di Daniele Balicco
I.
Elzéard Bouffier non è mai esistito. Eppure, dopo la pubblicazione del breve racconto L’uomo che piantava gli alberi (Salani editore, 2010), per anni, moltissimi lettori scrissero a Jean Giono chiedendone impazientemente notizie. È realmente vissuto? Esiste davvero, nel Sud della Francia, quella sterminata foresta di querce e faggi da lui creata semplicemente piantando ogni giorno 100 alberi, per oltre trent’anni? Nel racconto di Giono, Elzéard Bouffier è un pastore francese che, ormai cinquantenne, dopo aver perso moglie e unico figlio, decide di ritirarsi sulle montagne intorno a Vaucluse. Il narratore lo incontra una sera, per caso. Ha bisogno di riparo per la notte perché si è inoltrato in un impervio sentiero di montagna e il villaggio più vicino è ormai irraggiungibile. Per di più, il paesaggio che lo circonda è arido, argilloso, senz’acqua; e la sua desolante monotonia viene interrotta qua e là solo da qualche sparuto ciuffo di lavanda selvatica. Ormai è sera, ma per fortuna viene incontro al narratore un pastore di mezz’età che gli offre da bere, un pasto e un riparo dove dormire. Quell’uomo si chiama Elzéard Bouffier. Dopo cena, e dopo aver rifiutato il tabacco che il giovane gli ha offerto, senza parlare prende un mucchio di ghiande e le mette sul tavolo. Meticolosamente inizia a controllarle, una ad una. Scarta quelle marce, quelle sane le ordina in dieci file da dieci. Quindi, le chiude in un fagotto di tela. L’indomani il giovane, stregato da quell’uomo solitario e del suo misterioso rituale, lo saluta, ma poi decide di seguirlo fin quando non scopre il suo segreto. Ogni giorno Elzéard, dopo aver portato il gregge al pascolo, se ne allontana di qualche chilometro per piantare le ghiande che ha selezionato la sera prima. In tre anni, da solo, è riuscito così a coltivare più di 100.000 querce. Arriverà la Prima Guerra Mondiale, poi la Seconda. Ma quell’uomo solitario, al riparo dai disastri della storia, continuerà imperturbabile a piantare alberi. Ogni anno il giovane torna a trovarlo ed ogni anno l’estensione del bosco aumenta fino ad assumere dimensioni vertiginose: “se si teneva a mente che era tutto scaturito dalle mani e dall’anima di quell’uomo, senza mezzi tecnici, si comprendeva come gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre che alla distruzione”.
II.
José Saramago lesse L’uomo che piantava gli alberi nel 2007. Così annota nel suo Ultimo Quaderno (Feltrinelli, 2010): Elzéard Bouffier “ha piantato migliaia di alberi sulle Alpi francesi, migliaia di alberi che successivamente, per azione della natura stessa così assistita, si sono moltiplicati in milioni, con gli alberi sono tornati gli uccelli, sono tornati gli animali dei boschi, è tornata l’acqua, proprio lì dove non c’era stato altro che aridità. Siamo davvero in attesa che arrivino un bel po’ di Elzéard Bouffier reali. Prima che per il mondo sia troppo tardi”. Elzéard Bouffier non è mai esistito, dunque. Eppure, un giovane adolescente tedesco di tredici anni – si chiama Felix Finkbeiner – potrebbe esserne la compiuta incarnazione. Questo ragazzo ha infatti già piantato, da solo, in quattro anni, più di un milione di alberi. Ha anche fondato un’associazione, ormai diffusa in mezzo mondo, con un nome inequivocabile: stop talking, start planting. Nei manifesti che la sponsorizzano, un bambino impedisce ad un adulto di parlare, chiudendogli, con la mano, la bocca. L’obiettivo dell’associazione è quello di piantare un triliardo di alberi in un decennio. Finkbeiner è stato ricevuto l’anno scorso dall’assemblea dell’Onu. Di fronte alla seduta plenaria del Palazzo di vetro, senza alcuna agitazione, scandendo parola per parola, questo straordinario ragazzino di tredici anni ha detto: “Io non mi fido di voi adulti. Parlate e non fate nulla. Per quale ragione, alla mole di analisi e di studi che avete finanziato e state finanziando da decenni corrispondono azioni così irrisorie, se non ridicole, sicuramente inefficaci? State vivendo in una favola che presto si trasformerà in un incubo. È il vostro futuro, ma sarà il mio presente. Non c’è più tempo, svegliatevi”.
III.
Più di cinquecento anni fa, Michelangelo piantò a Roma un cipresso dentro il parco delle terme di Diocleziano. L’albero è ancora oggi visibile: il suo profilo scuro s’innalza solitario sopra il cortile interno delle terme. Gli alberi antichi, come per magia, ci mettono fisicamente in contatto con la storia di chi ci ha preceduto. Se ci spostiamo dalle terme di Diocleziano e andiamo a Magliano in Toscana, in provincia di Grosseto, possiamo ammirare l’Olivo della Strega, un albero imponente che supera i 3000 anni di vita. È stato piantato in età etrusca. Storie e leggende popolari lo ritengono magico perché capace di far crescere, senza che nessuno le coltivi, piantine di fagioli sotto la sua chioma. Di notte, oltre a tutto, pare ci abiti, da sempre, una strega. In un paesino vicino a Napoli, invece, dei Crociati, tornado da Gerusalemme, piantarono delle sementi rubate dal giardino del Getzsemani. È l’olivo di Cicciano: ha più di 1600 anni. Pochi sanno che in Italia vivono almeno 23 patriarchi arborei, vale a dire piante con più di 1000 anni di vita. Cinque si trovano in Sardegna, quattro in Sicilia. Gli altri sono disseminati qua e là, lungo tutto il territorio nazionale. Il più antico albero italiano si chiama S’Ozzastru ed è un maestoso olivo di quasi 4000 anni: si trova nella provincia di Oristano, nel comune di Luras. Il più antico castagno del mondo, invece, supera i 3000 anni di vita. Sta abbarbicato alle pendici dell’Etna, a Sant’Alfio, in provincia di Catania. Sotto la sua chioma infinita pare che la Regina Giovanna d’Aragona si riparò, sorpresa da un subitaneo temporale estivo, con tutta la sua corte di cento cavalieri. Di qui il nome: il Castagno dei cento cavalli. Se gli alberi antichi ci mettono fisicamente in contatto con la storia di chi ci ha preceduto, andrebbe sempre ricordato che la loro esistenza protegge anche il nostro futuro. Come ci ricorda Mario Pianesi, nel volume Alberi Sacri. Alberi secolari in Italia (Edizioni La Pica, 2011), è proprio con il gimnosperma di queste piante fortissime, capaci di lottare contro il tempo, che bisognerà ricostruire, come sta facendo Felix Finkbeiner, le foreste di domani.
Ieri a Roma, nel quartiere Esquilino, un gruppo di residenti si è messo a piantare melograni in uno spiazzo bellissimo, ma lasciato abbandonato da anni. Qualche settimana fa, stessa scena al quartiere Pigneto. E’ un gesto antico, semplice e fortissimo. Speriamo si diffonda. Stop talking, start planting.
Molto bello! Grazie! E sì, piantiamo alberi. Anche perché piantar grane conviene sempre…
Una sola annotazione: castagni e olivi non sono gimnosperme. Bisogna combattere con tutte le spermatofite!
Sono anni che si lavora per la loro conoscenza. Sono anni che si attraversa il paesaggio per conoscere questi grandi patriarchi. “Homo. Radix. Appunti per un cercatore di alberi”, “Le bocche di legno. Guida aborea del Piemonte”, “Taccuino del cercatore di alberi. Giardini botanici Hanbury”, “Itinerari dei ficus della Baia di Moreton a Sanremo e Singapore” o anche “Abbracciare gli alberi” di Giuseppe Barbera sono fra i volumi che ne fanno conoscere il valore.
E`davvero molto bello. Sembra un saggio di Walter Benjamin. Questo tipo di lettura fa sperare e penso che ce ne vorrebbero di piu` cosi`, soprattutto in un momento dove i sogni sono davvero una cosa rara, oppure sono troppi ma troppo vuoti. questo e` un articolo che va letto piu` di una volta per coglierene le immagini disseminate come i semi degli alberi che crescono in punti diversi dell’Italia con immagini diverse. Sarebbe bello che si fondassero dei piani a lungo termine nelle relazioni con gli altri, nell`economia, nella politica, nella produzione di cose. e che crescessero gradualmente nel tempo, con un ritmo e una forma che ci manca. ci vuole molto lavoro per fare questo. non si fa certo in un giorno.e quindi, probabilmente, bisognerebbe anche imparare a vivere questo lavoro come se ogni anello del tronco di un cosi` grande albero fosse in qualche modo gia` l’incarnazione della foresta intera. E` anche questa probabilmente la realta` di un personaggio libresco che non esiste, come le piantine di fagioli che si trovano sotto l’olivo della strega, o le leggende. ma che tuttavia rimangono figure del possibile, cosi`, come sono state gia` realizzate qualche volta, per fortuna, oppure che potrebbero essere realizzate tra di noi,ancora. mi piacerebbe partecipare a questo progetto che mette il presente dell’albero che vediamo oggi cosi`vicino a quello piantato millenni prima…perche` magari in questo modo si crederebbe di piu`a quello che ancora dovrebbe venire. forse si sentirebbe piu` vicino come ha pensato Saramago. Mi sembra un bella allegoria dei progetti umani, insomma, di societa` da fare, ma anche della letteratura , visto che dalla letteratura l’articolo inizia. Ci sono dei personaggi o delle storie che non sono reali, ma non per questo false, che rappresentano degli spazi in piu`di cui sarebbe bello ce ne potessimo impadronire per diventarne responsabili e crescerle insieme come e` riuscito a fare invece da solo questo bambino tedesco partendo dai piccoli semi dei suoi grandi alberi.
Adoro il fico: cresce ovunque, negli interstizi dei marciapiedi, in piccoli posti ma, almeno a Bari, come in via concilio vaticano II, appena ne vedono uno lo estirpano. IL fico è un albero primordiale, sviluppa una chioma vasta, ombrosa, magnifica, dà frutti saporiti..sogno la mia Bari ricoperta e adorna di fichi, spuntano facilmente ma altrettanto agevolmente li tolgono via…perché? Caro sindaco, perché non rendere la nostra città più verde, più bella?
E la foto a quale città si riferisce? magari a Bari ci fossero alberi così, con le chiome che s’intrecciano da un lato all’altro della strada…
domani pianto un albero nel parchetto maltrattato sotto casa. voi?
Grazie. Très touchant, ci vogliono storie così. Parlano di alberi, e intanto rinviano alla forza immensa del singolo, uomo e gesto, che richiama altri uomini e altri gesti.
E come insistere a ripetere I sepolcri di Ugo Foscolo, per chi può. Tanto merito!
se m’affaccio alla finestra di casa mia, sul versante opposto della collina, in questi giorni c’è uno spettacolo gratuito di luci e colori offerto dal piccolo bosco impiantato da uno sconosciuto signore che, piuttosto che distruggere la bellezza primigenia della collina a colpi di pannelli fotovoltaici, accodandosi alla barbarie economicista di tanti suoi viciniori, ha preferito impiantare anni fa ciliegi, noci, aceri, etc… così, adesso che è autunno e che sono cresciuti, basta alzare lo sguardo per essere rassicurati e consolati dalla misteriosa potenza di quei gialli, quei rossi, quei marron a cui si volge grato lo sguardo.
ps: bel pezzo. Chi scrive è anche grato ai curatori del sito per la scelta, che mi pare ottima per la salvaguardia dell’igiene mentale dell’internauta, di postare un solo pezzo al giorno.
A proposito dell’Olivo della strega di Magliano in Toscana, ho scritto sullo stesso su Le Antiche Dogane, correggendo la fandonia dei fagioli. L’olivo dei fagioli, sempre a Magliano in Toscana è, anzi era, un’altra pianta, in quanto è stata “gambizzata” nei primi anni del 1900, perchè il proprietario del fondo non voleva più pellegrini nella sua terra. La pianta era ritenuta miracolosa, forse si trattava di una anagiride, anche se le prove non ci sono più.
Il Nome olivo della strega, deriva dalla forma contorta del tronco, ormai secco, causa un fulmine nell’immediato dopo guerra, che gli agenti atmosferici hanno modellato e disegnato figure di donna, di animali, spiritelli, ecc.La pianta però nonostante i suoi 3000/3500 anni, il fulmine, l’incuria degli uomini, è vegeta in un pullone che da diversi anni produce olive. Il vecchio tronco invece, è come mummificato, ma purtroppo la lupa lo sta distruggendo.