[Stamattina è morto Andrea Zanzotto. Aveva compiuto novant’anni il 10 ottobre scorso. Pubblichiamo in suo omaggio la prima parte di un saggio inedito di Stefano Dal Bianco].

La religio di Zanzotto tra scienza e poesia

di Stefano Dal Bianco

a Stefano Agosti

Quello che scorgo nella natura è una struttura grandiosa che possiamo capire soltanto per frammenti. Questa struttura  deve trasmettere a ogni essere pensante un sentimento di umiltà – un sentimento autentico, religioso, che non ha niente a che fare con il misticismo.

Albert Einstein, 1954

In Andrea Zanzotto si esprime il tragico dissidio tra quella che i cristiani dicono anima e ciò che gli scienziati dicono psiche.

Eugenio Montale, 1968

Andrea Zanzotto è un grande poeta. Affermarlo dopo sei decenni di brillante carriera mondiale del poeta di Pieve di Soligo può sembrare pleonastico. Eppure l’esperienza del comune fiancheggiatore contemporaneo si scontra non di rado con le voci di lettori, di professori e perfino di poeti italiani che non mancano, con toni più o meno accesi, più o meno ammiccanti o soffocati, di dichiarare la loro estraneità: «È una poesia troppo difficile». La terapia che noi suggeriamo è sempre la stessa: «Hai provato a leggerlo davvero, dall’inizio alla fine?». Al che, immancabilmente: «Sento che il gioco non vale la candela. È troppo intellettuale. Nella poesia io cerco carne e sangue, e qui non provo emozioni, si fa troppa fatica». Così termina lo scambio: noi ce ne stacchiamo con malcelato senso di pena per le sorti dell’umanità, mentre la voce di fronda, nei casi più benevoli, si adopera per tacitare interiormente un vago senso di colpa appigliandosi ai diritti dell’immediatezza del poetico.

Sbagli, cara voce di fronda: il gioco vale la candela. Andrea Zanzotto è un grande poeta per due motivi che proveremo a dichiarare e poi a chiarire. Essi sono, in sintesi e molto banalmente, a) la bellezza, ossia la specifica qualità poetica della sua scrittura e b) il fatto che ciò di cui Zanzotto parla è importante.

a) La bellezza è prerogativa esclusiva, senza la quale l’opera che abbiamo davanti non è un’opera di poesia. È necessaria per fare il poeta ma non è detto che sia sufficiente, da sola, a farne uno grande. Nella nostra accezione non si tratta di un termine generico. Potremmo definire la bellezza come l’effetto particolare che si produce in un lettore attento in corrispondenza di determinati passaggi della scrittura, adeguatamente preparati dal contesto più e meno immediato: è la vertigine che ci prende e ci fa quasi cadere dalla sedia. Il brodo di giuggiole in cui ci sciogliamo fa sì che siamo costretti a interrompere la lettura per misurarci con una dimensione altra, una specie di tunnel infinito che ci tocca in essenza e ha molto da insegnarci. È attraverso momenti simili che la poesia conserva e trasmette ciò che fu il sacro entusiasmo delle sacerdotesse del dio.

Nei casi più forti l’effetto è accompagnato da commozione vera, intellettuale (Dante: quante volte nel Paradiso?), in altri casi l’effetto consegue all’esasperazione di un principio tecnico formale che si fonde con qualche cosa di fisico e di trascendente, e la voce che parla parla a noi attraverso la sapienza dei secoli e dei millenni: è il brivido estetico che ci dà Petrarca. Ciascuno dei libri di Zanzotto ci elargisce almeno due o tre di questi momenti.

Ed è vero: talvolta (non sempre) la bellezza in Zanzotto non è condivisibile se non dall’interno del suo mondo; scaturisce purissima dalle profondità delle mediazioni culturali che egli coraggiosamente attraversa inglobandole. Ciò significa che la componente culturale, quella intellettuale, quella fisica e biografica, quella emotiva e sensitiva partecipano in eguale misura alla costituzione della bellezza nel testo. Qui esse vengono sottoposte ad altissime temperature di fusione divenendo altro, come in un forno alchemico. La smisurata qualità dell’amore che la poesia di Zanzotto invoca per sé (“chi mi ama mi segua”) è della stessa specie di quella che ci richiede la lettura di Dante. Zanzotto se lo può permettere perché il premio è assicurato: un paradiso ci aspetta.

b) Ciò di cui Zanzotto parla è importante. La bellezza, in poesia, ha a che fare con la natura, ma la natura, almeno a prima vista, non è fatta di linguaggio. Con gli strumenti della poesia, Zanzotto indaga il sapere della natura.

Potremmo insistere sulla “attualità” persistente della sua scrittura, che fin dagli anni Cinquanta si fece portavoce di un’ecologia ante litteram, ivi compresa una altrettanto precorritrice “ecologia della mente”. Potremmo altresì ricordare, in generale, di quante e quali antenne sia dotata la mente di Zanzotto, sempre in anticipo sullo spirito del tempo quel tanto che basta per farci da lume. Ma da quale tronfio e miserabile pulpito del presente lo giudicheremmo “attuale”? Sarà meglio evitargli l’offesa e lasciarlo timorati nella sua umile e somma “inattualità”, in compagnia dei suoi numi divenuti fratelli, Leopardi e Hölderlin, gente senza mezzi termini, che non esitava a prendere a calci la storia contemporanea.

Nell’idea di salvaguardia della natura allignano implicazioni che sfuggono anche alla maggior parte degli ambientalisti d’oggigiorno, poco avvezzi, come tutti, al contatto con il sacro. Anche l’ecologista più ferrato, quando la mattina si lava i denti con il suo spazzolino di plastica, non sa realmente rispondere al dilemma: fermare il cosiddetto “progresso” va bene, risparmiare risorse è giusto, ma si può “tornare indietro”? Lo spettro del luddismo si scontra con il sacrosanto anelito umano al progresso della conoscenza.

Zanzotto non ha mai criminalizzato la scienza, anzi, e in questo è in sintonia con le voci di coloro che fin dall’inizio del Novecento, o poco prima, tentavano di riconnettersi alla grande tradizione iniziatica, rimasta sotterranea e quindi particolarmente “occulta” in occidente per motivi storici, legati all’Inquisizione ecclesiastica. Voci che in nome di un diverso “materialismo” e di un diverso concetto di “soprannaturale”, si erano poste al di qua o al di sopra della disputa fra scienza e religione, fra le opposte fedi del cieco materialismo positivista e le fumisterie teosofiche del misticismo, dello spiritismo dell’epoca.

I diversi apporti conoscitivi di scienza, religione e poesia si danno la mano nella scrittura di Zanzotto, che è forse, in questo, il poeta più dantesco che il nostro secolo abbia prodotto. Ma non è così semplice, e per seguire Zanzotto dobbiamo andare per ordine e considerare gli aspetti negativi delle tre istituzioni capitali che ci interessano. Aspetti apparentemente costitutivi, che la poesia di Zanzotto non manca di ricordarci ad ogni piè sospinto nel tentativo eroico di assumerli in sé con la speranza di neutralizzarli.

 

16 thoughts on “Andrea Zanzotto è un grande poeta

  1. Vitalmente ho pensato
    a te che ora
    non sei né soggetto né oggetto
    né lingua usuale né gergo
    né quiete né movimento
    neppure il né che negava
    e che per quanto s’affondino
    gli occhi miei dentro la sua cruna
    mai ti nega abbastanza

    E così sia: ma io
    credo con altrettanta
    forza in tutto il mio nulla,
    perciò non ti ho perduto
    o, più ti perdo e più ti perdi,
    più mi sei simile, più m’avvicini.

    sigh.

  2. Per l’ultimo dell’anno 1975
    ad Andrea Zanzotto

    Come nel buio si ritrae lento,
    Andrea, questo anno già da sé diviso.
    Ora nel vischio del suo fiele intriso
    starà così per sempre dunque spento.

    Ma quel che in noi di anno in anno è deriso
    o incompiuto e deforme non lamento:
    se uno è vinto e un altro è stato ucciso,
    uno ha durato contro lo sgomento.

    Qui stiamo a udire la sentenza. E non
    ci sarà, lo sappiamo, una sentenza.
    A uno a uno siamo in noi giù volti.

    Quanto sei bella, giglio di Saron,
    Gerusalemme che ci avrai raccolti.
    Quanto lucente la tua inesistenza.

    F. Fortini

  3. ho saputo da un sms di andrea cortellessa della morte di andrea zanzotto. ho acceso la tv all’ora del tg3, la notizia, come temevo, non è stata data nei titoli, è passato solo un servizio in fondo al giornale. zanzotto non era solo un grande poeta, era uno dei pensatori più lucidi che l’Italia abbia avuto nel secondo dopoguerra. se l’Italia gli avesse dato ascolto non saremmo al punto in cui siamo. a me resta il rimpianto di essere stato l’anno scorso al suo paese e di non aver avuto la forza di andare a disturbarlo: il suo barbiere mi avrebbe volentieri accompagnato a casa sua. il titolo del mio libro ultimo viene da un suo verso e l’ossessione di andare dietro il paesaggio è un’altra cosa che ho preso da lui. mi rimangono le cartoline postali che mi inviava negli anni ottanta e la sua vocina al telefono a parlare del brutto tempo, su questo bisaccia e pieve di soligo sono molto vicine. adesso è il momento di provare a leggerlo, per chi non l0 ha mai fatto. non è un poeta facile, ma oggi di tutto abbiamo bisogno ma non della facilità.

  4. Quello che mi ha sempre stupito della poesia di Zanzotto, e che considero un mistero, è il fatto di come essa abbia sempre messo d’accordo, nel comune apprezzamento, poeti e intellettuali estremanehte diversi fra di loro nella concezione della poesia, dell’arte e della politica come, faccio solo un esempio reale, Fortini e Sanguineti.
    Allora provo a metterla così: io, lettore medio, la poesia di Zanzotto non la capisco. E preciso: non si tratta di “recensirla” (fin qui l’ho fatto anch’io) ma di comprenderla. Vale a dire in primo luogo di riconoscerla e di compenderla all’interno di coordinate e strumenti culturali propri, quelli, per intenderci, che rendono l’altro da sé familiare (anche nel senso che aveva per Freud il perturbante).
    Sarà allora che anche Fortini e Sanguineti non la comprendevano, ma non volevano ammetterlo?

  5. Ecco, Andrea. Ora lo sai. La velocità della luce non è più un assoluto insuperabile. Il fascino che su di te ha esercitato la scoperta – hai avuto il tempo di saperlo, prima della tua partenza – che i neutrini superano, nel loro penetrare la materia – ogni materia – la velocità della luce, ha radici nel tuo essere un moderno Lucrezio. Proprio come Lucrezio, ti sei sempre occupato dell’indicibile, del corpuscolare, di ciò che non ha corpo, dell’eterno divenire della materia sottile e ne hai fatto parola. Verso dopo verso, opera dopo opera, hai composto un tuo De Rerum Natura.
    In fondo la tua poesia è fatta di neutrini. Prima li chiamavi fosfeni.

    Quelli di noi che ti hanno conosciuto sono stati fortunati. Abbiamo conosciuto la Poesia quando s’incarna in un essere umano.

  6. Difficoltà anche con i nomi / più usuali di / persone, cose, carezze inflorescenze / schermi

    La pagina di Andrea Zanzotto reca la traccia di un’immane fatica, tuttavia fecondissima: un ciangottìo pronunciato a pelo del nulla, ma con la perentorietà di una scansione del tutto. E così sia: ma io / credo con altrettanza / forza in tutto il mio nulla. La poesia di Zanzotto, come sempre avviene con i grandi, è destinata a suscitare continue interpretazioni e ipotesi, estensioni e moltiplicazioni di significati, per farci concludere, può darsi, che quanto cercavamo è alla superficie della scrittura, che ogni cosa andava presa alla lettera. Perciò non ti ho perduto / o, più ti perdo e più ti perdi, / più mi sei simile, più mi avvicini.

  7. Solo un grazie immenso ad un maestro della lingua, per la speranza e il consolidamento di una tradizione che travalicano i nostri confini diventando patrimonio etico di un’umanità che, senza memoria e direzione, ha bisogno di un tipo di resilienza che la poesia di Zanzotto custodisce e rilancia. Adesso sta a noi accoglierla e proseguirla

  8. Andrea Zanzotto, Così siamo (da IX Egloghe)

    Dicevano, a Padova, “anch’io”
    gli amici “l’ho conosciuto”.
    E c’era il romorio d’un acqua sporca
    prossima, e d’una sporca fabbrica:
    stupende nel silenzio.
    Perchè era notte. “Anch’io
    l’ho conosciuto”.
    Vitalmente ho pensato
    a te che ora
    non sei nè soggetto nè oggetto
    nè lingua usuale nè gergo
    nè quiete nè movimento
    neppure il nè che negava
    e che per quanto s’affondino
    gli occhi miei dentro la sua cruna
    mai ti nega abbastanza.

    E così sia: ma io
    credo con altrettanta
    forza in tutto il mio nulla,
    perciò non ti ho perduto
    o, più ti perdo e più ti perdi,
    più mi sei simile, più mi avvicini.

  9. Gli organi di stampa hanno ripreso nei modi più impensati (perché spesso eccessivamente elegiaci o fatalmente imprecisi) la notizia della morte di Andrea Zanzotto, alcuni hanno addirittura tentato di trasformare una sua vecchia intervista in una sorta di testamento liberatorio e futile. Verrebbe da chiedersi dove fossero questi stessi organi di stampa, quando la voce di un uomo ancora intensamente vivo avrebbe avuto bisogno di un briciolo di attenzione. Ma tutto ciò poco importa ora.
    Il post di Stefano Dal Bianco è fortunatamente diverso dal “coro” e volevo rendergliene atto nel mio piccolo.
    Sembra nascere da una genuina assoluta passione per i pensieri e le parole di un uomo che è riuscito più volte, con le sue parole, a “creare quella vertigine di emozioni” (questa visione la trovo davvero rispondente alle sensazioni che può provare chi legge un paio di righe di buona poesia) che costringe il lettore a fermarsi, a poggiare il libro ancora aperto sul tavolo e a guardare qualcosa che non era mai riuscito a vedere.
    Tutto intorno il tempo aspetta, si trasforma in un blob molliccio che ingoia chi guarda e ciononostante non lo raggiunge.
    Grazie per questo testo.

  10. Che sconforto la morte di un poeta – visto che ne nascono solo due o tre al secolo, ne sarà rimato sì e no mezzo ora… Che meraviglia leggere un ricordo di Zanzotto così ‘conterraneo’ (e la terra comune non è solo quella regionale e linguistica ma è il suolo condiviso appunto della poesia) da parte di Stefano Dal Bianco, autorevole scrittore, stimabile e prezioso. L’unico guadagno/ricavo in una simile situazione è che la morte anagrafica di un poeta grande rende riascoltabili sia la sua voce poetica per ragioni di rievocazione che la voce di un suo discendente per ragioni di commemorazione e rammemoramento.

  11. Marco Saya, per cortesia con ‘sto qualunquismo da due soldi. Ci sono tanti grandi poeti ancora vivi e operanti.

  12. Bar Mokafè – Lioni, 19 ottobre 2011, ore 12:39, scontrino fiscale 57 –
    Omaggio ad ANDREA ZANZOTTO – Poesia improvvisata – 40 versi liberi –

    C’é un accapo lieto…

    1 C’è un accapo lieto
    nella quiete
    di un sonno bambino,
    nel ritorno dei fiori…
    5 C’è un dentro e un fuori
    del mondo circoscritto
    in ognuno di noi
    dove l’attesa, il volere, il poi
    sono il nodo contratto
    col paesaggio che ci accoglie,
    che ci annota i passi
    e da dove nessuno
    può sfuggire come terra-carne
    per geo-storia e memoria…
    15 Bisognerebbe avere
    il coraggio di morire
    nella beatitudine dei colori
    delle nuvole,
    esseri felici della sorte
    di un passero
    che esplora rami e foglie
    con l’istinto di volare
    sicuro della gioia
    nella sua ignara giornata
    25 appesa all’interrogativo
    di altre vite
    affamate di vita,
    alla mercé del vento,
    sovrastate dal cielo,
    avvolte nel velo del tempo
    che modella le stelle
    e ci permette di essere voce,
    meno mistero pensante
    armonia e pace
    35 fino all’incontro sereno
    della morte,
    fino allo stupore
    della parola coniata,
    sottesa all’innocente
    40 parlata del cuore…
    = Memo Archivio INEDITI 2011: (A) Orig. Graf: Redaz. 9° Q, pag.15;
    DIRITTI RISERVATI per AUTOS EDIZIONI
    Con affetto e stima, come sempre,
    Gaetano Calabrese – poeta errante dell’Irpinia.
    E-mail: gaetanocalabrese@tin.it

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