di Diana Romagnoli, Paolo Trama e Maria Laura Vanorio
Ex cathedra
“Sempre caro mi fu quest’ermo colle […]”, recita l’insegnante appassionato, e continua speranzoso fino alla fine “e il naufragar m’è dolce in questo mare.” Silenzio, il professore non muove un muscolo, alza solo gli occhi e guarda i ragazzi. Interdetti, assonnati. Nessuna luce si accende negli occhi degli allievi. Come coinvolgerli? Pensa di ricorrere alla lavagna interattiva, la cerca sulle pareti dell’aula, ma niente, in questa classe la LIM manca; d’altra parte le letture recitate di alcuni, pur grandi, attori sono veramente insopportabili. Si arrende.
Come riuscire a insegnare la bellezza? Come trasmettere il piacere di leggere? Si può infatti imporre ai ragazzi di leggere (e ascoltare), ma non si può imporre loro di provare curiosità e passione per ciò che sentono come un obbligo. Il rapporto passato-presente risulta quanto mai complesso per i nostri discenti e si arricchisce di un’altra variabile non trascurabile. Chi stabilisce le regole del gioco? Quali autori e perché? Insomma l’antico problema del canone, che si colora di rivendicazioni confuse e ben radicate: i programmi tradizionali non esistono più da tempo sulla carta, ma le Indicazioni ministeriali sono ugualmente vincolanti. “È noioso Leopardi”, “Potremmo leggere qualcos’altro?”; e questo vale soprattutto per i classici.
Questioni di metodo: un docente antenna e gambero
Per sgomberare subito il campo da un malinteso ricorrente e pernicioso, va rimarcato che un classico, ben lungi dall’essere imposto nella veste di monumento statico e museificato, andrebbe concepito come oggetto potenziale e dinamico. Perché sia ‘classico’ andrà continuamente riattivato nelle sue potenzialità comunicative ed espressive da tutti i lettori che si avvicenderanno nel tempo e nello spazio.
Spesso la scuola ha contribuito da par suo a imbalsamare opere di grande produttività simbolica – come accaduto ad esempio ai Promessi sposi (e il discorso potrebbe estendersi a molti cliché leopardiani) – laddove suo precipuo compito sarebbe quello di alimentarne la fecondità interpretativa, veicolandole presso le nuove generazioni. Perché ciò accada, è necessario che il docente si faccia ‘antenna’, ovvero strumento sensibile capace di captare i segnali dell’immaginario in cui sono immersi i suoi allievi, per poter incanalare gli aspetti più vitali e significativi di quel particolare classico all’interno di una diversa cornice di segni e simboli. Un docente-antenna dev’essere in contatto profondo con entrambi i mondi, in modo da creare le premesse necessarie per l’incontro, su un terreno comune, tra il ‘vecchio’ classico e i suoi nuovi lettori. Solo l’affinità e la simpatia verso l’immaginario dei suoi allievi e una profonda conoscenza dell’opera gli consentiranno di percepire i contorni di entrambe le sfere e di misurare la distanza che intercorre tra esse, affinché venga intrapreso o si perpetui un reale e fruttuoso dialogo tra generazioni.
Ma il buon docente deve sapersi fare anche ‘gambero’: dopo aver indirizzato per un tratto il classico verso l’allievo, deve percorrere anche il sentiero a ritroso, introducendo il nuovo lettore all’interno dell’immaginario del testo scelto, con tutti gli strumenti ‘filologici’. A questo punto, non si tratterà più di colmare la distanza per conto del lettore, quanto, piuttosto, di spronare quest’ultimo a farsi incontro all’Altro, inteso come ‘diverso’ da noi. Dunque, se nella prima fase toccherà al docente tradurre l’immaginario del classico in quello del novello lettore, fino al punto di non tirarsi indietro di fronte alla più spregiudicata delle operazioni di attualizzazione, nella successiva, invece, sarà importante che l’allievo comprenda l’importanza del movimento simpatetico verso l’Altro, soprattutto quando questi incarni il centro irradiatore di un mondo affascinante, cui può valere la pena accedere nonostante distanza e complessità.
La principale competenza di un buon docente – antenna e gambero – consisterà quindi nel saper riversare, all’interno della situazione comunicativa dell’insegnamento-apprendimento, un impasto fluido di conoscenza e di entusiasmo per gli oggetti che condividerà con i suoi allievi attraverso il duplice movimento descritto, invitandoli inoltre a ripetere quell’esperienza di incontro in autonomia, così che ne risultino profondamente permeate le diverse sfere della sua soggettività: cognitiva, affettiva e relazionale.
Ecco, forse, come un classico possa godere di ottima salute, restando vitale senza vivacchiare.
Quattro punti cardinali per una didattica dei classici
Perché queste sollecitazioni si traducano in una cornice metodologicamente efficace, sarà opportuno, in questa fase intermedia, stabilire alcuni punti cardinali dai quali il docente possa farsi guidare nella progettazione di un processo didattico imperniato sul testo letterario, che contemperi attualizzazione e filologia.
La prima delle quattro parole chiave, quella dalle ricadute metodologiche più sperimentali e innovative – e che pertanto più necessita di essere sottoposta a verifiche approfondite, è ‘immaginario’[1]. Ricondurre l’universo del classico all’interno di questa categoria più ampia semplificherà e renderà intuitivo l’approccio al testo letterario, verso il cui ‘specifico’ le nuove generazioni hanno quasi del tutto smarrito propensione e curiosità. Oltre a poter essere declinato in senso spiccatamente interdisciplinare, se impiegato anche dal docente di letteratura straniera, di Arte e di Filosofia, il termine presenta un altro, non secondario vantaggio. Attraverso la ripresa degli aspetti più attuali di cui quel classico è portatore, sarà possibile sviluppare un’attitudine critica e straniante verso la sfera dell’immaginario che condiziona profondamente il vissuto dell’allievo. In tal modo questi comincerà a essere più autonomo e capace di navigare tra le correnti e i marosi dell’instabile età dell’informazione e delle immagini, senza correre il rischio di naufragare.
Il secondo termine è ‘testualità’, che vuole indicare la strategia di ritagliare testi di varia natura per disegnare percorsi strutturati secondo principi tematico-formali variabili secondo le esigenze didattiche. Un tale approccio consente di condividere, mettere in ‘comunità’ segmenti, oggetti culturali e artistici circoscritti, preservando un accurato approccio filologico: ancora un filo d’Arianna per orientarsi nel labirinto post-moderno dell’immaginario.
Se i primi due termini-chiave sono relativi alle strategie didattiche viste dalla parte del docente, gli altri due sono invece più rivolti alle effettive competenze da attivare negli studenti.
A questo proposito, se si guarda a una parola come ‘interpretazione’ nell’ottica delle famigerate competenze, queste ultime risulteranno almeno in parte liberate dalle incrostazioni ideologiche dovute all’accezione economicista-manageriale d’origine: una didattica dei classici meno irrigidita negli schemi scolastici usuali e desueti può sollecitare lo sviluppo di una vera competenza interpretativa vista come modalità di appropriazione di ciò che si legge. Si tratta di un’attitudine davvero trasversale, poiché la sua padronanza agevola l’escursione presso testi di diversa natura e genere, con l’obiettivo costante di far interagire teorie, modelli e fenomeni, di formulare ipotesi e di verificarne la fecondità euristica.
Infine, tutte le attività di lettura praticate sul corpo vivente di un classico devono essere costantemente supportate dalla partecipazione dell’allievo, per cui l’incontro con il classico dovrà essere accompagnato da diverse attività di produzione, nell’ottica della mimesi creativa. Scrivere, anche nella modalità della ri-scrittura, resta una pratica assai trascurata dalla scuola italiana: una lettura che sia realmente creativa – non nel senso ‘liberatorio-anarchico’ che tale aggettivo ha sopportato per decenni – può e deve sfociare in forme di riappropriazione del testo che prevedano l’uso della scrittura (ma anche di altri mezzi espressivi).
Entriamo in classe: la sintonizzazione
Ora torniamo a Leopardi, provando a sgomberare il campo dagli stereotipi e dalle rigidità delle consuete scansioni temporali e tassonomie della sua riflessione (natura benigna/maligna, pessimismo storico/cosmico/eroico ecc.), alla luce della circolarità del suo pensiero poetante. Un buon modo di iniziare potrebbe essere quello di concentrarsi sulla viva compenetrazione e sulla sinergia tra parola poetica e pensiero: l’immaginario del poeta.
Anche i ragazzi hanno la testa piena di luoghi comuni: così quando in una quinta di un istituto superiore si propone la lettura di Leopardi, almeno la metà di loro sa che si tratta del poeta di Recanati, quello del pessimismo, gobbo (e quindi sfortunato con le donne); i più smaliziati ricordano il titolo di qualche canto; la maggior parte si chiede perché leggere un autore così triste. Prima di costruire mattoncino dopo mattoncino e pagina dopo pagina un diverso immaginario leopardiano, forse può essere interessante smontare i loro luoghi comuni come si fa con i Lego, per dare vita a costruzioni nuove e più personali. In altre parole, insegnare l’arte dell’interpretazione. Dunque, per adottare un concetto della pedagogia inglese, è il momento della sintonizzazione, dove il docente si fa ‘antenna’.
Un primo esercizio da proporre potrebbe essere quello di buttare giù cosa si conosce di Leopardi prima di studiarlo, prima ancora di leggerlo. All’inizio circolerà un po’ di imbarazzo, ma poi i più audaci saranno pronti a dare sfogo alla rabbia che nutrono verso il canone scolastico. Una volta raccolte le loro osservazioni, si troverà conferma di quanto detto. Se si annoterà quello che è venuto fuori, si scoprirà con ogni probabilità che ciò che loro pensano di Leopardi è già stato detto. Per favorire la sintonia autore-studenti, si può evocare il famoso giudizio di Tommaseo “pessimista perché gobbo”. Del resto, la meditazione sul corpo è già tutta contenuta in una delle due canzoni del suicidio, L’ultimo canto di Saffo, dove la condizione dell’infelicità della poetessa greca è risolta nel drammatico conflitto con la Natura. Può valere la pena di leggere anche la lettera in cui il poeta invitava coloro i quali avessero voluto contestare le sue posizioni pessimistiche a scendere sul piano delle argomentazioni, senza strumentalizzare “le sue situazioni materiali”[2].
In questa fase sarà interessante compiere quel primo movimento cui si accennava poc’anzi: portare Leopardi verso i ragazzi. Non si tratta di modernizzare a tutti i costi l’insegnamento dei classici, ma di verificare empiricamente la validità del pensiero leopardiano hic et nunc. Si possono proporre passi dello Zibaldone, dei Canti e delle Operette morali [3], lasciando che i ragazzi li leggano e li interpretino a modo loro, come se Leopardi li avesse scritti ieri e loro, da veri pionieri, fossero i primi ad averli tra le mani. Li troveranno sorprendentemente vicini alla propria esperienza: non si parla forse di incomprensione materna, di un ambiente asfittico e castrante, del desiderio di sottrarsi all’istituzione familiare, di sogni infranti? Ma non basta: ogni momento dell’apprendimento può diventare occasione di produzione. E allora, armati di carta e penna, i ragazzi saranno invitati a costruire il loro pâtissage, ovvero uno Zibaldone collettivo di pensieri sulla famiglia, l’ambiente in cui vivono, i loro desideri. Come fare con la lingua? Visto che non è certo semplice per uno studente liceale riprodurre l’italiano dell’Ottocento, si potrà consentire un uso della lingua contemporanea, limitandosi a rendere sorvegliata la costruzione delle frasi e al tempo stesso proponendo uno sforzo di oggettivazione (non si parla di ‘tua’ madre, ma di ’una‘ madre conosciuta “intimamente” dal poeta).
Far emergere: Leopardi incontra gli studenti
In questa seconda fase i ragazzi avranno fatto un passo avanti verso l’universo leopardiano e, prima di sistematizzarne lo studio, può essere utile costruire un perimetro dentro cui muoversi. Una volta esorcizzato l’incubo dell’esaustività, che spesso si rivela sforzo inutile e poco produttivo, si possono selezionare solo alcuni aspetti della poetica e della produzione di Leopardi, impiegando quattro coppie di concetti fondamentali: Natura/Antropocentrismo, Desiderio/Noia, Finito/Infinito, Conoscenza/Dolore.
Dopo aver diviso la classe in gruppi, diventiamo paladini della didattica capovolta[4], riflettendo con i nostri studenti sui temi individuati.
Natura/Antropocentrismo: con una LIM si selezionino immagini statiche e dinamiche che catturino la tragicità e la potenza devastante della natura. Le lavagne si riempiranno di onde anomale, terremoti, disastri annunciati e non, a dimostrazione che l’uomo, nonostante l’onnipotenza tecnologica, non solo è inerme di fronte alle aggressioni della Natura, ma sperimenta drammaticamente la propria solitudine di fronte alla sua potenza inarrestabile.
Desiderio/Noia: i ragazzi ben conoscono i meccanismi del desiderio, anche senza mai aver letto Freud. I linguaggi persuasivi stimolano il soggetto a diventare consumatore, alimentandone il desiderio in modo compulsivo. Senza dilungarsi sugli elementi sociologici che sono sottesi a tali dinamiche, è evidente che il momento dell’attesa è di gran lunga più appagante della sua realizzazione. Si rincorrono “piaceri che non dilettano e beni che non giovano”, cui ciclicamente seguono il vuoto, la noia. Tra le tante pagine dedicate a quest’argomento, si possono proporre: la lettera a Pietro Giordani del 19 novembre 1819, Sono così stordito del niente che mi circonda […], diversi passi dello Zibaldone[5] e uno dei canti più noti, Il sabato del villaggio. In un’ottica di apertura verso altre discipline, si può pensare di coinvolgere la filosofia con la lettura di passi di Schopenhauer, così come la letteratura latina con la lettura di Lucrezio e Seneca.
Finito/Infinito. Con il sostegno della terza coppia, sarà possibile pensare l’infinito e cercare i linguaggi adatti ad esprimere l’impensabile, una delle grandi sfide della filosofia e della poesia, ma anche riprendere aspetti delle ricerche portate avanti da discipline spesso impropriamente isolate da quelle umanistiche: la matematica e la fisica in primis. Perché non partire proprio dalle domande che si posero matematici come Cantor (ma una riflessione sull’infinito c’è già in Archimede o nei padri del calcolo infinitesimale Cavalieri e Leibnitz) o scienziati come Einstein? Per poi arrivare all’Infinito e al monte Tabor dove Leopardi si ritirava per vivere un’esperienza della mente condivisa da tanti altri pensatori.
Conoscenza/Dolore: partendo da questa polarità, si potrà indagare l’idea che il dolore sia determinato da fattori contingenti, ma sia anche frutto del pesante fardello della conoscenza e della consapevolezza del soggetto, altro spunto riflessivo complesso quanto utile per favorire la partecipazione degli allievi e stimolarne l’empatia. Si partirà dalla lettura di due passi, entrambi datati 1826, tratti dallo Zibaldone, che affrontano il problema della sofferenza che pervade tutte le cose, persino la natura di un ridente giardino[6], ma ci si potrebbe cimentare anche con il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia. Naturalmente la sofferenza che investe tutte le creature riconduce a Lucrezio, all’immagine dell’animale che cerca con gli occhi tristi il figlio, vittima sacrificale della mano dell’uomo[7], senza dimenticare che, per Leopardi, come ancora per noi, il dolore cosmico assume anche la forma individuale del disinganno, come si legge in A se stesso.
Anticipiamo qualche obiezione: se i testi qui proposti sono presenti in tutti (o quasi) i percorsi antologici accreditati, è pur vero che il problema non è tanto cosa far leggere di Leopardi, ma in quale ordine, in che modo e a quali fini, tenendo ferma la necessità, per favorire l’apprendimento, di non sottovalutare il coinvolgimento emotivo. Ecco dunque che dopo aver avvicinato Leopardi a un nuovo lettore, in parte magari tradendolo, verrà il momento di guidare gli studenti verso Leopardi. Qualche anno fa, ad esempio, Mario Martone ha messo in scena le Operette morali: la proiezione, in classe, di alcune di esse farà da ponte per oltrepassare le barriere architettoniche dei nostri spesso fatiscenti edifici scolastici[8].
Sistemare: oltre il giardino, l’orizzonte di Leopardi
Si è così giunti alla fase in cui la presenza dell’insegnante si rende ancor più necessaria. Gli allievi hanno imparato a non avere pregiudizi nei confronti del grande classico, hanno riflettuto sui grandi temi leopardiani, sperimentandone l’efficacia e la vicinanza al proprio universo: in poche parole, ne hanno scoperto la sua unicità e universalità. Tuttavia, a questa fase (dove il docente fungeva da ‘antenna’) deve seguire una riflessione più ampia, che restituisca Leopardi al suo tempo attraverso un approccio decisamente filologico, imperniato su scelte testuali più ampie (il movimento del ‘gambero’).
La costruzione complessa dei Canti e la storia delle loro edizioni, ad esempio, oltre ad offrire un’efficace periodizzazione dell’evoluzione del pensiero leopardiano come del suo fare poesia, permettono di entrare nell’officina del poeta, desacralizzando i testi (che i nostri allievi magicamente spesso immaginano già compiuti e rifiniti a una prima redazione) e consentendo di tornare al presente con un discorso sull’editing e sulle scelte editoriali. Far sì che i ragazzi, uniti in gruppi, s’interroghino e facciano ricerche sul perché, prima Leopardi, più tardi Ranieri, si affaticassero tanto a “togliere e mettere poesie” o a cambiarne l’ordine, li spingerà a fare esperienza diretta delle evoluzioni nel pensiero e nella poetica dell’autore. Ecco che la fredda scansione di una Natura, che da benigna diventa maligna e infine indifferente, forse sarà ora meno meccanica. Infine, se è vero che quella eccezionale mobilità riflessiva e artistica è, oltre che frutto di meditazioni personali, anche di letture, avrà ora più senso chiedersi quali testi facessero parte della famigerata biblioteca di Monaldo (visitarla: perché no?) o come si inserisse il nostro, romantico tra i romantici, nella polemica inaugurata da Madame de Staël. Insomma: qual era il suo orizzonte di riferimento? Cosa condivideva con i contemporanei? E cosa con gli autori del passato tanto amati? Così, nuove reti saranno costruite, rendendo ancora una volta fruttuosa la collaborazione delle altre discipline.
Produrre per riflettere
Per favorire una ricaduta pratica di tale percorso didattico, invece di procedere alla solita verifica concettuale, mnemonica e discorsiva, quale momento conclusivo si potrebbe proporre la composizione di un’operetta morale, che, investigando l’arido vero, imiti le prose leopardiane di argomento filosofico. Un approccio attivo alla lettura del testo consente di decifrarne le strategie compositive, per poi riutilizzarle autonomamente (mimesi creativa).
Nell’ottica di un avvicinamento graduale alla complessità dell’opera, si partirà dalla semplice ripresa di un tema fondamentale sviluppato nelle Operette morali, per misurarsi in un secondo momento anche con la dimensione stilistica della prosa d’arte di Leopardi. La scelta ricadrà su uno a scelta tra i temi già sviluppati durante le precedenti lezioni con l’unica limitazione che, come in un gioco di ruolo, l’ottica con cui tale tema verrà affrontato sia quella leopardiana, impiegando le modalità più proprie al poeta per dare forma a quei pensieri a quei sentimenti. Naturalmente sarà fondamentale adottare una determinata tecnica narrativa per la propria operetta e interessante esperimento potrebbe rivelarsi la stesura di un dialogo, soprattutto da parte di quegli allievi che abbiano maturato l’esperienza della lettura di Platone e di Luciano (o quella più recente di Galilei). In vista della creazione degli interlocutori del dialogo, l’insegnante illustrerà agli studenti i diversi protagonisti delle Operette, per poi guidarli verso scelte personali. Si potrà attingere al repertorio classico, al mondo della letteratura, delle scienze o della storia, e naturalmente inventare dei personaggi fantastici. Dopo aver scelto il tema, la tecnica, i personaggi, si dovrà tenere conto dello spazio e del contesto, definito o indefinito, in cui il dialogo andrà ambientato.
Solo dopo avere elaborato un proprio testo, si passerà alla cura degli aspetti formali. Per immedesimarsi nell’autore, sarà importante lavorare anche sul tono generale delle Operette, provando a riprodurne anche la scrittura. Trattandosi di un’operazione di estrema difficoltà, anche per la varietà dei toni adottati dall’autore, intensamente lirici o filosofici, il docente provvederà a semplificarla attraverso la lettura analitica di almeno due Operette. Da queste verranno estrapolati alcuni degli stilemi ricorrenti, oltre a un vocabolario cui attingere per elaborare uno stile credibile, il cui tono generale sarà in linea con il tema trattato.
Oltre la siepe, oltre il giardino: il classico tra attualità e differenza
L’obiettivo, insomma, vorrebbe essere quello di generare un movimento circolare che porti il classico verso gli allievi e gli allievi verso il classico, invitando sì le nuove generazioni di discenti a impadronirsene per leggere il presente in cui siamo immersi, ma anche a riconoscere in esso un’alterità che destabilizzi la loro (e la nostra) soggettività, in un esercizio di straniamento che aiuti a trovare l’andatura dell’Altro, verso un aldilà dalle mura scolastiche, oltre il giardino ben curato delle proprie certezze. Direzione che proprio Leopardi ha magistralmente indicato.
Note
[1] Non essendo questa la sede per una riflessione teorico-epistemologica, basti una sola definizione per circoscrivere l’ambito in cui ci muoveremo. Nel passo che segue si sta parlando dell’uomo come produttore di immaginario, costituito da: “immagini, analogie, metafore, simboli, narrazioni che s’insinuano nel suo vissuto, anche a sua insaputa, che penetrano nei suoi pensieri per orientarli o inibirli, che ispirano le sue azioni offrendo loro motivazioni, modelli o finalità e che vengono spesso condivisi, trasmessi e amplificati dalla cultura, dai suoi eventi e dalle sue istituzioni.” (J.J Wunenburger, L’immaginario, Genova, Il Melangolo, 2008, p. 8).
[2] Lettera al De Sinner 24 maggio 1832.
[3] I testi proposti sono i seguenti: G. Leopardi, Zibaldone, n. 353-354: “Io ho conosciuto intimamente una madre di famiglia che non era punto superstiziosa, ma saldissima ed esattissima nella credenza cristiana, e negli esercizi della religione. Questa non solamente non compiangeva quei genitori che perdevano i loro figli bambini, ma gl’invidiava intimamente e sinceramente, perché questi eran volati al paradiso senza pericoli, e avevan liberato i genitori dall’incomodo di mantenerli.”; Le ricordanze; la Lettera a Monaldo Leopardi, Recanati s.d., ma del luglio 1819: “Mio Signor Padre[…] Voglio piuttosto essere infelice che piccolo, e soffrire piuttosto che annoiarmi, tanto più che la noia, madre per me di mortifere malinconie, mi nuoce assai più che ogni disagio del corpo. I padri sogliono giudicare dei loro figli più favorevolmente degli altri, ma Ella per lo contrario ne giudica più sfavorevolmente d’ogni altra persona, e quindi non ha mai creduto che noi fossimo nati a niente di grande […]”.
[4] Il pragmatismo inglese ha dato vita a un modello di scuola ibrido, la cosiddetta flipped classroom: gli alunni praticano in classe, nell’orario scolastico, tutte quelle attività che solitamente sono demandate al lavoro pomeridiano (i “vecchi” compiti). Il docente non propone più solo contenuti (le “vecchie” spiegazioni), ma lavora a stretto contatto con i suoi allievi, li segue, li supporta.
[5] Per esempio: Zibaldone, 1817-19, “Anche il dolore che nasce dalla noia e dal sentimento della vanità delle cose è più tollerabile assai che la stessa noia.”
[6] Il dolore alberga in ogni dove e il giardino del dolore mostra come, dietro l’apparente bellezza del luogo, si celi la terribile realtà: la sofferenza di tutti gli esseri (uomini, animali e vegetali) 19 e 22 aprile 1826.
[7] Lucrezio, De Rerum Natura, II, 352-367.
[8] Tra l’altro siamo particolarmente curiosi di vedere insieme ai nostri ragazzi il prossimo film di Martone proprio su Leopardi, Il giovane favoloso, con il viso di Elio Germano, girato in parte proprio a Recanati e nel Palazzo Leopardi.
[Immagine: Statua di Leopardi, Recanati].
Articolo che espone una serie di proposte didattiche davvero convincenti, in effetti ho sempre avuto l’impressione che in letteratura a scuola si è sottolineato oltre il dovuto sempre giustamente inevitabile dovere di avvicinare il lettore al contesto dell’opera dell’autore, dovere che però dovrebbe essere visto come premessa e non come fine dell’insegnamento di grandi opere letterarie, che dovrebbe includere soprattutto un avvicinamento dell’opera al contesto del lettore che faccia evidenziare il valore di questo testo anche ai giorni nostri. Molto azzeccate anche le proposte di produzione creativa da parte degli studenti, che rompe l’idea che in letteratura e in altre discipline umanistiche si debbano compiere solo attività di conoscenza teorica e di comprensione dell’oggetto di studio e non anche attività pratiche di “laboratorio” e di “esperimenti”, così come si fa nelle materie di scienze, arte e musica.
La cosa comunque più importante è alla fin fine togliere Leopardi e altri autori dall’ormai superato fine principale desanctisiano di dare agli studenti italiani una consapevolezza della propria identità di cittadini italiani, valore nobilissimo ma che ho sempre pensato sia qualcosa da acquisire nella vita concreta di tutti i giorni. La cosa peraltro più curiosa è che paradossalmente proprio un insegnamento della letteratura che volesse approfondire come fine principale far comprendere la propria identità nazionale dovrebbe parlare più delle letterature “altre” che della propria. Oltre a Leopardi e al suo contesto del romanticismo europeo non posso che citare il caso clamoroso della grande presenza di fonti musulmane usate da Dante nella Divina Commedia (di fatto a scuola si citano poeti provenzali, perché non presentare anche Ibn Arabi, con aggiunti benefici interculturali?) Insomma, non smetterei mai di ripetere non solo che comprendere il passato è necessario per comprendere il presente (fermo restando che la storia spesso è bene non leggerla come una linea retta a senso unico dove “il prima spiega il poi”) ma che conoscere e comprendere gli altri è necessario per conoscere e comprendere noi stessi.
Davvero molto interessante, ma la mia esperienza di insegnante mi ha portato a perdere ogni speranza di riuscire a trasmettere la passione per la letteratura. Leopardi, e la nostra migliore letteratura, sono frutto di una società aristocratica, lontanissima dai meccanismi del consumo e della tecnologia, e saranno sempre pochi, come in ogni epoca è avvenuto, quelli che potranno gustare queste opere. Perciò è inutile cercare di trovare dei metodi che facciano da ponte tra noi e le nuove generazioni. La scintilla verso i classici in loro, se deve nascere, nascerà nella vita quotidiana, non certo a scuola. Finché ci sarà l’abbondanza tecnologica gli studenti tenderanno a nutrirsi di posts di social network, perché sono immediati, e non di poesia, che richiede un minimo di isolamento e di sforzo intellettuale, due requisiti che vanno sempre più scomparendo. Chi sa leggere Leopardi lo insegni, sapendo che se troverà soltanto uno studente che si appassiona, allora sarà già un grande successo.
@ Gianni,
non si dovrebbe mai smettere di sperare, specialmente quando è in gioco qualcosa come il compito della scuola di fornire a ogni cittadino, in quanto facente parte di una comunità di persone avente ciascuna uguale dignità, ciò che occorre per diventare un soggetto di cultura e di coscienza in modo che possa compiere con libertà e consapevolezza le proprie scelte nella vita.
E penso che tu concordi con me che sia profondamente ingiusto ritenere che solo alcuni cittadini si debbano ritenere degni di partecipare a tale formazione culturale e di coscienza, e che nessuno affermi che un futuro cuoco, meccanico o informatico non abbiano bisogno di leggere Leopardi a scuola per poi leggere il mondo nella vita e che si debbano accontentare di leggere uno dei tanti thriller di moda nell’estate, mentre che Leopardi sia necessario solo per un futuro insegnante di lettere, politico, giornalista, avvocato o altri lavori ritenuti meno “manuali” e più “di mente”, quando al giorno d’oggi si dovrebbe comprendere che non esiste un conoscere teorico slegato da un operare concreto (al massimo secondo me ha senso a scuola un approfondimento maggiore delle materie letterarie per futuri laureati in lettere o lingue, ma il resto degli studenti devono avere diritto a uno spazio per la letteratura che non differenzi tra futuri avvocati e futuri cuochi).
E per favore, non si dica che esistono ragazzi più propensi allo studio e altri meno come se fosse un destino genetico (in modo magari da dividere in modo classista i ragazzi in scuole alte e intellettuali e scuole basse e manuali, gerarchia che perfino gli illuministi con la loro Enciclopedia “delle scienze, delle arti e dei mestieri” rifiutavano ), perché ogni studente che cade nel suo percorso scolastico è una sconfitta non sua ma della società intera che fallisce nel far procurare a tutti una formazione di cittadini che vivono e agiscono con consapevolezza e libertà.
@ Michele Dr
Sono d’accordo con lei sul discorso sulla dignità e la parità dei diritti per tutti, che ci macherebbe altro!
Ciò che ho scritto è soltanto frutto delle mie ultime esperienze negli istituti tecnici, dove quasi tutti gli studenti che ho incontrato negli ultimi anni hanno sempre lo smartphone in mano o sotto il banco e vengono da situazioni famigliari che non li hanno agevolati nella crescita. Anche cercando di fornire nuovi metodi di approccio alla letteratura per tentare di far scoccare una scintilla negli studenti, la maggior parte di loro non riesce a staccarsi dal mondo online, purtroppo, e quindi, una volta letto e spiegato un brano letto in classe, che spesso trova il loro interesse, non trovano il tempo per rileggerlo con attenzione, perché, nella maggior parte dei casi, la loro volontà di tornare sui social network prevale sulla piccola scintilla che gli ha lasciato la letteratura: il seme gettato in classe viene soffocato quasi sempre.
Non sono del tutto d’accordo con lei sulla propensione allo studio: tra i tanti alunni che ho incontrato alcuni erano più propensi ad un lavoro intellettuale, altri ad un lavoro manuale. Lungi da me discorsi come il destino genetico! Nella mia esperienza di insegnante ho notato che gli studenti, dai 15 anni in poi, generalmente hanno già una buona capacità di decidere per i loro studi: alcune cadute nel percorso scolastico sono anche colpa loro, anche se spesso, è vero, della società.
@ Gianni,
non sono mai stato docente di professione, ma devo dire che anche ai miei tempi in cui io da studente stavo finendo le scuole superiori (parlo di un istituto tecnico negli inizi degli anni 2000) in effetti c’erano queste distrazioni di questo tipo (cellulari, videogiochi, musica) tra i banchi dei miei compagni di classe, ma non mi sembrava che lo scarso interesse per la lettura sia causato dalle nuove tecnologie più “immediate”: mi ricordo che nel biennio anzi il docente ci spingeva a leggere testi come “Il nome della rosa” dopo aver visto in classe parte della versione cinematografica, dunque la multimedialità può fino a un certo punto aiutare. Peraltro ritengo che una mancanza di attenzione porti a scarsi risultati in tutte le materie, non certo in solo quelle letterarie.
Poi certo, ogni studente con la sua situazione personale e famigliare è un caso a sé, ma ritengo sempre che al giorno d’oggi non ha più senso dire che ci sono percorsi scolastici che, a parità di anni con altri tipi di percorsi, danno minor peso allo studio teorico legato all’attività della mente e danno più peso a un lavoro concreto legato solo al saper usare le mani senza alcun gran bisogno di attività intellettuale (specie in un periodo come il nostro dove le innovazioni sia culturali che tecniche fanno sì che si devono imparare cose nuove anche dopo che si è usciti dalla scuola). Poi ci saranno studenti a scuola più problematici di altri anche per loro responsabilità ma è buona cosa individuare le cause di questi comportamenti prima di tutto per il bene degli studenti, evitando di ritenere che il loro comportamento sia da pensare come mancanza di rispetto per istituzioni e docenti, non dobbiamo centrare la scuola su cosa hanno bisogno i docenti, ma prima di tutto su cosa hanno bisogno gli studenti.
L’articolo è interessante sì, ma dimentica una cosa importante: che lo proponi in un modo o nell’altro, alla gente di Leopardi non glie ne po’ frega’ de meno! Alla gente non gli va di leggere poesie, va su fb, va in disco, ecc.. quello è il suo dolce naufragar.
Ah, le magnifiche sorti e progressive…
Nota a margine: l’insegnante gambero e antenna non avrebbe alcun premio dalla ” buona scuola’ (ah ah ah) di Renzi. Il lavoro che fai in classe non è quantificabile, non è certificabile, non rientra nel portfolio. Ed è giusto così: non è merce, non lo deve essere. Il che significa che la valutazione tutto andrebbe a valutare, tranne l’essenziale.
@ lacurra:
premesso che anch’io trovo molto criticabile in molti punti la proposta del governo di riforma della scuola, lei comunque ritiene che ci siano metodi alternativi alle forme di valutazione finora proposte che abbiano lo scopo di evitare che i docenti abusino della loro libertà d’insegnamento rimanendo nelle aule con gli studenti ma fingendo di insegnare, facendo sì che gli studenti non solo non sappiano avvicinarsi al mondo di Leopardi né possano avvicinare il mondo di Leopardi al proprio, ma addirittura non sappiano neppure comprendere il messaggio essenziale espresso in un testo come “la Ginestra o il fiore del deserto” e provare a spiegare il significato espressivo di alcune frasi evidenziate in tale testo? E se il docente, chiuso con gli studenti nell’aula si limitasse a far imparare a memoria tre frasette sulla vita di Leopardi, due altre frasette che riassumono le sue opere principali, e quattro righe in tutto tratte da due sue poesie con il relativo significato già preconfezionato dal docente? Come fare a far sì di essere certi che il docente compia effettivamente questo lavoro di far arrivare gli studenti a questi minimi obiettivi, dato che concorsi e tirocini certo sono indispensabili per la formazione dei docenti, ma nulla garantiscono a far conoscere la qualità dell’insegnamento di chi è già in servizio magari da decenni?
@ Michele Dr
io ritengo che il sistema di valutazione non risolva nessuno dei problemi di cui lei parla, perchè non li prende in considerazione. Se ho capito bene, considera altro. Il portfolio del docente dovrebbe raccogliere la documentazione relativa a progetti e attività di vario tipo (corsi di aggiornamento, per esempio): attività degnissime, che però non comportano che in classe uno spieghi bene (da gamberetto antennato, insomma). Spiegare bene non c ‘entra niente con i corsi di aggiornamento (si può studiare molto meglio e molto di più a casa propria) e neanche con i progetti: conosco persone che sulla carta (quella da portfolio) sono straordinarie e in classe decisamente no. E poi, che cos’è un buon insegnante? certe colleghe non sono delle intellettuali, d’accordo, però sono capaci di salvare dall’autodistruzione ragazzetti in crisi: anche questo conta, eccome se conta. Come lo certifichiamo, a proposito? chiediamo al ragazzino ex borderline un’autocertificazione e la alleghiamo al portfolio dell’insegnante, ‘io xy testimonio che la prof yz mi ha salvato la vita quando avevo quindici anni, in fede xy’ ?
E poi c’è un problema molto serio. Al preside in veste di valutatore (e distributore di soldi!!) verrebbe affidato un potere inaccettabile. Un potenziale di ricatto e di arbitrio che potrebbe esprimersi in mille modi, anche (non solo, ma anche) politici.
Mettiamo la mia collega lesbica, impegnata nelle famiglie Arcobaleno. Sarebba al sicuro con un preside omofobo? mettiamo il prrof che sciopera, o che fa leggere qualcosa di non gradito (o non compreso: l’ignoranza dei presidi può essere vasta e generosa): come sarà valutato? Niente aumento perché fai leggere, che ne so, Nuto Revelli che non è in programma? Nelle cittadine di provincia, i presidi sono tempestati dalle telefonate dei notabili che chiedono o lamentano questo e quello: siamo sicuri che il prof antipatico all’avvocato xy sarà valutato con oggettività?
Il portfolio ha criteri oggettivi ma fallaci. L’arbitrio del preside può risolvere meglio i problemi di cui lei parla (insegnanti fannulloni ecc), ma fa pagare un prezzo troppo alto in termini di libertà politica, sindacale, intellettuale.
Me lo sono proprio gustato quest’articolo, che, tra l’altro, si interseca con l’attuale proposta di studio ai maturandi della mia quinta. Grazie per la proposta, che formalizza compiutamente parte della mia prassi didattica.