di Carlo Mazza Galanti
In un racconto diventato di culto tra i lettori di Michele Mari, intitolato Otto scrittori, il narratore immagina un unico scrittore con otto grandi nomi, una specie di Idra letteraria che racchiuda in sé l’essenza del romanzo di mare. Alcuni di quegli otto nomi sono gli stessi che compongono l’identità multipla e fantomatica dell’autore di Roderick Duddle, quello che si nasconde dietro l’unico nome stampato in copertina: Melville, Poe, Conrad, Stevenson, a cui bisognerà aggiungere Dickens, che non è autore di mare ma almeno della prima parte di questo romanzo è la principale matrice. La storia è quella di un novello Oliver Twist, portatore inconsapevole di una ricca eredità, con tanto di medaglione a garanzia del lascito, il quale viene risucchiato in un vortice di complotti truci e dementi messi in atto da un discreto numero di adulti interessati ad approfittare di lui: avvocati, avanzi di galera, suore spietate, prostitute e gestori di bordelli. La narrazione avanza intricata e incalzante fino alla fuga di Roderick su una goletta, tra marinai terribili e affascinanti, tempeste, ammutinamenti.
L’adesione ai temi, all’immaginario, alle strutture narrative, persino l’intonazione del narratore (ironico, sornione, prodigo di complici apostrofi al lettore secondo una linea più sterniana-diderottiana, in questo caso) è così precisa, così naturale, che i sottotesti passano rapidamente in secondo piano e quello che ci resta tra le mani è un oggetto paradossale, una sfida alla storia della letteratura che soltanto uno autore intriso fino al midollo dell’influsso dei suoi padri poteva affrontare con successo: un romanzo ottocentesco puro e semplice. Roderick Duddle sembra “vero”, come sembrano veri i sogni, e come i sogni paiono emergere da un altrove che non ci appartiene, così questo romanzo sembra sfuggire alla paternità del suo autore legale, esempio concreto e un po’ mostruoso di borghesiana cancellazione di ogni origine nel labirinto della biblioteca universale.
La perfomance è ancora più notevole se consideriamo che proviene da un scrittore che ha impresso il proprio inconfondibile marchio in ogni libro, che ha fatto della sua cifra stilistica il cuore e il sangue della propria opera. Tra i suoi lavori passati soltanto “Io venìa pien d’angoscia a rimirarti”, geniale romanzetto pseudo-leopardiano recentemente riproposto da Cavallo di ferro, potrebbe ricordare il “passo a lato” che Mari ha compiuto scrivendo Roderick Duddle: ma dove c’era aperta finzione e gusto antiquario della falsificazione adesso c’è illusione, dove c’era imitazione ora c’è transfert: identificazione pressoché totale. Il manierismo e l’artificiosità iperletteraria hanno lasciato il posto a uno stile piano, preciso e pulito; il ritmo degli eventi, l’aggrovigliarsi degli intrighi, l’intromettersi del poliziesco, quindi del romanzo d’avventura, occupano per intero la mente del lettore privandolo del piacere “adulto” di allontanarsi dalla trama per accostarsi alla visione dell’autore. Impressionante la precisione dei dettagli: dove un romanziere americano avrebbe ingaggiato una squadra di documentalisti, Mari sembra lavorare per sola virtù di memoria letteraria (o quasi). La riscrittura, il citazionismo, la parodia sono giunte a un tale grado di perfezione formale da cambiare natura, da farsi natura; ogni traccia di secondo grado scompare e persino gli ammiccamenti (come le note del traduttore) non fanno che aumentare l’effetto di avere tra le mani un oggetto autentico. Mari ha sempre ri-scritto, ha sempre esibito apertamente il “beneficio dell’influenza” come l’ha definito, ribaltando la formula di Bloom, in una bella intervista pubblicata di recente su “Le parole e le cose”. Ha inoltre costantemente ricamato sulla fascinazione bovaristica del bambino asociale che vive per procura la sua vita attraverso i libri: ora infine tutto ciò è realizzato, compiuto, il citazionismo è diventato lettera e quel bambino siamo noi, rapiti da una fantasia di altri tempi.
C’era nostalgia e sofferenza in ogni pagina, in ogni romanzo e racconto di quest’autore: la nostalgia di una scrittura postuma, rivolta al passato, condannata a vivere in una prigione di carta, e non era questo l’ultimo motivo della bellezza dei suoi libri. Adesso è come se le premesse della poetica di Mari, portate all’estremo, si fossero annullate: il prigioniero è diventato la sua prigione, è dunque libero, è fuori, nel mondo che sognava. Il dolore è scomparso, lo sostituisce una tregua, il piacere della fuga, il divertimento beato e ottuso del romanzo romanzesco come lo abbiamo ereditato dalla sua epoca più gloriosa. E pazienza se il mondo va a rotoli, meglio, anzi, se fuori piove, se gli elementi si scatenano mentre al sicuro, sul divano, possiamo felicemente abbandonarci al nostro vizio impunito.
[Questo articolo è uscito su «Alias – il manifesto»].
[Immagine: Michele Mari].
“E pazienza se il mondo va a rotoli, meglio, anzi, se fuori piove, se gli elementi si scatenano mentre al sicuro, sul divano, possiamo felicemente abbandonarci al nostro vizio impunito” (Carlo Mazza Galanti)
Ecco squisita-mente l’Italia Renziana. Piove, il governo non è più ladro e l’ombrello della letteratura ripara gli happy few mariani.
Non c’è nulla di più sovversivo invece rispetto all’esistente attualità “renziana”, qualunque cosa volesse intendere con questa tristissima espressione, dei libri di Michele Mari. Non capirlo significa non aver compreso nulla di Michele Mari. E assecondare canoni vetero-realisti sotto spinta del ricatto dell’impegno significa continuare a perpetuare lo squallore dell’esistente, a mio modesto parere.
@ Giovanni Marchese
Non ho usato la parola ‘sovversivo’. Ho commentato le parole riportate di Carlo Mazza Galanti. Su Michele Mari per ora non ho aperto bocca. Parlo dei fan e dell’ideologia che fanno trapelare da quel che dicono.
Sovversivo è farina del mio sacco, già. Ma cosa ci sarebbe di male in quelle parole? La letteratura continua a onorare il suo compito. Il medesimo sin dai tempi di Omero. Intrattenere con stile. Non si può certo condannarla per questo. Mi pare di capire che si ragioni su piani diversi. Davvero, niente esiste di più distante dal linguaggio post-pubblicitario e standard di Renzie della lingua di Michele Mari.
Trovo onestamente difficile accettare che le parabole renziane possano ambire a rappresentare la realta’ di chi ama trovare un nesso fra sogno e praxis. Un qualsiasi testo letterario ha piu’ peso di ogni intervento pubblico, politico-mediatico e il primo serve molto di piu’ me di quanto quest’ultimo serva altri. Non so se Renzie scriva. Avra’ senz’altro scritto, ma oggi non ne ha piu’ il tempo. Scrivere costa piu’ tempo che apparire o ‘dire’. E apparire paga piu’ che quello scrivere che appaga di piu’ chi ancora ha voglia di leggere. Ai politici il timone, agli scrittori la vela e al senso il vento.
“La letteratura continua a onorare il suo compito. Il medesimo sin dai tempi di Omero. Intrattenere con stile” (Giovanni Marchese). Non si poteva esprimere meglio, anche se con i brevi, affannosi respiri della paratassi, la visione snobistica e consumistica della letteratura, la sua funzione squisitamente gastronomica e volenterosamente eupeptica.
Mari è un bravo scrittore, non c’è dubbio, e anche il suo libro sarà un bravo manufatto letterario ma mi affascina poco la sua sfrenata libertà creativa di scrittore letterato che ho sempre ritenuto, è un’opinione, più un limite che una risorsa, in arte… poi, per carità, ognuno deve scrivere come gli pare e piace e quello che più gli interessa…
(…In sintonia con Seligneri.)
@ Orbilius: ritengo che lei abbia travisato del tutto le mie parole dandogli una lettura fuorviante. Quando dico “intrattenere con stile” non intendo certo promuovere una letteratura consolatoria. No. Lo stile, l’intelligenza, devono riuscire a porre il lettore di fronte a ciò che siamo diventati. Senza false redenzioni. E ciò, a mio avviso, non può avvenire senza una buona scrittura. Il piacere della lettura viene prima di tutto, senza necessariamente ridurre la cosa a una funzione digestiva. Quanto all’accusa di snobismo, mi preme evidenziare quanto sia distante da me questo tipo di atteggiamento dato che ho sempre pensato che la buona scrittura e la bellezza possano essere accessibili a tutti. Infine, relativamente al fattore “consumismo”, mi pare che l’editoria sia un’impresa a tutti gli effetti che produce libri per venderli e produrre utili non certo per fare beneficenza: mi limito a prenderne atto.
Domenica 15 giugno, a Rimini, Michele Mari presenterà Roderick Dubble all’interno di Mare di Libri, festival della letteratura dedicato agli adolescenti. Non lasciarti scappare l’occasione :) http://www.maredilibri.it/il-festival/programma/