[La settimana prossima esce, negli Oscar Mondadori, la raccolta di Tutte le poesie di Franco Fortini. Torna così disponibile per una nuova generazione di lettori l’opera di uno dei più grandi poeti italiani del Novecento, che da anni era scomparsa dai cataloghi editoriali. Nei prossimi giorni “Le parole e le cose” anticiperà un estratto del saggio introduttivo di Luca Lenzini, che ha curato il volume. Quella che segue è una piccola antologia delle poesie di Fortini].
La gioia avvenire
Potrebbe essere un fiume grandissimo
Una cavalcata di scalpiti un tumulto un furore
Una rabbia strappata uno stelo sbranato
Un urlo altissimo
Ma anche una minuscola erba per i ritorni
Il crollo d’una pigna bruciata nella fiamma
Una mano che sfiora al passaggio
O l’indecisione fissando senza vedere
Qualcosa comunque che non possiamo perdere
Anche se ogni altra cosa è perduta
E che perpetuamente celebreremo
Perché ogni cosa nasce da quella soltanto
Ma prima di giungervi
Prima la miseria profonda come la lebbra
E le maledizioni imbrogliate e la vera morte
Tu che credi dimenticare vanitoso
O mascherato di rivoluzione
La scuola della gioia è piena di pianto e sangue
Ma anche di eternità
E dalle bocche sparite dei santi
Come le siepi del marzo brillano le verità.
(da Foglio di via, 1946, 1967)
Agli amici
Si fa tardi. Vi vedo, veramente
eguali a me nel vizio di passione,
con i cappotti, le carte, le luci
delle salive, i capelli già fragili,
con le parole e gli ammicchi, eccitati
e depressi, sciupati e infanti, rauchi
per la conversazione ininterrotta,
come scendete questa valle grigia,
come la tramortita erba premete
dove la via si perde ormai e la luce.
Le voci odo lontane come i fili
del tramontano tra le pietre e i cavi…
Ogni parola che mi giunge è addio.
E allento il passo e voi seguo nel cuore,
uno qua, uno là, per la discesa.
(da Poesia e errore, 1959)
Traducendo Brecht
Un grande temporale
per tutto il pomeriggio si è attorcigliato
sui tetti prima di rompere in lampi, acqua.
Fissavo versi di cemento e di vetro
dov’erano grida e piaghe murate e membra
anche di me, cui sopravvivo. Con cautela, guardando
ora i tegoli battagliati ora la pagina secca,
ascoltavo morire
la parola d’un poeta o mutarsi
in altra, non per noi più, voce. Gli oppressi
sono oppressi e tranquilli, gli oppressori tranquilli
parlano nei telefoni, l’odio è cortese, io stesso
credo di non sapere più di chi è la colpa.
Scrivi mi dico, odia
chi con dolcezza guida al niente
gli uomini e le donne che con te si accompagnano
e credono di non sapere. Fra quelli dei nemici
scrivi anche il tuo nome. Il temporale
è sparito con enfasi. La natura
per imitare le battaglie è troppo debole. La poesia
non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.
(da Una volta per sempre, 1963)
Agli dèi della mattinata
Il vento scuote allori e pini. Ai vetri, giù acqua.
Tra fumi e luci la costa la vedi a tratti, poi nulla.
La mattinata si affina nella stanza tranquilla.
Un filo di musica rock, le matite, le carte.
Sono felice della pioggia. O dèi inesistenti,
proteggete l’idillio, vi prego. E che altro potete,
o dèi dell’autunno indulgenti dormenti,
meste di frasche le tempie? Come maestosi quei vostri
luminosi cumuli! Quante ansiose formiche nell’ombra!
(da Questo muro, 1973)
Sonetto dei sette cinesi
Una volta il poeta di Augsburg ebbe a dire
che alla parete della stanza aveva appeso
l’Uomo del Dubbio, una stampa cinese.
L’immagine chiedeva: come agire?
Ho una foto alla parete. Vent’anni fa
nel mio obiettivo guardarono sette operai cinesi.
Guardano diffidenti o ironici o sospesi.
Sanno che non scrivo per loro. Io
so che non sono vissuti per me.
Eppure il loro dubbio qualche volta mi ha chiesto
più candide parole o atti più credibili.
A loro chiedo aiuto perché siano visibili
contraddizioni e identità fra noi.
Se un senso esiste, è questo.
(da L’ospite ingrato secondo, 1985)
Reversibilità
Anassagora giunse ad Atene
che aveva da poco passati i trent’anni.
Era amico d’Euripide e Pericle.
Parlava di meteore e arcobaleni.
Ne resta memoria nei libri.
Si ascolti però quel che ora va detto.
Anche la grandissima Unione Sovietica e la Cina
esistono, o l’Africa; e le radio
ogni notte ne parlano. Ma per noi, per
noi che poco da vivere ci resta,
che cosa sono l’Asia immensa, il tuono
dei popoli e i meravigliosi nomi
degli eventi, se non figure, simboli
dei desideri immutabili, dolorosi? Eppure
– si ascolti ancora – i desideri immutabili
dolorosi che mordono il cuore nei sonni
e del poco da vivere che resta
fanno strazio felice, che cosa sono
se non figure, simboli, voci,
dei popoli che mutano e si inseguono,
degli uomini che furono e che in noi
son fin d’ora? E così vive ancora,
parlando con Euripide e con Pericle
di arcobaleni e meteore, il filosofo
sparito e una sera d’estate
ansioso fra capre e capanne di schiavi
entra ad Atene Anassagora.
(da Poesie inedite, 2005)
Molto chiare…
Molto chiare si vedono le cose.
Puoi contare ogni foglia dei platani.
Lungo il parco di settembre
l’autobus già ne porta via qualcuna.
Ad uno ad uno tornano gli ultimi mesi,
il lavoro imperfetto e l’ansia,
le mattine, le attese e le piogge.
Lo sguardo è là ma non vede una storia
di sé o di altri. Non sa più chi sia
l’ostinato che a notte annera carte
coi segni di una lingua non più sua
e replica il suo errore.
È niente? È qualche cosa?
Una risposta a queste domande è dovuta.
La forza di luglio era grande.
Quando è passata, è passata l’estate.
Però l’estate non è tutto.
(da Paesaggio con serpente, 1984)
Questo verso
– Tu conmigo, rapaz? – Contigo, viejo.
Notte ancora e la casa nel suo sonno.
Già sveglio, andavo alla finestra, aprivo
le imposte del terrazzo,
su quella ringhiera posavo la fronte.
Oltre gli orti ancora bui, le chiese e i culmini,
il cielo era chiaro in cima ai rami
dei platani, dei lecci e degli allori.
Il disegno era rigido e preciso,
contro i colli, dei cipressi e delle rondini.
Perché pietà per quell’ombra, perché
la scongiuro se scorgo
le orme di minuscole ferite
sui ginocchi dei ragazzi e, mi rammento,
gustavo fra i denti le croste brunite
raschiate alle mie cicatrici.
Atterrito dal mondo e da se stesso
Egli fermava contro il ferro la sua tempia.
Rispondo che è pietà per l’avvenire,
per il patire interminato che
entro tanto splendore uno spavento
come una bestia immane dall’azzurro
annunziava a quel misero tremante
nella felicità che il pianto libera.
Da qui lo assisto, da qui ora lo consolo…
Poi quando i rami al raggio si avvivavano
della meravigliosa alba serena
l’Apparita lontana era speranza
al primo vento già volando questo verso.
(da Composita solvantur, 1994)
[Immagine: Franco Fortini (gm)].
Grazie a Luca Lenzini per questa edizione. Oscar e non Meridiani: meglio così, mi sembra, se si pensa alle recenti idiozie pubblicate nei Meridiani.
Quando è passata, è passata l’estate.
Però l’estate non è tutto.
Sommo!
Sì, sommo poeta, Franco Fortini.
Si può avere pudore, e ho pudore a dire “evviva evviva evviva” ma Evviva che sia nell’autunno, nel novembre che fu della sua morte – del suo andarsene dalla vita e del suo lasciarci – , la viva edizione di tutte le sue poesie.
Perché non tornare a chiederci se (…) tutto l’intreccio di “prosa” e di “poesia” in cui viviamo, non abbia le sue radici – e i suoi fiori – anche in quello che mezzo secolo fa Bertold Brecht ebbe a chiamare “il secco, “ignobile” lessico/ della economia dialettica”?
(F. Fortini, Opus servile, in “Allegoria”, n. 1, 1989)
finalmente buone nuove, e sì, l’Oscar è migliore, consente una diffusione migliore
Sono molto contento di questa pubblicazione. L’edizione enaudiana dei “Versi scelti” è una dei libri che conservo con più venerazione. Adesso sarebbe opportuno ripubblicare anche il saggio “Attraverso Pasolini”, ormai introvabile da decenni.
Una notizia che si sapeva da mesi e che finalmente prende ufficialità!
Meno male. Ora, dopo Fortini, aspettiamo che rispolverino anche altri autori essenziali e poco reperibili… :)
E allora su, parliamo delle poesie di Fortini!
Tempo fa – qui su LPLC – un commentatore ne parlava così:
stan
19 giugno 2012 a 19:45 (http://www.leparoleelecose.it/?p=5623#comments)
A me, il Fortini poeta annoia. Se il Fortini pensatore mi esalta, il versificatore non mi convince (a parte alcuni componimenti di “Composita Solvantur”, dove la morte incombente rende il verso tagliente – simile, mi si perdoni l’azzardo, a certi versi del miglior Leonetti); per non dire del Fortini traduttore: pessimo (almeno su Brecht).
Ricominciamo da qui?
…
una ho portata costante figura,
storia e natura, mia e non mia, che insiste
– derisa impresa, ironia che resiste,
e contesa che dura.
Alzarsi la mattina in un paese tanto lontano e fare colazione leggendo poesia.
Si può discutere sul valore e sull’efficacia di questi versi, ma resta un grande regalo.
Grazie
SEGNALAZIONE
Fortini on the road
Intervista di Redazione a Luca Lenzini curatore dell’Oscar Mondadori “Franco Fortini, Tutte le poesie”.
http://www.poliscritture.it/2015/06/15/fortini-on-the-road/
“ 4 maggio 1984 – L’intervento di Fortini al convegno sulla poesia? Dormiva e russava. Quando toccava a me si era fatto tardi. Intanto la vecchia professoressa zitella e nubile riceveva nel retrobottega le attenzioni di quel sadico del pizzaiolo. (Un sogno) “.
GRANDE ENNIO
UN BACISSIMO
tua nipoti. ina.ina
posso fare copia incolla e metterle su un blog che conosci?
se sì
dammi qui la liberatoria
forza compagno!
amore compagno!|
la funambola tua cattiva alunna ma molto affezionata :)
@ funambola
Grazie a te. E del bacissimo poi! La liberatoria neppure c’è bisogno di chiederla. Per tener viva la memoria su Fortini questo ed altro.
Quando puoi, vieni a fare le tue evoluzioni anche sul trapezio di Poliscritture.
grazie Maestro
non sai quanto mi fai felice
abbraccio te e la tua famiglia e i tuoi nipotini
e prego per te
che la vita ti sia lieve
compagno che mi hai insegnato a resistere!
ti voglio benissimo come dice un altro Maestro AZIZ
che per lui bello è troppo poco, lui, l’ultimo degli ultimi, vuole tuttto!