cropped-Fabrizio-Farsetti-Monumento-a-Petrarca-Arezzo.jpgdi Lorenzo Carlucci e Laura Marino

[Francesco Petrarca considerava L’Africa il suo capolavoro, ma di questo poema in esametri latini non esiste una traduzione integrale recente in lingua italiana. Alla versione in endecasillabi di Agostino Barolo, pubblicata nel 1933, hanno fatto seguito soltanto versioni antologiche in prosa (Carrara, Martellotti, Bigi, Ponte, Fera), mentre esistono edizioni poetiche integrali recenti in inglese (Bergin & Wilson, 1977), russo (Rabinovic e Gasparov, 1992), francese (Lenoir, 2002, Laurens, 2006 libri I-V) e tedesco (Huss & Regn, 2007). Riguardo alle versioni poetiche italiane è difficile non concordare con il seguente giudizio espresso da Vincenzo Fera: “le versioni poetiche danno oggi un’idea fortemente distorta dell’Africa, con un dettato spesso iperclassicizzato e con un corredo lessicale che privilegia le linee della tradizione aulica della poesia italiana.” Non v’è dubbio che tale giudizio si applichi alla versione del Barolo, la quale si discosta con una certa libertà dal testo originale e mostra inoltre chiari segni di traduzione ideologica di regime. Le pesanti incrostazioni della retorica fascista non hanno peraltro giovato alla fortuna critica del poema negli ultimi decenni. La nostra traduzione è basata sull’edizione critica di Nicola Festa del 1926. È improntata a criteri di fedeltà all’originale e di leggibilità per il lettore moderno.

Abbiamo perseguito una stretta aderenza all’originale per ciò che riguarda il senso letterale (rinunciando in alcuni casi a sciogliere le ambiguità dell’originale), il tono, la scansione in versi, la scelta lessicale, le figure retoriche di posizione etc., senza sacrificare la leggibilità e la fluidità del dettato poetico. Abbiamo adottato la resa dell’esametro latino introdotta nella nostra tradizione poetica da Carducci e Pascoli. Questa scelta rende possibile una buona aderenza alla versificazione originale (si osservi che la versione di Barolo dei primi 102 versi del poema consta di ben 150 versi laddove la nostra versione ne conta soltanto 103) lasciando al contempo una notevole libertà formale rispetto a metri più rigidi. Intendiamo proseguire il lavoro portando a termine una versione completa del poema secondo i criteri esemplificati nell’estratto qui presentato].

Anche a me narra, o Musa, dell’uomo per meriti illustre
e in guerra tremendo, cui l’Africa diede per prima,
franta dalle armi d’Italia, un nobile nome ed eterno.
Dolce mia cura, Sorelle, vi prego lasciatemi bere
dal fonte che è sacro, sul sì disseccato Elicona:                  5
fatti grandiosi vi canto. Già le erbe di amiche campagne,
i prati e le fonti, silenzi di campi deserti,
già i fiumi ed i colli, già gli ozii nei boschi assolati
Fortuna mi diede. Rendete voi i canti al poeta,
rendete l’ardire. Del mondo più salda speranza               10
Tu, ornamento dei cieli, che il secolo nostro ricorda
d’Erebo e dèi vincitore, Te per cinque ferite vediamo
che porti profonde sul corpo innocente, Ti prego
Padre sommo soccorrimi! A Te molti canti devoti
rivolgerò di ritorno dall’alto del monte Parnaso              15
se i canti tu ami, se meno li ami rivolgo
le lacrime forse, che (tanto s’inganna la mente)
da spargere un tempo, io folle da molto conservo.
E sommo tu pure, sovrano del siculo regno,
decoro d’Esperia e gloria dei secoli nostri,                        20
il lauro bramato te giudice io meritai
e di sedere tra i vati e il titolo mio di poeta.
Al dono che è offerto, ti prego, con petto sereno
di offrire ricetto; infatti leggendolo tutto
forse potresti trovare di cosa addolcire le orecchie          25
vacue, e meno pentirti una volta finito il lavoro.
Piana così tu prepari per tutti gli anni futuri
ad esso la via: chi infatti oserà condannare
ciò che ti è visto piacere? Con più sicurezza può dire
chi ne abbia esperienza, che tu con un semplice cenno   30
sai rendere degne le cose che degne non erano.
Nei sacri santuari considera come, se affisse,
dal volgo tremante le offerte saranno adorate
come, se tolte, spregiate. Ma quanto la fama tua chiara
può al mio nome giovare! Che tu voglia offrire riparo      35
alle opere mie nell’ombra del nome tuo mite
sì che l’atroce veleno d’invidia potranno sprezzare
dove non roda il mio nome né tarlo né alcuna vecchiezza.
Già guarda, Re buono, così te ne prego e riguarda
rivolgi i tuoi occhi, distendi le mani pietose.                       40
Fino alle stelle io stesso saprò le tue imprese innalzare
con lodi adeguate, e forse con altro cantare
(Poco m’aspetti la Morte! Non altro che questo si chiede)
dire del re di Sicilia i nomi e i miracoli alti
saprò, che, per ora, ascoltandoli non da lontano,                45
tutti noi tutti vediamo. Chi in simile cura s’affanna
molto più indietro ritorna: alcuni il millesimo anno
occupa inquieti, per altri, a quello fermarsi è vergogna.
Uno che guardi al presente non è: sì che possa la Musa,
e non impedita, per anni più ignoti vagare                           50
con più libertà. Uno canta di Troia in rovina
l’altro racconta di Tebe e tace del giovane Achille
l’altro ancora riempie l’Emazia di ossa romane.
Io pure non dico i fatti del tempo presente,
ma gli empii Africani, con Marte l’Ausonio del tutto          55
distruggere intendo, di molto fiaccarne le forze.
Pure ho te sempre nel cuore, e ansioso a te di tornare
seguo la via che ho intrapreso, non osando toccare per prime
le alte tue imprese, O Sovrano. Di più mi attraevano quelle
ma ebbi paura, e me e te e tutto pesando.                             60
Piace tentare l’ingegno, e se da benevoli auspici
verrà sostenuto, allora con valide forze,
perché tu mi assisti, tratterò delle cose più alte:
mi vedrà ritornare la grande Partenope illustre
portando alle mura di nuovo gli allori di Roma.                   65
Ora dall’umile tronco ho spiccato le tenere fronde
l’egregio Scipione per primo scegliendo a compagno:
poi coglierò forti rami; e tu mi darai giovamento
con la tua ricca materia, e salda terrai la mia penna
incerta, che porti decoro a te che mi ami                               70
nell’epoca nostra una nuova bellissima laurea.
La causa dei mali, l’origine della rovina
chiedo: con quale coraggio, che furia costrinse le genti
valide errando per mare a soffrire tante fatiche,
l’Europa alla Libia, la Libia ribelle all’Europa                       75
diede con turbine alterno le terre alla devastazione.
Chiara mi apparve la causa e non mi servì lungo studio:
di tutti quei mali l’infetta radice è l’invidia;
ne nasce la morte, sì come da origine estrema,
il dolore che guarda a tutti i successi degli altri                    80
con volto infelice. Cartagine avversa non resse
vedendo Roma fiorire. Invidiò la città che sorgeva;
e più gravemente quando fatta la vide a sé uguale;
presto accresciuta di forze, imperante potente sovrana.
Imparò nuove leggi, i tributi imparò a consegnare,              85
ma dentro era piena di tacite lamentazioni,
piena di accuse. Però la funesta superbia
fece a lei perdere il freno, raddoppiò le sventure di ognuno.
Vergogna e dolore stringevano gli uomini oppressi
già in servitù numerose, e gli animi duri assaliva                 90
la brama mai sazia, una triste e nuova avarizia.
Confuse ambizioni d’imperio nutrite da entrambe le genti:
ciascuna di esse ritiene di essere degna
di sovrastare le cose, di ricevere tutta la Terra.
L’ingiuria atroce e ancora il danno recente,                            95
la Sicilia rubata e l’isola sarda perduta
la Spagna troppo vicina a entrambe le popolazioni
una preda adattissima esposta a tutte le insidie
terra che avrebbe patito a lungo nefandi dolori,
non altro da come, in mezzo a dei lupi sperduta,                  100
la pecora quieta ai denti di quelli si volge
e viene sbranata in ogni sua parte tremando
madida cade riversa nel sangue nemico e nel suo.

 

[Immagine: Fabrizio Farsetti, Monumento a Petrarca, Arezzo (gm)].

2 thoughts on “L’Africa di Petrarca. Una nuova versione

  1. Grazie per questo saggio e assaggio; a parte il lamento di Magone morente, che ho studiato in una vecchia antologia, non homai letto altro dell’Africa. Mentre leggevo la vostra traduzione, echeggiava tra i ricordi qualche verso di Tasso, che probabilmente ha attinto a piene mani dall’opera petrarchesca.

  2. Cari Laura e Lorenzo usatemi la grazia di portare avanti la vs. Versione. Sono stanco di vedere trascurata e a pezzi la ns. tradizione letteraria, continuate a impegnarvi!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *