di Emanuele Canzaniello
Tassonomia, antropometria, raccolta di tavole igieniche d’inizio XX secolo, catalogo non glorioso dei falli, entomologia; la Ninfa è la larva di ogni insetto, e potenziale in ogni essere vivente è il male, che permane, conservando la sua teologia, ma con la coscienza umiliata di usurpare tardivamente un nome, questo sì glorioso.
Tassonomia I
Il film è un compendium maleficarum, o meglio i film di von Trier a partire da Antichrist aspirano a una tassonomia del male, dei suoi agenti, dei suoi benefici, dei suoi esiti ultimi. Una latente stregoneria, almeno sul piano dei simboli, è ben più presente nelle donne di queste opere, che non in questa la superflua ninfomania. Superflua almeno perché a contare è il male, e non una delle sue forme accidentali.
Un repertorio immaginativo, fatto della strumentazione e dei linguaggi della scienza, sta approdando a una nascosta tetralogia (i due volumi del nostro film servono a raggiungere Wagner). Antichrist, Melancholia, Nymphomaniac: titoli unici, algebrico-demoniaci, musicali e düreriani. Per un’opera, un tentativo, una tentazione antimoderna, ostile, che è consapevole di un’estetica dell’avversione e del rigetto e che pure vuole, deliberatamente vuole, cibarsene. Il décor ideale dietro questi tre film è fatto di flaconi, erbari, armadi in frassino e faggio per unguenti medicinali, intagliati in una identificazione mitica con la tradizione nordica, norrena e germanica: ecco la grande farmacia che von Trier sta allestendo. La sua aspirazione è rifare, brano a brano, la Melancholia di Dürer.
Tassonomia II
La scienza e il nulla: di questi due elementi von Trier aspira a equilibrare una tassonomia. A partire dal turbamento astronomico di Melancholia la direzione presa mira a una topografia dei territori ultimi della scienza. Quella che ci viene mostrata è una condizione in cui il metodo permane ma l’attitudine e le retoriche di questa scienza sono invertite di segno, stanno a rappresentare elementi di un rimosso arcaico.
Di faggi e frassini è un conoscitore e un amante il padre della piccola Joe, ninfa della prima pesca, a lei vengono concessi dal padre medico i privilegi di una permissiva scienza anatomica illustrata, e insieme vengono mostrati i regni vegetali. L’intricato rovo dei rami disegna una complessa macchina arteriosa che aspira alla luce, e la stessa tensione dei rami verso l’alto è dichiarata lotta per la vita. Medioevo e scienza, amore per la natura che sopravvive, non avvizzita, ma anch’essa percepita secondo la nobile genealogia del male radicale, dell’asservito nulla, dell’irriducibile ostilità.
Tassonomia III
Il catalogo delle aberrazioni sessuali è secondario e funzionale a una più generale tassonomia della disperazione, delle ragioni di una bestialità della natura, di una mistica del negativo in natura.
Lo stesso gusto della predicazione, del sermone non è estraneo all’impianto disteso delle cinque ore nella cappella della città e del regno. E quello che lì viene detto, e cantato, è che noi siamo disperati, e che ne abbiamo ogni ragione, una ragione più fonda di ogni ratio e più oscura di ogni scienza. Non solo l’Occidente è disperazione ma tutto il reale, celebrato nell’orgoglio polifonico di un Bach. Per questo breve nulla si spande l’amore di von Trier.
Tassonomia IV
Delle forme narrative, dei diversi stili con cui impostare i capitoli pensati come variazioni e modulazioni di uno stesso motivo. La maniera più chiara in cui si mostra il gusto della catalogazione sulla superficie visiva del film sono le tavole illustrative, le indicazioni numeriche sovraimpresse all’immagine, le didascalie che spesso occupano lo schermo più del sesso e mimano una medicalizzazione forzata.
Non mi sembra del tutto irrilevante notare che il film è stato girato tra Colonia e Hilden, in Germania e in Belgio. Secondo una nuova lezione di anatomia, didattica e tavole mediche suggeriscono e formulano prescrizioni e cifre sovrimpresse alle immagini, sovrascritte come su una lavagna, secondo una tecnica ormai consueta in von Trier dai tempi di Dogville. Neve alle finestre, alle grondaie, silenzi dilatati, tutto nell’esibito passo di una narrazione, se vogliamo, piana, e persino filosofica, morale. Il tempo preteso dal film ambisce alle dimensioni del Fregio della vita di Munch, un tempo scandito dalla conversazione rammemorante di Joe (Charlotte Gainsbourg) con (Stellan Skarsgård) Selingman (uomo felice, e innocente perché non ha mai avuto con(t)at(t)o sessuale), l’uomo cartesiano e solo che l’ha salvata, raccolta sanguinante e pestata in strada.
Tutto questo nella confortevole forma e nello spirito di un tè, di una coperta, di una casa severa, e dall’altra la furbizia con cui è montato l’allestimento in confezione deluxe del film, curato nella promozione e nel lancio non meno che nella serica tessitura dei capitoli, ben disegnati in titoli e ripartizioni accattivanti. Appetizers erano i brevissimi tagli diffusi in anteprima, molto mobili e ben circoscrivibili nelle loro funzioni i capitoli del film, cinque nel primo volume e tre nel secondo. Anche se si dovrà ammettere poi che a nuocere più di tutto siano state le locandine: non rendono giustizia.
La misoginia tanto avvistata e prevista nel cielo di von Trier conta nella sua scienza medica? Direi poco o nulla, anche quest’aspettativa è disattesa con successo. Se sussiste è anch’essa un elemento estetico, un gusto d’organo che si vuole lasciare in vita e accordare in modi nuovi. La ninfomania stessa non è una definizione medica a cui il film mostra di credere o d’interessarsi, la ninfomania è uno stato della coscienza se non dell’essere, un’afflizione dell’immaginario che abita una carne e un’igiene riposata, efficiente, mai rotta, con poche piaghe da frusta, secondo la numerologia della flagellazione romana. La nostra Joe nella sua vita intima è più efficace di una pornostar, e solo un realismo meschino potrebbe indurci a chiedere spiegazioni. Ma soprattutto la ninfomania di Joe è una sua autoaccusa, una denigratoria e non detta autodefinizione. È Joe prima di chiunque altro a giudicarsi un “cattivo essere umano”, salvo dichiarare poi di amare se stessa in quanto ninfomane, ed è solo nel racconto per flashback della sua vita sessuale, dai cinque anni fino al momento del pestaggio in strada, che ci vengono forniti gli elementi per comprovare o meno l’accusa. Il buon Selingman ascolta e costantemente offre la lezione altra di uno spinoso accidente o di una crux della memoria. Selingman tra l’altro è tenuto a quel ruolo dalle regole della conversazione filosofica nel romanzo pornografico: si finge di credere a un dato assetto morale solo per far gioco alla presentazione di un argomentare opposto. Con Selingman siamo anche riforniti di indizi per iniziare a sospettare, al termine del parziale primo volume, che il racconto possa contenere delle alterazioni, e che quelle alterazioni immaginative siano fatte per ospitare la ninfomania come ingrediente e pura forma. Ad alcuni ricordi o ricostruzioni Selingman mostra già di non poter credere: “Pensi che otterrai di più da questa storia se ci credi o se non ci credi?”, è la controbattuta di Joe, e questa è una risposta evangelica, lunga perifrasi del quid est veritas? di Pilato alla confusione-confessione di Cristo.Qui le parti si rovesciano, incrociate a braccia di croce e meritano una nostra resa di fronte all’ordine (di grandezza) dei fatti.
Quali sono i fatti?
Come ogni ninfa larvale da piccola Joe imita le rane e i girini sul pavimento scivoloso del bagno, chiusa a chiave insieme a un’amica; primi indefiniti attriti clitoridei. Primo odio per sua madre, stronza bergmanniana e tenerezza per la premura di suo padre.
Prima esperienza sessuale in età appena puberale: fa richiesta esplicita a Jérôme nell’officina di lui (che diventerà poi inspiegabilmente il suo amore adulto): 2 colpi davanti e 3 dietro, come ci indica la grafica a pieno schermo. Bruciore e umiliazione, presto dimenticati.
Su un treno notturno, gara con un’amica adolescente su chi farà sesso con più uomini, sacchetto di cioccolatini in premio. Vittoria di Joe grazie a un punto bonus: fellatio agghiacciante consumata con un uomo che per resistere aveva anche pregato e confessato di star andando in fretta da sua moglie che l’aspettava nel momento di massima ovulazione. A questo riguardo l’argomentazione di Seligman per giustificare e dare un senso al ricordo di Joe, è particolarmente raffinata. La tesi è questa: in fondo Joe ragazzina avrebbe dato a quell’uomo qualcosa da ricordare, e forse, liberandolo del seme più vecchio, avrà favorito per lui e per sua moglie una fecondazione più sana, un figlio migliore.
Sparsi rapporti, resi quasi contemporanei nel taglio di montaggio, in cui Joe elargisce alle più varie anatomie maschili la soddisfazione di credere che lei abbia avuto con loro, con ciascuno di loro, il suo primo orgasmo.
Sequenza comico-infernale: per liberarsi di un amante cinquantenne in tempo per l’arrivo a cena da lei dell’amante successivo, Joe si dichiara innamorata dell’uomo ma frustrata dal fatto che lui non lascerà mai sua moglie, e così con assoluta indifferenza lo mette alla porta quasi spingendolo per le spalle. Poco dopo l’uomo ritorna con le valige: ha davvero lasciato sua moglie. Ma adesso starà per arrivare l’amante successivo a cena. Cosa fare? Non basta, a casa di Joe si presenta anche la moglie che è stata appena lasciata (Uma Thurman) con tre figli maschi piccoli. Esilarante disperazione di tutti, la Thurman vuole mostrare ai figli il letto dove il padre ha scopato con la ragazzina. Intanto è arrivato anche il secondo amante atteso a cena, giovane, imbarazzato, ignaro, con i fiori in mano, e assiste alla scena sfiorando le mani di Joe e provando a capire quali legami intercorrano tra i presenti. Tutti senza nessun’idea di chi sia veramente Joe.
Nell’ultimo capitolo arriva il rivolo di eccitazione che percorre abnorme l’interno delle gambe di Joe: in controcampo il cadavere di suo padre (Christian Slater), rivoltato in un letto di ospedale prima di morire. La spiegazione di Selingman trova comprensibili reazioni del genere a particolari momenti di pressione emotiva.
Fin qui si potrà dire che siamo solo all’inizio, qualsiasi approccio al film non può dimenticare che l’oggetto unitario che ci sta davanti si compone di due parti, e che noi ne ignoriamo ancora la seconda. Per ora la disfunzione di Joe sembra essere solo quantitativa, ma senza accennare nemmeno alla perversione tout–court. Il drastico taglio nel finale di questo primo volume preannuncia una svolta drammatica: la piccola Joe non sente più nulla, lo sfregamento è silenzio, il piacere non arriva.
Tassonomia V
Segue un repertorio dell’insensibilità sessuale, un’ennesima tassonomia del nulla erotico, dell’ineffabilità che ha bisogno del sangue, della sofferenza per rianimarsi. Joe adulta, madre del piccolo Marcel (dal dio romano della guerra), felice di coabitare con il padre del bambino, il suo Jérôme, accetta che lui decida di dividere con altri il compito di sfamarla, di smuoverla da un’assoluta insipienza vaginale.Due negri si contendono una doppia penetrazione, ma propiziano solo una riflessione lessicologica sull’impotenza e la morte della democrazia. Lascia ch’io pianga, rimando interno ad Antichrist, mentre Joe lascia il bimbo tra le due e le sei del mattino, solo e sedotto dal suicidio per mano della neve, sul bordo del balcone. Lei intanto è piegata su un divano in pelle lisa, chiusa da cinghie adatte al sottosella, e sperimenta la fustigazione insieme ad altre donne, ospiti di un corridoio ferreo e regolato come un ospedale. La notte di Natale Joe sceglie di abbandonare per sempre Jérôme e suo figlio Marcel; viene ammessa così alle quaranta frustate di rito romano, dimostrandosi abile nell’iniziare a capire come le cinghie permettano libertà di movimento al bacino. Lieti di attenderci dal film anche il vivificante outrage di sovrascrivere l’immagine di una comunione eucaristica offerta a un’oralità in clausura a quella della pratica non meno claustrale in una dark room, siamo condotti invece davanti a una pala d’altare scandinava con bambina in orgasmo involontario, assecondato e presieduto nei cieli dall’apparizione di Messalina, di Nimrod, di tutta l’iconostasi d’Oriente e dei flagelli d’Occidente.
[Immagine: Lars Von Trier, Nymphomaniac (gm)].
mi è piaciuto molto il tuo articolo ma il film sarà già uscito nel senso di sparito perchè le programmazioni durano poco…quindi non scriverò i miei commenti ma posso dire che Trier sta parlando cinematograficamente, e quindi mediamente e indirettamente, di fenomeni sociali emergenti ed emersi ormai da tempo e in movimento: come si vive il sesso (magari senza farlo), i rapporti di forza e potere tra i generi, le trasformazioni che il porno a facile disposizione e “liberato” sta generando nel mercato del lavoro e nell’immaginario maschile, femminile, non maschile e non femminile. Non so se mi sono spiegato e vedendo il film magari mi accorgerò di aver frainteso.