunque legga le agenzie di stampa italiane e straniere, è vero esattamente il contrario: a Odessa, 38 manifestanti disarmati “filorussi” – o meglio, favorevoli al federalismo e alla tutela dell’etnia russa in Ucraina, perchè non chiedevano l’annessione alla Federazione Russa – dopo essere stati aggrediti, si sono rifugiati nella sede dei sindacati e lì sono stati bruciati vivi con fitto lancio di molotov dai manifestanti pro-governo di Kiev. Lascio i commenti agli eredi di Antonio Gramsci, fondatore del suddetto giornale).
Cara redazione,
io credo che abbiate un modo di gestire la casella dello spam. Sarà possibile classificare i commenti per data e per nome, e ne sono certo perchè in altre occasioni avete perfino ringraziato chi vi ha segnalato la perdurante assenza del commento, in quanto vi ha consentito di ripescarla e senza apparentemente alcuna fatica.
Il fatto che in questa occasione continuiate a comportarvi in modo così differente, se considerato assieme al perdurante silenzio durato ben 24 ore alla mia richiesta iniziale, mi costringe mio malgrado a credere alla speciosità delle vostre spiegazioni. Dopo anni di frequenza assidua a questo sito, non ritenete di darmi una risposta sincera, mi chiedo chi e cosa state coprendo.
Non capisco infine perchè chi risponde non declina la sua identità neanche dietro sollecitazione.
Proprio una pessima pagina per questo sito, e non intendo passare l’episodio sotto silenzio.
@Eros Barone
Il suo commento non è pubblicabile perché contiene un’espressione potenzialmente offensiva. La invitiamo a toglierla e a rimandarci il commento.
Caro Cucinotta,
stiamo lavorando al recupero del suo commento al testo sulla laicità, mi scusi per non avere seguito la cosa finora ma non ho avuto il tempo.
La prego però di non prendersela così, non c’è nessuna ragione. Tutto qui viene fatto per buona volontà e nei ritagli di tempo, quindi ci sono inevitabili ritardi e inefficienze.
mp
Ringrazio Buffagni per il suo ultimo intervento dedicato alla denuncia della “balla giornalistica” propalata circa l’eccidio di Odessa dal quotidiano “l’Unità” e mi permetto di sollecitare la redazione del blog affinché, individuando la modalità più adeguata, prenda in considerazione la necessità e l’urgenza di aprire un dibattito sulla esplosiva questione ucraina.
Caro Piras,
se lei segue la cronologia di questa antipatica faccenda, potrà facilmente riconoscere che:
1. Ho aspettato reiterando il commento quasi per un’intera settimana.
2. Ho postato una breve e cortese frase a cui non è stata data alcuna risposta. Solo a seguito di questo silenzio che mi appare francamente inspiegabile, mi sono infine deciso a fare degli appunti più specifici.
3. Ricevo a questa seconda richiesta di chiarimento una risposta scortese che mi licenzia sbrigativamente, dicendo che la redazione non ha alcuna responsabilità e che non può fare nulla.
Non occorre che andiate a cercare un commento che posso reiterare sperando di avere maggiore fortuna, ciò che chiedo è capire cosa sia successo e spieghi nell’ordine:
– Commenti non postati per svariati giorni.
– Silenzio di un’intera giornata sulla richiesta di spiegazione.
– Perchè la consueta cortesia con cui viene risposto a chi cade vittima dello spam è stata stavolta sostituita da una palese scortesia, un fare sbrigativo che sembrava avere come primo ed unico scopo di lavarsene le mani.
Registro infine che nessuno si assume la responsabilità dei suoi atti: complimenti!
Caro Tepozzino,
può darsi che lei abbia ragione. Il risultato sarebbe però che qualsiasi politica economica ci è indifferente, non abbiamo neanche bisogno di sapere chi c’è al governo e cosa fa. Mi sembra una posizione un po’ metafisica.
Caro Barone,
le chiedo scusa, quando ho risposto prima non era ancora comparso il suo terzo commento.
Sul che fare, lei propone “il percorso di Lenin”, e la prospettiva “del socialismo e del comunismo”, senza specificare più di tanto i contenuti. Vuol dire che non considera da ripensare un esperimento che ha mostrato sicuramente i suoi limiti. Inoltre, come mostra il suo riferimento al compito di “riconnettere il marxismo al movimento operaio e viceversa”, il problema fondamentale che lei deve risolvere è quello del soggetto rivoluzionario. Lo stesso bisogno di porsi come compito quella connessione mostra che qui c’è un eccesso di volontarismo.
Caro Pomponazzi (che onore),
ecco i chiarimenti:
– per politica “espansiva” si intende una politica economica che favorisca lo sviluppo stimolando la domanda, con l’uso della spesa pubblica;
– il vincolo della causale è quello che impone di giustificare, appunto con una causale, la proroga di un contratta a tempo indeterminato; il nuovo decreto legge abolisce questo obbligo, per cui si possono fare cinque proroghe in 36 mesi senza questo vincolo.
Sulle sue obiezioni:
– sulla sanità, il decreto Renzi non prevede tagli, ma un piano di risparmi che dovrebbe portare appunto alle cifre da lei citate, ma va ancora definito, e dovrebbe intervenire sulle spese per beni e servizi, dove sicuramente ci sono molti sprechi;
– l’aumento della Tasi non mi commuove particolarmente, perché ho già scritto che è corretto spostare la tassazione dai redditi ai patrimoni.
Caro Franci,
grazie per i chiarimenti e per le proposte.
Non aggiungo nulla, perché i condivido del tutto le critiche di Baldini, che ringrazio per i suoi commenti.
Caro Cucinotta,
il suo commento al post sulla laicità è stato ripristinato, compare alla data del 30 aprile.
Sulla faccenda.
Il problema è questo: lei ha ragione a dire che alla sua prima richiesta non è stata data nessuna risposta, ma questo è avvenuto solo perché abbiamo tutti ben poco tempo. Lei invece ha interpretato questo ritardo come un atteggiamento pregiudiziale nei suoi confronti. Questa è una cosa che non capisco.
Vorrei dire a tutti che nessuno qui pensa di utilizzare gli strumenti informatici per limitare la discussione (altrimenti quanti dei commenti ai miei post dovrei cestinare…).
Il problema è quindi che lei, sentendosi attaccato, ha assunto dei toni irritanti; e questo provoca reazioni, ovviamente.
Ora la cosa è stata chiarita, quindi la considero chiusa.
mp
Caro Piras,
in pillola, e mi scusi se sarò un po’ brutale: secondo me, il governo Renzi sta lì per fare quello che sta facendo “l’Unità”, cioè raccontare balle agli italiani sia per conto proprio (prendere almeno il 30% alle elezioni europee) sia per conto terzi (consegnare la fornitura-Italia a USA e UE).
Lo dice anche, in modo più articolato e cortese, un liberale molto moderato come Paolo Savona:
http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?preview=false&accessMode=FA&id=1885581&codiciTestate=1&titolo=Ora%20basta%20con%20le%20bugie%20sull%27euro
Gentile professor Piras,
trovo che il suo articolo costituisca un importante stimolo alla riflessione non solo sull’operato di Renzi, ma in generale sul concetto di sinistra.
Ho tuttavia alcuni dubbi su alcuni passaggi. In primo luogo, quando afferma che la politica economica di Renzi è espansiva, adducendo come ragione il taglio dell’Irpef: ciò mi pare essere in lieve contraddizione con la premessa, che afferma che il metro per la valutazione di queste politiche è, in un certo senso, determinato dalle condizioni in cui versiamo (fiscal compact e pareggio di bilancio nella Costituzione in primis) – e si potrebbe già obiettare che non dobbiamo concepire tali dati come immodificabili –, poiché la valutazione della manovra degli “80 euro”, effettivamente, non può prescindere dalle coperture, in quanto al momento attuale esse significano una razionalizzazione della spesa pubblica che molto spesso si traduce in tagli che gli enti locali non possono sostenere – e qui il ricatto del governo è stato machiavellico – se non con la fallimentare strategia della vendita delle municipalizzate (i cui effetti sono subito evidenti nella nostra città). Una vera e seria politica espansiva si può definire in Paesi che hanno un minimo di controllo sul debito pubblico, non in quelli del Sud Europa, in cui si impone una drastica riduzione della spesa pubblica. Sugli effetti redistributivi e di incremento della domanda di un provvedimento che avrà, se va bene, brevissima vita, si può discutere.
Niente da dire sull’aumento della tassazione delle rendite finanziarie, ma quando si arriva ai tagli il discorso si fa più complesso: innanzitutto, i tagli al FFO dell’Università erano inizialmente previsti e, sebbene 70 milioni su due anni non sembrino una cifra esagerata, bisogna valutare che colpiscono un sistema a un passo dal collasso.
Tuttavia non condivido assolutamente il discorso, forse più importante nella valutazione se le politiche di Renzi siano di destra e di sinistra, sul Jobs Act e sul decreto Poletti. Il primo rimane una chimera, e per ora rimandiamo un giudizio alla promulgazione dei decreti attuativi, sebbene già le promesse sul contratto unico a tutele crescenti suonino peggiorative rispetto all’utopica – ma forse non troppo – idea di un lavoro fin da subito tutelato e dignitoso, mentre ormai sembra data per accetta l’equazione secondo cui a minore esperienza lavorativa corrispondono condizioni dequalificanti e salari umilianti. Detto questo, però, se si entra nello specifico del decreto Poletti lo scenario è tragico: da una a cinque proroghe per il contratto a tempo determinato, inequivocabilmente un modo per trasformare una contrattazione già sbilanciata in un ricatto vero e proprio; la riduzione dell’obbligo di assunzione degli apprendisti e la trasformazione del contratto di apprendistato, senza un vero piano formativo individuale, in un semplice contratto precario per i giovani; infine, l’eliminazione della causale per l’assunzione (che tuttavia lasciava molta libertà, ma almeno rendeva evidente l’anomalia del contratto a tempo determinato) e, ultimo regalo del Parlamento, la sanzione per chi supera il tetto del 20% dei contratti precari in luogo dell’assunzione. Come dire: non importa il futuro dei lavoratori, la questione è di pura gestione aziendale.
Sugli ammortizzatori: prima si introducano quelli nuovi, con la dovuta attenzione all’universalizzazione delle tutele, come ben ricorda, e dopo eventualmente si intervenga sulla CIG.
In conclusione, ritengo che gran parte delle politiche economiche di Renzi – si vedano anche i suoi consiglieri economici – siano di destra, in modo particolare quelle, cruciali, del lavoro: è inutile che si promettano sussidi di disoccupazione o si richiami in modo davvero inopportuna, strumentale e vigliacca il modello della Flexicurity se poi i primi provvedimenti parlano da sé, e dicono cose ben precise: precarietà, contrattazione al ribasso sui diritti e sulle condizioni di lavoro, svilimento dell’utilità formativa dell’apprendistato. Leggendo le quattro pagine del decreto Poletti salta subito agli occhi la contraddizione insita nella natura stessa del decreto: insomma, è legislazione d’urgenza o un primo passo di una fumosa riforma del mercato del lavoro? Com’è possibile che un decreto che fa entrare Poletti, insieme a Treu e Biagi, nel pantheon degli ideatori della “flessibilità lavorativa” sia visto come un passo avanti?
Chiedo scusa per i toni accesi, ma come lei sa la mia idea di trasformazione del mondo è nettamente diversa dalle riforme che un democristiano riciclato mi può proporre. Non è possibile ipotecare il futuro di migliaia di giovani perché non si ha nemmeno più il coraggio di riflettere su un’idea di dignità del lavoro (e nel lavoro) che sopravviva alla contingenza e non sia ostaggio delle crisi cicliche del capitalismo.
Volevo dire “maniera inopportuna”, mi scuso per il refuso.
ERRATA CORRIGE:
nella risposta a Pomponazzi sulla causale, ho scritto “contratto a tempo indeterminato”, ma ovviamente intendevo, come si capisce dal mio intervento e dal contesto, “a tempo DETERMINATO”.
Caro Alessandro,
grazie per le tue osservazioni, e non ti scusare per i “toni accesi”, fanno parte del confronto politico, quando siamo fuori dall’aula siamo cittadini liberi che si confrontano da pari (a parte questa asimmetria dell’uso del lei e del tu, che mi perdonerai).
Di passaggio, noto che il tuo intervento è l’unico che formula lucidamente delle critiche dettagliate.
Vengo ai punti.
Sulla politica espansiva: non ho detto che il parametro è il rispetto dei vincoli europei, ma che il parametro è quello che si può fare in termini di stimolo tramite spesa pubblica dentro quei parametri; ho anche detto che noi abbiamo margini stretti, a causa del debito e del tipo di maggioranza. Sulle coperture intendevo dire che bisogna mettere gli obbiettivi prima dei mezzi. Nello specifico, i tagli di spesa previsti da questo governo sono meno di quelli operati da quelli precedenti, sicuramente non saranno dannosi come quelli.
Sugli effetti redistributivi: per il solo fatto di compiere questa operazione, c’è un leggero effetto redistributivo; se si conferma nel tempo, questo viene stabilizzato.
Sugli effetti di incremento della domanda: può darsi che non ce ne siano molti, vedremo; il governo infatti li ha quantificati al minimo, per prudenza, mi sembra intorno allo 0,1% del Pil. Anche qui, quello che conta sono gli effetti sulla fiducia e di lunga durata, quindi il provvedimento deve essere confermato (e perciò sostenuto).
Il taglio del FFO dell’università in effetti è stato un colpo basso, ma l’opposizione della ministra dovrebbe portare a farlo rientrare.
Sul mercato del lavoro.
Qui i nostri punti di partenza sono divergenti. Tu parti dall’idea di un lavoro tutelato e dignitoso per tutti sempre, che tradotto vuol dire contratto a tempo indeterminato, con le tutele attuali, per tutti. A questo opponi la posizione rinunciataria di chi “accetta l’equazione secondo cui a minore esperienza lavorativa corrispondono condizioni dequalificanti e salari umilianti”. Non è questa la mia posizione. Però è vero che la mia posizione è empirica, diciamo così. Nel mercato del lavoro attuale, un sistema di soli contratti a tempo indeterminato (integrato soltanto dal tempo determinato “classico”) non è applicabile. Ci sarebbe meno lavoro, semplicemente, e tantissimo nero, date le condizioni della concorrenza. Con l’introduzione di tutte le forme di contratti parasubordinati, che dovevano offrire la flessibilità necessaria a rispondere a questa concorrenza, si è creato però un dualismo inaccettabile del mercato del lavoro: protetti vs. non protetti. Questi ultimi crescono, e sono soprattutto i giovani. Il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti è uno strumento che può garantire una certa flessibilità, e allo stesso tempo l’estensione di molte tutele ai giovani che attualmente non le hanno. E questo sarebbe per tutti un lavoro tutelato e dignitoso. Ovviamente, ciò implica l’accettazione almeno parziale delle esigenze di concorrenza imposte dal mercato, ma su questo rimando alla fine di questa risposta.
Quindi, il cosiddetto Jobs Act andrà valutato, secondo me, a partire da queste premesse. Quanto invece al decreto Poletti, in teoria è vero che aumenta la precarietà. Ma solo in teoria. Infatti, il quadro contraddittorio creato dalla riforma Fornero del lavoro da un lato ha provocato una diminuzione dei contratti a tempo determinato, sostituiti da contratti parasubordinati, perché nella crisi attuale i vincoli posti spingono le imprese in questa direzione; dall’altro, quei vincoli vengono aggirati creando precarietà, perché il vincolo della causale per la proroga porta molti imprenditori a cambiare il personale continuamente, invece di rinnovare il contratto alla stessa persona. Poi, anche i vincoli sulla formazione nell’apprendistato sono rispettati in modo solo formale (se chiedi in giro, vedrai che la formazione fatta è veramente ridicola, spesso). Da tutto questo risulta un quadro contraddittorio, per niente favorevole ai lavoratori. Un certo alleggerimento, in periodo di crisi, può aiutare a rendere il contratto a tempo determinato più appetibile di forme contrattuali più precarizzanti. Sugli ultimi cambiamenti introdotti in Senato concordo: purtroppo è stato un cedimento a Ncd, che ha bisogno di visibilità politica. Accetto la critica.
Sugli ammortizzatori sociali l’intento del governo Renzi non è quello di eliminare la Cassa integrazione ordinaria, quindi siamo d’accordo.
Concludo sulla mia e tua idea di trasformazione del mondo.
Per sottrarre il lavoro alle crisi cicliche del capitalismo ci sono due strade:
una è quella di tenere conto anche delle esigenze di efficienza del sistema capitalistico di mercato, perché questa efficienza permette crescita e benessere, e quindi di cercare soluzioni che impongano il rispetto di vincoli senza impedire la formazione del profitto e la competitività;
l’altra è quella di imporre questi vincoli senza tenere conto di queste esigenze, in vista di una uscita da questo sistema di produzione.
Entrambe richiedono molto, in termini di teoria e di trasformazione pratica.
La prima, perché soluzioni di questo genere si erano realizzate finché le economie nazionali erano un sistema di “state embedded markets”, in cui i poteri statali potevano regolare mercati locali; adesso invece siamo in un sistema di “market embedded states”, e la concorrenza globale ha spuntato gli strumenti dei poteri statali. Questa concorrenza ha accresciuto le diseguaglianze interne agli stati, ma va ricordato che ha anche diminuito quella globale e tra stati. In ogni caso, la crisi dello stato nella regolazione dell’economia è il problema da risolvere per la prima posizione.
Ma la seconda posizione ha un problema più grande, mi sembra, da risolvere: pensare a una uscita dal sistema capitalistico che sia giustificata, sia in termini sociali che politici, dallo sviluppo delle forze interne al capitalismo stesso. Il marxismo aveva questa teoria, che però non si è dimostrata corretta, per molti punti, e il sistema economico che ne è derivato non ha saputo rispondere alle esigenze di efficienza, cioè di produzione della ricchezza (e neanche a quelle di equità, a dire il vero). Quindi c’è bisogno di una teoria molto più ambiziosa, perché si deve dimostrare come si possa uscire dalla logica della riproduzione del capitale senza far precipitare nella miseria masse di lavoratori. Più tutti i problemi legati all’azione politica: soggetto rivoluzionario, coscienza di classe ecc. Nella pratica, in assenza di una prospettiva teorica, non è chiaro quali possano essere le scelte politiche adeguate, se non quelle dettate da una sorta di semplice “spirito di resistenza”, che alla fine rischia però di arrecare danni agli stessi lavoratori, dato che non rovescia il sistema capitalistico.
mp
L’articolo è una vera analisi scientifica, da leggere a scuola per interpretare correttamente il presente.
Il resto lasciamolo ai salotti.
guardò la mano e disse: “è la sinistra
questa con cui mi scrivo un bel discorso
per applaudire il re che ci amministra
come se gli servisse un mio soccorso?”
battendo alla tastiera usa due mani,
quella sinistra e quella destra insieme,
con efficienza e precisione preme:
accorda il tono all’armonia dei piani
che suonano marcette celestiali
sulle virtù del nuovo taumaturgo
venuto a esorcizzare i nostri mali
con fredda precisione da chirurgo.
Cantiamo tutti assieme con il re:
per quanto sia stonato almeno fa
e il sol dell’avvenire più non c’è,
governa il soldo, questo lo si sa.
Batti le mani insieme, canta e danza,
per applaudire il re che ci amministra
non basta certo solo la sinistra,
la destra non può aver meno importanza.
Il battito, l’incontro avviene al centro,
in mezzo ad austeri odori d’incenso
dove s’incrociano, scudi del censo,
gli aristocratici, figli d’incesto.
Caro Piras,
in realtà la posizione da me espressa mi sembra molto più empirica che metafisica. Le politiche economiche attuate dagli Stati europei a far data dal 1992 segnano in tutta Europa un peggioramento delle condizioni di lavoro e dei diritti dei lavoratori. Questo vero e proprio smantellamento è stato attuato per lo più da forze politiche che si richiamano al PSE. Pensi alla Germania ed alle riforme del lavoro di Schroder (le cosiddette riforme Hartz che hanno generato la svalutazione competitiva alla base del falso miracolo tedesco e che poi dal 2011 la signora Merkel vuole imporre in tutta Europa: non si sa se autoconvintasi della loro bontà o se invece per un cinico e consapevole calcolo in forza del quale quelle riforme, distruggendo definitivamente la domanda interna agli Stati, ne azzereranno ben prima l’apparato produttivo). Il partito più importante pert consistenza numerica del PSE è quello che per primo ha interpretato l’Euro in chiave nazionalistica per fregare i lavoratori degli altri Paesi e spingere tutti ad una lotta al ribasso. Sembrerebbe un paradosso, ma basta riportarsi al giugno del 1914 ed alla vicenda dei social-patrioti tedeschi per avvedersi che in realtà quel partito non ha fatto altro che ispirarsi alla propria passata storia (invero poco gloriosa).
Ma al di là delle furberie (di corto raggio, perché alla lunga emergerà che stanno attuando un gioco a somma zero) delle forze politiche tedesche, vi è che la Costituzione economica dell’Unione Europea è l’esatto capovolgimento dei principi delle Costituzioni nazionali. Mentre in queste l’economia è regolata dalla politica e dalle leggi, in quella l’unico vero principio fondante è la concorrenza e la libera circolazione del capitale. E dunque gli Stati sono fatalmente messi in una competizione tra loro (anche perché è inibito qualsiasi intervento di stimolo dell’economia). Questa competizione non può che attuarsi attraverso una progressiva erosione dei diritti dei lavoratori a tutto vantaggio del capitale. Ma la situazione grottesca è che questa competizione istituzionalizzata dai Trattati si svolge in una sedicente “Unione”. Forse i conditores avevano come modello il duo Caino-Abele?
Eppure dopo la crisi dei sub-prime del 2007 e l’innegabile fallimento del mercato (almeno a sinistra dovremmo ricordarci che tutti gli Stati Europei, ivi compresa per prima la Germania, sono stati chiamati a ripianare le perdite del sistema bancario, ossia dei relativi capitalisti proprietari, salvo poi quasi il giorno dopo essere ricattati per i debiti pubblici, la cui entità è una bazzecola rispetto ai derivati che ancora oggi tanti istituti bancari hanno in pancia) sarebbe stato possibile a qualunque partito di sinistra europea dire “anvedi, ma allora lo Stato – quando serve a chi conta- ce ancora e ce l’ha ancora qualche arma da utilizzare, pur nel nuovo mondo globalizzato”.
Mi sono dilungato e me ne scuso. Concludo solo con un piccolo invito, ispirato tra l’altro dal bel titolo del sito: smettiamola di parlare di “mercato del lavoro” e ricominciamo a parlare di “mercato della forza lavoro”. E’ un piccolo segnale che aiuterebbe a ricordarci che gli uomini non sono in tutto e per tutto cose commerciabili e segnerebbe un piccolo passo di liberazione dall’ideologia liberista.
Con stima.
Cari amici,
rispondo da qui alla richiesta che è stata fatta, scusandomi per il ritardo.
Certo la questione ucraina è molto grave, e merita discussione, ma sicuramente io non ne parlerò, perché non ho nessuna competenza per farlo. E’ questa l’unica ragione per cui non mi sono mai sognato di affrontarla. Non ci sono ragioni di nessun altro tipo, come paure o pregiudizi. Anche in questo terreno, il complottismo è il modo migliore per uscire fuori strada.
Un caro saluto,
mp
Caro Piras,
parlare solo quando si sa è un principio sacrosanto.
Magari vi si attenesse anche il nostro Ministro della Difesa!
http://www.repubblica.it/esteri/2014/05/04/news/ucraina_pinotti_litalia_non_pu_stare_a_guardare_disposti_a_inviare_una_forza_di_pace-85209358/
Grazie, Piras, per la precisazione. Speriamo che tra le migliaia di intellettuali italiani tuttologhi o specialisti spunti fuori qualcuno in grado di dirci qualcosa di serio sull’Ucraina e quel che lì ribolle. Se ne avesse notizia me lo segnali. E’ arduo per me andare, fosse pure in vacanze, da quelle parti.
Il 40,8% di Italiani è di sinistra!!!
Incredibile…
.. come fu antifascista dopo il 25 aprile del 1945…
E’ il miracolo italiano. E allora non c’era Bergoglio.
@Branwell Bronte, ma anche @chiunque voglia fermarsi un attimo a ragionare sul serio sui dati elettorali:
ad ogni elezione la stessa storia, i giornali presentano dei dati percentuali e le persone se li bevono, come quando a sinistra c’era la psicosi che fossimo un intero paese di berlusconiani (con tutto che i berlusconiani sono stati molto di più dei presunti renziani di ora). siccome i dati del voto sono pubblici e facilmente disponibili, proviamo a leggerli in maniera minimamente sensata, ovvero confrontando i dati assoluti del voto, non i dati percentuali, e imparando a considerare i dati percentuali per quello che sono: dati della percentuale delle preferenze di voto espresse sul totale delle schede valide, al netto delle bianche, delle nulle e dei non votanti. Le percentuali del voto non rappresentano la volontà “degli italiani”, ma dei votanti che hanno espresso un voto regolare, dunque un sottinsieme degli “italiani”. Sottinsieme che peraltro si assottiglia di anno in anno.
Vediamo:
49.256.169 di aventi diritto al voto, 28.908.004 di votanti (il 58,68%): 20348165 persone non hanno esercitato il proprio diritto al voto, segnando (checchè ne dica Renzi in conferenza stampa) un ulteriore e forte avanzata della disaffezione verso la politica. Il dato è particolarmente significativo al Sud e nelle isole dove ha raggiunto picchi abbondantemente al di sotto del 40%. Si consideri che l’Italia è un paese tradizionalmente fedele al voto, quindi lasciamo stare i paragoni con gli altri paesi (come furbescamente ha fatto Renzie) e consideriamo il paragone con la serie storica dell’affluenza nelle elezioni italiane per l’europarlamento:
http://cise.luiss.it/cise/wp-content/uploads/2014/04/Im2.jpg il calo è costante, ma solo nel 1994 ce ne fu uno peggiore (e in mezzo era passata tangentopoli). Rsipetto alle politiche il discorso è diverso, se è vero che l’anno scorso ci fu una partecipazione del 75% degli aventi diritto (ma il partito degli astensionisti fu primo con quasi il doppio dei voti del PD anche in quell’occasione), il calo è molto più marcato. Questo è un dato da non sottovalutare, vista la forte politicizzazione di queste elezioni europee.
Veniamo ora ai risultati dei voti scrutinati:
il PD ha preso 11203231 voti, equivalenti al 22,74% del corpo elettorale (e non al 40,8 tanto sbandierato, che è riferito al numero dei voti validi)
rispetto alle ultime elezioni politiche il PD è nettamente cresciuto, come numero assoluto di voti (ne aveva presi 8644523), e così anche rispetto alle ultime europee del 2009 (dove il PD prese 7.999.476 voti); tuttavia il record di Veltroni delle elezioni del 2008 rimane imbattuto: 12.095.306 di voti (800.000 e passa voti in più, mica pochi).
Prodi, nel 2006, ottenne, sommando le liste dei DS, della Margherita e di Insieme per l’Unione (legittimamente ascrivibili all’area confluita nel PD, sebbene non completamente coincidenti) 11065253 voti, non molti meno di questo “storico” Renzi.
Il dato è evidente: il PD non sfonda assolutamente. Semplicemente è l’unica forza politica che è riuscita a blindare il proprio elettorato di riferimento, riconfigurando velocemente la propria ragion d’essere “contro”, dal vecchio antiberlusconismo al nuovo antigrillismo, e probabilmente attingendo anche a buona parte di quell’elettorato centrista che negli anni scorsi era stato attirato da Monti nell’episodico exploit elettorale di Scelta Civica.
Il berlusconismo è in crisi conclamata: i 5.816.714 voti sommati di Forza Italia ed NCD rappresentano un’ulteriore perdita di consenso rispetto al traumatico tonfo delle ultime politiche, quando il PDL passò dai 13.629.464 di voti del 2008 a 7.332.972, quasi dimezzando il suo consenso (passando per la fase intermedia dei 10.797.296 voti delle Europee 2009). Una perdita forte, si parla di ulteriori 1.516.258 voti scomparsi, e va anche considerato l’apporto dell’UDC, nell’NCD, dunque la perdita è anche maggiore.
Venendo a Grillo, in meno di un anno e mezzo il M5S passa da 8.689.458 a 5.807.362 voti, perdendone più di tutti: 2.882.096. La sua sconfitta è palese, e mi pare palese derivi da un anno e passa di sconquassi dentro un movimento che non è riuscito a reggere completamente il peso della responsabilità di “unica opposizione” che si era preso, sia per propri problemi interni, sia per il fuoco di fila incessante che i media allineati al governo (una schiacciante e trasversale maggioranza, va detto), gli hanno dedicato. Sicuramente la campagna elettorale roboante di Grillo e le sue pretese di vittoria denotano un distacco dalla realtà che alla lunga potrà essere ancora più devastante per il suo movimento, è stato proprio Grillo quello che ha più marcatamente spinto verso la politicizzazione interna di questo voto, non ci sono scuse, al riguardo.
Sulle pretese di legittimazione del governo attraverso questo voto:
sommando al PD le altre liste della maggioranza, Scelta Europea ed NCD, arriviamo a 12568721 voti, pari al 25,51% del corpo elettorale.
Tenendo conto del fatto che i cittadini italiani sono poco meno di 60 milioni la cifra andrebbe ulteriormente limata (ed evitiamo di sollevare questioni riguardo il diritto di voto dei cittadini immigrati residenti in italia o la questione degli “irregolari”). In definitiva, questo governo non poggia su alcuna maggioranza di opinione, bensì, come d’altronde in quasi tutte le fantomatiche “democrazie mature”, sull’acquiescenza di una massa sterminata di individui parcellizzati e incapaci di coagulare una qualsiasi organizzazione politica alternativa forte e strutturata.
Da questo punto di vista il generico disprezzo per il voto di stampo movimentista che è divenuto opinione comune all’interno delle opposizioni di sinistra andrebbe in qualche maniera messo in discussione. La cosa viene certamente resa più difficile da iniziative estemporanee come la lista Tzipras, nonchè dal cattivo esempio che danno le liste di “sinistra” che giungono nei luoghi istituzionali, ma vabbè.
In merito alla lista Tzipras:
Vendola spaccia per successo quella che è stata una lieve flessione delle liste di “sinistra” in Italia (metto le virgolette aldilà delle varie polemche sulla sinistra istituzionale, per il semplice fatto che in quest’area, causa strani incesti del destino, capita di dover infilare anche i Verdi e l’IDV) rispetto
alle politiche del 2013: SEL aveva ottenuto 1.089.409 voti, Rivoluzione Civile di Ingroia, che dentro sè inglobava anche la federazione della sinistra, i Verdi e, almeno inizialmente, alcune delle personalità promotrici della lista Tzpiras, 765.188.
A questo giro la lista Tsipras ottiene 1.108.457 voti, se aggiungiamo il risultato dei Verdi e dell’Italia dei Valori, che l’anno scorso sostenevano Ingroia, e dunque i loro 431.475 voti, otteniamo una flessione da 1.845.597 a 1.539.932 voti di questa composita area dell’opposizione istituzionale “di sinistra”.
Se consideriamo che dentro la lista Tzpiras sono confluiti voti sicuramente estranei a SEL, sebbene in quantità che sarebbe definibile solo con un attento studio delle preferenze date, si può ipotizzare un discreto ed ulteriore calo del consenso per il partito di Vendola, il quale continua a “lanciare semi”, come diceva oggi, ma non si rende conto di starlo facendo nel bel mezzo del deserto.
Il paragone con le Europee del 2009 è anche più impietoso: Rifondazione Comunista insieme ai Comunisti Italiani ottennero 1.037.862 voti, Sel ne ottenne 957.822; insieme fanno quasi il doppio dell’attuale lista Tzipras, sebbene le divisioni di allora (e il maggior numero di votanti) impedirono ad ambedue i cartelli, peraltro molto più caratterizzati politicamente, di superare la soglia di sbarramento del 4%.
La Lega Nord, insieme al PD, è l’unico partito di grandezza rilevabile sui media ad aver ottenuto un aumento del consenso elettorale, passando da 1.390.014 voti nelle ultime politiche a 1.688.197 voti a queste elezioni.
Siamo ben lontani dai fasti del 2008 e del 2009, quando la Lega si portò a casa rispettivamente 3.024.543 e 3.126.181 voti, ma la Lega ormai ha una storia abbastanza lunga da aver visto risultati peggiori. La si dava per spacciata dopo la fine di Bossi, ma si è dimostrato partito abbastanza radicato da sopravvivere al suo leader storico. In definitiva, il leaderismo di Bossi si è dimostrato meno dannoso di quello di Bertinotti.
Per chiudere, un requiem per Scelta Europea, che sconta un calo elettorale apocalittico:
se nel 2013 Scelta Civica, Centro Democratico e Fare per fermare il declino avevano ottenuto, insieme, la bellezza di 3.371.893 voti (2.824.065+167.072+380.756), a questo giro ne prendono 197.942. Questa area elettorale è stata palesemente cannibalizzata dal PD di Renzi, e questo spiega in buona parte la sua grande crescita di consensi rispetto all’epoca di Bersani.
Questo dovrebbe far riflettere chi crede ancora che il PD sia un partito di sinistra e Renzi un uomo di sinistra.
@ Bronte, Abate, analista di corte:
che bravi, che intelligenti, che lucidamente pessimisti. noi ingenui festeggiamo la vittoria.
Invece l’analista di corte, per i dati che porta e per come li mette insieme, dice delle cose molto ma molto interessanti. Solo qua e là ho notato qualche imprecisione. Per esempio, non mi sembra proprio che nel 2009 ci fossero due “cartelli”: la fine del leaderismo di Bertinotti aveva condotto addirittura a tre tronconi distinti: Comunisti italiani, Rifondazione (Ferrero) e Sel (Vendola).
non riesco a commentare, scusate se scrivo più volte, sarà l’inluenza malefica di RB
@ analista elettorale di corte da parte del giullare di corte
( perché nessuno pensa ai bambini? cit. vediamo chi indovina ) gli elettori sono 50 milioni, gli altri non vanno tenuti in conto. I conti si fanno con quelli che votano, inoltre l’astensione è una costante ( sebbene non costante ). Dato che non c’è nessuna forza oscura che impedisce a milioni di italiani di andare a votare, mettere in dubbio la legittimità di qualsiasi governo con questi argomenti è sterile, le elezioni si fanno apposta. Senza contare che è assai improbabile che i venti milioni di astenuti oggi voterebbero tutti in blocco per un solo partito alternativo al PD. Chiamarla disaffezione è quanto meno arbitrario, dato che non li conosci e non si può certo pensare che siano tutti delusi. C’è anche chi se ne frega e c’è anche chi non è in grado di votare con cognizione di causa. La maggioranza d’opinione inoltre non è indice di nulla. Ci sono molte persone che hanno idee orrende e stupide e ci sono ignoranti che umilmente si astengono.
Dopodiché si possono fare tutte le critiche del caso all’enfasi spropositata e ai media in generale, tenendo conto che nei media di solito non ci lavorano dei geni, quindi è ovvio che il livello sia questo.
@ analista…
aggiungo poi che la tua chiosa è piuttosto bizzarra. Dedurre l’identità di un partito dall’identità di chi questo partito lo vota è vagamente impraticabile. Inoltre se volessimo proseguire lungo la tua coerenza meccanica avremmo un esito del genere: in un paese nel quale la maggioranza non vota a sinistra, nessun partito di sinistra ( secondo il tuo criterio di sinistrorsità ) sarà mai legittimato a governare. Infine questa essenzializzazione taumaturgica ( essere di sinistra ) sarebbe molto poco di sinistra.
@ cannavò
SEGNALAZIONE
«Esiste l’imprevedibile, ecco la tragedia», constata Merleau-Ponty. Inoltre, bisogna davvero che questa libertà tragica, a costo di ritornare ad essere puro capriccio del desiderio, conosca i limiti che la congiuntura e le circostanze le assegnano. A differenza del santo o dell’eroe classico, che agiscono in un solo colpo, il militante profano affronta l’incertezza di una decisione, di cui il risultato rischia sempre di contraddire le sue proprie intenzioni. La fragilità dei giudizi politici e storici s’impone così come antidoto necessario alle tentazioni dogmatiche e dottrinarie esattamente come a quelle dell’indifferenza cinica.
Cambiare il mondo vuol dire interpretarlo per cambiarlo.
E anche cambiarlo interpretandolo.
[…]
Dalla metà degli anni sessanta, il mondo è caduto in un’atmosfera di crisi che le effimere riprese economiche non riescono a dissipare. L’avvenire sociale, ecologico, tecnologico, resta adombrato da inquietudini e pericoli. Indefinibile, la crisi si attarda. Il timore di una spaventosa fine si eternizza nel prolungarsi di uno spavento senza fine 28.
Si tratta di ben altro che di una crisi industriale o finanziaria: si tratta di un nuovo disagio della civiltà. Di una crisi globale dei rapporti sociali e dei rapporti dell’umanità con il suo stesso ambiente naturale, di uno sregolamento generale degli spazi e dei ritmi. La crisi della civiltà è una crisi di dismisura e di errata misurazione. Che dura e si protrae in un deterioramento senza esito. Negri ne deriva l’ipotesi secondo la quale le grandi crisi scomparirebbero con la modernità a vantaggio di una proliferazione postmoderna delle “piccole crisi” ramificate in rizomi.
Se è vero che le sovranità statuali si disgregano tra le maglie della rete imperiale, non è sorprendente che le crisi rapide e violente, che ruotano attorno obiettivi di potere identificabili, cedano il posto a lente crisi di «corruzione».
La nozione di crisi cambierebbe allora di senso e funzione. Non perforerebbe più la struttura, non sarebbe più una rottura nella continuità. Sarebbe ormai un tutt’uno con la storia. Coinciderebbe con la ”tendenza naturale della storia“. Ne sarebbe la stessa modalità [30. Empire, op. cit., p. 458 et 465 (Edizione italiana non consultata per la traduzione, Toni Negri e Michael Hardt, Impero, Rizzoli, Milano 2000, NdT)]. Ritroviamo qui gli accenti catastrofici che Negri pretendeva di evitare. Marx riteneva, più sobriamente, che il capitale diventasse una barriera per se stesso.
Questa contraddizione giunge oggi ad un punto critico.
Ma come venirne fuori?
Abbiamo conosciuto numerosi imperi decadenti e molte civiltà in rovina. La storia non è un lungo e placido fiume. Non ha un lieto fine assicurato. L’alternativa tra liberazione o barbarie, posta all’inizio del secolo scorso, è più incalzante che mai. Da guerre mondiali a bombardamenti atomici, da genocidi a disastri ecologici, la barbarie ha preso diverse lunghezze di vantaggio. Se la crisi non è ancora l’evento, essa ne è la manifestazione della possibilità concreta. Il suo esito non è già stabilito in anticipo. La crisi appare ben altro che un semplice “tornante storico”: come un grande passaggio, una ramificazione cruciale, dove si incontrano le necessità della situazione e la contingenza dell’azione.
La catastrofe può essere ancora scongiurata. Se…
Non c’è altro da fare se non investirsi nel processo. È il lavoro stesso della talpa.
(Daniel Bensaïd:http://www.consecutio.org/2014/05/desiderio-o-bisogno-di-rivoluzione-4/)
@DFW vs RB
a 16 anni non si è più bambini, e nemmeno in carcere si è bambini (si può chiedere a Berlusconi), tuttavia non si vota. il che non rende persone prive di idee ed esigenze politiche. sui bambini lascia stare, spesso hanno le idee molto più lucide di tanti adulti, prova a parlarci. d’altronde non sono io a dire che “il 40% degli italiani ha votato tizio o caio” come si usa sempre, mi limito a registrare la fallacia di questa frase. ci sono 10 milioni di italiani che non si ritiene degni di esprimersi e altri 20 milioni che hanno ritenuto di non farlo, più tutti i non italiani che abitano in Italia, insieme fanno ben più di metà della popolazione che viene sottoposta alle leggi di persone votate da una parte del resto degli italiani.
con questo faccio notare il semplice FATTO che la nostra democrazia non è, come si suol dire, il governo della maggioranza, ma il governo della minoranza organizzata più consistente.
non si è detto che gli astenuti adesso ” voterebbero tutti in blocco per un solo partito alternativo al PD”; si è detto che non hanno votato il PD, segno che non ci si riconoscono. la cosa è molto semplice.
chiamarla disaffezione non è arbitrario, alla luce del calo costante dell’affluenza sia rispetto alle scorse europee dove i votanti furono 32.749.004 (ma la serie storica ci racconta di un calo costante, salvo un paio di eccezioni, dalle prime europee a oggi), sia rispetto alle politiche di un anno fa, dove furono 37.271.542 (dove per la prima volta nella storia italiana l’affluenza alle politiche scese sotto l’80% degli elettori, anche qui seguendo una serie storica tendenzialmente declinante, soprattutto nell’ultimo ventennio, si veda: http://elezionistorico.interno.it/index.php?tpel=C&dtel=24/02/2013).
e dunque, ci sarà pure un dato endemico di disinteresse per la politica, ma si consideri che in Italia abbiamo avuto affluenze stabili ben oltre il 90% degli elettori per 40 anni, si consideri che il calo della tornata del 2013 è stato uno dei più grossi nella storia delle elezioni politiche, che mai a un’elezione di portata nazionale l’affluenza era stata così bassa, ma che a queste elezioni è stata ancora, e nettamente, più bassa.
si può trarre la conclusione che questa astensione non sia un dato endemico di disinteresse per la politica, ma denunci l’esistenza di ampie aree di opinione sottorappresentate o non rappresentate nell’agone politico.
si potrebbe discutere del perchè ciò avvenga, ma è un discorso che meriterebbe un proprio spazio.
sicuramente si può dire che il governo Renzi non è legittimato dalla maggioranza degli italiani; d’altronde, essendo noi in una Repubblica Parlamentare, gli basta la legittimazione del parlamento.
infine, dedurre l’identità di un partito da chi lo vota sarebbe un errore, e infatti io ho solo detto che sul fatto che il PD abbia cannibalizzato Scelta Civica ci si dovrebbe riflettere.
Riflettendoci su ci si renderà conto che il Jobs Act, il Piano Casa, diversi provvedimenti previsti nelle Linee Guida per la Riforma della Pubblica Amministrazione, l’atteggiamento verso i sindacati, le ulteriori privatizzazioni, la “spending review”, per esempio con ulteriori tagli nella disponibilità dei posti letto nella sanità a livello regionale e la chiusura dei piccoli ospedali…queste sono tutte politiche di centrodestra in continuità con quelle di Monti, adattissime ad un elettorato quale quello di Scelta Civica e meno adatte ad un elettorato proveniente dalla linea PC-PDS-DS.
Manifesto del partito al cioccolato
Una sorpresa si aggira per l’Europa…
Proponi l’abbassamento della soglia per votare, nel complesso non vedo cosa cambi. Anche chi vota per un partito che perde le elezioni viene sottoposto alle leggi del governo, la democrazia non è il governo della maggioranza, è un sistema che consente di scegliere i rappresentanti politici dotato di varie norme eccetera. E va bene così. Un governo non deve essere rappresentante della maggioranza dei cittadini, basta che vinca le elezioni, se queste elezioni rispettano alcune condizioni. E non mi pare che non sia così. Se i 20 milioni di astenuti non si sentono rappresentati non hanno che da fondare un partito e vincere le elezioni. Se non lo fanno e si lamentano sono scemi. L’astensione generica non vuol dire nulla. Certamente è un dato e una questione interessante. Però: chi vuole partecipare e non si sente rappresentato non può certo aspettare che arrivi il partito giusto, si dia una mossa in qualche modo, magari già lo fa. Molti appartenenti ai movimenti non votano per convinzione e buon per loro, ma non possono certo accampare accuse di legittimità. Per riflettere su cosa sia il PD ( per molti versi ha fatto schifo ) basta vedere cosa ha fatto, non credo che il problema sia chi lo vota. Per me è normale che persone che votavano Monti o Casini votino Renzi. Io non sono un esperto dei punti che citi, ho finora ascoltato molti discorsi su youtube di Fabrizio Barca e di Filippo Taddei. Il primo fortemente critico. Mi sembrano cose interessanti. Devo studiare per farmi un’idea.
Seguo questo sito, ma non apprezzo chemci siano tanti articoli su Renzi. Così si fa propaganda e ne sentiamo ogni giorno su tv e giornali. Qualcuno tenta di rispondere,ma rimane l’impressione dell’art introduttivo, si fatica inutilmente a richiamare alla memoria di tutti,e le trasformazione,fino s diventare un’unica grande centro,e anche di destra La dovremmo.la classe dirigente e’ la stessa,tutto cambia non in senso progressivo. Ma le parole e le analisi nn contano. Vi prego abbiamo la testa piena delle controriforme renziane. Non ne possiamo piu’
classe dirigente e’ la stessa,