di Franco Arminio
ricomincio a scrivere
perché da tempo non si può più vivere,
ogni frase qui ha dato addio a tutte le altre,
che senso ha farle sempre a roma le manifestazioni?
fra poco esco,
nel sogno questa notte il sindaco del mio paese
a un certo punto ha preso il posto di una donna
con cui stavo parlando,
le frasi intere oggi non mi interessano,
voglio scrivere frasi buttate a terra come stracci,
mi piacciono le frasi gettate a terra come uno straccio,
ieri mattina il mio paese era tutto livido,
mi suicido scrivendo,
ieri a un certo punto mi sono messo a passeggiare
e a parlare al telefono
dentro la chiesa vuota,
la poesia è anticapitalista.
La poesia è anticapitalista?
Ah, i bei tempi andati in cui almeno alcuni poeti, avendo assaggiato qualche paginetta di Das Kapital,
si rodevano dubbiosi sul problema!
“E allora preferisco chi, come Fortini, mi mette la pulce nell’orecchio. In maniera decisa egli insisteva sul fatto che la forma – anche quando è o proprio perché è forma (e quindi efficace, coerente con il contenuto, magari anche “bella”) – non smette mai di avere a che fare con un universo ideologico e storico pervaso dal conflitto; è comunque essa stessa impregnata di tale conflitto; e, proprio perché vi può alludere comunque solo in modo ambiguo, suscita reazioni diverse e prevede letture diverse, tutte da considerare e valutare. Per questo diffido soprattutto dei “formalisti puri” (Terzo non mi pare che lo sia davvero) così propensi ad autonomizzare in assoluto la forma (la poesia o addirittura la Poesia) dal resto, da ciò che forma non è, da ciò che non raggiunge la forma, da ciò che va messo da parte o cancellato o rimosso o dimenticato perché ci sia forma. Fortini diceva con chiarezza estrema sia che la forma è ambigua sia che, di conseguenza (e non solo per processi soggettivi del lettore) essa suscita due modi di riceverla, di leggerla che egli giudicava entrambi «fondamentali e antagonisti» e che, mutuando i termini da Hegel, chiamava signorile e servile. Il primo, diceva Fortini, legittima l’esistenza formale (fa della forma l’elemento centrale). Il secondo, quando non la nega del tutto (nei casi più “ingenui” o “rozzi”, quando si fa confusione tra arte e vita, politica e poesia), chiede soprattutto «messaggi e non forme». Perciò i lettori della poesia, quelli “ingenui” e quelli “raffinati”, hanno per lui – ripeto – due atteggiamenti entrambi significativi («fondamentali») e non facilmente conciliabili («antagonisti»): c’è chi bada al contenuto (o di più al contenuto) e chi «contempla il gioco della superficie verbale» (o soprattutto questo). E questo dissidio fondamentale e antagonista lo vivono, credo, gli stessi poeti”
da http://moltinpoesia.blogspot.com/2011/02/ennio-abate-da-quali-nemici-e-falsi.html
(Solo per chi volesse approfondire la questione)
piacciono anche a me “…le frasi buttate a terra come stracci” chissà si potesse ripartire da queste per ri-scrivere il nostro presente, i non-luoghi in cui oggi viviamo. grazie per le belle cose che scrivi
Caro Franco sono sicuro che la poesia sia anticapitalistica e sono certo che dove c’è poesia non ci sarà mai potere. La dispersione e la disorientazione che i versi installano, rendono “passegianti/passeggeri/passanti”.
Il tuo passo mi tiene compagnia.
grazie Stefano Raimondi