di Claudio Giunta
[Questo articolo è uscito sul domenicale del «Sole 24 Ore»].
La scuola e l’università italiane sono quei posti in cui si entra in ruolo tardissimo, a quaranta, cinquant’anni (dopo ogni concorso c’è il servizio TV sul tale che vince la cattedra a un giorno dalla pensione), ma una volta entrati in ruolo si è praticamente inamovibili, nel senso che per essere licenziati bisogna perlomeno uccidere, e si è quasi immoti, nel senso che la poca carriera che si fa è legata soprattutto (e a scuola esclusivamente) all’anzianità di servizio. Specie a scuola, dove gli stipendi sono più bassi e il lavoro più stressante, non è davvero una buona strategia per ottenere insegnanti zelanti, coscienziosi e aggiornati. Dopo un po’, vedendo che la virtù non viene premiata e il vizio non viene punito, uno smette di dannarsi l’anima e fa quel che deve fare, niente di più.
Il disegno di legge del governo di cui ha parlato il sottosegretario Reggi in un’intervista a Repubblica si propone di intervenire su questo e altri problemi. “Tutte le ricerche internazionali – ha detto Reggi – concordano sul fatto che gli insegnanti italiani lavorano meno, guadagnano meno e non fanno carriera. Vogliamo ribaltare le tre conclusioni”. Lascio da parte i due primi punti e mi soffermo sul terzo: fare carriera significa insomma ricevere uno stipendio più alto rispetto ad altri colleghi, e senza che questo privilegio sia legato necessariamente all’anzianità. Mi pare una cosa giusta: nella scuola ci sono insegnanti bravissimi e insegnanti pessimi, e non si vede perché i primi non dovrebbero guadagnare più dei secondi, anche molto di più. Se non è solo effetto-annuncio, il fatto che il ministero intenda operare in questo senso è un’ottima notizia. Non è invece una buona notizia quella relativa ai criteri alla luce dei quali dovrebbero essere assegnati questi fondi: “premi stipendiali fino al 30 per cento per i docenti impegnati in ruoli organizzativi (vicepresidi, docenti senior) o attività specializzate (lingue e informatica)”. Questo è infatti un errore, e non piccolo.
Gli insegnanti vanno valutati (e premiati) per come insegnano, non per quello che fanno al di fuori dell’insegnamento, “in ruoli organizzativi” o in “attività specializzate”. Quello che conta, a scuola, è la scuola: cioè quella normale, difficilissima amministrazione che si fa attraverso le lezioni, le interrogazioni, il dialogo con gli studenti. Un bravo professore di filosofia deve insegnare bene la filosofia: se lo fa, va premiato, perché formerà delle persone colte e intelligenti. Un cattivo professore di filosofia che si impegna “in ruoli organizzativi” o in “attività specializzate” (e mette su, poniamo, un assurdo corso di informatica filosofica, mentre nelle ore di lezione legge il giornale: io al liceo avevo un tipo così) resta un cattivo professore di filosofia, chenon formerà delle persone colte e intelligenti (expertus loquor!), e per questa ragione non va premiato.
Questa è logica spicciola, ed è abbastanza sorprendente che al ministero pensino di dare una medaglia (e dei soldi) non a chi fa bene il suo lavoro ma a chi s’impegna a farne (chissà se bene, chissà se basta segnare il proprio nome su una lista) uno diverso. Abbastanza sorprendente, non troppo, per due ragioni. La prima è che questa idea di una scuola che fa soprattutto cose diverse dalla scuola (la settimana bianca, le lezioni di cucina, il corso di computer, il seminario sull’autostima, l’ora di autocoscienza, il sit-in contro Boko Haram), e premia gli aspiranti burocrati anziché i bravi insegnanti, è un’idea molto ben intonata allo spirito dei tempi, tempi in cui – dato che tutto è così complicato, tutto così difficile da far funzionare – sembra esserci bisogno più di bravi gestori della macchina che di persone che insegnino decentemente Galileo o Kant. La seconda ragione è che mentre l’impegno in “ruoli organizzativi” e “attività specializzate” è quantificabile (non, ripeto, qualificabile: uno può lavorare venti ore al giorno come vicepreside o insegnante di russo e fare danni in entrambi i ruoli), e dunque premiabile, decidere se un professore è o non è bravo è molto più difficile, ed è ancora più difficile provarlo.
Ma (primo punto) chi ha a che fare ogni giorno con gli studenti (è un’esperienza che al MIUR molti avranno, o avranno fatto) sa bene quanto sia importante ricevere, negli anni della formazione, delle lezioni ben fatte su Galileo o su Kant, sa anzi che quella è, in sostanza, l’unica cosa che conti veramente. Ognuno di noi è grato almeno ad un insegnante, tra quelli che ha avuto a scuola: e non credo proprio che sia l’insegnante che si era più alacremente impegnato “in ruoli organizzativi” o in “attività specializzate”. Quanto (secondo punto) a come individuare i migliori, se ne può discutere: i risultati dei test Invalsi? Ho molti dubbi. Il giudizio dei dirigenti scolastici? Ne ho ancora, ma un po’ di meno. Ispettori? Non vedo perché no: non è questo appunto il loro ruolo?
Comunque sia, è su questo problema – come valutare e premiare gli insegnanti più bravi a insegnare – che il ministro dovrebbe concentrarsi. Battere altre strade è più facile, ma non va bene.
“Ognuno di noi è grato almeno ad un insegnante, tra quelli che ha avuto a scuola”. La risposta è contenuta nella domanda: perché non ci si affida (almeno in parte) a coloro che in classe ci stanno e coloro che sono i diretti beneficiari del lavoro dell’insegnante, ovvero perché non di chiede ai ragazzi? Nei sistemi anglosassoni funziona così: il feedback degli studenti è quello più importante e di maggior peso nella valutazione del docente. Si potrebbe obiettare pensando che no, i ragazzi non sarebbero obiettivi, finirebbero per premiare l’insegnante meno severo o quello con la manica più larga. No, non è così: i ragazzi sono straordinariamente obiettivi e riescono chiaramente a distinguere (e di conseguenza apprezzare per poi esserne grati nella memoria) un insegnante che lavora con loro e per loro da uno che – senza bisogno di gesti eclatanti quali leggere il giornale in classe – si limita a fare atto di presenza in classe (e talvolta neanche quello). Intanto si potrebbe chiedere a loro, prima di chiamare ulteriori amministrativi, ispettori, guardiani, burocrati ministeriali, tanto per complicare ancora un po’ una cosa che, almeno sulla carta, dovrebbe essere tanto semplice.
Sono in totale dissenso con Laura, gli studenti sono sicuramente, direi per definizione, dei pessimi giudici dei loro insegnanti. All’università, questo è un fatto, gli studenti sono chiamati a compilare una scheda anonima ed i risultati sono assurdi (visto che anche i colleghi qualche cosina l’uno dell’altro sanno, no?). In un ambiente adeguato si creano dei veri e propri fenomeni corruttivi (di bassa portata,s’intende), ma anche senza arrivare a qusto, gli studenti eseguono questa operazione senza l’impegno che sarebbe necessario.
Infine, anche se le prime due condizioni non si verificano, rimane il fatto incontrovertibile che gli studenti hanno un punto di vista non obiettivo e dequalificato.
Non sono qualificati perchè ignoranti (se avessero le competenze disciplinari, non avrebbero bisogno di frequentare quella scuola, mi pare fin troppo ovvio), e non sono obiettivi, in quanto parte in causa.
L’effetto sinergico di questi due fattori porterebbe sicuramente a risultati paradossali, quali un cattivo giudizio su insegnati più accurati e severi nella valutazione (tutti siamo stati studenti e non credo sia mai piaciuto a nessuno di noi di essere interrogato o valutato in altro modo), e un ottimo giudizio a chi sa avere un atteggiamento accattivante, esprimersi con un linguaggio abbastanza povero da essere pienamente alla loro portata, parlare di argomenti di loro gradimento come sport e musica ad esempio, chi dismette le vesti dell’autorità per travestirsi da loro simile. Ancora una volta, si finirebbe per lasciare che i media invadano anche la scuola, imponendo i propri temi come argomento di insegnamento.
Per il resto, io sono d’accordo con Giunta, la valutazione si fa coi valutatori, pazienza se così costa e procede più lentamente, ma i metodi automatici sono errati per principio.
Mutatis mutandis, è lo stesso dell’evasione fiscale, l’accertamento si fa con l’investigazione puntuale, non decidendo assurdamente di eliminare l’uso del contante e consegnandoci mani e piedi a un sistema bancario sostanzialmente criminale e a livello mondiale sul punto di fallire.
Rimango sempre sorpreso della scarsa immaginazione di chi comanda, che non riesce minimamente a rendersi conto degli effetti collaterali (o colpevolmente li ignora), interpretando ogni provvedimento come se il suo effetto fosse di un solo tipo.
Ho l’impressione che la strada proposta da Reggi non si differenzi poi tanto dalle vecchie funzioni-obiettivo che non mi pare abbiano dato molto di più che infiniti coordinamenti del nulla e premi ai più scaltri. Mi fa piacere che si torni a parlare di ispettori scolastici: per quanto la figura richiami irresistibilmente alla mente il Benigni impavesato sulla cattedra de La vita è bella, ogni reintroduzione di elementi umani nella valutazione della scuola mi pare cosa buona e giusta.
Bene la valutazione, benissimo gli ispettori, devastante l’aumento di stipendio ai più bravi a mezzo ukase.
I più bravi vanno premiati – come i meno bravi vanno puniti – con premi e punizioni d’altra natura (non sono del mestiere, non entro nei dettagli per non dire sciocchezze, ma non dubito che ce ne siano, dagli anni sabbatici alla formazione professionale d’eccellenza a chissacosa).
Gli aumenti di stipendio vanno dati con l’avanzamento nei quadri – che deve esistere, è certamente deprimente che una volta professore di ruolo tale si debba restare fino alla pensione – al quale deve corrispondere, ad esempio (e chiedo scusa se per incompetenza dico sciocchezze) l’insegnamento in un ordine superiore di scuola.
Si vuole sganciare, parzialmente o del tutto, l’avanzamento nei quadri dall’anzianità di servizio? Bene, sono d’accordo. Si prevedano dunque appositi concorsi per titoli (ripeto: titoli) + esami + valutazione didattica degli ispettori. Chi avanza nei quadri, guadagna di più.
Dare agli ispettori (o ancor peggio alla valutazione standardizzata, o ai dirigenti) il potere di aumentare lo stipendio discriminando a piacere fra colleghi parigrado, non solo garantisce un clima mefitico nelle scuole e alleva una nidiata di leccapiedi (e un bel giro di corruzioni, raccomandazioni, scambio d’amorosi sensi, etc.) ma mette una pistola alla nuca della libertà d’insegnamento. Scherziamo, ragazzi? Non solo si rivolta nella tomba Gentile, si rivolta nella tomba anche Mussolini, anche Pol Pot…
A questo punto, è meno devastante la proposta ministeriale, che in linea con il più classico inciucio ministerial-sindacale aumenta lo stipendio a chi di insegnare ha poca voglia, e in compenso ne ha tanta di impicciarsi con i collateral damages burocratici sponsorizzati dal ministero e dal sindacato.
Di fronte alle proposte avanzate per restituire prestigio, stima e autostima alla categoria dei docenti, starei in guardia da quelle che trovano ospitalità nel quotidiano della Confindustria per opera di questo o di quel sicofante. Mi limito, invece, ad osservare che i processi di proletarizzazione che hanno investito la categoria sono oggettivi e, all’interno del sistema economico-sociale capitalistico, irreversibili (un sintomo inequivocabile di tali processi è, ad esempio, la crescita della sindacalizzazione). Ciò significa che l’idea di un’emancipazione della categoria ‘ut talis’, che si realizzi indipendentemente dall’insieme delle classi lavoratrici, è altrettanto illusoria quanto fu, nel corso dei dibattiti dell’800, l’idea di un’emancipazione degli ebrei ‘ut tales’, come dimostrò a suo tempo Marx nella “Questione ebraica”.
Ciò detto, è assolutamente vero che i docenti devono riacquistare la piena consapevolezza della funzione (non socio-assistenziale ma) intellettuale e morale inerente al loro lavoro, contrastando in primo luogo i processi di privatizzazione e, in particolare, la “madre di tutte le privatizzazioni”, che è stata, per opera del nefasto governo Amato del 1992, la privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego. Prima di allora, infatti, in base alla tradizione umanistica della scuola italiana il rapporto di lavoro era stato sempre concepito come un rapporto di lavoro del tutto disinteressato rispetto alla didattica e agli studenti: i diversi insegnanti ricevevano una retribuzione sostanzialmente omogenea per un lavoro sostanzialmente omogeneo, privo di qualsiasi competitività, regolato dai meccanismi dell’anzianità e dalla stima dei colleghi, del preside, degli allievi e delle famiglie. La privatizzazione del rapporto di lavoro è stata poi accolta nel contratto collettivo di lavoro del 1994, che ha trasformato il ruolo ordinario in rapporto di lavoro a tempo indeterminato (quindi, in linea di principio, risolubile), ha introdotto forme di retribuzione accessoria per un ampio spettro di prestazioni aggiuntive e ha realizzato una scala mobile alla rovescia, agganciando la dinamica retributiva al tasso d’inflazione programmata, cioè pianificando la riduzione degli stipendi, e abolendo gli scatti biennali, sostituiti dagli attuali incrementi retributivi per anzianità ogni 6 anni. Peraltro, la privatizzazione del rapporto di lavoro ha dimostrato di essere del tutto fungibile nel momento in cui i vari governi hanno deciso nel 2009, con una procedura seccamente autoritaria, il blocco degli stipendi e della contrattazione.
Tornando agli effetti generati dalla liberalizzazione, fu a quel punto che la logica perversa dei rapporti mercantili poté innestarsi nel profondo dell’attività scolastica. Infatti, a causa dell’impoverimento economico che aveva investito la categoria, le attività aggiuntive, svincolatesi dalla dimensione del
volontariato più o meno oblativo che una minoranza del corpo insegnante aveva sempre espresso,
diventarono uno strumento improprio ma generalizzato di recupero retributivo, e fu all’insegna di tale recupero che la categoria guardò ai corsi di recupero (non è un bisticcio di parole!) e si rese disponibile alle più svariate attività aggiuntive. Le forze dominanti hanno così giocato due carte allo scopo di privatizzare il rapporto di lavoro nella scuola, modellandolo su quello proprio dell’industria privata: la crescente insicurezza di tale rapporto, conseguenza sia della diminuzione della popolazione scolastica che delle politiche di riduzione della spesa pubblica nel settore dell’istruzione, e la disponibilità degli insegnanti a prestazioni aggiuntive di lavoro per un recupero retributivo.
L’intreccio sempre più stretto fra la crisi epocale della forma-scuola, la crisi sociale della scuola e la deprofessionalizzazione degli insegnanti richiede dunque uno sforzo di analisi, di proposta e di organizzazione inedito, rispetto al quale i contributi settoriali, come quelli che a cascata va sollecitando questo sito, rivelano tutta la loro insufficienza. La funzione progressiva della scuola (ammesso che ci sia ancora qualcuno che intenda farsene carico, visto che qui si teorizza che “la scuola non serve a niente”) è legata infatti non solo all’elevamento dei livelli culturali delle nuove generazioni, non solo al riscatto degli insegnanti dalle condizioni di avvilimento e di degrado imposte dalle politiche neoliberiste nel campo dell’istruzione pubblica, ma anche e soprattutto alla necessità storica, per dirla ancora una volta con Marx, di “strappare l’educazione all’influenza della classe dominante”.
Vincenzo, avverti della parzialità della valutazione degli studenti universitari, chiamati a valutare docenti e qualità dell’insegnamento. Innanzitutto bisogna distinguere tra studenti universitari e studenti di scuola superiore. Non entro nel merito delle valutazioni universitarie perché è un campo che conosco meno e che inoltre presenta notevoli differenze tra ateneo ad ateneo e da facoltà a facoltà.
In questa discussione parliamo di scuola, parliamo di insegnanti e nello specifico parliamo della carriera (e delle possibilità di carriera) degli insegnanti: all’università si può fare carriera, gli scatti stipendiali ci sono, le gratificazioni sono possibilli (almeno, in un mondo ideale; ripeto, non entro nel merito del complesso sistema universitario). Ma qui la questione è: come è possibile valutare qualitativamente un insegnante e quindi premiare i più meritevoli?
Nella lucida e impeccabile analisi di Giunta, che condivido in pieno, a mio avviso non dovrebbe essere aprioristicamente esclusa la possibilità della valutazione degli studenti. Il problema è spinoso e me ne rendo conto (se tu me lo avessi chiesto qualche anno fa sarei stata assolutamente contraria). In realtà, per quella che è stata ora la mia esperienza diretta e da quel che ho osservato direttamente a scuola, posso affermare che non è così strampalata come idea.
Può sembrare paradossale, ma nella mia esperienza gli studenti non hanno mai propeso per l’insegnante con la manica più larga o per quello con il linguaggio più povero o più accattivante, al contrario: amano e seguono follemente il “più bravo” (e questo è il nodo, come definire un insegnante “bravo”). I ragazzi sono assolutamente capaci di capire (e giuro che ti beccano in due minuti) se la materia la sai o non la sai e come la sai spiegare. Ti sono assolutamente grati per una lezione ben fatta su Virgilio e dirò di più, a fronte di lezioni ben fatte su Virgilio e a un approfondito studio, digeriscono bene anche l’eventuale votaccio a séguito di una verifica. Non gradiscono invece (fortunatamente!) l’approssimazione e la superficialità. Molte volte ho sentito gli studenti protestare: “noi purtroppo latino non lo facciamo”; “con quello di italiano non facciamo niente”; “in classe legge il libro di storia ad alta voce e ce lo fa imparare a memoria”; “quello la storia dell’arte non la sa”; “inutile studiare scienze tanto poi passiamo tutti”, con il conseguente disamore nei confronti della materia. Nessuno, giuro, nessuno protesta o contesta un professore bravo, preparato, scrupoloso, severo, coscienzioso, nessuno. Avrò visto un mondo ideale io? Sarò stata fortunata? Può darsi. Ma poi ripenso ai miei anni da liceale e ripenso ai miei docenti, e posso dire che anche io al tempo ero assolutamente in grado, pur nell’ingenuità dell’adolescenza, di dire chi fosse “bravo” e chi no a prescindere dai voti che prendevo, come ero in grado di distinguere una lezione dai contenuti poveri da una lezione approfondita e complessa. Preferivo la complessità, e la preferivano anche i miei compagni di classe (come i miei studenti adesso). Anche io ero ignorante, certo, ma assolutamente in grado di distinguere la preparazione, la competenza e la dedizione (preferiamo chiamarla scrupolosità? Serietà? Fa lo stesso, ci siamo capiti) di certi insegnanti a fronte della preparazione ma contestuale mancanza di voglia di lavorare di altri, come della assoluta mancanza di preparazione e mancanza di voglia di lavorare di altri ancora.
Quanti hanno scelto l’università in base al professore che più amavano alle superiori, e quanti hanno scientemente deciso di NON fare quella o quell’altra facoltà nuovamente pensando a un qualche professore scarso del liceo?
Mi si potrebbe obiettare che questo sistema funzionerebbe solo per certe scuole e condividerei questa critica. Tuttavia, vale la pena ricordare che i ragazzi di oggi non sono tutti figli di Maria de Filippi; ci sono delle gran belle teste, ancora ignoranti certo, forse un pochino ingenue, ma assolutamente capaci di analisi e di una critica obiettiva, ragazzi che meritano una grande cura e anche un gran rispetto. E a mio avviso è profondamente irrispettoso che ci mettano bocca tutti tranne quelli che in classe ci stanno davvero nella quotidianità e che conoscono le magagne della loro classe docente meglio di chiunque altro. Ripeto, nei sistemi anglosassoni funziona così (anche all’università); lo studente è interpellato e la sua opinione è tenuta in grande considerazione. Certo, non può e non deve essere la sola voce, ma una delle molte voci che vanno a determinare una complessiva valutazione.
Sono d’accordo con Laura. La mia esperienza è simile alla sua. Probabilmente all’università subentrano altre variabili, gli studenti diventano più opportunisti e, soprattutto, hanno con la figura docente un rapporto meno frequente e incisivo, con implicazioni – anche affettive – meno importanti. Detto questo, piacerebbe anche a me vedere gli ispettori nelle classi, come accadeva in tempi lontani. Ma non sono da rifiutare, in toto, neppure i test INVALSI che, seppur migliorabili, possono stimolare utili riflessioni su cosa, quanto e, soprattutto, come si apprende.
io, fin là dove ci capisco la vedo un po’ come eros barone, mi sembra che dice delle cose giuste. infatti mi sembra che ha ragione soprattutto quando leggo nel testo di giunta che gli insegnanti devono essere zelanti, accidenti, non è mica poco, come aggettivo, mica ha detto competenti, professionali, dice zelanti, coscienziosi, mica sono aggettivi che hanno a che fare con la professionalità, hanno a che fare con qualcosa di morale. poi ci mette aggiornati perché se no sembra troppo santi laici, ma insomma. e dopo mi sembra così interessante che giunta dica anche che per quanto riguarda gli insegnanti, “Dopo un po’, vedendo che la virtù non viene premiata e il vizio non viene punito, uno smette di dannarsi l’anima e fa quel che deve fare, niente di più”. perché non è mica pacifico che uno debba fare qualcosa di più rispetto a quanto viene pagato. e dopo sembra anche che se uno fa solo quello per cui viene pagato, e non fa di più sia in colpa. o, mica dico che è sbagliato, ma però non è basato su nessun dato statistico, quant’è la percentuale di quello che non si dannano più l’anima perché vizio e virtù etc (azz, però, che categorie), ma è soprattutto interessante, che lo si dica, un po’ così, com’è stato fatto.
e, infine, per i professori universitari, agganciamo la retribuzione alla qualità? della docenza, della produzione scientifica? al numero di iscritti ai loro corsi?
e per le scuole? a quelli che hanno i risultati migliori nell’invalsi?
vabbè scusate che divago.
vabbè, insomma, di divagazione in divagazione, scusatemi che i pensieri mi vengono lentamente e in modo confuso, a me mi viene in mente che tutti questi modi di pensare la funzione dell’insegnante attraverso le categorie della morale, fatte sul giornale dell’economia, non possono che avere un senso economico, insomma, agganciare la retribuzione ai risultati o alla qualità del lavoro a me mi sembra un modo sottile e mica stupido per introdurre il cottimo a scuola.
Nell’ottica che caratterizza questo dibattito è implicita, come presupposto non detto o sottaciuto, una sostanziale degradazione della figura del docente. Una degradazione che è figlia delle ‘riforme’ neoliberiste di questo ultimo quindicennio e che a sua volta riproduce il degrado economico e sociale dell’intero ceto dei docenti, il loro configurarsi come poveracci degni solo, a seconda delle inclinazioni, di accondiscendenza, compassione o disprezzo. Tale degrado genera, peraltro, come ulteriore conseguenza, l’abbassamento del livello culturale e della maturità intellettuale dei giovani che escono dalla scuola italiana ed entrano (sempre in minor numero, come è noto) nell’università: situazione, questa, che legittima un forte pessimismo, che si tratti di Telemaco, di Ulisse o dei Proci, sul futuro del paese.
In realtà, non si vuole prendere coscienza degli effetti di lunga durata che la nuova costituzione materiale della scuola ha determinato attraverso i due capisaldi su cui è stata incardinata: il primato dell’interesse materiale e la stratificazione gerarchica. Il principio dell’interesse materiale di tipo economico è entrato da tempo a determinare le scelte didattiche del singolo docente, è entrato nel progetto e nella struttura del suo lavoro. Gli stessi studenti sono ridotti a ‘clienti-utenti’ di una scuola divenuta servizio, sono ridotti in pratica a soggetti prevalentemente economici, talché sembra inevitabile (anche se mi appare grottesco) che, sempre in nome della sovranità del consumatore, vengano consultati nella valutazione degli insegnanti.
La stratificazione gerarchica degli insegnanti s’impernia sulla istituzione delle cosiddette ‘figure di sistema’ (in sostanza, gli omologhi dei capireparto in campo scolastico) e sulla trasformazione del preside in datore di lavoro. Del resto, sia la crescita della retribuzione accessoria, da conquistare nel posto di lavoro facendo a gomitate con i colleghi (questo è quanto si propone d’incentivare l’attuale governo!), rispetto alla retribuzione base (definita dalla legge finanziaria e non suscettibile di modificazioni), sia lo scatenamento di una logica infernale di concorrenzialità retributiva scaturiscono dall’attribuzione alla scuola di funzioni diverse dall’insegnamento e dallo studio (le c. d. educazioni: alla salute, alla sessualità, al territorio, allla cittadinanza, alla circolazione stradale ecc.). La privatizzazione è stata dunque premessa e mezzo della trasformazione della scuola in un servizio di generica socializzazione, di banale intrattenimento e di generico acculturamento delle nuove generazioni. Lo studio e l’apprendimento hanno perso, di fatto, la centralità ad essi formalmente attribuita e gl’insegnanti sono stati trasformati in operatori socio-culturali a bassa professionalità e a basso reddito, ossia in proletariato intellettuale. La fine della relativa autonomia della scuola dai rapporti sociali di produzione e il suo inserimento nei rapporti mercantili non solo offrono una rappresentazione caricaturale del modo in cui vengono attuate nel contesto attuale, ben diverso da quello di quarantacinque anni fa, le parole d’ordine dell’apertura della scuola alla società e del rapporto tra scuola e territorio, ma permettono di espellere da essa quanto vi era stato introdotto a partire dal ’68: l’insegnamento come spazio della emancipazione culturale dei soggetti sociali subalterni, la formazione dell’individuo svincolata dalla logica della produzione e del profitto, la cultura come capacità di analisi critica, la pratica della democrazia e della partecipazione. Si tratta di caratteristiche della scuola italiana mai pienamente realizzate, eppur operanti a partire dagli anni ’70. E’ questa scuola che si è puntato a destrutturare, sono questi princìpi fondanti che si è riusciti a vanificare: il risultato, un deprimente miscuglio di aziendalismo straccione, di socializzazione selvaggia e di elaborazione depressiva della funzione docente, è sotto i nostri occhi.
Io sono in totale dissenso con Vincenzo
Io sono stato studente e ho visto con i miei occhi quegli studenti che Vincenzo ritiene ignoranti, magari demotivati, apprezzare professori bravi e che insegnavano con passione.
Io sono sempre stato uno studente modello, e credo di avere sempre avuto un giudizio obiettivo sui professori che ho avuto a scuola e all’universita’, ma non posso dire che il mio giudizio sia stato diverso da quello dei miei compagni che erano marcati come svogliati, e riconosciuti come studenti scarsi: inaspettatamente (forse per Vincenzo) i giudizi sono sempre stati piuttosto omogenei.
Al liceo avevo un professore bravissimo di letteratura italiana, forse troppo bravo, visto che era affascinante e motivante, forse a rischio di plagiare un poco i ragazzi, ma lui era capace di fare studiare volentieri anche i piu’ recalcitranti. Avevo una professoressa di inglese che metteva i voti a seconda di come lo studente andava in matematica (!) ed era odiata da tutti (a me faceva comodo, visto che andavo benissimo in matematica, ma quella professoressa non aveva certo la mia stima). All’universita’ ho avuto un professore bravissimo nella ricerca e nel mondo accademico (che e’ molto meno romantico e pulito di quanto si pensi), ma pessimo a insegnare, si perdeva nelle dimostrazioni dei teoremi e sbagliava tutto, col risultato che dopo qualche volta nessuno andava piu’ a lezione. E ho avuto invece un altro che era ‘magico’ a insegnare, preparava delle presentazioni accurate e studiate, e le esponeva in un modo che era impossibile non capire esattamente tutto quello che diceva.
Signori, non e’ difficile valutare un insegnante, e il modo migliore e’ farlo valutare da un suo discente.
@gp
L’esperienza diretta è sempre un ausilio importante, fino al punto che sarebbe errato farne a meno quando è possibile disporne, nell’esprimere opinioni. Tuttavia, l’esperienza ha questo limite, di costituire sempre un campione dell’argomento in discussione.
A volte, un campione non è rappresentativo, e trarre conclusioni solo sulla base dell’esperienza, magari va bene per la propria vita, assai meno per un ragionamento di carattere generale.
Almeno, mi aspettavo delle controargomentazioni alle mie, ma non ne vedo, e quindi questa sua interessante esperienza individuale non mi fa cambiare opinione.
Poi, lei è certo di avere capito ciò che dicevo, magari mi sono spiegato male, visto che ad esempio dice che io sostengo che gli studenti sono ignoranti. In verità, volevo dire che gli studenti sono tali proprio in considerazione della loro ignoranza nella disciplina che vanno ad imparare, mi pare una cosa più che ovvia, non dicevo certo ignoranti in senso lato.
@Vincenzo: di controargomentazioni ne ho portate, infatti ho riportato la mia esperienza, che costituisce un fatto testimoniato da me medesimo.
Mi pare che le sue argomentazioni non siamo molto piu’ solide, visto che parla di ignoranza degli studenti nella materia che studiano, che e’ un fatto ovvio. Il punto e’ che la bonta’ di un insegnante non dipende tanto dalle sue conoscenze della materia che insegna, quanto dalla sua capacita’ di comunicazione, di presentazione e argomentazione. La mia professoressa di filosofia del liceo era bravissima in filosofia, sapeva a memoria tutto Kant, Hegel e molti altri classici a menadito, ma quando parlava la gente dormiva.
Allora, o la mia classe era composta solo da letargici, o forse il sistema di insegnamento non era il migliore, nonostante le conoscenze ci fossero. A lei non piacciono i campioni, purtroppo non posso riportare l’esperienza della totalita’ degli studenti del pianeta, ma credo che un campione sia piuttosto rappresentativo, soprattutto perche’ confrontato con piu’ insegnanti (di matematica, filosofia, latino, letteratura…..).
Stesso discorso per l’universita’.
Dunque qual e’ secondo lei il criterio per valutare un insegnante? Prendere un altro insegnante e fargli monitorare l’insegnante da valutare, per vedere quanto la sua conoscenza della materia sia attinente a una certa regola prefissata?
I discenti apprezzano sicuramente il contenuto, ma quello che fa la differenza e’ la forma di presentazione, la scelta dell’ordine degli argomenti, il sottolineare certe cose prima di altre.
Insegnare e’ una difficile arte, molto interessante e affascinante, appassionante per molti.
E sono convinto che, se i contenuti sono ragionevolmente presenti (=l’insegnante ha una competenza sufficientemente ricca della materia), la grande differenza sia lo stile di insegnamento.
Chiaro che l’insegnante debba conoscere bene la sua materia, ma questo e’ piu’ vero che falso, anche perche’ un insegnante non insegna se non e’ in possesso di certi titoli di studio che ne certifichino le conoscenze.
Quello che non si certifica, che pero’ e’ piu’ importante, e’ una capacita’ di insegnamento, un carisma, che fa la differenza.
Ma come puo’ apprezzare la bonta’ di presentazione di un insegnante, un altro insegnante che non sente il bisogno di essere accompagnato per mano sulla dolorosa strada dell’apprendimento? Qualcuno che conosce gia’ il finale della storia, che sa gia’ come va a finire non segue con attenzione, non puo’ apprezzare le sfumature, le emozioni, la passione insita in un processo di insegnamento e di apprendimento che si inducono mutuamente.
Al contrario, solo una mente vergine, solo un ignorante in materia puo’ fare da cartina tornasole, rivelando la bonta’ di un insegnante che ne guidi i processi mentali di apprendimento.
My 2 cents
@gp
innazitutto, grazie per la replica.
Per restare sulla falsariga del mio precedente intervento, le porterò un altro campione, e poi ne faccia l’uso che crede.
Al liceo, avevo un insegnante che adoravo, non solo io in realtà ma tutti noi pendevamo letteralmente dalle sue labbra. Di carisma ne aveva a bizzeffe, ed allora era per noi io migliore insegnante che potessimo immaginare.
Tuttavia, a distanza di svariati decenni da quegli anni, il mio giudizio è cambiato. Vedo adesso come egli ha trascurato nel suo corso contenuti che adesso mi appaiono essenziali, ma allora come potevamo mai sapere cosa fosse essenziale? Era una goduria ascoltarlo, e tale sua abilità ci stregava, salvo scoprire a distanza di tempo che non era tutta farina del suo sacco, che utilizzava libri commercialmente disponibili (anzi, dicamo pure best sellers), e ce li recitava in classe, ed anche questo non lo sapevamo ancora, eravamo dei ragazzi e ciò che ci veniva detto era inevitabilmente impossibile da verificare per noi così digiuni della materia.
Insomma, ci vorrà del carisma per fare l’insegnante, ma il carisma in sè non fa un buon insegnante. Lei è convinto che un collega non sia in grado di giudicare, eppure nelle società i giudici sono appunto uomini che giudicano loro simili, e perfino i giudici vengono giudicati da altri giudici. Si capisce che non è il meglio che si possa fare, ma sarebbe ben strano che li facessimo giudicare da casalinghe o muratori (sperando che la metafora sia abbastanza politically correct).
@Vincenzo, grazie per aver riportato una sua testimonianza.
Anche io, come ho gia’ accennato, avevo un professore molto carismatico, e mi rendo conto che il carisma possa portare ad abusi. Questo professore era in effetti molto bravo a destare interesse e a volte ho avvertito il rischio di plagio (es. certi contenuti politici o religiosi veicolati in maniera piuttosto sottile).
Quello che mi interessa rimarcare e’ pero’ altro, e cioe’ che credo che il caso dell’insegnante sia giudicabile piu’ dai discenti, in generale, che da un altro collega.
Salvo casi patologici, in cui gli insegnanti sono carismatici ma completamente fuori strada, credo che nessuno possa rimpiazzare il giudizio di un gruppo di studenti, magari di classi e anni diversi.
Poi ci sono i programmi ministeriali, che possono essere verificati da tutti, studenti o (altri) insegnanti.
Ma infatti, a mio modesto parere, credo che si stia fraintendendo. Io dicevo che ben venga la proposta di valutazione da parte della dirigenza (personale qualificato interno), degli ispettori (personale qualificato esterno) e, perché no, ANCHE degli studenti.
Ognuno di voi riporta la propria esperienza e anche io riporto la mia: al liceo avevo un’insegnante di scienze che adoravo. Chiaramente non potevo al tempo giudicare quanto sapesse la chimica, ma mi sembrava brava: sapeva spiegare molto bene, capivo benissimo la materia, avevo ottimi voti, le sue lezioni era molto partecipate (in classe c’era sempre una gran cagnara, in senso positivo del termine). Nessuno dormiva, tutti (più o meno) studiavano, tutti la adoravamo. Se ci avessero sottoposto delle schede di valutazione, avremmo dato a questa docente dei voti eccellenti, tutti noi, anche gli scarsi. Ho avuto la certezza che lei fosse molto brava solo qualche mese dopo la fine della scuola, quando mi sono trovata a spiegare chimica (io! studentessa di quarta liceo!) e a risolvere esercizi ad amici che stavano preparando l’esame di Chimica Generale per ingegneria. E dentro di me ho pensato, ma dai, ma guarda te, e io che pensavo di risolvere indovinelli alla lavagna…
Quindici anni dopo la maturità sono tornata nel mio liceo, da insegnante. E la mia professoressa di chimica è sempre lì, che insegna scienze a studenti nati 20 anni dopo. Continua a essere adorata. Il campione credo sia abbastanza rappresentativo e sufficiente per questa insegnante (oppure si pensa che si siano avvicendati venti anni di cretini faziosi?). Ah, nel frattempo, si contano diversi ricercatori al CNR (una è una mia ex-compagna di classe).
Se fosse venuto un ispettore durante le sue ore – e di questo sono assolutamente convinta – non si sarebbe messa il vestitino buono, in classe ci sarebbe stata la stessa vivacità e lei avrebbe continuato a insegnare a spiegare la sua materia come sempre, certa dei gran risultati e dell’approvazione degli studenti.
Questo per dire che i “bravi” non hanno niente da temere, né dalla dirigenza, né dal ministero, tanto meno dai ragazzi. Quelli in malafede, invece, possono fingere con il ministero, spuntarla con la dirigenza, ma non ce la farebbero con i ragazzi, né in termini di conoscenza della materia (se questa non è così solida) tanto meno per il loro comportamento e atteggiamento in classe (e non venitemi a dire che questo è un elemento secondario).
@Laura,
sono assolutamente d’accordo.
Il valore di un insegnante puo’ essere massimamente apprezzato solo da chi lo fruisce.
Altrimenti sarebbe come fare valutare un negozio da un esperto di negozi, quando invece sono i clienti che contano.
Condivido quanto sostenuto da Giunta nel suo articolo e sposo la proposta di @ Laura. Gli studenti sono degli ottimi giudici e non tendono affatto a premiare i professori di manica larga: sono severissimi con gli insegnanti, sebbene non sempre lo mostrino. E sanno riconoscere un buon insegnante. Mi allarma il fatto che alcuni docenti non siano d’accordo con questo: come si fa a insegnare bene se uno non si fida della capacità di valutazione dei propri studenti?
Io, per me, mi fido anche dei genitori, dei presidi e degli ispettori: sarò eretica, ma a capire se uno è un bravo insegnante si fa presto. quasi quanto si fa presto a capire se un docente è pessimo. E non lo dico perché mi ritengo una brava insegnante: dopo tanti anni mi rendo conto di commettere ancora molti errori e alla fine di ogni anno ho sempre dei motivi di rammarico nei confronti di me stessa; i miei studenti sono indulgenti, perché mi vogliono bene, ma se dovessero valutarmi lo so che molte cose non me le perdonerebbero: un vero maestro è un’altra cosa…
*Altrimenti sarebbe come fare valutare un negozio da un esperto di negozi, quando invece sono i clienti che contano.
@gp
Con queste parole lei mi ha dato la mazzata definitiva!
Non credevo che dopo l’introduzione dei “debiti&crediti” , avrei trovato un’espressione ancora più esplicita della trasformazione del sapere in merce in atto nella scuola italiana.
@michela
e’ evidente che lei non ha capito la metafora, che a ben vedere non sottintende alcuna mercificazione del “sapere” (quale sapere? Qui parliamo piu’ di valutazione dell’insegnamento, che di sapere).
La metafora e’ molto banale: cosi’ come in un negozio l’obiettivo e’ vendere un bene/servizio a un cliente, in un processo di insegnamento l’obiettivo e’ formare un discente.
Nessuno ha parlato di soldi, quindi la mercificazione ce la vede solo lei.
Saluti
@Vennarucci
Lei scrive:
“come si fa a insegnare bene se uno non si fida della capacità di valutazione dei propri studenti?”
Non capisco perchè il non fidarsi della capacità di valutazione delle capacità professionali del proprio insegnante debba costituire un ostacolo ad insegnare bene.
Le sarei grato se potesse meglio esplicitare questo concetto per me del tutto oscuro. Grazie dell’attenzione.
Anche la mia esperienza mi dice che gli studenti (delle superiori. Delle medie e delle elementari? Ci si dimentica di loro) sanno valutare i propri insegnanti e anche io penso che se un sistema di valutazione ci sarà dovrebbe essere basato su una molteplicità di voci (ispettori, studenti, dirigente).
Tuttavia pongo all’attenzione degli intervenuti alcuni problemi.
1) L’elemento della valutazione non è neutro, ma modifica i comportamenti e le posizioni reciproche dei soggeti coinvolti. Voglio dire che uno studente che giudica informalmente il proprio docente e ne parla bene in famiglia e con gli amici su FB non è nelle stesse condizioni di uno studente che abbia in mano uno strumento con cui valutare il proprio docente. Mi spiego ancora meglio: ho (è un io generico) un bellissimo rapporto con uno studente, lo rivedo perfino fuori dal contesto scolastico quando non sono più il suo insegnante, è maturato, ha realizzazato alcune buone cose nella vita, se l’è cavata benino, infatti stupido non è mai stato. A scuola gli davo però sempre 5, perché voglia di studiare italiano…
Sì, l’insegnante in quanto essere umano sa fare questa distinzione, ma l’insegnante in quanto insegnante ha compiti istituzionalmente prescritti che hanno effetti istituzionalmente prescritti. Quando valuto io non sono me stesso, sono una funzione del sistema “scuola”, e obbedisco alle sue regole, che non mi permettono di essere del tutto libero, del tutto me stesso. Ma gli effetti che lo studente sente sono solo quelli, al netto della mia umanità con lui.
Sì, magari dopo la maturità ci si beve una birra insieme per la stima reciproca, ma quando tutti i 5 hanno meritato la bocciatura, lo studente avrebbe volentieri sgonfiato le gomme del professore. Avere subito un’ingiustizia da parte dell’istituzione e dei suoi funzionari o ritenere di averla subita ha effetti precisi, non è indolore, non sempre migliora il mondo.
Insomma: lo strumento di valutazione scatena logiche di potere. Già mi inquietano quelle che ho in mano io con la prerogativa/dovere di valutare gli studenti (e non per questo evidentemente mi rifiuto di esercitare quella prerogativa o mi sottraggo al dovere, ma cerco di farlo almeno un po’ con attenzione umana ed etica e tanto scetticismo nei miei stessi confronti): vedere questo dispositivo ulteriormente esteso, non so perché, non mi sembra sic et simpliciter un progresso.
2) Se esistono ancora insegnanti che guardano in faccia lo studente, alzano due dita e sibilano “è un due!” e spediscono lo studente a posto con un ghigno sadico, ditemelo. In linea di massima oggi l’arbitrio e la crudeltà non sono più consentiti (e meno male). Per evitare l’arbitrio di solito si ricorre al deus ex machina dell’oggettività, che significa, nel campo dei voti, criteri scritti, tabelle, indicatori, numeri e numerini… Chiunque si sia impegnato nell’improba fatica di costruire di queste tabelle, sa quanto il risultato lasci sempre infinitamente insoddisfatti, perché ci si rende conto di quanta realtà abbiano lasciato fuori. Eppure, non si può far diversamente, per evitare ricorsi o anche solo lamentele e accuse.
Anche per valutare gli insegnanti occorrerà costruire criteri e descrittori, banalmente anche solo questionari da sottoporre allo studente: si dovrà procedere, cioè, a una forma di quantificazione delle “prestazioni”. Inoltre, un sistema di valutazione ha senso solo se stabilisce un livello di sufficienza. Come si stabilirà il livello di sufficienza delle prestazioni degli insegnanti?
Certo, ci sono cose incontrovertibili e facilmente misurabili: arriva in orario, restituisce i compiti in classe entro il tempo stabilito, è disponibile a rispiegare 400 volte (ma l’efficacia della spiegazione?), non mi ha mai chiamato testa di rapa… ma sulle cose un po’ meno esteriori e più sostanziali il problema della misurazione resta, e bello grosso. A meno di non pensare che il preside o una commissione intervistino uno per uno gli studenti e ne desumano una descrizione qualitativa dell’insegnante.
3) L’ultima frase mi permette di affrontare l’ultimo problema. Una descrizione qualitativa delle prestazioni sarebbe la cosa ideale, che si valutino docenti o studenti. Sappiamo però che è impossibile da realizzare: se ogni insegnante dovesse mettersi ogni volta che interroga a stendere un verbale dell’interrogazione e un giudizio articolato… (si può almeno spiegare con chiarezza i criteri della valutazione, e sopratutto spiegare a voce cosa è andato e cosa no nella prestazione: ma purtroppo non c’è il modo di dedicarvi tutto lo spazio che occorrerebbe, il tempo scolastico è tiranno). Poi, una valutazione qualitativa è facilmente impugnabile. Immagino che una valutazione dovrà pure avere delle conseguenze, se no a che serve? Bene, immaginate il caso del docente che quelle conseguenze le subisce. Non farà ricorso come fanno già oggi studenti e famiglie? Il diritto di appello non si può negare a nessuno. Ma per evitare di perdere il ricorso e di invalidare tutto il sistema di valutazione, chi è deputato alla sua gestione sarà costretto a trovare criteri sempre più stringenti, misurabili, obiettivi, formalmente inappuntabili (ché è sui vizi di forma che si vincono i ricorsi, mica sulla sostanza), così da difendersi da possibili recriminazioni; ma così facendo, il laccio soffocante delle regole stringenti si chiuderà intorno al collo di tutti, per tenere sotto controllo l’unico cane sciolto e impazzito (è il modello telecamera di sicurezza: per proteggermi da UN furto metto sotto controllo tutti. Non ricordo se ne parlava pochi mesi fa qui su LPLC Bertoni)
Detto tutto ciò, io non sono contro la valutazione. Però quando penso alla valutazione non riesco a condividere, diciamo, lo spirito progressivo.
Bravo Lo Vetere. La valutazione istituzionale che abbia effetti diretti su stipendio, carriera, etc., è un atto *politico*, e in quanto tale soggetto inevitabilmente allo strumentalismo. Gli insegnanti NON vanno valutati da soggetti terzi per lo stesso motivo per cui i magistrati o i parlamentari NOn vanno valutati da soggetti terzi. Ci sono gli abusi? Ci sono gli abusi. Meglio gli abusi della distruzione della libertà d’insegnamento, di giudizio, di voto.
@ roberto buffagni:
ammetto per bontà di discussione che “La valutazione istituzionale che abbia effetti diretti su stipendio, carriera, etc., è un atto *politico*, e in quanto tale soggetto inevitabilmente allo strumentalismo.” Tuttavia lei non pensa che una valutazione senza alcun effetto diretto sui settori prima citati ma che abbia puro scopo informativo per le famiglie e gli studenti che vogliono scegliere il tipo di scuola abbia qualche effetto positivo? Nessuno in tal modo imporrà a famiglie e studenti di fidarsi ciecamente delle valutazioni e di evitare a tutti i costi i docenti valutati negativamente, però se certi docenti hanno valutazioni estremamente basse almeno qualche domanda le famiglie e gli studenti se la faranno…
P.S.: non sono il massimo esperto di diritto ma mi risulta che in Italia esista la Corte Costituzionale in modo tale che l’operato dei parlamentari non compia abusi e ho sentito parlare anche della responsabilità civile dei magistrati ma è meglio non divagare con paragoni al di fuori dell’ambito scolastico…
Caro Michele dr,
mi riferivo all’immunità parlamentare e al consiglio superiore della magistratura, che sottraggono i parlamentari all’immediato giudizio dei magistrati, e i magistrati all’immediato giudizio dell’esecutivo. Che poi al giudizio si possa e si debba giungere, non c’è dubbio: ma non direttamente.
Altrimenti succede (ed è già successo tante volte, anche di recente) che i parlamentari vengono deferiti alla magistratura e distrutti politicamente per reati (falsi o veri) e sono quindi continuamente ricattabili; oppure, che i giudici vengono spediti a giudicare gli abigeati in Sardegna quando toccano qualche filo scoperto, etc.
Nel caso degli insegnanti, non dico certo che debbano essere intoccabili e ingiudicabili. Dico che anzitutto vanno valutati da colleghi che rivestono il ruolo di ispettori ministeriali; e che in caso di valutazione negativa, devono potersi difendere (fuori dai tribunali) di fronte a loro pari; e solo dopo vanno puniti, anche con la massima severità.
Altrimenti, la cosa che succede (e non forse, ma di sicuro) è che quando un insegnante dà fastidio al governo e/o ad altri powers that be perchè insegna contenuti che non sono graditi o per qualsiasi altro motivo, lo si valuta, magari con qualche bel protocollo imparziale, gli si rovina la vita, e si manda così un messaggio forte e chiaro pour encourager les autres.
Ripeto: non è che “forse” succede, succede “di sicuro”. E la libertà d’insegnamento è un bene prezioso, a mio modesto avviso.
Poi, come si fa a evitare che insegnanti, parlamentari, magistrati [segue] facciano schifo e siano, in parole povere, delle merde, come purtroppo spesso vediamo avvenire?
Bè, se ne può ragionare a lungo, ma di sicuro non si ottene questo risultato dando potere di vita e di morte su di essi a dei sopracciò dei quali tutto si potrà dire, tranne che vadano esenti dall’odor di sterco.
L’ingegneria sociale non rende migliori le persone, caro Michele. L’ingegneria sociale dà più potere agli ingegneri sociali, e basta. Per migliorare le persone, purtroppo, bisogna rassegnarsi a ricette più antiche: l’esempio, la famiglia, l’educazione dei sentimenti, l’esperienza, qualche carezza e qualche ceffone al momento opportuno…
Caro gp, accetti la mia benevola provocazione, frutto dell’esasperazione dei mille discorsi sentiti dentro e davanti alle scuole.
Vede, Lei, come molti altri (me compresa, a volte) immagina che tutto il mondo che ruota intorno alla scuola sia un estensione del suo civilissimo mondo. Purtroppo non è così, e tante famiglie si comportano nei confronti della scuola e parlano di se stessi proprio come CLIENTI (era l’idea della Moratti, del resto) e da essa si aspettano di essere servite secondo i propri desideri e quelli dei loro figli. In moltissime situazioni però quei desideri sono frutto di interi pomeriggi passati a rimbambirsi davanti alla tv o di serate trascorse magari a farsi fotografare con un Fabrizio Corona – tanto per fare un esempio noto- o di idee pedagogiche figlie di un articolo qualsiasi o della vicina di casa; per di più, da quando l’istruzione ha smesso di essere un veicolo di promozione sociale, è venuto spesso meno anche quel tipo di rispetto ipocrita che vedeva nel professore comunque un gradino -o un ostacolo- di un percorso agognato.
E’ così che nei questionari di gradimento della scuola dei miei figli le richieste prevalenti erano sempre e solo del tipo “meno compiti” o”più gite”, e le proposte di miglioramento riguardavano sempre e solo le settimane bianche o programmi più leggeri.
Credo quindi che, al netto delle illusioni e al fuori di ogni snobismo, rinviare agli studenti e alle loro famiglie, indipendentemente da ogni differenza reale tra di loro, la valutazione dell’operato degli insegnanti sarebbe un segnale ulteriore nella direzione sbagliata e che la scuola non possa e non debba abdicare alla sua responsabilità di cercare al suo interno la soluzione migliore. E che sarebbe assai meglio scegliere qualunque altra metafora che non una già troppo ampiamente diffusa.
Cordialità.
@Michela
mi scusi, ma secondo me lei è completamente fuori strada.
Accetto la sua provocazione, ma non capisco cosa c’entri con quello che ho scritto.
Lei sta confutando qualcosa che io non ho mai scritto.
Io sono d’accordo con lei su tutto quello che scrive, ma io non ho mai scritto che la scuola o gli insegnanti debbano trattare gli studenti come clienti, e che quindi, visto che “il cliente ha sempre ragione” allora gli studenti abbiano sempre ragione.
Credo che lei stia cadendo in un ragionamento di tipo “uomo di paglia”
http://it.wikipedia.org/wiki/Argomento_dell%27uomo_di_paglia
e cioè un ragionamento in sé corretto che arriva a conclusioni corrette, ma parte da premesse errate, e cioè confutando qualcosa che non esiste.
Lei a confuso la mia metafora, se la fa stare meglio la posso sostituire con un’altra (“Altrimenti sarebbe come fare valutare un maestro di tennis da un altro maestro di tennis, quando invece sono gli sportivi che contano”), ma mi permetta di farle notare che lei ha mi ha attribuito in maniera troppo originale un affermazione che io non ho fatto.
@gp
Se lei non coglie il collegamento nel mondo reale tra il suo sostegno alla valutazione da parte dei discenti e la sua metafora (il che vuol dire NON essere d’accordo con quanto ho scritto), temo che non troveremo un punto d’intesa.
Detto questo, aborro i batti e ribatti nei commenti, quindi possiamo tranquillamente finirla qui.
@michela,
anche per me possiamo finirla qui,
magari si dia un’occhiata al concetto dell’uomo di paglia, penso che le tornerà utile molte volte.
Rispetto a quanto lucidamente espresso da Buffagni e da Lo Vetere a proposito della valutazione in quanto tale, mi preme precisare che io condivido con loro tutta la problematicità di un processo valutativo.
In particolare, è evidente che la valutazione viene in grande evidenza all’interno di una filosofia sociale fortemente competitiva. In un sistema competitivo, le occasioni di dovere ricorrere a confronti tra differenti soggetti richiama immediatamente l’esigenza di avere strumenti di valutazione adeguati allo scopo. Tuttavia, ci si potrebbe chiedere se sia davvero vantaggioso operare in un contesto così competitivo. Qui, non posso che richiamare ancora una volta come tutto ciò derivi dal liberalismo che, disdegnando un ruolo dell’autorità statale di orientamento etico per rinviare il tutto alle morali individuali, e quindi non operando a monte dei comportamenti individuali, è poi costretto ad intervenire a valle punendo e premiando.
Così, credo che il punto delle osservazioni a cui mi riferivo stia non tanto nella valutazione in quanto tale, ma nel sistema competitivo in sè.
In effetti, vorrei però aggiungere che la valutazione può rivelarsi necessaria anche in contesti non competittivi, non quindi come uno strumento ordinario e sistematico, ma come un’esigenza in specifiche e ben definite situazioni. In sostanza, se è senz’altro vero che la valutazione è causata dalla competitività, ciò non toglie che di essa non sarà possibile liberarsi neanche nel sistema meno competitvo che vogliamno immaginare, se non altro per giudicare specifici casi in cui si abbia il sospetto di comportamenti francamente patologici.
Infine, leggo che la questione della valutazione da parte degli studenti viene ancora richiamata in molti interventi, ma purtroppo senza che le mie argomentazioni in proposito vengano in qualche modo considerate ed eventualmente contestate. Non vorrei che si confonda il fatto che gli studenti in effetti valutano i loro insegnanti con il fatto che essi valutino correttamente. Non basta cioè registrare la tendenza indiscutibile degli studenti come persone ad esprimere giudizi sui propri simili col fatto che poi tali giudizi siano adeguati.
@Vincenzo,
lei scrive tanto, ma dice poco.
Le sue argomentazioni sono già state smontate da varie persone, non solo da me.
Il discorso qui è molto semplice, senza bisogno di chiamare in causa correnti filosofiche.
gp, malgrado lei sia inutilmente scortese, non mi farò trascinare in nessuna polemica, ognuno può leggere ciò che scriviamo, e farsene una propria idea, e non capisco perchè lei si ritenga abilitato a valutarmi più di altri. Per me, è chiusa qui.
@ vincenzo cucinotta
Mi perdoni il ritardo della risposta, ma non ho avuto accesso al web per qualche giorno.
Ribadisco che è mia profonda convinzione che gli studenti sappiano valutare meglio di chiunque altro i propri insegnanti: questo è un assunto fondamentale che invita tutti noi docenti a una radicale onestà intellettuale e dovrebbe tenerci lontani dalla cialtroneria. L’esperienza da lei riportata non fa che confermare quanto sostengo: il suo insegnante aveva carisma, lo amavate, pendevate dalle sue labbra: fortunati voi! Perché scoprire che ha omesso alcuni contenuti, che si è servito di letture accattivanti glielo ha fatto ridimensionare? Perché non valorizzare invece il tanto che da questo insegnante sicuramente ha avuto: la passione, lo slancio, la creatività…L’istrionismo è un’arte che non si improvvisa. Non penso sia necessaria per essere un bravo insegnante, ma ciascuno è ciò che è.
Nella mia esperienza di discente mi sono avvalsa di grandi maestri, per fortuna: il più grande di tutti era un letterato, filosofo e poeta che per fortuna non mi insegnava solo italiano, ma anche latino: avevamo più ore. Quando poi sono arrivata all’università ho potuto constatare che la mia preparazione in latino era, diciamo così, lacunosa: me lo sono studiato da sola (compresa la metrica che avrebbe dovuto fare e non ha mai fatto)! ciò non ha spostato di una virgola la mia stima nei suoi confronti e quando l’ho visto alla mia laurea ero commossa.
L’insegnante non deve sapere tutto e fare tutto: non so se lei ha letto Stoner, il romanzo di Willis: c’è una pagina in cui, di fronte al severissimo e apparentemente anaffettivo docente di letteratura il protagonista ha un sussulto, poiché la lettura di un testo lo ha colpito a tal punto da indurlo a decidere di diventare sua volta insegnante di letteratura…ed è molto bello il rapporto che si instaura tra i due.
Non credo inoltre sia valido il suo assunto che gli studenti nel valutare premino i docenti più simpatici e non apprezzano i più severi. Altra mia esperienza, stavolta come docente: è ormai da tanti anni mio collega di corso un docente di storia e filosofia molto severo e temutissimo, le sue interrogazioni sono ormai leggenda e ogni volta che “ricomincia il giro” tutti, ma dico tutti gli studenti sono in preda al panico. I libri di storia e gli appunti di filosofia delle sue lezioni sono vergati e chiosati come testi sacri e i ragazzi sono preparatissimi. Ebbene gli studenti lo apprezzano molto e tanti ex alunni vengono a trovarlo per ringraziarlo per la preparazione che hanno ottenuto grazie a lui e alla sua inflessibilità. Sono sicurissima che verrebbe valutato in modo molto positivo, a ragione.
Altra piccola chicca che riguarda me: avevo una volta uno studente bravissimo, di quelli proprio eccezionali, che sedeva al primo banco e vedevo che ogni tanto, mentre spiegavo, apriva la sua agenda azzurra e scriveva. Pensavo prendesse appunti: ci ho messo quasi 3 anni per capire che si segnava le cose che non lo convincevano per andarsele poi a ricontrollare a casa…cosa darei per avere quell’agenda!
@Vennarucci
Grazie della cortese ed esauriente risposta.
A questo proposito, senza volerla ad ogni costo convincere, mi preme solo sottolineare come dovremmo separare, come io ho tentato di fare a proposito della mia personale esperienza, i miei sentimenti verso i miei insegnanti da una valutazione che abbia l’ambizione di avvicinarsi all’oggettività.
Così, non è che io abbia smesso di essere ricoscente a quell’insegnante che tanti bei momenti mi ha permesso di trascorrere fino a ribaltare la tradizionale ostilità di noi alunni nei confronti della scuola, ma nel corso del tempo posso dire che la mia valutazione delle sue capacità di insegnamento si sono ridimensionate. L’istrionismo è un’arte, ne convengo pienamente, ma non credo che possiamo costruire un modello di scuola su tale arte.
Insomma, rimango dell’opinione che il gradimento da parte degli alunni non costituisca un valido parametro di valutazione con un sufficiente grado di obiettività degli insegnanti.
@Francesca
concordo appieno, la ringrazio per il suo intervento interessante.
Lei riporta fatti in cui mi rivedo (come studente).
@Vincenzo, che io mi “ritenga abilitato a valutarLa più di altri” lo pensa solo lei.
@Daniele Lo Vetere Benissimo tutto, il punto 1) fantastico.