cropped-olmi2.jpgdi Nadia Agustoni

[Questa è l’ottava puntata della rubrica dedicata alle piazze a cura di Adelelmo Ruggieri. In precedenza erano usciti i testi di Enrico CapodaglioFranca MancinelliLinnio AccorroniEliana PetrizziMarilena RendaEnrico De Vivo e Antonella Anedda].

L’ultima sirena delle fabbriche alle dieci di sera faceva quasi fumo, era un pensiero denso

Costruivamo piccole dighe in quelle diramazioni delle rogge che diventavano piccoli corsi d’acqua chiamati i sariolì. Ruscelli, per capirci, che s’incanalavano a lato dei campi e servivano ai contadini per irrigare. Noi, in pantaloncini e sandali di gomma, prendevamo i ciottoli dal fondo e ci costruivamo una parete che fermava l’acqua. Quando era abbastanza profonda ci si poteva giocare e fare il bagno. Dopo un’ora circa ci raggiungeva un contadino che s’era accorto che l’acqua non arrivava più ai campi ed erano bestemmie. La diga veniva tolta. Si cercavano subito punti meno visibili per ostruire un’altra volta senza farci prendere in castagna. Quel che girava nella testa è che l’acqua per quel giorno era un gioco. Il gioco era sempre all’aperto. Acqua, legni, alberi, sassi, perfino il buio alla sera per nascondersi erano gli elementi che avevamo. L’erba altissima dei prati cavalcata a salti era una linea infinita verso qualcosa. Ma l’impressione nostra era che il mondo fosse lì con noi e lo conoscevamo. 

Mi perdo, certi pomeriggi o le mattine di domenica, a camminare senza meta nella periferia in cui abito. Il paese è una frazione tranquilla di poche case. Appena fuori c’è la zona delle industrie che nel fine settimana è tranquilla. Spazio di vuoti. Luoghi di uno strano silenzio, in cui sembra non accadere mai niente. Quello che vi succede è minimale. Il sabato alla pompa di benzina sostano più del solito le auto in uscita dall’autostrada o in procinto di entrarci. Il negozio del pane e dei generi alimentari è più attivo. Nel negozio fanno anche, concessione alle maestranze delle aziende dei dintorni, panini e tranci di pizza da asporto. La pizza è buona. Costa tutto poco, ma la gente infila i due km che separano dall’ipermercato e fa la spesa altrove. Mi attirano in particolare in questo mezzo paese alcuni edifici. Uno è l’asilo che la domenica è chiuso. Sembra risalire agli anni ’30. Ci sono anche case costruite nei decenni prima dei ’70 e tenute con cura. I giardini sono spicchi di colore e di verde ordinato. Più in dentro le distese di campi sono faccia a faccia con i cubi di cemento industriale. Si vede un trattore il mattino presto che lavora su quei campi. Una o due persone, non giovani e che sembrano essere lì nell’abbandono di tutto, tengono la linea della terra. Un ordine di giorni.

 Dalle mie parti gli operai non sono in via d’estinzione. Una volta credo fossero tutti un po’ operai, adesso ce n’è qualcuno in ogni famiglia o quasi. Ogni gruppo di parentela ha i suoi impiegati, artigiani, liberi professionisti e insegnanti, ma difficile manchi lo sfortunato di turno a cui è toccata la sorte minore della fabbrica. Convivono, spesso con dispetto, panni impregnati di olio industriale e morbidi maglioncini, scarpe con la punta di ferro e mocassini.

 La nebbia in quegli anni era tremenda. Calava fitta come vapore. Vapore freddo. Era freddissima infatti. Se si andava a piedi da casa al paese era facile avere attacchi d’ansia e perdersi. Non si vedevano i muri quando era proprio brutta. Come essere ciechi e invisibili in un ambiente invisibile. Da queste parti a quei tempi la campagna c’era ancora. Le strade deragliavano sempre nei campi e lì la nebbia era così spessa che dalle cascine non uscivano. Gli inverni erano lunghi, sembrava ci congelassero fuori dal mondo.

[I testi sono tratti dal Taccuino nero]

[Immagine: Ermanno Olmi, L’albero degli zoccoli (1978) (mg)].

 

1 thought on “Da queste parti a quei tempi. Bassa Bergamasca

  1. Volevo ringraziare le autrici e gli autori fino a qui intervenuti e i lettori di queste “piazze”. Questa ottava “piazza” di Nadia Agustoni – “piazza” in assenza di piazza, solo piccole dighe e campagne e ciminiere – dalla Bassa Bergamasca è la boa dei due terzi. Nella prossima puntata, dopo esserci imbarcati non lontano, a Milano Malpensa, si farà tappa a Austin, in Texas. Quindi si torna in Italia a Capodichino, e da Napoli si salirà fino al Delta del Po, dove la rubrica si chiude, con un breve omaggio al primo cortometraggio (non ho trovato un’altra parola per evitare la rima in –aggio) di Michelangelo Antonioni, “Gente del Po” (1943-1947).
    Grazie di nuovo
    ar

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