cropped-P-10-08-02__Bernried_2010_1024x683_9ecd86c71f_54f622c6b3.pngdi Franco Buffoni

[È uscita ieri Jucci (Mondadori), la nuova raccolta di poesie di Franco Buffoni].

Quando dalle spalle mi sfilerai lo zaino

Quando dalle spalle mi sfilerai lo zaino
E’ troppo pesante, non lo puoi più portare
E con gesto deciso indicherai
Il luogo dell’approdo,
Cadrà neve d’agosto
Sarà sera
E lampada ai miei passi
Sarà la tua parola.

Ossa giunture tendini
L’intero armamentario
Sono qui finalmente non
Te li sottraggo più.

Protettore dell’orizzonte dio solare sfinge,
Se quercia fossi stato o alloro almeno,
Rose mirto viole le piante sacre
A Venere le avrei donato.

*

Dall’altro mondo

Ma sì ma sì fatina mia
Che hai chiuso gli occhi nell’altro millennio
Sono convinto anch’io che per capire
Davvero quello che dicevi
Ci voleva l’undici a New York
Ci voleva per me
Che non so dire…

Ma dovevi dirmela la storia delle Gorgoni,
Non tacere sempre perché poi
Me le sarei trovate davanti,
Come ora che cammino ansimante e giro al largo
Dalle ombre che trascinano
Sacchi pesanti tra i vecchi
Grattacieli di New York
Ingrigiti dal tempo.

*

La mia invarianza

La mia invarianza dopo tanti anni
Non è cellulare o prospettica:
Se in quei giorni pensavo
A quanto mancava,
Vedevo una nebbia sottile
Su un lento futuro.
Poi la nebbia è calata davvero
Ed è diventata la vita.
La mia invarianza resta solo dentro
Ai fatti della storia che ho vissuto,
Al muro di Berlino e al nostro amore
Irrigidito alla sua ombra,
Mentre le cellule e le prospettive
Sono tutte mutate.
Restano però i rumori conosciuti
Delle piccole vite delle rane
Nei fondali bassi,
Resta il nocciolo che fiorisce
Quando tutto attorno è ancora bianco,
Resta la lotta degli uccelli
Che osservavi cupamente
Divenendo poi la spettatrice
Di un balletto di piume.

*

Un residuo attivo

C’era solo un residuo attivo nel tuo bene
Un piccolo residuo,
Ma era a quello stadio del carbonio
Detto diamante.

Ho pena per quanto con me non vivesti,
Me ne vergogno e dolgo. Ma tu
Che eri più grande e sapevi
Invece consistevi
E sostanziavi amore.

Un destino chiedevo.
Quando la carta mancava
I monaci raschiavano
E su Aristofane posavano
Il nuovo canto
O la preghiera appena sorta
Da labbra ritorte nel coro.

Ma ecco il primo luccichio della tonsura,
Cadenzato perché si capisca
Che il nostro era un amore stilizzato
E senza più voce in capitolo
Sull’essere unitario.
Un amore di foglie screziate
Sempre più screziate
Come ci si allontana dalla fonte…

*

Poi che non ci sono il giorno e la notte

Poi che qui non ci sono il giorno e la notte
Ma i pianeti e le orbite,
Non ci sono neppure le tue vecchie bugie
Consigliate dalla notte,
E posso pensare libera a quando ti accendevi
Per una scoperta
Marsilio da Padova o Lorenzo Valla…
Vederti crescere, sentirti trasalire.

Non che a me piacesse
Quel tuo compiacimento alla mia crescita.
Mi sentivo un animale nel serraglio,
Prevedevi ogni futura mossa,
Ne intuivi la portata favorendola.

L’anima si curva per via del selciato
O della volta celeste.
Meglio la seconda, non credi?

Per il perfetto compimento della tua
Vita-in-morte da me data?

No, non da te data,
Da me scelta una notte
Sognando cavalli morti…
Mi sarei dovuta sposare di lì a poco
Quando conobbi te e al primo incontro
Mi parlasti di von Aschenbach…
Fosti la cosa bella, malgrado tutto
Non sei riuscito a diventare
L’immagine di cera di te stesso.
Qualcosa in fondo ti è rimasto
Di allora. E io a quel qualcosa mi aggrappo
Anche ora. Anche ora mi dà vita.

Alla fine non è stato difficile
Avviare l’eternità: mi è bastato
Sentirmi
Una cosa con la terra…

Vento, vento, taci, smettila di sfiorarlo
E’ tutto mio e dorme,
In pace devi lasciarlo.

Il vento ti farà ammalare
Vuole la tua trachea e i tuoi bronchi.
Continuerà a provarci ed alla fine
Vincerà lui.

 

[Immagine: Jörg Sasse, Quelle (gm)].

2 thoughts on “Jucci

  1. Ti ringrazio, Ares. In effetti JUCCI non è una “raccolta di poesie”, come scrive la Redazione (che comunque ringrazio per la generosa ospitalità) presentando questo post, ma una narrazione a due voci. E il corsivo dovrebbe evidenziare la presenza dell'”altra” voce. Ma non so nemmeno se sia corretto definire narrativo il centro semantico di questo libro, per via della sua natura concentrica: di scavo e di riemersione. Forse è più corretto pensare a una corona, magari proprio a una corona del rosario con i suoi misteri, le sue ripetizioni, le sue meditazioni.
    Grazie ancora per aver rotto il silenzio, dandomi l’occasione di scrivere queste righe.

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