di Fabián Ludueña Romandini
[Fabian Ludueña Romandini è filosofo, ricercatore al CONICET e professore alla Universidad de Buenos Aires. Tra i suoi libri La comunidad de los espectros I (Buenos Aires 2010) e H.P. Lovecraft. La disgiunzione nell’essere, di prossima pubblicazione in Italia presso Quodlibet. La traduzione di questo intervento è di Emanuele Coccia, che ci ha segnalato il testo e che ringraziamo]
All’attenzione di un “joyful man”
I.
Scrivere sulla Chiesa dal punto di vista di una filosofia pratica che resti estranea alla sua fede significa riconoscere che la predicazione apostolica ecclesiastica non riguarda solo la vita dei cattolici perché, come istituzione politica, essa presenta la vocazione di operare su scala planetaria nello spazio pubblico dell’ordine geopolitico, anche se come attore molto particolare. Riconoscere quest’azione della Chiesa non significa accettare la sua dogmatica teologica, ma al contrario analizzare la sua pastorale come una forma di intervento sociale e culturale che deve essere sottomessa a giudizio anche da parte di chi rivendica posizioni proprie del repubblicanesimo laico. A volte, in origine, la Chiesa cristiana aveva saputo mantenere una miscela di pratiche democratiche associate con la struttura delle figure proprie dell’impero. Oggi, i concili e i sinodi conservano, in modo archeologico, alcuni resti di questo passato. Si assiste in questi giorni al Sinodo della Famiglia a Roma. Come è noto i sinodi non cambiano i dogmi: hanno una funzione esclusivamente consultativa per il sommo pontefice. Essi però riflettono, per la loro stessa natura, uno stato del dibattito nel seno della Chiesa cattolica.
Nel passato dell’Occidente l’istituzione ecclesiastica ha rappresentato, assieme a una parte concomitante di barbarie, un motore di civilizzazione incomparabile che ha modellato il mondo per almeno più di un millennio. Dal periodo delle rivoluzioni moderne, però, la Chiesa ha ridotto poco a poco il suo carattere di creatrice di ecosistemi culturali e si è trasformata in uno strumento di mera conservazione di dogmi che erano stati disegnati per congiunture passate, che non avevano nulla a che vedere con i nuovi tempi della scienza e della politica che i moderni hanno condotto nell’arena pubblica. In questo modo essa si è convertita in uno strumento della retroguardia culturale, che rincorre le incomparabili trasformazioni del capitalismo trionfante (che, paradossalmente, essa stessa ha contribuito a creare).
Lontana da ogni audacia culturale, la Chiesa ha dissociato le problematiche del corpo e della famiglia proprie di una società del basso medioevo per trasportarle in una cultura ipermoderna la cui metafisica politica risponde alle domande di una scienza positiva per la quale i corpi e i desideri rivestono un significato completamente nuovo. Da questo punto di vista, l’anacronismo politico della Chiesa contemporanea nel suo volto di ortodossia istituzionale è la base del suo conservatorismo intrinseco, costruito sulla base di uno spirito antimoderno esplicito. Gli Stati, dunque, che hanno costruito le loro politiche sociali e di diritto della famiglia con relativa indipendenza rispetto alle esigenze ecclesiastiche, hanno semplicemente cercato di rispondere alle esigenze che erano alla base della loro creazione. L’uguaglianza di diritti per le donne, il divorzio, l’unione di fatto, il matrimonio omosessuale sono alcune delle ultime conseguenze ineluttabili dell’etica moderna laica.
Da questo punto di vista, l’attuale Sinodo della Famiglia non riveste alcuna importanza come motore della mutazione sociale. Come succede da secoli, la Chiesa si limita, nel migliore dei casi, a ratificare simbolicamente i cambiamenti di una cultura la cui accelerazione non essa può né provocare né comprendere. Ciononostante, alcuni gesti di apertura del Sinodo, del resto piuttosto tiepidi, risultano interessanti rispetto allo stato della cultura globale con cui si confrontano i fedeli della chiesa cattolica. Si può vedere con chiarezza che la Chiesa non genera nessun cambiamento sociale ma si adatta, e ancora in modo molto insufficiente, alle trasformazioni che si sono prodotte fuori dal suo seno, nel mondo. Di tutti i temi in questione nel Sinodo (che per definizione, come ricordavamo, non avrà alcun impatto sull’evoluzione dei dogmi) ci soffermeremo un momento sulla questione delle diversità sessuali in generale e degli omosessuali in particolare per la concezione della chiesa.
Il corso della storia ha mirato, dalla prima decade del XXI secolo, verso il riconoscimento del matrimonio per le coppie dello stesso sesso. Il nuovo corso sembra ineluttabile e, sebbene abbia bisogno di molto più tempo, la sua estensione su scala dei principali paesi laici dell’Occidente risulta inevitabile. Ovviamente le lotte per i diritti di individui e coppie LGBTIQ su scala mondiale dovrà continuare perché la persecuzione quotidiana, fino all’assassinio per la condizione sessuale sono minacce permanenti che possono trovarsi, sotto congiunture completamente differenti, in diversi paesi del globo. È necessario, pertanto, che non si arresti l’azione degli attivisti e delle organizzazioni che debbono far fronte a situazioni che vanno dai paesi con leggi criminali contro la diversità sessuale fino a condizioni di severe ingiurie quotidiane per i membri delle minoranze LGBTIQ nei paesi sviluppati.
Riconoscendo tutto questo, desideriamo però adottare in questo contesto il punto di vista del divenire macrostorico nella sua direzione moderna. Questo vettore mira, senza dubbio, all’ottenimento del riconoscimento universale dei diritti LGBTIQ, almeno in tutto il mondo occidentale e oltre (con varianti e sfumature che ovviamente non possiamo analizzare qui). La prima relatio post disceptationem che dà conto dei risultati della prima discussione del Sinodo della Famiglia rivela già le divisioni di una Chiesa nel cui seno abitano fazioni politiche desiderose semplicemente che la Chiesa riconosca simbolicamente alcuni cambiamenti presenti in un mondo culturale che non potrà rovesciare. Il realismo politico può essere anche un sintomo dell’impotenza verso i cambiamenti che non solo non sono sorti dal nucleo di un’istituzione ma che minacciano il suo stesso capitale simbolico. Ovviamente, l’ala conservatrice ha trasformato le prime dichiarazioni in una dimostrazione di ottimismo che più tardi, ancora una volta, è stata raffreddata considerabilmente. Questi sono i tempi ecclesiastici e le norme della politica vaticana. Ma le fratture che si sono prodotte e le dispute interne sono divenute visibili. È facile prevedere che, nel futuro, la crepa si allargherà inesorabilmente fino a che la Chiesa si vedrà forzata ad ammettere di diritto quello che già accade di fatto (o anche di diritto) in molti paesi laici, ovvero che la pastorale ecclesiastica non può regolare la famiglia moderna o la sessualità umana ma adattarsi semplicemente a quello che gli stati laici hanno provocato nel loro seno a partire dalle onde culturali dominanti.
II.
Ma la Chiesa che durante secoli modellò le forme della sessualità e della famiglia non è l’unica e nemmeno la più colpita da questi mutamenti epocali. Più interessante della stessa Chiesa è il fatto che questi cambiamenti sociali stanno colpendo, sin da ora, i movimenti stessi che li hanno provocati. In politica, bisogna riconoscerlo, ogni attivista è molto più preparato per la lotta utopica che per il trionfo della sua causa. Ma da un po’ di tempo la constatazione è inevitabile: la causa LGBTIQ ha ottenuto dei sonori successi e si può prevedere che, al di là dell’importanza dei calcoli temporali, quello che prima si presentava come un’illusione non solo ha avuto seguito, ma, con ogni probabilità, si assicurerà un futuro nel nuovo ordine mondiale. Questo futuro dipenderà, come sempre, dalle vicissitudini della politica (fatta di progressi e di regressi), ma il vettore generale continuerà a essere favorevole, ci sembra, alle domande delle minoranze sessuali, a meno che disastri ecosistemici o catastrofi politiche (che non possono mai essere escluse) conducano il mondo verso una nuova età oscura.
Jean Genet in una lettera a Jean-Paul Sartre sosteneva che l’omosessualità era un rifiuto di prolungare il mondo. L’enunciato rifletteva certamente una forma di percezione politica che la stessa teoria queer, in un certo modo, ha fatto poi sua, con le sfumature accademiche del caso. L’omosessualità (come prima manifestazione di diversità sessuali ancora più complesse) è diventata una delle forme per eccellenza dei margini politici, il che equivale a dire, dell’avanguardia storica. L’outcast sessualmente diverso poteva immaginarsi, nella sua stessa esclusione, come portatore di un’azione contestataria rispetto alla società e, a fortiori, come incarnazione di una forma di vita potenzialmente eversiva e innovatrice. La nuova piega della storia propone, invece, una situazione scomoda per gli attivisti e i teorici (non tutti, bisogna dirlo, anche se la maggioranza) che sottoscrivono la visione della diversità sessuale come avanguardia culturale e politica. Il trionfo politico in corso su scala globale corre il rischio di sottrarre tutto il potenziale di innovazione dai margini o la radicalità a tutto il movimento della diversità sessuale.
Gli omosessuali – per citare solo un esempio— sono preparati per il successo culturale e politico del matrimonio egualitario e dei nuovi diritti della famiglia? Sarebbe ingenuo pensare che il problema riguarda solo coloro che desiderano sposarsi. Un errore grossolano. L’uguaglianza di fronte al matrimonio giuridico fa si che ipso facto tutta la comunità omosessuale (inclusi i suoi membri refrattari al matrimonio) si vedano trasformati nella loro situazione di fatto e di diritto. Qualunque proposta di diversità sessuale ora si iscrive in una risposta al dispositivo giuridico che, legalmente, rende indifferenti eterosessuali e omosessuali. Mutatis mutandis, qualsiasi atto di dissidenza rispetto al modello matrimoniale non assegna agli omosessuali nessun tratto essenzialmente diverso di quello che può avere un eterosessuale che si comporta in modo contrario e non conforme al canone matrimoniale dominante. L’amalgama di eguaglianza giuridica di eterosessuali e omosessuali davanti alla legge porta effetti congiunti inevitabili di eguaglianza politica tra i mores della società. Considerato da questo punto di vista, un atto di dissidenza sessuale non si differenzierà in sostanza per il suo carattere etero o omosessuale. Nuove partizioni, probabilmente, sorgeranno.
Nonostante questo, resta la questione essenziale del futuro: come potranno la militanza e la teoria queer sopravvivere al loro trionfo culturale e storico? Riusciranno ad assumere, con la caduta del velo dell’originalità politica che questi fatti presuppongono, il loro nuovo ruolo di difensori ed estensori di diritti già esistenti rinunciando a quello di essere innovatori culturali della radicalità? In altre parole, gli omosessuali sono pronti ad assumere il lato amaro dei trionfi culturali dopo aver gustato le attrattive romantiche del margine? Questo gesto implicherebbe una rassegnazione alla funzione di consolidare, ricreare e favorire il diritto o i costumi senza l’eredità, divenuta impossibile, di essere coloro che li mettono in dubbio come ribelli intrinseci.
Alcuni diranno che il prossimo passo sarà la messa in questione di molte figure del diritto in quanto tale, cominciando proprio dal matrimonio per se. Questa sarebbe una impresa lodevole, che senza ombra di dubbio, potrà trovare associati, in un medesimo gesto, eterosessuali e omosessuali, facendo di questa partizione sessuale primitiva un accidente interno a un progetto politico più ampio. L’opzione sessuale cesserà dunque di essere la cifra dell’avanguardia. Quest’ultima, sicuramente, si costruirà in altri margini, con altri attori, per il momento totalmente inaspettati o portatori di una novità probabilmente ancora irriconoscibile per chi, come noi, ha formato le proprie aspettative politiche nel ventesimo secolo (culturalmente già lontano). Per questo, le congiunture proprie di questo Sinodo della Famiglia della Chiesa di Roma non rappresentano, in nessun modo, una mutazione culturale maggiore o minore, ma solo (e niente meno che) un segno dell’inizio del depotenziamento, per la prossima lunga epoca culturale, di una delle avanguardie politiche più vitali del secolo passato.
[Immagine: David LaChapelle, Jesus Is My Homeboy (gm)].
Molto interessante e condivisibile questo pezzo. In particolare, per la prospettiva che apre nel finale: un lento, graduale superamento dell’istituto matrimoniale in sé. Non c’è nessuna ragione per non pensare in futuro ai soli pacs (patti civili di solidarietà) come riconosciuti pubblicamente, mentre il matrimonio resterebbe come una tradizione arcaico-religiosa seguita in privato da taluni.
‘Sì, la vita familiare è “un casino”. Ma lo è anche la parrocchia, che è “la famiglia delle famiglie”‘ (dalla testimonianza di Ron e Mavis Pirola al Sinodo)… Parrocchia troubles: queer rules!
Articolo interessante, che peraltro evita le solite secondo me totalmente errate affermazioni secondo cui le gerarchie ecclesiastiche non hanno alcuna legittimità nell’esprimere opinioni relativamente a tematiche politiche che coinvolgono tutti i cittadini di uno stato, anche quelli non appartenenti a quella confessione religiosa. In fondo i vescovi italiani sono cittadini italiani come tutti gli altri e hanno pienamente diritto a costituire un gruppo di pressione o lobby allo scopo di influenzare l’opinione pubblica e i processi legislativi allo stesso modo con cui lo fanno i sindacati o gli industriali del petrolio. Inutile anche tirare in ballo la questione del concordato, in quanto se esso esiste ancora e permette un rapporto tra stato italiano e chiesa cattolica diverso da quello di altre confessioni religiose è perché il popolo italiano nel corso di tutte le elezioni politiche finora avvenute, non ha eletto partiti e leader interessati a revisionarlo per arrivare a un trattamento egualitario di tutte le confessioni religiose da parte dello stato. In conclusione, in un regime democratico ogni popolo ha le leggi che in quel momento si merita.
Altre due rapide osservazioni: bisogna comunque far notare che la tanto sbandierata “famiglia tradizionale” (mononucleare, monogamica, basata sull’amore romantico tra i coniugi…) non è in realtà che uno dei tanti esempi di “invenzione della tradizione”, come qualunque antropologo può confermare e quindi per nulla universale sia nel tempo che nello spazio (e ad essere sinceri non mi risulta neppure universale neppure nei duemila anni di storia della chiesa, anche se non sono il massimo esperto al riguardo).
Per il resto direi anche che uguaglianza di diritti non dovrebbe significare tuttavia un appiattimento delle identità, in quanto, come ho già affermato prima, ci si deve rendere conto che certe istituzioni con relativi diritti sono state pensate da certe identità per se stesse in un certo contesto, e non è corretto estenderle semplicemente a minoranze discriminate senza che queste ultime le possano “modellare” in modo a un loro modo di pensare e vedere il mondo. E’ un discorso che è stato fatto anche dentro il femminismo: è un diritto che le donne possano accedere a tutti i posti di lavoro, tuttavia non è corretto affermare che le donne sono ancora discriminate per il semplice fatto che ci sono poche donne nei lavori di classe dirigente, nei lavori dei leader politici o nei lavori in cui ci si dedica a tempo pieno ad ascendere in una carriera da manager. Il fatto è che valori come l’enfatizzare la propria personalità come autonoma e staccata dalle altre, l’avere poteri decisionali al vertice di una piramide e il dedicare tutta una vita al lavoro e all’ascendere alla carriera come obiettivo ultimo sono tutti valori non universali ma legati a certi maschi occidentali di una certa epoca e luogo. Altre persone possono sentirsi realizzate enfatizzando una vita legata a una visione di sé non come autonomia slegata ma come condivisione e cura dell’altro, non come potere decisionale dall’alto ma potere come cooperazione “a cerchio” tra pari e una visione del lavoro e carriera non come gara a chi è più bravo nella vita ma magari come semplice mezzo per guadagnarsi da vivere dove si può essere felici anche se non si ascende di carriera in quanto si hanno altre modalità per realizzarsi nella vita. Potremmo pensare un discorso simile anche nella questione omosessuale e sulla famiglia in generale.
A rino genovese: in effetti io non ho mai capito cosa distinguerebbe un pacs-unione civile da un matrimonio, ho sempre visto il primo come un espediente politico per aprire al matrimonio gay in stati dove c’erano ancora vari conservatori che continuavano a dire “ma il matrimonio e la famiglia tradizionale sono un altra cosa”, insomma una semplice doppione del matrimonio con un etichetta diversa e al massimo solo con il non permesso di adottare ma con tutto resto, diritti e doveri, uguali al matrimonio. Cosa distinguerebbe secondo te il matrimonio “come tradizione arcaico-religiosa seguita da alcuni” dal punto di vista legale, prescindendo dunque da significati religiosi?
“Penso che il movimento LGBT sia quasi l’opposto di quello femminista lesbico. Originariamente, Gayle Rubin disse che tutti i soggetti che si riconoscevano nella sessualità dissidente dovevano strutturarsi in qualche modo, però questa non rappresenta un‘unione, è una specie di comunità fittizia… possono esserci gay, trans, lesbiche, ecc. con una sessualità e identità di genere dissidenti, che non necessariamente mettono in discussione il regime eterosessuale. Per noi metterlo in discussione significa abolire il matrimonio e non rivendicare il matrimonio omosessuale, significa decostruire la famiglia come fondamento della società perché sappiamo come influisce sulla femminilità… ”
Ochy Curiel, intervista
http://intersezioni.noblogs.org/condivisioni/non-credo-piu-in-una-solidarieta-femminista-transnazionale-in-se/
Ricordo che di “ineluttabile” [ “il nuovo corso sembra ineluttabile”, dice l’Autore] c’è solo la morte.
Vabbuò, questa è troppo facile
Più che dell’istituto del matrimonio, auspico la fine della pretesa della legge di definirne i contenuti. Fatta salva la tutela dei minori, trovo sempre sconcertante che due adulti non possano liberamente decidere quali diritti e quali doveri ritengono fondamentali per la loro relazione e siano costretti ad aderire ad un modello dato; né comprendo perché la gestione dei loro patrimoni in vita e in morte debba sottostare a regole generali e non possa assumere la forma del semplice contratto. Personalmente la trovo una delle più insopportabili ingerenze dello Stato nella vita degli individui.
a DFW vs RB
Buona la battuta; però guardi che è vero, di ineluttabile c’è solo la morte. La vita e la storia hanno più fantasia.
a Michela.
E perchè solo “due adulti”? Perchè non tre, o altro numero a piacere (eventualmente con turnazione)?
In generale.
Il matrimonio è superato. Il posto fisso è superato. Lo Stato nazionale è superato. Il welfare è superato. In effetti, si supera a sinistra. Avventurosi, ma ligi al codice stradale.
Com’è lucida e tonica la prosa di Fabián Ludueña Romandini per come la traduce Emanuale Coccia!, per il quale, così mi pare, è sventurata la terra che ha bisogno di eroi ma sfigatissima e probabilmente noiosetta quella che resta a corto di martiri facilmente puntabili.
Fabián Ludueña Romandini si chiede chissà chi farà da avanguardia ora che anche gli omosessuali mettono la testa a posto e esprimono il loro bisogno di normalizzazione che non dispiacerebbe neanche tanto più nientedimeno che al Papa, per certi versi più liberale (un cristiano di vaglia può dare questa impressione, specie in un paese di cattolici da veglia) dei presunti e presuntuosi progressisti italiani anticlericali di concetto che se possono non si lasciano sfuggire una panca in prima fila durante le solennità a reti unificate.
Finalmente gli omosessuali potranno non essere più associati automaticamente a quella dissidenza che spesso non hanno mai praticato o che hanno praticato proprio se costretti, e si potrà riconoscere agli avanguardisti che la loro eccezionalità non è mai riducibile strettamente al loro orientamento genitale.
Evviva se non saranno più le preferenze sessuali a far dedurre giocoforza le scelte politiche, sfatando quest’altro mito che fa di una persecuzione inflitta il requisito minimo per uno scarto culturale libero e non condizionato. Chiamare avanguardia le persone messe a capo della fila per meglio essere calciate da dietro mi sembra una cattiva beffa tirata avanti da quel paio di millenni di troppo.
Le avanguardia culturali se si meritano e meriteranno questo nome non si accontentano di abitare i margini stabiliti dai conformismi dominanti: i nuovi spazi autonomi della critica e della alternativa se li inventano da sé; gli avanguardisti come piacciono a me non tengono esclusivamente a sembrare ‘più emancipati’ loro, ma provano a far notare quanto abbiano necessità gli altri di svecchiarsi pena l’arteriosclerosi precoce e l’autoesilio psichico in un mondo che non c’è più.
Non mi stupirebbe se all’avanguardia domani ci trovassimo tra gli altri imprevedibili anche qualche omosessuale, nonostante su carta gli saranno stati finalmente riconosciuti i diritti che in pratica stanno svuotando di sostanza a tutti.
I miei saluti!,
Antonio Coda
@ roberto buffagni:
beh, sì, in effetti non sono “ineluttabili” neppure i nostri regimi democratici occidentali attuali, dato che nulla vieta che tra qualche decennio troveremo i cammelli dell’Isis abbeverarsi alle fontane di Piazza San Pietro… Tutto questo naturalmente a prescindere dalle opinioni su che opinione si ha delle democrazie attuali, dei regimi teocratici e delle coppie omosessuali…
Ah, per la cronaca, esperienze di affettività e coabitazione tra più di due persone (da distinguere dai casi di poligamia dove i membri della associazione non sono di pari grado) erano diffuse fin dai tempi delle cosiddette “comuni” anni ’60 ma mi risulta non abbiano mai avuto grande diffusione a causa del fatto che presupponevano concezioni particolari di “fedeltà” e “gelosia” che sono alquanto impegnative. Di fatto comunque non mi risulta che i proponenti di tali forme di vita siano mai stati discriminati, ma più che altro perché tali proponenti erano e sono pochissimi.
@ michela:
non sono il massimo esperto di diritto di famiglia, ma bisogna essere cauti sul lasciare che due adulti “possano liberamente decidere quali diritti e quali doveri ritengono fondamentali per la loro relazione”, certo ci possono essere dei margini di flessibilità (ad esempio già adesso c’è l’opzione di scegliere tra comunione e separazione dei beni) ma potrebbe sempre succedere che uno dei due coniugi convinca l’altro che deve rinunciare ad esempio al diritto di assegno di mantenimento in caso di divorzio, e se uno dei coniugi a un certo momento della vita diventa molto debole economicamente e dunque l’altro coniuge lo accudisce, nel caso che in seguito avvenga un divorzio mi pare altamente ingiusto che il coniuge debole venga sbattuto in mezzo alla strada senza alcuna tutela.
Non è secondo me possibile affermare “ma hanno scelto loro di sposarsi con quelle regole” in quanto oltre alla libertà di vivere assieme come si vuole bisognerebbe anche evitare che uno dei due componenti di quella scelta abusi di questa libertà in base a una avvenuta sua maggiore potenza economica, finendo per limitare estremamente lo stato di uguaglianza nella coppia e la libertà dell’altro coniuge. Poi anch’io sono d’accordo che l’assegno di mantenimento all’ex coniuge più debole debba essere comunque temporaneo e dopo un certo numero di anni dev’essere l’assistenza pubblica ad occuparsi di eventuali persistenti sui problemi economici. L’unico aspetto secondo me totalmente superfluo adesso del matrimonio come è in Italia è la pensione di reversibilità (vecchio retaggio dei tempi in cui solo il marito lavorava), la quale dovrebbe essere sostituita da forme di integrazione del reddito di persone anziane sole, a prescindere dal loro stato civile. Non so se lei intendeva altri dettagli dell’istituto di matrimonio da poter essere disponibili a modifiche da parte dei coniugi.
Totalmente d’accordo con Antonio Coda. La presupposta (ma da chi?) eversività degli omosessuali è spesso pretestuosa: l’orientamento sessuale è trasversale a ogni posizione politica, sociale o culturale. Se si parte da uguali possibilità, allora sì che potranno emergere vere avanguardie, politiche o culturali, omosessuali o eterosessuali, riguardanti il discorso sul matrimonio o su altre istituzioni.
Se è per questo, si potrebbe dire – viceversa – che la condizione economica subalterna è trasversale a qualsiasi orientamento sessuale. Potremmo smetterla di ragionare in termini di struttura/sovrastruttura? Non perché ritenga “più fondamentale” (nel senso proprio di una strutturalità fondante, originaria) la lotta sui diritti, ma perché un’orizzonte di trasformazione sociale generalizzata deve tener conto di questioni che, di per sé, non si tengono. Il motivo per cui non “riconosciamo” come “rivoluzionario” un omosessuale è esattamente lo stesso per cui un omosessuale avrebbe ritenuto (o ritiene ancora) certi comunisti come dei retrogadi patriarcali: si tratta di “due rivoluzioni” che “non si riconoscono”. Giustamente, però, chi lotta per i propri diritti non vuole fare la rivoluzione di nessun altro. O la Rivoluzione – con la R maiuscola – si prende carico anche di lotte che rischiano di svolgersi in parallelo (e non solo come un accrocchio: non basta Luxuria in parlamento con Rifondazione per dire che si sta declinando il discorso queer in chiave anticapitalista), o altrimenti si ottengono, banalmente, lotte slegate, rivoluzioni diverse. Ma questo non ha nulla a che vedere con una “fondamentalità dell’economico”, con “l’economico in ultima istanza: ha a che vedere col potere.