cropped-image3.jpgdi Mauro Piras

Domani, 15 settembre, inizia l’anno scolastico. E inizia la consultazione online promossa dal governo sul piano di riforma della scuola (La buona scuola). Io non credo molto nelle consultazioni online. Né credo in questa orizzontalità falsamente democratica per cui si dovrebbero ascoltare le voci di tutti, messe tutte sullo stesso piano. La democrazia, invece, è la possibilità di far pesare, su una decisione, le voci dei gruppi interessati e competenti, per garantire la rappresentanza delle persone toccate da quella decisione. La presentazione del piano per la scuola da parte del governo offre questa occasione, ora: che associazioni e organizzazioni della scuola e della società civile si esprimano, non tanto online, quanto nelle sedi istituzionali, nel sistema politico e nei media, per portare a una revisione o correzione di questo piano. È importante che chi ha l’autorità e la competenza per farlo intervenga, in questi mesi, per farsi carico della possibilità di modificare profondamente alcuni assetti della scuola.

Il piano per la scuola del governo Renzi, infatti, è ambizioso. Al di là delle dichiarazioni altisonanti, forse esagerate, è indubbio che propone cambiamenti radicali. Se si facesse tutto quello che è previsto lì dentro, nonostante le lacune e le approssimazioni, la scuola italiana sarebbe rivoluzionata, al di là del giudizio che si può esprimere sull’operazione. L’errore più grande, quindi, sarebbe sottovalutare la portata di quello che sta accadendo, pensando che in fondo le novità non sono così grandi e che il governo non farà tutte quelle cose; perché in tal caso si rischierebbe di subire passivamente una trasformazione profonda e però squilibrata. Oppure, altrettanto sbagliato sarebbe ritenere che si tratta della solita operazione avventurosa sulla scuola, contro cui scagliarsi con il solito umore malmostoso di cui sono specialisti i docenti italiani; perché questo progetto di riforma cerca di attaccare alcuni nodi nevralgici molto sentiti dall’opinione pubblica e dallo stesso mondo della scuola, e sottovalutare questi problemi significa restare per sempre, sterilmente, sulla difensiva. Il piano di riforma va preso sul serio, nelle sue scelte politiche, che vanno esaminate una per una. Propongo qui un primo tentativo di analisi, ancora approssimativo, perché i due mesi della consultazione, che dovrebbero trasformarsi in due mesi di dibattito pubblico sulla riforma, offriranno sicuramente molte possibilità di chiarire meglio i problemi.

La buona scuola è diviso in sei capitoli di intervento: 1) assunzione dei precari; 2) formazione e carriera dei docenti; 3) valutazione, autonomia e organi collegiali; 4) nuove materie di insegnamento; 5) rapporti con il mondo del lavoro; 6) forme di finanziamento.

Questi capitoli sono piuttosto diseguali. Alcuni, soprattutto i primi due, sono molto dettagliati e articolati, e propongono cambiamenti radicali. Altri, come il terzo, sono alquanto generici. Altri ancora propongono innovazioni interessanti, ma richiedono un maggiore approfondimento.

Procederò con una serie di interventi dedicati ai singoli temi. Questo, il primo, è sui precari.

L’abolizione del precariato nella scuola è certamente l’obbiettivo più ambizioso. Il governo intende risolvere il problema, che da decenni ormai paralizza la politica scolastica, in un solo anno. Il progetto è infatti di assumere in una sola volta, all’inizio del prossimo anno scolastico (2015-16), tutti i 148000 precari che si troveranno nelle “Graduatorie a esaurimento” (Gae) a quella data; inoltre, nel 2015 dovrebbe essere bandito un concorso per gli altri precari abilitati, quelli non inseriti nella Gae. Se l’operazione riuscisse, avremmo in effetti chiuso una volta per tutto questa storia lunga e penosa, e si entrerebbe in un regime di concorsi regolari (ogni tre anni) che dovrebbero diventare l’unico canale di reclutamento dei docenti.

Tralascio le eventuali difficoltà tecniche dell’operazione, come per esempio la gestione delle supplenze in un sistema senza graduatorie o quasi. Quello che conta, come per tutto il documento, è la valutazione politica delle scelte, non solo dal punto di vista dell’efficienza, ma soprattutto da quello della giustizia e della coerenza con le funzioni di una scuola democratica. L’operazione di assumere tutti i precari delle Gae in una sola volta potrebbe avere dei fini puramente demagogici e di consenso elettorale, come è stato detto. Oppure potrebbe servire da lasciapassare con i sindacati, per garantire il loro benestare ad altri punti controversi della riforma. Può darsi, questi aspetti possono ben essere presenti, come sempre in politica. Però c’è un altro intento fondamentale: liberarci di questo problema, in modo che finalmente ogni inizio di anno scolastico non sia più dominato dal problema dei precari e che ogni intervento sulla scuola non sia in qualche modo vanificato da esso. Questo intento spiegherebbe l’intenzione di risolverlo in una sola volta. Ma questa soluzione rischia di essere un altro grave errore. Il problema del precariato è stato generato da due tipi di scelte sbagliate, nel passato (semplifico molto, me ne scuso): assunzioni di massa senza concorso, che hanno poi bloccato l’accesso al lavoro di docente per le generazioni successive; creazione continua di profili diversi di abilitati, con formazioni e diritti diversi, spesso in conflitto tra loro. Se non si tiene conto di questi fattori, si rischia di riprodurli, almeno in parte.

La soluzione del governo rischia di essere un’altra grande sanatoria, che potrebbe limitare di nuovo l’accesso alla scuola negli anni successivi; inoltre, ha già creato una nuova guerra tra poveri, perché i precari abilitati non inseriti nella Gae, formati in modi molto diversi, già protestano ferocemente in quanto esclusi dalla sanatoria. Il governo risponde che a questi rischi ha già ovviato, in questi modi: prevedendo da subito un concorso nel 2015, rivolto agli abilitati non iscritti nelle Gae e che inaugurerebbe un accesso regolare alla docenza con concorsi triennali; e introducendo il cosiddetto “organico funzionale”, che permette di assumere in ruolo dei docenti parzialmente in soprannumero, modificando le funzioni che essi dovrebbero svolgere. Se ho capito bene, per “organico funzionale” il documento intende che molti di questi docenti saranno assunti anche se non svolgeranno un orario cattedra completo (18 ore), ma in quanto verranno occupati, per un certo numero di ore, in altre attività: supplenze, tempo pieno, corsi di recupero, sostegno, attività contro la dispersione scolastica, ampliamento dell’offerta formativa ecc. Inoltre, saranno organizzati in “reti di scuole”: cioè saranno disponibili nell’ambito di alcune scuole unite in rete, e non di una sola scuola. Entrambe queste soluzioni sono molto positive, perché danno finalmente elasticità alla formazione degli organici.

L’indizione tempestiva e regolare di concorsi e l’organico funzionale eviterebbero quindi di trasformare l’assunzione di tutti i precari delle Gae in un’altra dannosa sanatoria. Non è del tutto vero, però. In primo luogo, c’è un trattamento iniquo tra gruppi diversi di abilitati: chi sta nelle Gae viene assunto subito senza concorso, gli altri devono passare un concorso ed essere selezionati, perché i posti banditi non corrisponderanno al numero di abilitati presenti. Poi, è contestabile sia in termini di efficienza che in termini di giustizia che così tanti docenti vengano assunti senza nessuna selezione (escludo da questa considerazione quelli che hanno frequentato le Ssis). Ancora, tutto dipende dal fatto che, nel tempo, si tenga fede all’impegno di indire concorsi regolarmente, e soprattutto che venga fatto subito e bene quello del 2015. Infine, bisogna poter garantire nel tempo un modello come quello dell’organico funzionale, con una corrispondenza non rigida tra il numero di docenti e il numero di ore cattedra. Questo punto non è così scontato, perché implica un forte impegno finanziario e il mantenimento di un numero medio di alunni per docente più basso della media europea.

Ci sarebbe stata un’altra soluzione, più graduale e più radicale allo stesso tempo. Invece di assumere tutti i precari in una sola volta, si sarebbe potuto decidere di iniziare da subito un reclutamento forte e regolare per concorso: fare concorsi ogni due anni, da subito, assorbendo quindi i precari delle Gae per scorrimento (dal momento che la legge impone che a un certo numero di assunzioni per concorso corrisponda un numero uguale di assunzioni dalle Gae), e procedere solo in questo modo. L’assorbimento delle Gae sarebbe stato più graduale, ma così facendo si sarebbe assunta una posizione più equa nei confronti di tutti i gruppi diversi in conflitto, e questa sarebbe stata una scelta più radicale, perché si sarebbe imposta subito l’unica logica accettabile: si entra per concorso. La quasi sanatoria proposta, invece, mantiene in vita la rivendicazione di entrare senza concorso: gli esclusi, adesso, urlano che non vogliono il concorso, ma che vogliono essere assunti subito.

Ovviamente, anche questa soluzione avrebbe dovuto essere agganciata a un principio che renda meno rigido il rapporto tra ore cattedra e docenti. La soluzione dell’organico funzionale è ottima, a patto che ci si intenda sulle parole. L’idea corretta di organico funzionale dovrebbe essere questa: le scuole (o reti di scuole) non hanno un numero di docenti esattamente corrispondente alle ore di insegnamento loro necessarie in base alle classi che hanno, ma ogni docente dovrebbe avere un orario cattedra elastico, su una forchetta di ore, in modo da rendere disponibile un piccolo numero di ore per altre attività. In sintesi, ogni docente dovrebbe avere delle ore da dare regolarmente, ogni settimana, per il funzionamento dell’istituto, per il recupero, per le attività contro la dispersione ecc. Invece il documento del governo sembra dividere il corpo docenti in due parti: quelli che fanno l’orario cattedra e quelli che funzionano un po’ come dei jolly per le attività più disparate. Questo potrebbe essere accettabile in parte solo in una fase di transizione, ma andrebbe certamente superato in fretta e a regime. Inoltre, ci sono altri modi per permettere l’assunzione dei precari senza bloccare l’accesso ai più giovani negli anni successivi: per esempio, prevedere che i docenti più anziani facciano un orario parziale, assumendo delle funzioni di tutoraggio nei confronti dei più giovani, e funzioni organizzative.

Ovviamente, tutto questo ha un costo. Il governo ne è ben consapevole, e ha fatto dei conti. Secondo questi conti, il costo è di tre miliardi di euro all’anno all’inizio dell’operazione, e di quattro miliardi a regime. Nel 2015, poiché le assunzioni partirebbero da settembre e si dovrebbero coprire le spese solo di un terzo di anno, la spesa sarebbe di un miliardo.

Fatte tutte queste considerazioni, credo che una valutazione di questo primo capitolo si possa riassumere nei termini seguenti.

1) Il governo deve chiarire da dove prenderà le risorse (i tre o quattro miliardi di cui sopra) per garantire un aumento costante del bilancio della scuola su questo terreno, tenendo conto che sarebbero necessari altri aumenti di questo stesso bilancio, su altri ambiti della politica scolastica. Dico subito che la risposta corretta sarebbe quella di utilizzare la spending review, spostando delle risorse, e fare in modo che l’UE consideri le spese scolastiche come spese di investimento, da non contabilizzare rigidamente nel calcolo del deficit.

2) La soluzione più equa del problema dei precari sarebbe forse quella di procedere da subito con reclutamento per concorso e contemporaneo scorrimento delle Gae. Tuttavia, ci sono buone ragioni per accettare anche la soluzione del governo: se ci si riesce, può essere una cosa buona creare una sorta di anno zero, in cui si ricomincia subito da capo, avendo eliminato le Gae in un solo colpo. Ma in tal caso il governo deve garantire subito il concorso del 2015, magari indicendolo con gli stessi provvedimenti normativi che assumono i precari delle Gae e, avendo assicurato le risorse a regime, garantendo anche la regolarità dei concorsi.

3) Infine, bisogna stabilizzare negli ordinamenti l’organico funzionale tramite reti di scuole, per riconoscere negli anni un rapporto variabile tra docenti e numero di ore cattedra. E soprattutto per garantire sempre per tutti i docenti, e non solo per quelli immessi con questa operazione, la possibilità di formare le cattedre in modo non rigido, perché solo questo permette di avere cattedre sensate, equilibrate e con continuità didattica negli anni.

(Torino, 14 settembre 2014)

[Immagine: Stefania Giannini (gm)].

20 thoughts on “La scuola di Renzi /1. Niente più precari?

  1. Condivido in pieno le tue osservazioni, sono più scettica sulla reale attuabilità del tutto. Vedremo. Sono anche molto curiosa in merito alle riflessioni sugli altri punti.

  2. Questa analisi come il percorso del vertici della politica italiana sul tema ha una costante di fondo: esseere staccata dalla situazione economica e sociale che ne rappresenta la base.
    Come il sociologo del lavoro L. Gallino suggerisce con forza qui: http://cyphersnap.blogspot.com/2012/12/nascita-di-un-movimento.html
    e persino un importante storico come Lucio Villari ha auspicatoin un suo intervento in documentario su Rai Storia sul new deal e la crisi del ’29 richiamando l’esempio dell’economista William Beveridge non si può riformare lasciandosi dietro masse di persone che sono la maggioranza di coloro che la riforma la subiscono in negativo; e sono gli stessi che non vanno più a votare come le ultime consultazioni elettorali hanno dimostrato.
    Sono riforme che intenzionalmente non guardano al Paese reale, ma ideale.
    Se la percentuale di coloro che si laureano è da sempre bassa ed è diventato sempre più difficile laurearsi come si possono fare riferme su un Paese scollato da questo criterio?!
    Si intuisce che la ratio è ad uso e consumo di quei pochi (l’1%) cui cui sono destuinate e da cui sono per forza di cose concepite.
    Riforme che passano sopra la testa di tutti o quasi (tagliandola)!

  3. Un’analisi davvero interessante delle proposte del governo sulla scuola, anche se devo ammettere che, dato che non sono nè docente di professione, nè addentro il mondo dei docenti, personalmente di solito sono più interessato alle problematiche nella scuola relative alla didattica e agli studenti piuttosto che ai problemi dettagliati sull’assunzione dei precari e la formazione e carriera dei docenti, sebbene io dia importanza anche a quest’ultima sezione di problematiche.

    Volevo chiederti solo una curiosità: nel terzo punto della proposta del governo viene affermata l’importanza dell’autonomia scolastica, tuttavia viene mantenuto il concorso nazionale come strumento base per reclutare docenti. Cosa ne pensi dell’assunzione diretta da parte delle scuole o delle reti di scuole di docenti e anche di dirigenti? Io ci ho riflettuto un po’ e ritengo che questo sistema di reclutamento abbia molti lati positivi e la solita critica nell’affermare che in tal modo i docenti verrebbero scelti non perché di qualità ma perché parenti, amici o persone di uguali simpatie politiche andrebbe a cadere se fossimo in presenza di una garanzia esterna come un rigoroso sistema nazionale di di valutazione che controlli i risultati di ogni scuola. Tutto questo ovviamente lo chiedo da non massimo esperto dei particolari del sistema dei concorsi e degli altri metodi di reclutamento possibili, vedi dunque che idea ti sei fatto tu nella tua esperienza diretta di docente.

  4. L’articolo di Piras sulla riforma Renzi-Giannini mi fa venire in mente, per l’ottica che lo caratterizza e per la funzione che svolge, l’aneddoto, raccontato da Cartesio, di quel cameriere che era così zelante, che non ascoltava nemmeno le richieste del padrone, ma si metteva in movimento di propria iniziativa pur ignorandole…

    A parte la battuta, che cosa dire di ciò che va scrivendo Piras, se non che è vero, come hanno denunciato i vari coordinamenti dei precari, che i 150.000 posti dell’organico di diritto tagliati dalla riforma Gelmini non vengono per nulla restituiti (Giannini fa rima con Gelmini) e che le proposte contenute nel rapporto “La Buona Scuola” sono, “sic rebus stantibus”, una mera operazione di cosmesi pubblicitaria realizzata con uno stile di governo che proprio in questo blog Rino Genovese ha giustamente definito “buffonesco”?

    Allora, se si prescinde tanto dalla filologia, del tutto supervacanea, di un “libro dei sogni” che serve in realtà a mascherare una realtà da incubo quanto dall’ermeneutica, anch’essa supervacanea, delle linee-guida ivi illustrate, le verità nude e crude sono oggi, nella pratica, le seguenti: 1) non vi sono risorse certe nella legge di Stabilità per il 2015 e dal 2009 il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del personale della scuola non è stato più rinnovato; 2) la “Buona Scuola” è una truffa, perché, se il governo avesse voluto per davvero assumere 150.000 precari, avrebbe dovuto presentare il piano al Consiglio dei Ministri, ma tale piano è slittato a data da destinarsi (senza contare che, come ipotizza lo stesso Piras, potrebbe essere usato come moneta dis cambio per far trangugiare alla categoria ben altri rospi); 3) il nodo cruciale del numero di alunni per classe (oggi, come è noto, siamo oltre i 30) non viene sciolto, ma, se possibile, aggravato, magari blaterando sulla metodologia del lavoro di gruppo che dovrebbe essere applicata in siffatte “classi-pollaio” (laddove, come il buon senso e la pedagogia suggeriscono, per fare una “Buona Scuola” il numero di allievi per classe non dovrebbe superare le 25 unità); 3) l’“organico funzionale”, che viene sbandierato come la soluzione dei problemi che si pongono a livello dell’ordinamento scolastico, è semplicemente un contenitore di docenti “tappabuchi”, a cui attingere, in totale contrasto con i requisiti della professionalità e della competenza, per mandare questa infelice (e infelicitante) categoria di docenti un giorno di qua e un giorno di là; 4) in realtà, il tratto distintivo del rapporto Renzi-Giannini sulla “Buona Scuola” è (non la “rivoluzione”, di cui cianciano i suoi corifei, ma) la continuità gattopardesca e derisoria con la politica neoliberista e neo-malthusiana dei precedenti governi che, da Monti a Letta, hanno portato a compimento la destrutturazione della scuola italiana avviata dalla Moratti e dalla Gelmini sotto i governi di Berlusconi.

  5. Ah, aggiungo solo che magari, dato che questo è il tuo primo di una serie di interventi, immagino che a questo punto è più semplice, come immagino risponderai, aspettare il tuo prossimo intervento o interventi dettagliati sui punti 2) e 3) del governo, dato che questo tuo primo intervento si sofferma principalmente solo sul primo punto dell’assunzione dei precari. Magari è meglio far così per evitare di mettere troppa carne al fuoco. Vedi tu alla fine comunque.

    Comunque aggiungo che perlomeno dovremmo concordare tutti sul fatto che questo governo non intende “distruggere la scuola”, come affermavano molti critici delle precedenti riforme, vista anche la proposta del governo di consultazioni e di dialogo con i diretti interessati.

  6. tROPPO ENTUSIASTA pIRAS, TROPPO FILO-MINIRIFORMA. cHIACCHIERE GIà DETTE SULLA mULTICULTARALITà, SULLA TECNOLOGIA. sEMPRE PARLATO DI pROGETTUALITà. nESSUNA LINEA CULTURALE EMERGE. ePPURE GLI studenti hanno necessità di imparrae quello che hanno disimparato in questi anni di cattiva riforma. Tutti abbiamo diritto a una forte impostazione culturale attraverso una didattica soddisfacente. Vi parla chi ha partecipato anche a programmi di riforma tedeschi. Che ha letto bene la riforma Brocca e Berlinguer, ed è avvilita dalla riforma Gelmini. C’è una povertà culturale , Una mancanza di creatività e di buoni progetti culturali in quest BUONA SCUOLA: che andrebbe corretta tutta. Ampliata. Non basta digitalizzazione, un po’ di musica e ed.fisica. Multiculturalità c’è in tutte le prefazioni di buoni testi, con trad testo a fronte, piccoli film in lingua. Che altro?, arte ben riprodotta discorsi su arte e achitettura, urbanistica, quartieri periferia. sport di periferia. Meglio scuola d Moreno. Piras parla solo di problemi lavoro precario e docenti. Ci vogliono programmi completi ,metodi di scomposizione e ricomposizione testi, molta storia con documentazioni filmiche. Ci vuole molto. Questa è pazziella p”e criature. Insegnare metodi di ricerca.Mancano programmi seri.

  7. “Se ho capito bene, per “organico funzionale” il documento intende che molti di questi docenti saranno assunti anche se non svolgeranno un orario cattedra completo (18 ore), ma in quanto verranno occupati, per un certo numero di ore, in altre attività: supplenze, tempo pieno, corsi di recupero, sostegno, attività contro la dispersione scolastica, ampliamento dell’offerta formativa ecc. Inoltre, saranno organizzati in “reti di scuole”: cioè saranno disponibili nell’ambito di alcune scuole unite in rete, e non di una sola scuola. Entrambe queste soluzioni sono molto positive, perché danno finalmente elasticità alla formazione degli organici.”

    Non so, a me sembra, viceversa, che entrambe queste soluzioni siano negative, sia nei termini di quello che creeranno nella prassi delle scuole e didattica (ma davvero si può pensare di creare “reti di scuole” sulla carta senza crearle per davvero, quando nella realtà già solo fare l’orario a uno stesso docente su due plessi a distanza di 800 metri l’uno dall’altro crea tali e tanti scompensi che in confronto Montecchi e Capuleti sono dei dilettanti?), sia, soprattutto, nei termini della visione della docenza, della scuola, della didattica, del sapere, del lavoro di insegnante che tradisce questa proposta, che svilisce l’assunzione a mero stipendio (sacrosanto, eh – senza economia non si muove foglia, eh però se si parla di istruzione come cardine del paese…), togliendo dalla funzione docente quel poco di aura che (forse) le è rimasta, per lo meno in alcune parole. Io ho scelto di fare l’insegnante per stare in classe e insegnare; penso che – all’inglese – per questo sia necessario imparare a fare, e bene, anche del lavoro amministrativo; penso anche che, per esempio, si potrebbe utilmente impiegarmi negli ultimi anni prima della pensione in quella direzione. Ma essere assunta per fare “organico funzionale” ed essere impiegata principalmente in “altre attività” non corrisponde, per come la vedo io, a un’assunzione come insegnante, ma come altro. E mi pare molto pericoloso che questa sia la visione del docente (qualunque cosa, purché si lavori) che il governo propone nella sua propagandata visione di “buona scuola”.

  8. Breve promemoria:

    solo all’inizio del mese scorso (4 agosto 2014) il governo ha bloccato il pensionamento di 4000 docenti per la mancanza di coperture (450 milioni di euro) segnalata dalla Ragioneria dello Stato e dall'(ormai ex) commissario alla spending review Carlo Cottarelli.

  9. Attenti, è solo un bluff, fatto in malafede e approfittando dell’ignoranza o della memoria corta. Per limitarci al tema del precariato:

    – è in arrivo una sentenza della Corte Europea, lItalia rischia una condanna a 4 miliardi per un uso improprio di contratti a tempo determinato senza giustificazione: con l’assunzione annunciata del costo di 3 miliardi lo Stato risparmierebbe 1 miliardo

    – il costo di questi 3 miliardi sarà fatto pagare agli stessi insegnanti con la rapina costituita dall’azzeramento degli scatti di anzianità, come pure di qualsiasi altro tipo di scatti fino al 2019; e chi garantisce che nel 2019 ci saranno le disponibilità?

    – l’assunzione di tutti i precari era già prevista da una legge del 2007 del governo Prodi: anziché fare annunci e aspettare un anno di discussioni e traduzione in legge, se c’è davvero la volontà di abolire il precariato, si facciano i regolamenti attuativi di leggi che ci sono già

  10. Cara Marina,
    grazie. Per l’attuabilità vediamo, e speriamo bene.

    Caro Calamita,
    non capisco molto il senso del suo intervento. Se però lei vuole dire che se non si fa una politica economica keynesiana qualsiasi riforma, in ogni settore specifico, è inutile, non la seguo. In questo momento questo significherebbe restare paralizzati. Inoltre, la disinvoltura del governo, che propone di aumentare la spesa della scuola di quattro miliardi per assumere i precari, va più nel senso della politica espansiva che in quello dell’austerità. Lo vada dire ai precari che essere assunti a tempo indeterminato è una cosa scollata dal paese reale.

    Caro Michele,
    in effetti conto di trattare la questione della formazione e del reclutamento dei docenti in un prossimo intervento, perché per ragioni di spazio ho deciso di suddividere l’analisi per argomenti, e questo dei precari era già piuttosto lungo. Ti dico subito che non ho un’idea chiara sulla questione della chiamata diretta, ci lavorerò. Non penso però che un concorso nazionale sia in contraddizione con l’autonomia. Ma cercherò di parlarne prossimamente.

    Cara Gloria Gaetano,
    se lei ha letto con attenzione, avrà visto che ho detto che parlerò delle altre sezioni del documento in altri interventi. Sto seguendo l’ordine dei capitoli, e quindi ho parlato dei precari. Quando arriverò alle parti su programmi, tecnologia ecc. vedrà che siamo molto più d’accordo di quanto lei creda. Comunque, la cosiddetta “riforma Gelmini” ha tolto alla scuola otto miliardi di risorse a regime; questa di Renzi almeno inizia proponendo di rimettercene quattro per i precari, più altri soldi su altri capitoli. Non mi sembra che sia la stessa cosa.

    Cara ‘povna,
    certo, tutti noi siamo a scuola perché ci piace insegnare. Ma insegnare non significa solo stare in aula, ma fare anche altre attività che permettono di fare bene il lavoro di aula. Inoltre, io ho specificato che l’idea di organico funzionale andrebbe corretta nel senso che tutti i docenti dovrebbero avere un orario cattedra elastico, e lavorare altre ore in altre attività che permettono il migliore funzionamento della scuola. Se oggi è così difficile anche solo coordinare i docenti di due sedi diverse di una stessa scuola, è perché le cattedre si possono formare solo secondo criteri rigidissimi (18 ore cattedra per tutti, e non c’è scampo). Invece l’organico funzionale e le reti di scuole permettono di far saltare queste rigidità e di far lavorare più serenamente i docenti.

    Caro Massimo,
    in effetti ho scritto che la prima domanda è: da dove verranno presi i soldi? Tuttavia, la storia del mancato finanziamento dei cosiddetti “quota 96” non è comparabile, né per valore politico né per significato finanziario.

    Caro Giorgio,
    quindi, per non farci imbrogliare, dovremmo pagare la multa della Corte Europea e lasciare precari i precari? In ogni caso i tre miliardi del 2016, ma quattro a regime, non verranno affatto pagati con gli scatti di anzianità. Come ho scritto, non ci è stato detto da dove verranno. Questo dovremmo chiedere.
    Quanto ai 150000 di Prodi (che non sono stati assunti perché il governo è caduto anche con il plauso di brillanti intelligenze di sinistra per cui Prodi e Berlusconi erano uguali), non c’è proprio nessuna legge, perché nel frattempo il governo Berlusconi IV, con la legge 133/2008, art. 64, ha deciso dei tagli di spesa così verticali che i precari sono diventati disoccupati, altroché assumerli.

  11. Caro Piras,

    la mia opinione deriva da chi come me ha visto modificarsi le norme sul reclutamento del personale della scuola in senso sempre più restrittivo. Se sullo sfondo del nostro Paese c’è un radicale aumento del divario sociale questa riforma non fa che dare una ulteriore picconata per aumentarlo. Io auspico quindi una netta inversione di tendenza così come prospettate dal sociologo del lavoro L. Gallino e dallo storico Lucio Villari che si richiama al modello adesso più che mai attuale di William Beveridge.
    Grazie della risposta; mi permetto di aggiungere che sono in pochi a rispondere ai commenti dei lettori.

  12. Grazie della segnalazione di quest’altro tuo intervento, Mauro. Immagino che questo tuo scritto sia una versione condensata di temi che approfondirai di più nei tuoi prossimi interventi su “Le parole e le cose”. Noto peraltro che riproponi la tua proposta di abolire le bocciature e di sostituirle con la ripetizione solo delle materie in cui si va peggio, idea simile a quella che avevo in passato suggerito io di una maggiore flessibilità degli indirizzi in cui lo studente man mano in cui avanza negli anni scolastici ha maggior scelta nello scegliere quale materia approfondire (fermo restando l’obbligo di italiano, inglese, storia, matematica e scienze).

    Pensavo a far sì che nei due anni seguenti la terza media (in cui oggi le bocciature sono più alte) si debba fare qualcosa di simile a un percorso unitario come dici tu, ovvero non si decida di essere subito in un certo indirizzo altamente specialistico come un liceo artistico piuttosto che un istituto tecnico per il turismo, ma che gli studenti possano comunque iniziare a scegliere in piccola parte di personalizzare il loro percorso scegliendo in alcune ore di approfondire certe materie piuttosto che altre. In quanto all’uscita a 18 anni piuttosto che a 19 io sceglierei una strada intermedia, del tipo si può scegliere se uscire a 18 o a 19 anni ma la seconda opzione è requisito necessario per entrare all’università, e inoltre nell’ultimo anno lo studente affronta esclusivamente, e naturalmente in modo più approfondito, materie legate alla facoltà universitaria in cui si vuole iscrivere.

    Naturalmente questo discorso influirebbe profondamente sulla natura dell’esame di maturità, sul suo valore legale e sulla sua ragion d’essere e sui suoi legami con università e mondo del lavoro (e più in generale sul legame tra scuola e mondo del lavoro), vedi tu anche qui se magari è meglio approfondire nei commenti di uno dei tuoi prossimo articoli dedicato appositamente a tali temi.

  13. La ringrazio dell’intervento, che ha il pregio di affrontare in modo abbastanza esaustivo alcuni dei problemi che emergono dalla prima sezione delle linee guida ministeriali. Faccio parte della categoria che sarebbe tra le più penalizzate dall’effettiva attuazione del piano: abilitato in II fascia delle graduatorie d’istituto (GI), più specificamente con TFA I ciclo. Il sostanziale mutamento rispetto alla nostra condizione attuale sarebbe la perdita della possibilità di effettuare supplenze. Non una cosa di poco conto: dopo aver superato una durissima selezione (11.000 ammessi su circa 150.000 aspiranti) non solo non avremmo come unico canale di reclutamento il concorso, ma neppure più potremmo aspettarlo facendo supplenze come sempre avvenuto col sistema delle graduatorie, almeno per i più anziani tra noi. Non è il mio caso, ma ci sono miei colleghi ultraquarantenni che lavorano anche da dieci anni con supplenze annuali come non abilitati (terza fascia delle graduatorie d’istituto), nel 2013 prendono l’abilitazione e qual è il premio? Non si lavora più. Un po’ difficile da accettare, capirà bene.
    Arrivo persino ad ammettere che la perdita improvvisa della possibilità di fare supplenze sarebbe ingiustamente penalizzante anche per l’altra categoria di abilitati presenti in II fascia GI per la scuola secondaria: i PAS (percorsi abilitanti speciali), che hanno ottenuto il nostro stesso titolo dopo un percorso abilitante svoltosi senza selezione in ingresso, fondandosi sul criterio di anzianità di servizio da non abilitato. Come forse saprà, si è combattuta e magari si sta ancora combattendo tra queste due categorie quella che a coloro che non vi sono coinvolti piace chiamare (comodamente, e un po’ pigramente direi) guerra tra poveri. Tuttavia, ci troviamo nostro malgrado uniti per i motivi di cui sopra contro questo progetto. Troppo grave, infatti risulta per noi l’esclusione dalle supplenze in attesa del concorso: anche ammettendo che sia puntuale, anche ammettendo di vincerlo, con le assunzioni scaglionate nel triennio si potrebbe entrare in ruolo nel 2018. Cosa anche accettabile se nel frattempo si può lavorare su supplenze, non in caso contrario. Inoltre, pare difficilmente praticabile la prospettiva di ulteriori 40000 posti a concorso nel 2015 dopo l’assunzione di massa dalle Graduatorie a esaurimento (GAE): i docenti assunti in organico funzionale chiederebbero di passare nei posti su cattedra che si liberano con i pensionamenti prima che sia bandito un nuovo concorso. Noi “tieffini” abbiamo già esperienza di promesse di concorsi non mantenute (non starò a tornarci, la nostra odissea l’avevo già descritta qui: http://www.laletteraturaenoi.it/index.php/scuola_e_noi/212-l-insegnante-invisibile-piccola-storia-del-tfa.html), quindi è per noi difficile se non impossibile fidarci.
    Pur concedendo il fascino che riveste la soluzione di rottura del nodo gordiano delle GAE e ripartenza da zero proposta da La buona scuola, trovo insormontabili (per la fattibilità) e inaccettabili (per l’equità) certi suoi difetti strutturali. Faccio quindi un paio di considerazioni sparse sui punti criticabili dell’idea di assumere questi 148000 precari, alcuni di questi talmente scricchiolanti da pregiudicarne con ogni probabilità la riuscita:

    – Ha scritto giustamente che non tutti i presenti in GAE hanno superato un concorso: molti sono dentro grazie a percorsi riservati e sanatorie paragonabili, se non anche decisamente peggiori, rispetto a quella dei PAS. Inoltre, è noto che nel penultimo concorso abilitante, quello del 1999, le maglie sono state incredibilmente larghe, formando graduatorie infinite di idonei che una legge disfunzionale mantiene ancora valide a 15 anni di distanza.

    – Una quantità da stabilire con più precisione di docenti in GAE non ha mai insegnato: essendo presumibilmente risultata idonea in coda a graduatorie di uno di questi concorsi modello todos caballeros, nel frattempo si è dedicata ad altri lavori. Si vedrebbe adesso recapitata a casa la proposta di assunzione: poco logico. Non a caso obiettivo neanche tanto latente del governo è che molti di questi rinuncino in modo da essere depennati dalla graduatoria. Il che sarebbe giusto, ma non darebbe adito a ricorsi?

    – I due modi per riequilibrare la situazione tra province e classi di concorso esaurite, senza più aspiranti in GAE cioè, ed altre con liste ancora lunghissime sono: mobilità geografica (coatta? ma è praticabile?) e insegnamento su classi di concorso “affini” (è logico? è giusto quando ci sarebbero aspiranti nella classe di concorso specifica con abilitazione ottenuta in modo non meno meritevole nella II fascia GI?)

    Tralasciando altri punti poco realistici nell’applicabilità di una riforma che potrebbe verosimilmente rivelarsi un ballon d’essai, non ultimo come maldestro tentativo di risposta all’imminente sentenza di condanna della corte europea sull’abuso di contratti precari nella scuola, le possibili soluzioni alternative che proporrei non si discostano molto da quelle proposte nell’articolo.
    Assumerei i docenti in GAE che stanno lavorando da anni in posti vacanti e disponibili, ma non tutti gli altri. Anziché l’immissione immediata in massa continuerei il sistema di assunzione 50% da GAE e 50% da concorsi regolari, tutelando maggiormente gli appartenenti al regime transitorio prima dell’attivazione (ipotetica, come sempre) delle lauree magistrali abilitanti: come?
    Allargando la possibilità di scorrimento verso il ruolo alla II fascia d’istituto, in modo da dare agli abilitati dopo il 2011 le stesse possibilità date agli abilitati precedenti, che come merito in più hanno avuto solo l’essere arrivati prima (le linee guida darebbero adito invece ad una forma estrema di apartheid tra le due diverse graduatorie). Capisco che la proposta possa essere considerata una rivendicazione settoriale di categoria, però avrebbe dalla sua numerosi argomenti a favore, perlomeno a proposito degli abilitati TFA I Ciclo (selezionati sulla base del fabbisogno regionale in organico di diritto, diversamente da PAS e TFA II ciclo).
    Altrimenti, dato che sono stato disgustosamente lungo, chiudo con un piano B estremamente conciso: se proprio non volete dare il ruolo per scorrimento ai nuovi abilitati, fateci fare il concorso (o meglio, concorsi a cadenza regolare solo per abilitati), ma nel frattempo non toglieteci pure le supplenze!

  14. Caro Mauro, inizio dicendo che mi annovero fra i malmostosi e ti chiedo se sia giusto che la premessa di ogni discussione oggi sull’Italia debba essere una preliminare squalifica morale di chi non condivide l’assunto “cambiare, comunque, è meglio”.
    Il tuo pezzo, che nei singoli punti è pertinente e competente, è però, dal mio punto di vista, insufficiente dal punto di vista politico. Ti rigiro insomma il rilievo che hai mosso al collega Rebuffat.
    Insufficiente perché è tutto costruito su una serie di “se”, il più mastodontico dei quali è il tema dei fondi che ancora non sono stati stanziati e che devono essere trovati. Tu lo chiami “staremo a vedere”, io lo chiamo “proclami in puro stile renziano”. La tua analisi funziona, ma finge di non vedere la sostanza politica: un documento che inneggia all’innovazione come qualità astratta e distillata in essenza a prescindere da che cosa essa significa per la scuola; il disegno di un sistema competitivo feroce e di valutazione ossessiva e per di più vincolata alla venalità degli scatti di anzianità.
    So che questi punti li devi ancora toccare. Proprio per questo ti invito a una presa di posizione politica netta contro un documento che disegna una scuola che non mi piace perché contraria a tutto ciò in cui credo: incontro, scambio, interiorità, tempi lunghi, ponderazione, umana informalità, verità. Qui tutto è merce di scambio: vi diamo più storia dell’arte, così mettiamo a frutto i beni culturali; vi diamo più educazione fisica, perché aumenta l’obesità e l’obesità ha un costo, vi diamo più posti, ma in cambio di un sistema nel quale fai carriera se dimostri di essere più bravo del collega in una folle rincorsa ai progetti (pur che innovativi), alle funzioni strumentali, ai punti e a i crediti.
    Il tema dell’assunzione dei precari non può fare a meno di questo inquadramento generale.

    Ma possiamo confrontarci solo se questi miei discorsi non sono squalificati dalla tua premessa: si parla di tutto, ma non con i malmostosi e coloro che non condividono l’imperativo etico “cambia o muori”.
    Io non ci sto.

  15. Caro Mauro, in effetti il primo capitolo è abbastanza analitico e approfondito, affronta questioni anche molto specifiche come la situazione dei cosiddetti “congelati”.
    Eppure sulla formazione delle GAE si limita a dire:
    “Fino al 2006, in mancanza di concorsi banditi in maniera regolare, l’ingresso nella carriera docente è avvenuto
    in maniera significativa attraverso le cosiddette “Graduatorie Permanenti”: lunghe liste di aspiranti docenti che attraverso supplenze, formazione e titoli accumulavano punteggio per arrivare all’ambita immissione in ruolo.”

    Tu stesso nel commentare l’eventuale assunzione dei docenti presenti nelle GAE utilizzi più volte il termine sanatoria.
    Il lettore che non sia addentro al comparto scuola più o meno si fa questa idea: ci sono una serie di aspiranti che “si sono messi in coda”, hanno atteso, raccimolato supplenze e punti in vari modi ed ora tocca assumerli anzichè bandire subito nuovi concorsi per i giovani e meritevoli.

    Ora, io e i miei vecchi compagni della SIS non avevamo avuto il sentore di esserci messi in coda…
    – abbiamo frequentato un corso biennale post laurea a numero chiuso (in Piemonte il numero era abbastanza rigoroso, altrove meno)
    -il Ministero affermava che le SIS erano da intendersi come un corso/concorso e che avrebbero per sempre sostituito i “vecchi” concorsi”
    – ci era stata data assicurazione che il numero chiuso era calcolato in proporzione al turnover dei colleghi già assunti. (per coloro che stanno frequentando o hanno frequentato TFA l’anno passato le regole del gioco erano già diverse).

    Ora, posso capire che in alcuni classi di concorso come la mia (A037) l’assunzione di tutti i precari inseriti nella GAE potrebbe creare un tappo che impedirebbe l’accesso ad altri di generazioni più giovani negli anni a venire.. forse non c’è spazio per tutti ed è necessario cercare altre soluzioni (metà da GAE e metà da concorso, come dici tu, chi è nella GAE e non passa il concorso di rassegnerà a non essere assunto o cercare altra occupazione)

    Però sentir parlare della mia eventuale assunzione come “sanatoria” è mortificante, quello che si cerca di sanare al limite sono gli errori e le miopie del MIUR negli ultimi venti anni.

  16. Michela,

    a onor del vero anche il bando del TFA I ciclo, all’articolo 5, prevedeva un numero chiuso calcolato sul fabbisogno regionale in seguito ai pensionamenti previsti nell’organico di diritto. Non così, è vero, per PAS e TFA II Ciclo. Quindi potrai capire come si sentano gli abilitati TFA I ciclo che, oltre a non veder rispettate le prospettive iniziali (mancata indizione di un secondo concorso Profumo, indizione PAS ecc.) , non hanno al momento ottenuto alcuna prospettiva di entrata in ruolo per scorrimento graduatoria, e col piano del governo si vedrebbero addirittura privati della concreta possibilità di fare supplenze.
    Sono d’accordo sul merito e il diritto all’assunzione degli abilitati SSIS, ma mi sembra che anche Piras in un passaggio avesse scritto che col termine di sanatoria si riferisse ad altre tipologie di docenti presenti in GAE.

  17. Molto interessante e completo. Penso che si debbano adottare gradualità e cautela nell’immettere in ruolo i precari che stanno nelle Gae, verificando che siano persone che hanno insegnato per almeno 3 anni ed evitare che l’assunzione in blocco di 148.000 persone chiuda per anni la mobilità di chi è stato appena nominato in ruolo lontano dalla provincia di residenza. Mi pare ottima l’idea di estendere la flessibilità di utilizzo per alcune ore a tutti i docenti, evitando di creare la divisione tra quelli con cattedra e quelli relegati nel limbo dell’utilizzazione se quando e dove dovesse servire.

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