cropped-Emmet-Gowin_Edith-Ruth-Danville_www.lylybye.blogspot.com_-1024x8011.jpgdi Orsetta Innocenti

Kate Atkinson è un’autrice abbastanza conosciuta e studiata, in Gran Bretagna, non propriamente di nicchia; e la sua scrittura – che ha variato da romanzi cosiddetti di famiglia, Behind the Scenes at the Museum (1995), per esempio, che di questo Vita dopo vita (Casa Editrice Nord, pp. 544; [Life after Life, 2013]) è forse, per temi e stile, il più interessante precedente – a romanzi che giocano con la trama poliziesca (la serie di Jackson Brodie cominciata con I casi dimenticati (Case Histories, 2004) e terminata, per ora, a mezzo, con Started Early, Took My Dog, 2010) – è raffinata, ricca, preziosa ma nello stesso tempo assai godibile. Un classico caso di autrice colta (le citazioni, dai classici della letteratura inglese, da Donne a Keats, dalla Brontë, alla Eliot a Forster, anche in Vita dopo vita non si contano), che da un lato si diverte a usare, postmodernamente, se si vuole, la letteratura come grande intertesto, ma dall’altro fa in modo che questo non ostacoli un sano senso del racconto – e che la trama sia perfettamente godibile in se stessa, anche senza alcuna agnizione letteraria.

Modi di scrivere tipici di un ampio lotto di autori britannici contemporanei, pur nei loro stili anche assai diversi (i soliti: Amis, Coe, Barnes, Antonia Byatt…): niente da invidiare a McEwan, per esempio. Eppure, nonostante il tentativo di lanciarla qualche anno fa, di Einaudi, Kate Atkinson continua a essere immeritatamente troppo poco letta, persino in Gran Bretagna, e sicuramente in Italia.

Vita dopo vita (che infatti esce per Nord e non più da Einaudi) potrebbe (dovrebbe) generare in questo una inversione di tendenza: perché è un romanzo raffinato, multi-livello, ben scritto ma nello stesso tempo (a patto di accettare il patto narrativo del time-twisting) assai godibile. Molto intelligente, anche. La trama di base viene riassunta bene dalla quarta di copertina: “In una gelida notte di febbraio del 1910, a Londra nasce una bambina. Il cordone ombelicale è stretto intorno al suo collo, e nessuno riesce a salvarla. In una gelida notte di febbraio del 1910, a Londra nasce una bambina. Il cordone ombelicale è stretto intorno al suo collo, ma il medico di famiglia, giunto proprio all’ultimo istante, lo taglia e permette alla piccola di respirare. Inizia così la vita straordinaria di Ursula Todd, una vita che, nel corso degli anni, verrà spezzata più e più volte, mentre l’umanità si avvia inesorabilmente verso la tragedia della guerra. Vita dopo vita, Ursula troverà la forza di cambiare il proprio destino, quello delle persone che incrocerà e quello del mondo intero?”.

Si parla di scelte, dunque, ma anche di destino, di eterno ritorno (Nietzsche è citato in esergo), di alternate history, “what if” e stringhe temporali che si intrecciano (perché il tempo circolare non è mai davvero tale, come insegna tutta la science fiction). Ritorni nel tempo a ripetere una vita diversa, magari cercando di “get it right”, questa volta, fare la cosa giusta. Una “giustizia” che, però, nonostante il romanzo si apra, perentorio, con una scena di ucronia politica (in cui Hitler è coinvolto), riguarda anche (e soprattutto) i livelli di vita personali. Da questo punto di vista, tentare di tornare indietro per cambiare il mondo, può essere politicamente una scommessa persa; viceversa, mentre tentiamo di fare gli eroi, è la nostra vita privata che diventa altro (e ci aveva pensato Stephen King alla fine del 2011, con 22/11/63 [2011], se non altri, a ricordarcelo; ma l’idea del ripetere la storia personale, a circolo vizio-virtuoso sembra ripetere anche, e soprattutto, visto il contesto britannico, le suggestioni evocate da Altra gente [Other People, 1981] di Martin Amis). La Atkinson dunque si diverte sin dall’inizio a tematizzare un genere (l’ucronia politica, appunto), e poi a metterlo da parte, portando il suo lettore a spasso per il tempo. Nel mezzo, tra il 1910 e la fine degli anni Sessanta (questo il periodo abbracciato, nel suo vagabondare cronico, da Ursula), trova il modo di raccontare, partendo a tornando sempre alla famiglia Todd, e alla loro casa di campagna di Fox Corner) la storia del secolo breve così come è stato vissuto in Inghilterra. Del resto è lei stessa a dichiarare, nella postfazione del romanzo (pubblicata solo nell’edizione inglese, purtroppo), che, se c’è una cosa di cui il libro parla, è proprio di che cosa significhi “essere inglesi”. Se si tiene questo riferimento in mente (che giunge esplicito alla fine, ma in realtà intreccia in una sottile trama di riferimenti tutto il testo), l’orizzonte in cui collocare il romanzo appare netto. Attraverso le diverse varianti della vita di Ursula, è possibile infatti dipingere varianti di comportamenti del singolo nel periodo che portò il mondo intero in un’epoca di cambiamento senza precedenti (di nuovo nella postfazione l’autrice sottolinea il suo essere nata negli anni Cinquanta come un punto di non ritorno). Emerge così anche la costellazione letteraria di modelli: il McEwan di Espiazione (Atonement, 2001), per le pagine sulla guerra, e pure quelle sul potere della narrazione e della fiction), ma anche la Byatt del Libro dei bambini [The Children’s Book, 2009] (parecchio); una serie infiniti di autori di media buona letteratura britannica (alcune scene sul senso di libertà paradossale di Londra sotto i bombardamenti rimandano al Prato di camomilla [The Camomille Lawn, 1984] di Mary Wesley, per esempio), oltre ai diari e cronache della guerra, citati sempre nella nota finale dalla Atkinson. Il risultato è un affresco ambizioso (e ben riuscito), nel quale la saga familiare, la storia, la formazione (a suo modo) l’ucronia si mescolano nelle varie riscritture a ripetizione dello stesso inizio, a sancire quella che può essere la morale della storia (se se ne vuole trovare una, tra tante), e cioè la convinzione, così tutta e profondamente liberale e British, nel profondo, che la storia dell’Inghilterra può essere ritrovata e rinarrata, tutta quanta, in quella di ogni singolo cittadino dell’isola. Ed è forse questa Britishness così pervasiva a determinare, in ultima analisi, la difficoltà di una recensione main stream della Atkinson in Italia.

[Immagine: Emmet Gowin, Edith, Ruth, and Danville (gm)]

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *