[Pubblichiamo i risultati totali di ottobre 2011 delle Classifiche pordenonelegge-Dedalus, che riprendono dopo la pausa estiva].
Narrativa
1) Gabriele Frasca, Dai cancelli d’acciaio, luca sossella editore p. 42
2) Paolo Sortino, Elisabeth, Einaudi, p. 41
3) Paolo Di Paolo, Dove eravate tutti, Feltrinelli p. 24
4) Antonio Tabucchi, Racconti con figure, Sellerio p. 21
5) Mauro Covacich, A nome tuo, Einaudi p. 20
6) Sergio Garufi, Il nome giusto, Ponte alle Grazie p. 15
7) Andrea Tarabbia, Il demone a Beslan, Mondadori p. 14
8) Valeria Parrella, Lettera di dimissioni, Einaudi p. 13
8) Giacomo Sartori, Cielo nero, Gaffi, p. 13
10) Emanuele Tonon, La luce prima, Isbn p. 12
11) Vincenzo Latronico, La cospirazione delle colombe, Bompiani p. 11
11) Sergio Nelli, Orbita clandestina, Einaudi p. 11
13) Alessio Torino, Tetano, minimum fax p. 10
14) Erri De Luca, I pesci non chiudono gli occhi, Feltrinelli p. 9
15) Viola Di Grado, Settanta acrilico trenta lana, E/O p. 8
16) Francesco Botti, Di corsa, di nascosto, Guanda p. 6
16) Roberto Barbolini, Ricette di famiglia, Garzanti p. 6
16) Mario Desiati, Ternitti, Mondadori p. 6
16) Antonio Franchini, Memorie di un venditore di libri, Marsilio p. 6
16) Simone Ghelli, L’ora migliore e altri racconti, Il Foglio p. 6
16) Pierre Lepori, Sessualità, Casagrande p. 6
16) Marco Mancassola, Noi non saremo confusi per sempre, Einaudi p. 6
16) Marina Mander, La prima vera bugia, Et. Al. p. 6
16) Federica Manzon, Di fama e di sventura, Mondadori p. 6
16) aa. vv., Meridione d’inchiostro. Racconti inediti di scrittori del Sud, Stilo Editrice p. 6
16) Giorgio Mascitelli, Catastrofi d’assestamento, Zona p. 6
27) Maurizio Cometto, Cambio di stagione, Il Foglio p. 4
27) Leonardo Marini, Il crocifisso, Galaad Edizioni p. 4
27) Matteo Nucci, Il toro non sbaglio mai, Ponte alle Grazie p. 4
27) Laura Pugno, Antartide, minimum fax p. 4
27) Raffaele Simone, Le passioni dell’anima, Garzanti p. 4
32) Ferdinando Acitelli, Sulla strada del padre, Cavallo di Ferro p. 3
32) Sussana Bissoli, Le parole che cambiano tutto, Terre di mezzo p. 3
32) Gabriele Dadati, Piccolo testamento, Laurana p. 3
32) Luigi Grazioli, Tempesta, Effigie p. 3
32) Paolo Lagazzi, Nessuna telefonata sfugge al cielo. Piccole storie notturne, Aragno p. 3
32) Teo Lorini, Amori al singolare, Effigie p. 3
38) Adrian Bravi, Il riporto, Nottetempo p. 2
38) Guido Ceronetti, In un amore felice, Adelphi p. 2
38) Andrea Molesini, Non tutti i bastardi sono di Vienna, Sellerio p. 2
38) Stefano Moretti, Scappare fortissimo, Einaudi p. 2
38) Ivan Scarcelli, Piccolo guasto alla centrale del tempo, Stilo Editrice p. 2
43) Pietro Viola, Alice senza niente, Terre di mezzo p. 1
43) Edoardo Nesi, Storia della mia gente, Bompiani p. 1
Poesia
1) Eugenio De Signoribus, Trinità dell’esodo, Garzanti, p. 43
2) Laura Pugno, La mente paesaggio, Giulio Perrone, p. 26
3) Anna Maria Carpi, L’asso nella neve, Transeuropa, p. 24
4) Rosaria Lo Russo, Nel nosocomio, Transeuropa, p. 20
5) Carlo Carabba, Canti dell’abbandono, Mondadori, p. 19
6) Azzurra D’Agostino, D’aria sottile, Transeuropa, p. 18
7) Alessandro Broggi, Coffee-table book, Transeuropa, p. 17
8) Giancarlo Alfano (a c. di), La fisica delle cose. Dieci riscritture da Lucrezio, Giulio Perrone p. 16
9) Gabriel Del Sarto, Sul vuoto, Transeuropa p. 11
10) Patrizia Cavalli, La patria, Nottetempo, p. 10
10) Paolo Ruffilli, Affari di cuore, Einaudi p. 10
12) Florinda Fusco, Thérèse, Polimata p. 9
13) Giovanna Bemporad, Esercizi vecchi e nuovi, luca sossella editore p. 8
13) Alessandro De Francesco, Ridefinizione, La camera verde p. 8
13) Alessandro Raveggi, La trasfigurazione degli animali in bestie, Transeuropa p. 8
13) Filippo Strumia, Pozzanghere, Einaudi p. 8
17) Roberto Roversi, Trenta miserie d’Italia, Sigismundus p. 7
18) Fabio Franzin, Coe mani monche, Le Voci della Luna p. 6
18) Elio Pecora, Nel tempo della madre, La Vita Felice p. 6
18) Andrea Raos, I cani dello Chott El-Jerid, Arcipelago p. 6
18) Rina Santoro, L’anno 01. A Carlo Giuliani, L’Autre Incertain p. 6
18) Paolo Lanaro, Poesie della scala C, L’Obliquo p. 6
18) Antonella Bukovaz, Al limite, Le Lettere p. 6
24) Andrea Zanzotto, Tutte le poesie, Mondadori p. 5
24) Salvatore Ritrovato, Cono d’ombra, Transeuropa p. 5
26) Marco Bini, Conoscenza del vento, Ladolfi Editore p. 4
26) Arnold de Vos, L’obliquo, Samuele Editore p. 4
26) Claudio Pagelli, Papez, L’Arcolaio p. 4
26) Ida Travi, Ta. Poesie dello spiraglio e della neve, Moretti e Vitali p. 4
26) Anna Cascella, Tutte le poesie, Gaffi p. 4
26) Stefano Lorefice, Frontenotte, Transeuropa p. 4
32) Nadia Agustoni, Il peso di pianura, Lietocolle p. 3
32) Alessandra Cava, rsvp, Polimata p. 3
32) Jacopo Galimberti, Senso comune, Le Voci della Luna p. 3
32) Andrea Ponso, I ferri del mestiere, Mondadori p. 3
32) Antonio Trucillo, La nuvèla, Marietti 1820 p. 3
37) Dome Bulfaro, Milano ictus, ed. Mille Gru p. 2
37) Gianni Clerici, Il suono del colore, Fandango p. 2
37) Alberto Crovetto, Imposizioni. Poesie 2007-10, Il canneto p. 2
37) Franco Loi, Angel de aria, Nino Aragno Editore p. 2
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Saggi
1) Daniele Giglioli, Senza trauma, Quodlibet p. 32
2) Mario Lavagetto, Quel Marcel! Frammenti della biografia di Proust, Einaudi p. 29
3) Arturo Mazzarella, Politiche dell’irrealtà, Bollati Boringhieri p. 28
4) Carla Benedetti, Disumane lettere, Laterza, p. 24
5) Massimo Raffaeli, Band à part, Gaffi p. 23
5) Domenico Scarpa, Uno. Doppio ritratto di Franco Lucentini, :duepunti p. 23
7) Alfonso Berardinelli, Non incoraggiate il romanzo, Marsilio, p. 14
8) Enrico Testa, Una costanza sfigurata. Lo statuto del soggetto nella poesia di Sanguineti, Interlinea p. 12
9) Franco Cassano, L’umiltà del male, Laterza p. 10
10) Giorgio Agamben, Altissima povertà, Neri Pozza p. 9
10) Goffredo Fofi, Zone grigie, Donzelli p. 9
10) Alfonso Berardinelli, Che intellettuale sei?, Nottetempo p. 9
10) Francesca Serra, Le brave ragazze non leggono romanzi, Bollati Boringhieri p. 9
14) Antonio Castronuovo, Alfabeto Camus, NE/Stampa Alternativa p. 8
14) Alberto Mario Banti, Sublime madre nostra, Laterza p. 8
16) Pietro Bevilacqua, Il grande saccheggio, Laterza p. 6
16) Alessandro Carrera, La voce di Bob Dylan, Feltrinelli p. 6
16) Vittorio Coletti, Romanzo mondo, Il Mulino p. 6
16) Girolamo Di Michele, Filosofia. Corso di sopravvivenza, Ponte alle Grazie p. 6
16) Paolo Flores d’Arcais, Gesù. L’invenzione del dio cristiano, Add Editore p. 6
16) Adriano Labbucci, Camminare, una rivoluzione, Donzelli p. 6
16) S. Luzzatto-G.Pedullà, Atlante della letteratura italiana vol. 2, Einaudi p. 6
16) Gianfranco Marrone, Addio alla natura, Einaudi p. 6
16) Ugo Mattei, Beni comuni. Un manifesto, Laterza p. 6
16) Stefania Ricciardi, Gli artifici della non-fiction, Transeuropa p. 6
16) Silvia Tatti, Il risorgimento dei letterati, Ed. Storia e Letteratura p. 6
16) S. Vole-A. Voltolini, Mai ali che volano alto, :duepunti p. 6
16) Luigi Zoja, Paranoia, Bollati Boringhieri p. 6
29) Giorgio Fontana, La velocità del buio, Zona p. 5
29) Sergio Luzzatto, Il crocifisso di Stato, Einaudi p. 5
31) Augusto Illuminati, Tumulti, DeriveApprodi p. 4
31) Leone Piccioni, Memoriette, Pananti p. 4
31) Alessandro Portelli, America profonda, Donzelli p. 4
31) Ermanno Rea, La fabbrica dell’obbedienza, Feltrinelli p. 4
35) Bologna-Banfi, Vita da freelance, Feltrinelli p. 3
35) Remo Ceserani, L’occhio della Medusa, Bollati Boringhieri p. 3
35) Emanuele Coccia, La vita sensibile, Il Mulino p. 3
35) Massimo Donà, Abitare la soglia. Cinema e filosofia, Mimesis p. 3
35) Luciano Gallino, Finanzcapitalismo, Einaudi p. 3
35) Nicola Gardini, Per una biblioteca indispensabile, Einaudi p. 3
35) Andrea Gibellini, L’elastico emotivo, Incontri Editrice p. 3
35) Roberto Gigliucci, Croce e il barocco, Lithos p. 3
35) Gilberto Lonardi, Winston Churchill e il bulldog, Marsilio p. 3
35) Adele Riccotti, Maria Zambrano, Mobydick p. 3
45) Carla Arduini, Teatro sinistro. Storia del Grand Guignol in Italia, Bulzoni p. 2
45) Pippo Ciorra, Senza architettura, Laterza p. 2
45) Marco De Marinis, Il teatro dell’altro, La casa Usher p. 2
45) Sergio Fabbrini, Addomesticare il Principe, Marsilio p. 2
45) Paolo Giovannetti (a c. di), Raccontare dopo Gomorra, Unicopli p. 2
50) Giovanni Giovannetti, Sprofondo Nord, Effigie p. 1
50) Luigi Matt, La narrativa del Novecento, Il Mulino p. 1
50) Marco Pivato, Il miracolo scippato, Donzelli p. 1
50) Federica Sgaggio, Il paese dei buoni e dei cattivi, minimum fax p. 1
Altre Scritture
1) Tommaso Pincio, Hotel a zero stelle, Laterza p. 51
2) Gianni Celati, Conversazioni del vento volatore, Quodlibet p. 46
3) Fabio Geda, La bellezza nonostante, Transeuropa, p. 18
3) Andrea Inglese, Quando Kubrick inventò la fantascienza, La camera verde, p. 18
5) Paolo Di Stefano, La catastròfa, Sellerio p. 17
6) Mariangela Gualtieri, Caino, Einaudi p. 16
7) Maria Grazia Calandrone, L’infinito mélo, luca sossella editore p. 12
8) Alberto Arbasino, America amore, Adelphi, p. 11
9) Francesco Cataluccio, Chernobyl, Sellerio p. 9
10) Ermanno Cavazzoni, Guida agli animali fantastici, Guanda p. 8
10) Giulio Marzaioli, Voci di seconda fase, Arcipelago p. 8
12) Franco Arminio, Di mestiere faccio il paesologo, DeriveApprodi p. 6
12) Magda Ceccarelli De Grada, Giornale del tempo di guerra, Il Mulino p. 6
12) Giovanni Maccari, Gli occhiali sul naso, Sellerio p. 6
12) G. Mozzi-V. Binaghi, 10 buoni motivi per essere cattolici, Laurana p. 6
12) Giorgio Orelli, I giorni della vita, a c. di P. De Marchi, Casa Croci p. 6
12) Rosella Postorino, Il mare in salita, Laterza p. 6
12) S. Rizzo-G.A. Stella, Licenziare i padreterni, Rizzoli p. 6
19) Roberto Ferrucci, Sentimenti sovversivi, Isbn p. 5
20) Isabella Adinolfi, Etty Hillesum, Il Melangolo p. 4
20) Franco Arminio, Oratorio bizantino, Ediesse p. 4
20) Davide Grittani, C’era un Paese che invidiavano tutti, Transeuropa p. 4
20) Maria Luisa Spaziani, Montale e la Volpe, Mondadori p. 4
20) Claudio Giunta, Come diventare Michelangelo, Donzelli p. 4
25) Luciana Castellina, La scoperta del mondo, Nottetempo p. 3
25) Liviano D’Arcangelo, Le ceneri di Mike, Fandango p. 3
25) M. e P. P. Di Mino, Il libretto rosso di Pertini, Castelvecchi p. 3
25) Franco La Torre, Grazie a Dio è venerdì, Iacobelli p. 3
25) Vittorio Orsenigo, Tanti viaggi, Archinto p. 3
25) C. Saletti-F. Sessi, Visitare Auschwitz, Marsilio p. 3
25) Tiziano Scarpa, L’ultima casa, Transeuropa p. 3
25) Flavio Soriga, Nuraghe Beach, Laterza p. 3
25) Vitaliano Trevisan, Una notte in Tunisia, Einaudi p. 3
25) Tiziano Colombi, Santi padroni padani, Effigie p. 3
25) Matteo Melchiorre, La banda della superstrada Fenadora-Anzù, Laterza p. 3
25) Michela Murgia, Ave Mary, Einaudi p. 3
37) Costantino D’Orazio, 99 luoghi segreti, Palombi p. 2
37) Michela Marzano, Volevo essere una farfalla, Mondadori p. 2
39) Silvia Bortoli, Come sono finita dove sono finita, Cicero editore p. 1
In questo turno di votazioni, il primo dopo la pausa estiva, è stato possibile votare per tutti i libri usciti nel 2011. Come da regolamento, sono esclusi dalla votazione i libri di Alberto Casadei, Le sostanze, Edizioni Atelier; Massimo Gezzi, In altre forme, Transeuropa; Gian Mario Villalta, Vanità della mente, Mondadori, per la sezione Poesia; di G. Alfano-A. Cortellessa-D. Dalmas-M. Di Gesù-S. Jossa-D. Scarpa, Dove siamo?, :duepunti edizioni; Alberto Casadei, Poetiche della creatività, Bruno Mondadori, per i Saggi. Flavio Santi ha escluso dalla votazione i suoi libri Aspetta primavera, Lucky, Socrates Edizioni, e Il Tai e l’arte di girovagare in motocicletta. Friuli on the road, Laterza.
Beh, mettiamolo un commento in questo post…
Visto, come si legge da comunciato stampa, che “per la prima volta, un gruppo selezionato di 100 Grandi Lettori (composto da critici e scrittori, ma anche traduttori e mediatori culturali, storici, filosofi, critici d’arte, registi, attori, in massima parte di età compresa fra i trenta e i cinquant’anni) viene chiamato a giudicare ogni mese le novità della letteratura italiana”, chiedo con quale criterio siano stati selezionati i selezionatori.
Se, come pare d’intuire, è generazionale (” in massima parte di età compresa fra i trenta e i cinquant’anni”), mi pare di capire che ora dobbiamo fare i conti anche con corporazioni “generazionali”.
Il contrabbandiere
“Ora”? Mi pare sia da un bel po’ che esistono corporazioni generazionali, in Italia…in politica come in leteratura, nel cinema, nelle arti, nelle accademie eccetera
Criticare un’iniziativa come questa mi pare veramente ingeneroso. Sarebbe il caso piuttosto di lamentarsi che non trova accoglienza sui giornali
Perché il problema cruciale degli scrittori d’oggi è quello di ottenere “accoglienza” sui giornali?
Arrivati lì in cima la desolazione politica e culturale di questo Paese la si gode meglio?
Il contrabbandiere
Definire “veramente ingeneroso” l’esercizio delle proprie facoltà critiche mi ricorda tempi bui. Facciamo molta attenzione.
In Italia una corporazione generazionale esiste da troppo tempo: si chiama GERONTOCRAZIA. Ben vengano dunque corporazioni di giovani che scardinino tale schifo.
ogni volta che leggo i commenti di un post su pordenonelegge, parte sempre la stessa discussione, con le stesse parole e le stesse modalità. è un po’ triste notare come degli “intellettuali” non abbiano memoria alcuna di quanto dibattito c’è già stato intorno alla medesima non-questione, su nazione indiana in primis.
tornando it: qualche giurato potrebbe palesare le sue scelte di voto, se vuole =) sono molto curioso.
@ Ellen
Sono vecchio, ma senza crazia.
Ho visto molti giovani organizzarsi in corporazioni o microlobby per combattere la GERONTOCRAZIA
in nome della rivoluzione, del comunismo, del liberalismo etc. e poi accordarsi sottobanco con i veri poteri (che non fanno affatto differenza tra vecchi e giovani, uomini e donne, borghesi e proletari, omo ed eterosessuali) per avere il loro posticino al sole ( sui grandi giornali, alla TV, in università). Tanto per avere un esempio, segua le evoluzioni che avrà questo sindachino di Firenze….
Il contrabbandiere
Lorenzo Marchese: ecco i miei voti
F. Manzon, Di fama e di sventura: 6 narrativa
I. Vallerugo, Mistral: 6 poesia
P. Bevilacqua, Il grande saccheggio. L’età del capitalismo distruttivo: 6 saggistica
Si tratta di libri recensiti nella mia rubrica settimanale su “Gli Altri”, per cui chi volesse approfondire le mie scelte non deve fare altro che recuperare i pezzi in questione. (Segnalo sempre libri da me recensiti; libri per i quali ho avuto modo di dedicare almeno un po’ di tempo e testa).
grazie=)
In queste classifiche i migliori non ci sono mai, la solita mafiosata.
@ la voce della verità
Correggerei: ogni corporazione ha i suoi “migliori” e la sua Legge.
Pordenone Legge!
Sperando che non si limitino a mettere i voti… come a scuola.
Sinceramente, eh: però che palle! E sempre a lamentare tutto, ad alludere a misteriose micro-oligarchie che spuntano un po’ ovunque come funghi, che importa se di sinistra destra centro alto o basso, ad accusare ad ogni post che non si nominino i propri preferiti nell’elenco degli eletti del momento, a svelare in ogni gesto di apparenza rivoluzionaria l’osso calcificato della reazione onnipervasiva eccetera eccetera… Io stimo l’intelligenza e l’esperienza di un Ennio Abate, di cui ho letto su questo blog cose molto illuminanti, ma non credete che questo logorìo, il clima del sospetto a prescindere, l’opposizione intransigente e trasversale, alla lunga sia solo dannosa e non nutra altro che un narcisismo da martiri solitari della Storia? Se avete delle accuse chiare, esplicite, di mafie organizzate entro le contromafie, di giri e interessi e gerarchie entro le fila di chi si pone contro giri e interessi e gerarchie, per favore fate i nomi e cognomi, sciogliete le allusioni, spifferate tutto, andate incontro al martirio fino in fondo. Così almeno i pesci piccoli come me (leggi: studenti universitari), che vivono di resistenza e idealismo residui, sappiano di cosa parlate, prendano provvedimenti, non si facciano trascinare nelle ordite macchinazioni del cauto riformismo. Ve lo dico con tutto il buon cuore di un esterno che cerca di capire: spesso le discussioni qui sembrano un vespaio di rancorose perorazioni senza oggetto, le indignazioni si sollevano contro mascheroni innominati, tutti accusano tutti di tutto, una vertigine di critica all’esistente che inghiotte tutto e non risparmia nessuno. Risultato: ogni singola accusa e indignazione cade nel vuoto, chi doveva intendere intende, capisce chi già sapeva, e chi vorrebbe capirci qualcosa rimane perplesso sulla soglia, a guardare l’ennesimo teatrino dell’anarchia neutralizzata.
ecco, per esempio abate e la voce della verità potrebbero dirci quali sono secondo loro i migliori libri italiani usciti nel 2011 (escludendo ovviamente quelli presenti in classifica)
bene che vada impareremo qualcosa
male che vada ci facciamo due risate
Questo post a zero commento mi faceva tanto dispiacere che ho tentato con una piccola provocazione di rimpolparlo. 14 commenti sono già un risultato decente, credo.
La mia provocazione [“chiedo con quale criterio siano stati selezionati i selezionatori.
Se, come pare d’intuire, è generazionale (” in massima parte di età compresa fra i trenta e i cinquant’anni”), mi pare di capire che ora dobbiamo fare i conti anche con corporazioni “generazionali”] era “scientifica”. Poneva una domanda:”con quale criterio sono stati selezionati i selezionatori” e accennava a una ipotesi (dubitativa, con tanto di ‘se…’).
Nessuna diagnosi parziale o definitiva. Nessuna denuncia di “mafiosità”, dunque.
“Cultura del sospetto”? Sì, benefica cultura del sospetto, che una volta era apprezzata. Si faceva riferimento a tre Maestri del sospetto (Marx, Nietzsche e Freud). E con rispetto. Oggi (vedi post “perché gli studi umanistici”) quasi prendiamo in considerazione teorici che ci propinano “catechismi democratici”. E appena la discussione si fa un tantino accesa, qualcuno s’alza per ripetere che non si è costruttivi abbastanza. La parola ‘critica’ a troppi fa venire l’orticaria.
Eppure, per non farla lunga, sarebbe bastato che i più informati o i più direttamente interessati avessero risposto alla mia domandina informando e argomentando; e forse alcuni ( e io pure) si sarebbero anche risparmiati le battute successive, legittime o fuori posto ( ma comunque non tremende).
Perché, dai, non è una bella cosa vedere una sfilza di nomi suddivisi in scatolette (narrativa, poesia, etc.) senza un ragionamento o una premessa o un approfondimento. Sembra solo una lista della spesa da fare. E poi questi lettori selezionati ci dicono che quelli sono “i migliori” libri del momento o dell’annata. Ma basterebbe cominciare a discutere dei criteri adottati e la facciata seria e perbene come minimo s’incrina. E i soliti problemi irrisolti tornano al pettine. E ancora: perché non dare ascolto anche alle campane degli altri raggruppamenti ( o corporazioni o parrocchie o lobby) concorrenti? perché questa classifica è “di sinistra” e le altre sono “di destra”? o perché questa è “alternativa” e le altre sono “istituzionali” o dei “grandi editori”? Eccetera, eccetera.
Lo so, cara “prassi del complotto”, che palle. Ma il mondo è davvero complicato e a semplificarlo sbrigativamente o a vedere in ogni critica solo rancore e nichilismo (e non curiosità, voglia di andare più a fondo, desacralizzazione di mitologie discutibili) non giova a nessuno.
Per ultimo @shangaili: credo di aver spiegato qual è il problema che ho posto io.
ennio, cerca di non mistificare per favore. che ci sarebbe di male se un grande giornale pubblicasse queste classifiche? non ho espresso il concetto che mi attribuisci. partiamo dall’onestà, tutte le volte che è possibile. il mio problema, se vuoi saperlo, è la morte e come questa prospettiva lavora nelle mie giornate.
ennio abate, se per fertilizzare un post c’è bisogno di buttarci sopra letame, ci si può anche risparmiare il nobile gesto.
la tua “provocazione” è una trollata che ho visto fare decine di volte da che frequento i blog letterari, anche meno ammantata di nobili motivazioni. la cultura del sospetto? cioè, per cortesia.
Caro Franco (Arminio),
non c’è nulla di male se un grande gionale pubblicasse queste classifiche. il male sta per me nel lamentarsene e far finta di non capire perché non le pubblica.
La morte lavora nelle giornate di tutti e non può essere un segno di distinzione di uno scrittore.
Gentile Lorenzo Marchese,
il riferimento a Marx, Nietzsche e Freud era chiaro. Non so che età lei abbia. Ma i più vecchi sanno che sono stato indicati da Ricoeur come “maestri del sospetto”; e in piccolo credo di doverne seguire ancora le tracce, magari anche discugtendo di una quisquiglia come questa di cui stiamo parlando.
Trascrivo comunque per un suo approfondimento:
P. Ricoeur, De l’interprétation. Essai sur Freud, Paris, 1965, trad. it. Dell’interpretazione. Saggio su Freud, di E. Renzi, Il Saggiatore, Milano, 1967, pagg. 46-48
Piú che per la scuola della reminiscenza, questo fatto è indubbiamente vero per la scuola del sospetto. La dominano tre maestri che in apparenza si escludono a vicenda, Marx, Nietzsche e Freud. È piú facile mettere in mostra la loro comune opposizione a una fenomenologia del sacro, intesa come propedeutica alla “rivelazione” del senso, che non il loro articolarsi all’interno di un unico metodo di demistificazione. Relativamente facile è constatare che queste tre imprese hanno in comune la contestazione del primato dell’“oggetto” nella nostra rappresentazione del sacro, nonché del “riempimento” della mira intenzionale del sacro tramite una sorta di analogia entis che ci inserirebbe nell’essere in virtú di una intenzione assimilatrice. Facile è anche riconoscere che si tratta di un esercizio del sospetto che per ogni singolo caso è differente. Sotto la formula negativa, “la verità come menzogna”, si potrebbero porre questi tre esercizi del sospetto. Ma il senso positivo di queste imprese siamo ancora lontani dall’averlo assimilato, siamo ancora troppo attenti alle loro differenze e alle limitazioni che i pregiudizi del loro tempo fanno subire ai loro epigoni ancor piú che alle imprese stesse. Si relega ancora Marx nell’economicismo e nell’assurda teoria della coscienza-riflesso; si riporta Nietzsche a un biologismo e a un prospettivismo incapace di enunciare se stesso senza contraddirsi; e Freud è accantonato nella psichiatria e gli si affibbia un pansessualismo semplicistico.
Se risaliamo alla loro intenzione comune, troviamo in essa la decisione di considerare innanzitutto la coscienza nel suo insieme come coscienza “falsa”. Con ciò essi riprendono, ognuno in un diverso registro, il problema del dubbio cartesiano, ma lo portano nel cuore stesso della fortezza cartesiana. Il filosofo educato alla scuola di Cartesio sa che le cose sono dubbie, che non sono come appaiono; ma non dubita che la coscienza non sia cosí come appare a se stessa; in essa, senso e coscienza del senso coincidono; di questo, dopo Marx, Nietzsche e Freud, noi dubitiamo. Dopo il dubbio sulla cosa, è la volta per noi del dubbio sulla coscienza.
Ma questi tre maestri del sospetto non sono altrettanti maestri di scetticismo; indubbiamente sono tre grandi “distruttori”; e tuttavia anche questo fatto non deve ingannarci; la distruzione, afferma Heidegger in Essere e tempo, è un momento di ogni nuova fondazione, compresa la distruzione della religione, nella misura in cui essa è, secondo Nietzsche, un “platonismo per il popolo”. È oltre la “distruzione” che si pone il problema di sapere ciò che ancora significano pensiero, ragione e persino fede.
Ora tutti e tre liberano l’orizzonte per una parola piú autentica, per un nuovo regno della Verità, non solo per il tramite di una critica “distruggitrice”, ma mediante l’invenzione di un’arte di interpretare. Cartesio trionfa del dubbio sulla cosa con l’evidenza della coscienza; del dubbio sulla coscienza essi trionfano per mezzo di una esegesi del senso. A partire da loro, la comprensione è una ermeneutica; cercare il senso non consiste piú d’ora in poi nel compitare la coscienza del senso, ma nella decifrazione delle espressioni.
[fonte: http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaR/RICOEUR_%20I%20MAESTRI%20DEL%20SOSPETTO.htm%5D
Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. II, pagg. 458-459
ancora @ Marchese
Spero che quanto sopra riportato (a parte i refusi) non sia letame…
sono uno studente universitario, dammi pure del tu=).
comunque, per letame intendo arrivare, insinuare con poca eleganza che ci sia il complottino e la conventicola (come tanti troll hanno fatto in passato, torno a notare) delle corporazioni (ma quali?), e poi, ancora peggio, ammantare di un’aura intellettuale il tutto.
non sono un filosofo, ma sono capace di dire che il riferimento ai “maestri del sospetto” era chiaro, ma totalmente improprio, se non addirittura grossolano, in un contesto simile. tutto qui=)
Ringrazio Ennio Abate per le delucidazioni manualistiche sui “maestri del sospetto”, di cui assicuro che non ero a digiuno. Niente da obiettare alla grandezza di sì grandi nomi – credo che siano ormai assodati nella costellazione di riferimento di chiunque voglia affrontare seriamente il pensiero, la storia e l’arte dell’ultimo secolo e mezzo. Ma le mie domande – sincere, malgrado l’incalzo retorico con cui le ho esposte – rimangono inevase. Ribadire il sospetto a oltranza, oggi, è poco più che un sano esercizio preventivo a emendazione dell’intelletto. A me non basta, e non credo che basti più a sancire la possibilità di una resistenza – ancor meno se isolata. So che il Dedalus era nato per premiare libri che fossero al di fuori della circolazione editoriale delle major, e che chi ha organizzato e aderito fosse dell’avviso di creare una controcorrente alla sempre crescente pubblicizzazione del mediocre e dello scadente – e qui non penso a Moccia, ma a ben più raffinati prodotti pseudo-culturali. Se questo può creare una sacca di resistenza che si organizza e si riconosce, che sia da stimolo e da indice a chi cerca ancora un qualche midollo di militanza che sappia consigliargli cosa leggere, io ne sono ben lieto. Con tutti i compromessi del caso: l’arte non ha mai vagato sospesa in quell’alone di sublime autarchia che tanto ci han fatto credere, ma sempre si sporca e risponde a gusti, pregiudizi e aspettative spesso circoscritti, quando non a ideologie fortemente esclusive. Una cosa è dire che una koiné estetico-ideologica è da combattere – e qui ci starei anch’io, purché si vinca lo snobismo delle altezze di spirito e siano ampiamente argomentate le ragioni – altra cosa è affermare che tutto è truccato, pilotato, farsesco, che la controcorrente non è che una copia al carboncino della corrente, con gli stessi ammicchi e pagamenti di dazio e regolamenti di conti. Per questo invito a chiarire le accuse e le alzate di spalle: da quale pulpito, a partire da quale idea, convincimento, prova reclamate? Distinguete, nominate, convinceteci, altrimenti tacete: e non per un rigurgito censorio, ma perché probabilmente la resistenza in cui vi asserragliate non contempla possibilità di comunicazione con la corruzione dei tempi, conservatevi intatti e imbelli per un ipotetico lettore futuro, nel dubbio atroce che non verrà mai, e date fondo alla vostra ribellione con dignità. Rimbaud scappò in Africa, Pound non pronunciò più parola per anni, Fortini ammonì: “tra quelli dei nemici / scrivi anche il tuo nome”. Io non ho chiesto che la critica si spenga, o che ribadisca metacriticamente la sua legittimità: chiedo al contrario che bruci tutto ciò che ha da bruciare, che non si schermisca, che non giochicchi, che faccia sul serio. Perché finalmente lo si possa vedere chiaramente cosa abbiamo tradito, cosa abbiamo perso, cosa può essere ancora recuperato. E qui mi taccio.
come spesso avviene, un altro (prassi del complotto) ha espresso alcune cose che intendevo, meglio di quanto avrei mai potuto fare.
Nessuno di voi ha mai aperto una guida (ristoranti, musei, parchi, ecc.)? Oppure prima di cercare ulteriori informazioni su (non dico di comprare), diciamo, un vino consigliato volete avere a portata di mano il CV di tutti quelli che hanno contribuito alla guida, i criteri con cui questi sono stati selezionati, il loro albero genealogico, tutto il gossip possibile sul loro presente e passato, e così via?
Una guida se serve la si usa, se no la si lascia perdere.
Ma poi, tutti i commentatori conoscono tutti i libri qui elencati e pensano che siano da evitare? E se anche fosse, non si potrebbero augurare che anche a un pubblico più largo venga offerta l’occasione di schifarsi, ad esempio, per Frasca e De Signoribus, e quindi di ritirarsi in letture più elevate, tipo Volo e Ligabue?
Quanto alla mia dichiarazione di voto: non ho avuto modo di leggere abbastanza in questo periodo, e quindi non ho votato (ma credo che queste classifiche mi diano qualche utile indicazione…).
Posto che esiste una questione generazionale nei termini lapidari in cui la ricorda Ellen, e che Prassi del complotto ha chiarito come meglio non si potrebbe la situazione, rimango però stupito che si possa dare a una classifica tutto questo credito.
E poi: come si fa a credere che la lista dei votanti (di cui faccio parte anche io) esprima un punto di vista corporativo? Basta leggerla, senza neppure guardare l’esito delle votazioni, per accorgersi che dev’essere animata da divergenze dissidi incomprensioni (magari pure lotte, perché no?). Abbandoniamo l’idea ridicola che le generazioni marcino per fila dest! intonando compatte ciascuna la stessa canzone.
Se infine c’è un losco secondo fine, si dimostri a) che la classifica incide sulle vendite; b) che i votanti sono mossi da interessi o corrotti. Quanto a me, giuro di non aver mai ricevuto da Arminio provole suasorie.
Terrei le classifiche nello stesso conto dei premi letterari o delle quarte di copertina: assolutamente indispensabili quando si studia sociologia e storia della letteratura, in fondo irrilevanti se si discute di qualità e di merito dei libri. Ha ragione Abeni: l’utilità delle classifiche sta nel farci capire che aria tira, che cosa suscita interesse, di cosa si discute. Il che non guasta.
Un po’ di vile pragmatismo, appunto sul merito. Come volete che si voti? O un po’ a caso, avendo in testa i tre o quattro libri letti (se va bene!) nell’assoluta ignoranza delle due altre dozzine in ballottaggio; o per sentito dire da amici che si stimano; o dopo aver sfogliato in libreria qualcosa. Comunque (e qui il caso cede il passo al determinismo), dando voce ai propri gusti, alla propria postura, al proprio ambiente che già in partenza, nove volte su dieci, esclude uno possa aver presenti libri di altre, chiamiamole così, aree.
(Anche per questo, a questa tornata, non ho votato).
P.S. Abate, ora si fa dare pure del troll? Non occorre le ricordi io che la teoria del complotto è, da quarant’anni, il sintomo nevrotico del complesso d’impotenza della sinistra.
@ La voce della verità
Non si confonda! I migliori non è che non ci sono mai: se ne vanno sempre.
Ho letto Orbita clandestina di Nelli e l’ho trovato bello
L’Edipo però non potrà tenere indefinitamente il Cartellone in forme di società in cui sempre più si perde il senso della tragedia.
Partiamo dalla concezione dell’Altro come luogo del significante. Ogni enunciato d’autorità non trova in esso altra garanzia che la sua stessa enunciazione, perché è vano che la cerchi in un altro significante… Cosa che formuliamo col dire che non c’è un metalinguaggio che possa esser parlato, o, più aforisticamente, che non c’è Altro dell’Altro. E il Legislatore (colui che pretende di erigere la Legge) in quanto esige di supplirgli si presenta come impostore.
Il Legislatore ama la Tautologia e il Cartellone pubblicitario.
io ho votato roversi (17esimo posto) per più motivi: innanzi tutto, il libro è un libro importante a mio avviso, un’opera che fa parte di un progetto lungo tanti anni da parte di un poeta che ha qualcosa da dire, sempre in mia opinione, e che ha anche mostrato negli anni scelte precise in tanti campi, compreso quello di politica editoriale.e roversi non è nemmeno, per mio personale gusto, uno dei poeti che amo di più. ma penso che non si tratti solo di gusto, occorre riconoscere il peso delle cose, anche con i limiti e le cadute che si colgono, ma vanno considerate le cose scritte che trattengono un pensiero – o lo liberano. Inoltre, mi pare bene invitare alla lettura e all’acquisto di libri di una casa editrice giovane come sigismundus, che mi pare con impegno e passione porti avanti un progetto interessante. tutto questo non so se rende il mio voto corporativistico, censorio, nepotistico o dettato dal demonio. resta inteso che non conosco personalmente né roversi né la maggior parte dei lettori invitati a consigliare libri. perché questo mi pare il senso: non una pagellina ma un suggerimento di lettura e la possibilità di scoprire libri che altrimenti non sempre si incontrano (in esposizione in libreria questo di roversi non lo trovi, per esempio). a me i libri sembrano più interessanti dei cv di quelli che li leggono. se non si è d’accordo sulle proposte fatte, si argomenti -a partire dai libri però.
Le “classifiche pordenonelegge” sono transitate da un blog (“Nazione Indiana”) a un altro (LPLC), ma si sono portate dietro le stesse perplessità, gli stessi dubbi, le stesse critiche di quando sono nate, e un’operazione del genere, fondata in sostanza sulla propria autoreferenzialità (a differenza, poniamo, di una classifica dei libri più venduti in libreria, in cui non c’è un comitato di critici a valutare, ma una massa informe, e condizionata dai media, di acquirenti-lettori a conferire la graduatoria), non può non dare adito a discussioni e sollevare polemiche.
Per cui mi provo a dire la mia su questa operazione culturale senza scomodare nessuno, per così dire, ma portando la mia stessa e limitata esperienza personale.
In una delle prime classifiche di “pordenonelegge” entrò un mio libriccino di poesie (nella zona medio-bassa, naturaliter). Non conoscevo l’iniziativa, e ovviamente ne rimasi piacevolmente sorpreso. Ma al di là del sentimento di riconoscenza verso i miei anonimi (e a me ignoti) votanti, mi venne anche di fare delle riflessioni un po’ meno personali, riguardanti l’oggettività, diciamo così, della classifica. Ora, com’era possibile che un libriccino pubblicato per una microscopica casa editrice pressoché senza distribuzione nazionale potesse entrare in una classifica di libri a livello nazionale? La spiegazione doveva riguardare certamente il fatto che quel libriccino io l’avevo inviato (come del resto si fa di solito) a un certo e ristretto numero di addetti ai lavori, critici e poeti di mia conoscenza (conosciuti peraltro in rete, con collaborazioni a blog), e qualcuno di loro, bontà sua, lo aveva inserito in “pordenonelegge”. Per cui, e dato che nella realtà culturale nazionale e nel relativo “mercato” quel mio libriccino ha avuto meno impatto di una piuma che cade al suolo, ne dedussi – e ne deduco – che l’operazione “pordenonelegge”, beninteso con tutti i meriti che può avere una classifica letteraria alternativa che accanto ai colossi editoriali mette anche i piccoli editori coraggiosi senza un effettivo mercato e senza una distribuzione decente, è un’operazione artificiale, costruita, mi si passi l’espressione, a tavolino (il tavolino mediatico della rete), e in questo senso altrettanto falsa, perché non misura ciò che forse è, oggettivamente, non-misurabile, ossia il reale stato delle cose letterarie in Italia, di quelle che si leggono sui quotidiani nazionali. Insomma, mi pare che come operazione ideologica e provocatoria, “pordenonelegge”, abbia i requisiti giusti, ma che invece come tornasole della situazione letteraria italiana, lasci anch’essa a desiderare.
Leggo in media un saggio ogni tre giorni, un romanzo alla settimana e un libro di poesia ogni cinque giorni (scusate, soffro di insonnia). Le mie letture vanno da Kant a Bachtin a Pasternak, Bachelard, Proust, Musil, Strawson, Poincarè, Majakovskij, ecc. ecc. Ho quindi tanti amici di valore – credo non ci siano dubbi riguardo a loro – che tengono in allenamento il mio gusto. Purtroppo, nonostante le tante letture, non conosco quasi nessuno dei libri sicuramente validi presenti in classifica, ma i pochi che conosco, ovviamente, non posso che confrontarli con quelli che di norma leggo. E così solo banale banalissimo mi è parso il saggio di Alfonso Berardinelli, Non incoraggiate il romanzo, edito da Marsilio, che pure ha ricevuto 14 punti. E altri tre libri di poesia segnalati sono a mio modesto avviso poca cosa: di questi due non li indico perché sono di autori poco noti e non amo prendermela con i “deboli”; l’altro è quello di Ruffilli e il suo decimo posto mi preoccupa. Ripeto, i miei sono giudizi che nascono solo dal confronto, quindi di lettore forte, non di critico.
Credo che il problema di fondo sia stato toccato da “errebì”: i critici i libri dovrebbero andarseli a cercare, non aspettare che glieli inviino, perché lo scrittore impegnato non ha né voglia né tempo di infastidire questi critici con i propri libri e gli uffici stampa oggi non si scomoderebbero a spingere un Kant o un Proust, ammesso che ci sia. Ma io scommetto che c’è e più di uno e se fossi un critico farei di tutto per scovarli.
Però aggiungo una cosa: ad uno scrittore vero, che importa del giudizio altrui e delle classifiche? Come dicevo da ragazzo (ma poi ho scoperto che l’avevano già detto in molti, per esempio Kandinskij), solo l’autore onesto con se stesso può sapere se la propria opera è riuscita, il critico non può che giudicare con un criterio fossilizzato rispetto alla creatività dello scrittore.
Cari Ennio Abate e Roberto Bertoldo,
ritengo che ogni “gruppo”, chiuso o aperto che sia, risponde sempre alle medesime leggi strutturali, cioè ogni gruppo difende se stesso, la propria storia, le proprie origini e le proprie prospettive, le proprie alleanze. Il problema non è biasimare chi fa gruppo, in fin dei conti ciascuno ha diritto di scegliere liberamente i propri accompagnatori e le proprie prostitute. In un contesto di stagnazione economica e stilistica non mi meraviglia che le risposte degli Apparati sia di chiusura e di difesa degli interessi corporativi (di visibilità, istituzionali, di potere editoriale etc.), mi allarma piuttosto la situazione di «radura» e di conformismo del settore culturale in generale e della poesia in particolare, nel quale se qualcuno tenta di esprimere una «idea» viene messo subito al bando e censurato. È naturale che ciascuno difenda il proprio orticello dalle invasioni di campo, ed è perfino comprensibile che ciò accada, ma è innaturale ed abnorme un comportamento generalizzato di ottundimento di qualsiasi ricerca, di qualsiasi dibattito. Addirittura, qui si confonde la ricerca e il dibattito con la questione delle classifiche dei libri più votati da ipotetiche giurie di sedicenti amatori di libri.
Insomma, oggi non ci si meraviglia più di mettere i libri alla stessa stregua delle canzonette più osannate. Condivido quanto dice Errebi, è un discorso «falso» e ipocrita quello che pretende di supplire la critica dei libri con la ricetta dei libri più votati da una platea (quale che essa sia) indifferenziata e anonima. Non ci può essere alcun surrogato della critica. La critica o c’è o non c’è. L’aspetto paradossale è che oggi nel settore poesia siamo in presenza di una invasione di simil-critica, ma l’aspetto più inquietante è che essa venga accolta e scambiata per merce di profilo culturale elevato quando in realtà si tratta di contraffazione e di degrado del discorso critico culturalmente riconoscibile.
Lasciare (e lanciare) i libri ad una platea indifferenziata e anonima equivale a lanciare i prodotti culturali nell’anonimato di una agorà indistinta e indifferenziata. Così, viene meno la responsabilità dei singoli responsi critici. Il critico quando mette la propria firma ad una recensione ne risponde con la propria storia e la propria credibilità. A questo punto, caro Abate, sono irrilevanti anche i «criteri» con cui sono stati scelti i «lettori», il problema è che questi lettori sono indifferenziati e anonimi e che essi non rispondono (con la propria credibilità intellettuale) dei propri responsi.
Ed anche la buona fede di singoli critici i quali hanno segnalato ai blog letterari i libri di poesia, fanno una operazione (inconsapevole) di imbonimento del sistema.
L’aspetto allarmante è che venga accettato da tutti i partecipanti dei blog letterari questa sorta di discorso critico degradato e che venga scambiato per un «discorso critico». Si è talmente perduto il ricordo di ciò che significa «discorso critico» che ormai quasi nessuno dei siti culturali di internet è in grado di distinguere un discorso critico elevato da uno di livello infimo.
Ed ecco che esso viene sostituito dalla votazione per delibazione.
Di questo stato di cose preoccupante c’è da preoccuparsi, credo.
Il problema, con alcuni detrattori delle classifiche dedalus (ma non tutti: ce ne sono di rispettabili), è che non si capisce bene se ci sono o ci fanno.
Della vocedellaverità e di Abate ancora aspetto le innovative scoperte letterarie del 2011 non presenti in classifica. A Linguaglossa invece vorrei chiedere: quando lei scrive una cosa come “è un discorso «falso» e ipocrita quello che pretende di supplire la critica dei libri con la ricetta dei libri più votati”, quando scrive questo lei ci è o ci fa? Non VUOLE capire che nessuno pretende di supplire un bel nulla, cosa che all’interno del thread hanno appena ripetuto per l’ennesima volta Abeni e Donnarumma? O proprio non ci arriva?
Chiederei a giorgio linguaglossa di fornire un esempio di “discorso critico” sub specie aeternitatis, gli chiederei altresì per quale epoca idealtipica della storia patria provi tanta struggente nostalgia, gli chiederei inoltre se è meglio che la critica ci sia o non ci sia, pregherei inoltre di dichiarare se preferisca il nulla piuttosto che qualcosa. Gli chiederei anche di spiegare come e perché il discorso critico sulla poesia sia oggi di infimo livello: che faccia i nomi degli infimi poeti e critici, argomenti in che modo siano deteriori a poeti e critici del passato, provi ad azzardare una motivazione storica, materialistica o metafisica, del fenomeno. Chiederei insomma a giorgio linguaglossa di darci testimonianza della sua indiscutibile superiorità in materia, di condividere parte del suo sguardo freddo e illuminato sulla cruda realtà delle cose, in modo che i pochi tra noi che ne siano in grado possano essere toccati dalle sue parole, dagli affondi del suo acume critico, dalla lunga gittata del suo intelletto. E chiederei il tutto con posata serietà, senza eccessive ironie, giacché sono sicuro che giorgio linguaglossa si renda conto che un intervento come il suo, l’ennesima metacritica delegittimazione del discorso critico, non basta nè a demolire nè a dimostrare nulla. Ringrazio.
@ Marchese
Non avevo letto le discussioni sulla «non-questione» da me sollevata. Nulla di male, spero. Per scrupolo, però, e sia pur in ritardo, ho spulciato per alcune ore i commenti dei numerosi post dedicati in vari anni su Nazione indiana a «Classifiche pordenonelegge-Dedalus». Ho trovato molte critiche condivisibili e anche più dettagliate delle mie, che parlo un po’ da esterno. Col copia/incolla ho preparato persino un florilegio delle posizioni più interessanti o sintomatiche. Ma in ossequio alla brevità dei commenti, non le riferisco; e tengo per buona la sintesi equilibrata fatta da errebi: «Le “classifiche pordenonelegge” sono transitate da un blog (“Nazione Indiana”) a un altro (LPLC), ma si sono portate dietro le stesse perplessità, gli stessi dubbi, le stesse critiche di quando sono nate». Aggiungo soltanto: ad occhio e croce anche su NI quella gamma di posizioni suadenti, combattive, narcisistiche o ben più provocatorie e aggressive delle mie, ma spesso anche fattive e ben argomentate, lasciano intravvedere la sostanza (per me politica) della contrapposizione tra “pragmatici” e “contestatori” che serpeggia anche in questo post di LPLC.
@ prassi del complotto
Lei approva lo scopo (politico) per cui è stato fondato Pordenonelegge-Dedalus («premiare libri che fossero al di fuori della circolazione editoriale delle major»). Io proprio questo scopo, e soprattutto questo, disapprovo. Non mi sono permesso di dire che «tutto è truccato, pilotato e farsesco». Non entro nel merito dei nomi dei «Grandi lettori», dei libri scelti o dimenticati. Ho letto però attentamente la «dichiarazione d’intenti» firmata «Alberto Casadei, Andrea Cortellessa, Guido Mazzoni» e la loro replica (pnlegge [15/04/2009 16:19) alle prime critiche arrivate; e resto tra i “contestatori”.
In particolare vedo tutta la debolezza teorica e la disinvoltura con cui si aggira la questione della «qualità», che viene così sbrigativamente liquidata:
«Anche questa formula è pratica e sintetica: sappiamo bene che la discussione teorica sulla qualità in arte esiste da millenni ed è infinita. Sappiamo però che le parole si usano a seconda dei contesti – e in questo contesto siamo sicuri che un lettore non prevenuto possa comprendere bene quello che vogliamo dire».
Soddisfatti i promotori, non io. Per me porsi come lobby di pressione o di orientamento a favore della qualità (non parlo di “conventicola”) in un regime, che io continuo a chiamare capitalistico, significa regredire («Secol superbo e sciocco,Che il calle insino allora/ Dal risorto pensier segnato innanti/Abbandonasti, e volti addietro i passi,/Del ritornar ti vanti,/E procedere il chiami»); e abbandonare una visione critica (=anticapitalistica) della cultura e della letteratura e della poesia (e della politica), che per me resta irrinunciabile, anche se è stata abbandonata in modi dichiarati o subdoli (o stupidi) dalla “sinistra”.
Il monito fortiniano «Proteggete le nostre verità» per me (e molti altri, niente affatto «intatti e imbelli») è valido e attualissimo. E non parlo da nessun «pulpito», ma, vecchio sconosciuto e «senza crazia», su questo e in altri blog o siti o luoghi di discussione politica e culturale non sfiorati neppure dai riflettori di Pordenone legge-Dedalus.
Per me battersi per una «qualità» dei libri, senza fondarla su un’analisi politica spietata del contesto reale in cui siamo, è nascondere un pezzo di verità. Accontentarsi di una posizione vagamente “di sinistra” e senza aver preso atto di cos’è oggi la “sinistra”, come continua a fare lo stesso intelligentissimo Mario Tronti nel post vicino («C’è un solo modo per decostruire il potere della personalizzazione ed è quello di ricostruire l’autorità di classi dirigenti. Questo si può fare solo a sinistra e con la sinistra»), è come azzopparsi o accecarsi per paura. E soltanto così, azzoppati o accecati, ci si può battere per la «qualità» di certi libri, spesso indistinguibile dalla qualità dei libri delle major. Per me è come reclamare dalla Esselunga che nei suoi supermercati ci sia un bancone per i prodotti biologici. Non mi metto a dare suggerimenti ai capitalisti. E ho già detto chiaramente quanto dissento da questa politica nel post della Policastro (http://www.leparoleelecose.it/?p=727 ):
“Frasca e Sossella, cioè, sono complementari e non alternativi a Saviano e a Mondadori. Sono segmenti maggiori o minori (“di nicchia”) dello stesso mercato (capitalistico). Vederli in contrasto (o parteggiare per uno piuttosto che per l’altro, per il piccolo editore “coraggioso” contro il grande ditore corruttore (che però pubblica persino il Saviano (di turno) è ridurre un problema politico (chi comanda anche nell’editoria e che peso hanno i piccoli “capitali coraggiosi”) a problema “endoletterario”».
E, su questo, anche gli organizzatori di Pordenone legge-Dedalus e i loro fan un po’ la coda di paglia devono avercela se, rispondendo alle critiche non fanno che esaltare il pluralismo, il sociologismo («Nello scegliere i Cento Lettori, si è seguito un criterio sociologico: si è cercato di creare un modello rappresentativo dello spazio letterario italiano e della sua varietà conflittuale, fatta di idee, competenze, poetiche eterogenee») l’ecumenismo ( Quanto alla presenza di khmer rossi in giuria, facciamo notare che del gruppo fanno parte, fra gli altri, un gesuita collaboratore di “Civiltà cattolica” e alcuni collaboratori di “Avvenire”»). O la “professionalità”, per cui sembra che i “Grandi lettori” vadano cercati soltanto o soprattutto nelle case editrici o nei loro paraggi.
@ Donnarumma
Sui lettori selezionatori mi sono limitato a chiedere (senza aver finora ottenuto risposta) perché debbano essere per età «fra la trentina e la cinquantina». E, perciò, ho parlato di «corporazioni “generazionali”». Ero partito alla buona con la mia provocazione, ma vedo che mi piovono addosso reprimende («Ribadire il sospetto a oltranza, oggi, è poco più che un sano esercizio preventivo a emendazione dell’intelletto»), intimazioni («Distinguete, nominate, convinceteci, altrimenti tacete»). Anche lei mi pare eluda il problema che ho cercato di porre, invitando al «vile pragmatismo». Dunque voi i pragmatici e io donchisciotte (anche lui “troll” nel vostro gergo, no?) con la testa in altra epoca e ideali? Ne riparleremo, spero.
Aver messo in una precedente classifica al terzo posto Pozzanghere di Strumia, un obbrobrio letterario di cui ho letto la prima parte, significa essere mafiosi o stipendiati dall’Einaudi che è la medesima cosa. Non vi vergognate? Non siete credibili e così la pensano tantissimi altri.
Bene, abbiamo capito che la voce ci fa. Nel merito posso anche essere d’accordo con lui, ma è evidente che si tratta di un interlocutore con cui non vale la pena discutere di questo argomento (e forse di nessun altro).
Avanti il prossimo.
@Ennio Abate:
No. Alla distinzione “voi pragmatici”/”noi donchisciotte” io non ci sto. La sua risposta merita più di una replica rapida e aforistica come posso fornirgliela ora. Ma intanto: non lamenti le mie blande reprimende e intimazioni. E’ il minimo che posso chiedere, da giovane gettato in un’epoca che snerva preventivamente ogni volontà d’eversione, a un “vecchio” che tiene strenuamente, e senza mezzi termini, la sua posizione di trincea. Chi è per la lotta senza compromessi deve aspettarsi reazioni senza compromessi. Se grido contro chi è più duro di me, mi aspetto che mi si gridi più forte. Se lei rigetta tutto il sistema, deve rigettare anche i valori di mediazione della democrazia. Non lamentare che gli si faccia la voce grossa. Rispondere con violenza alla violenza. Non credo ci siano altre vie radicali, tutto il resto sono chiacchiere.
Con ossequio sincero, e speranza di ulteriore confronto.
@ Abate
Non faccio parte di quelli che hanno scelto i cento lettori: quindi, non è che eluda la sua domanda, ma proprio non potrei risponderle. Per me, mi sarei limitato ai 30-40enni (50 è troppo; scenderei, magari, sino ai 26-28, se non fosse che a quell’età credo uno debba far altro che esprimere preferenze). Mi pare che le persone nate dopo il ’68 abbiano molte esperienze in comune – fermo restando che le etichette generazionali mi lasciano molto scettico, e che la corporazione, qui, proprio non c’è. Esistono semmai, come ovunque, dei sottogruppi: ma allora li individui e rifletta su quelli. Se lei avesse, che so, intravisto un partito-Frasca contro un partito-Sortino, l’avrei seguita; altrimenti, la polemica mi pare fiacca. Cinquantenni et ultra ne hanno già fatte abbastanza (chi sì, chi no, naturalmente): sono un fan di Edipo, mica di Saturno!
Non sono per la difesa a oltranza della piccola editoria, delle scritture minori, delle sperimentazioni soffocate in culla dai Leviatani editoriali. Però il desiderio di uscire dal solito circolo delle majors mi pare più che legittimo.
Continuo a pensare che attribuire tutto questo carico a una classifica sia un po’ buffo.
«Vostro gergo» include me? Lei mi fa torto.
@ prassi del complotto, shangaili
Non so quante lingue abbia in bocca Linguaglossa, ma quella italiana non dev’essere nel novero. Che voi abbiate la forza di leggerlo, e la costanza di rispondergli, mi rende ammirato.
P.S. Il giorno in cui LPLC diventasse come NI, o Signùr!, cancellerei questo sito dalla barra dei preferiti e mi rifugerei sul forum del Giornale.it.
@Donnarumma
Spiacerebbe anche a me che LPLC diventasse come NI, ma probabilmente accadrà.
Non è un problema di singoli collaboratori o commentatori, ma è un esito insito nel paradigma del blog collettivo, e dalla conseguente sindrome (antiautoritaria?) di rifiuto-della-redazione.
Bisognerà farsene una ragione.
ma perché, com’è diventato NI? lo chiedo per ignoranza mia, non per provocazione.
A chi si firma con l’eteronimo del Signor Shangaili, non sapendo chi nella realtà egli sia, non rispondo, non ho l’abitudine di rispondere a chi si cela dietro eteronimi o ortonimi.
Per quanto riguarda l’invito del Signor Shangaili a «fornire un esempio di “discorso critico” sub specie aeternitatis», lo inviterei a leggere alcune migliaia di libri di critica dei maestri della critica del Novecento: se vuole gli posso fornire un elenco bibliografico aggiornato al secolo scorso.
Per quanto riguarda il verbo «supplire» che il Signor Shangaili mi addebita, lo inviterei a rileggere il mio post e vedrà che non ho utilizzato quel verbo né alcun concetto similare; lo inviterei anche a leggere bene i testi degli interlocutori e a non affibbiare loro pensieri che non hanno mai pensato.
Ritengo di non avere altro da dire a quell’interlocutore visto che lo scambio di opinioni rischia di diventare uno scambio di insulti.
Buongiorno
Perfetto, Linguaglossa ci è.
Avanti il prossimo.
@ Donnarumma
Se si vuole evitare che LPLC «diventi come NI», cioè un “litigatoio” e un “gruppo chiuso” ad apporti esterni che non siano quelli dei propri amici o dei soliti (e pochi) commentatori ossequienti, bisognerebbe rinunciare al tono altezzoso e liquidatorio che lei ha usato nei confronti di Linguaglossa, strizzando l’occhiolino a ‘prassi del complotto’ e a ‘shangaili’. Ho inviato alla redazione di LPLC per una riflessione sul ruolo possibile di questo blog uno stralcio del testo di Elvio Fachinelli, intitolato «Gruppo chiuso o gruppo aperto?» apparso su “Quaderni piacentini”, n.36, nov. 1968. Lo suggerisco anche a lei e agli altri commentatori.
Lo trova qui:http://moltinpoesia.blogspot.com/2011/11/ennio-abate-riflessione-di-un.html#more Ma ne riporto subito poche righe che mi paiono riferibili all’episodio in questione:
«Storicamente, lo straniero, l’uomo che spunta sconosciuto all’orizzonte, è stato, ed , più spesso nemico che amico. Di qui il riflesso di chiusura del gruppo nei suoi confronti, che è tanto più forte quanto più il gruppo è internamente debole, incerto, diviso, e che riesce a dargli momentaneamente una sua unità e una sua forza. Il processo di settarizzazione sembra dunque ripetere, esasperandolo, moltiplicandolo, questo riflesso di difesa rispetto a un « esterno » percepito quasi esclusivamente come nemico, come negativo».
Commento mio. La posizione o il linguaggio di Linguaglossa è quella dello “straniero” (a LPLC o alla tonalità dialogica o competitivo dialogica di LPLC). Sarebbe bene, invece di espellere, confrontarsi e capire il suo apparentemente indecifrabile e oscuro linguaggio. O ricorrere alla traduzione, che può essere atto reciproco di avvicinamento oggi più che mai indispensabile.
Sulla “questione generazionale”. Non è terminologica (io che ho usato «corporazioni “generazionali”, lei che m’invita a parlare di «sottogruppi»). Mi pare che lei sia combattuto. Si dichiara scettico sulle etichette generazionali, ma poi, per la scelta dei “cento lettori” fa capire che si sarebbe limitato « ai 30-40enni (50 è troppo»; e butta lì un generico e malizioso « Cinquantenni et ultra ne hanno già fatte abbastanza». Quindi non possono essere buoni lettori? Mi chiedo però: c’è o non c’è questa questione generazionale? o non è generazionale ma politica, (come io tendo a credere)? Che «le persone nate dopo il ’68 abbiano molte esperienze in comune» mi pare ovvio. Il problema è stabilire se esclusivamente sulle loro esperienze riusciranno a costruire una politica, cioè una ipotesi di soluzione dei problemi posti dalla presenza di altre generazioni (più vecchie o più giovani). Io sono scettico per quanto detto nella risposta @ Ellen (31 ott.2011, ore 15,15). Tronco qui, ma il discorso mi pare urgente.
Per la classifica pordenonelegge-dedalus. Preferirei che lei stroncasse la mia polemica politica invece di etichettarla («fiacca») e spingermi, come altri, a porre problemi (partito-Frasca, partito-Sortino) che esulano dalla mia impostazione e non mi entusiasmano.
Non vel o posso nemmeno scrivere che lavoro sto facendo in questo momento che vi leggo per pagare la camera doppia da fuorisede dovo sto. ma mi domando: mentre sto facendo questo lavoro precario e di m. di cui pago anche i contributi, questi contributi servono a pagare le pensioni di chi intanto posta le “infinite lenzuolate” di sopra o ci ammonisce a leggere articoli del 68? (non dieci eh, ma 43 inverni fa). vado.
@ Abate
Veramente, mi sembra sia lei che vuole suscitare la lite. Non vedo dove sia la strizzata d’occhiolino nel rivolgermi apertamente (e ironicamente) a prassi del complotto o shangaili. Se no, la prossima volta che dirò che sono d’accordo con lei, cosa penserà? Che ce sto a provà? Non si metta in testa strane idee. Gliel’ho già detto: gli uomini sopra i quaranta proprio non sono il mo tipo.
Tutta quella storia dello straniero, scusi, per giustificare qualche post obscurista e decorato di errori di sintassi mi pare, davvero, parodica (come è parodico trattare topi e rane al pari di eroi omerici). Se Linguaglossa è libero di scrivere come crede (ma lui stesso ha corretto il tiro, per fortuna), sarà libero un altro di esserne insoddisfatto. Io, per me, cerco di parlare già tradotto, e di risparmiare fatiche inutili a chi ci legge. Piuttosto che nel mio aperto e cortese dissenso, l’altezzosità la vedrei in certe pose lacanisto-derridianoidi – se proprio vuole scendere alle rampogne moralistiche.
Generationes. Senta, ma un po’ non dico di complessità, ma di dialettica? Per me, una generazione è identificata dal terreno comune di esperienze storiche e di domande a cui si prende la briga di rispondere; ma le risposte sono varie, aperte, spesso in contrasto: identificano un campo di tensioni, non il regio esercito. Lei (ho frainteso?) tende un po’ troppo a fare di tutte l’erbe un fascio, in ossequio a un tipo di storicismo in cui non credo. Con il che, le sfugge l’enormità delle differenze – che io sottolineo partendo, come inevitabile, dall’idea che un terreno comune ci sia. Come vede, ho una qualche forma di storicismo io pure. (E se vuole mi risponda che son confuso, e non si capisce se voto storicismo sì o storicismo no…).
E chi mai ha detto che i 50 e i 60enni non sappiano leggere? Ma conserviamo il senso della realtà (e qui strizzo di nuovo l’occhio a Ellen, anche per fare dispetto a lei): non è che i luoghi in cui le persone sotto i 40 anni possono esprimersi sovrabbondino. E poi scusi: se dovessi usare le sue categorie generazionali, dovrei dirle che lei fa parte di una generazione che ha rivendicato una propria identità con molta forza, anche se non solo contro i vecchi; e ora perché vuole impedirlo ai giovani? E potrei aggiungere: com’è che voi a trent’anni eravate padri di due figli, e molti di noi alla stessa età dormono ancora nella camera dei bambini?
Spero non voglia rifilarci la sòla del patto generazionale. Credo che, anche per lei, il conflitto sia un un valore.
La questione generazionale è una questione politica – non l’unica, si capisce, e certo non nei termini da teatrino dei rottamatori. Conosco fior di sessantenni che, pur avendo figli precari, sembra proprio non riescano a capire cosa voglia dire esserlo, precari. Peccato che siano loro a deciderne il destino. E poi, credo tra noi due esista tra noi un disaccordo non aggirabile. Di gente che, per volare come la nottola di Minerva della rivoluzione, dall’alto non riesce più a distinguere le pecore dai lupi, e le biclette dalle carriole, ne ho conosciuta; era, in genere, intenta soprattutto a legittimarsi come Voce della Coscienza Storica, in una compensazione allucinatoria per i propri fallimenti. Non nego certo che una qualche verità ne venisse comunque fuori, ma a che prezzo? e con quanta falsa coscienza? Sia gentile, non mi prenda pure lei quella brutta piega. Se ritiene che la questione generazionale sia fumo negli occhi contro le Vere Questioni Politiche, no: non sono d’accordo. Ce ne sono altre: ma c’è pure questa; e volerla ridurre a un accidente o a un diversivo, forse vuol dire (gliela servo su un piatto d’argento) dar voce al senso di colpa di una generazione che ha avuto sempre seri problemi a regolare i conti coi propri padri, figuriamoci ora coi propri figli.
P. S. Perdoni, il pezzo suo che segnala mi sembra interessante, ma ora non riesco a leggerlo con attenzione. E scusi anche la fretta con cui le ho risposto.
@ Alessandro
Vada, ma poi torni.
Ringrazio molto – penso di poter dire anche a nome di Alberto Casadei e Guido Mazzoni – chi come «prassi del complotto» ha avuto la (disinteressata) pazienza di replicare a chi accusa questa cosa di non essere opera di E.R. Curtius, Eric Auberbach, Lionel Trilling e Giacomo Debenedetti ma invece (cito a caso, l’elenco completo dei Lettori si trova qui: http://dedalus.pordenonelegge.it/index.php?nvg=1&session=0S25516993078865AH67P7984&syslng=ita&sysmen=1&sysind=6&syssub=0&sysfnt=0) di Andrea Cortellessa, Antonella Anedda, Massimo Fusillo e Massimo Raffaeli. Mi duole, ma tocca accontentarsi di quel che passa il convento.
Ringrazio altresì chi ha avuto la pazienza di replicare a chi accusa questa cosa di non tenere conto delle «cose esterne» che, come sappiamo, «esistono realmente» (sarebbe chiedere troppo, certo, rinviare questi impazienti di professione a informarsi sul lavoro di chi di noi s’impegna politicamente, in separata sede, partecipando a movimenti lavorando a riviste ecc., prima di indicarli al pubblico ludibrio come mandarini sibariti incuranti di tutto).
Vorrei però correggere su un punto «pratica del complotto»: quando cioè dice che «il Dedalus era nato per premiare libri che fossero al di fuori della circolazione editoriale delle major». Se davvero così fosse, sarebbe legittima la critica di chi vede in questa cosa semplicemente la costruzione di una nicchia “autoreferenziale” ma così non voleva essere e non è (quella di autoreferenzialità, per inciso, è l’accusa più stolida e in malafede tra quelle che ci siano state fatte; nell’elenco dei Lettori ci sono molti dei migliori poeti e narratori italiani, i quali non si vede perché dovrebbero essere esclusi dall’elettorato passivo; naturalmente nessuno di loro vota per se stesso, ed è comico anche solo supporlo; peraltro in quest’ultima tornata, se non faccio male i conti, non sono Lettori i primi due della classifica di narrativa e quattro dei primi sette; né il primo della poesia e, di nuovo, quattro dei primi sette).
L’intento di chi ha concepito e da due anni porta avanti questa cosa è esattamente il contrario: quello di leggere (e far leggere) *insieme* il libro edito dalla major e quello edito dalla “nicchia”. Come, nella concretezza della propria esperienza, fa effettivamente qualsiasi lettore degno di questo nome.
E infatti l’esito del biennale premio dato lo scorso settembre a Pordenone (un premio le cui selezioni hanno passato, come è stato detto, “tre gradi di giudizio”) ha visto vincitori Milo De Angelis (Mondadori), Franco Arminio (nottetempo) e Massimo Rizzante (Effigie). Perché ovviamente ancor oggi molti autori importanti, fortunatamente, trovano spazio nei cataloghi delle majors accanto alle tonnellate di fuffa che purtroppo vi si trovano; e altri invece sono stati costretti a rifugiarsi nella piccola o piccolissima editoria (anche in questo caso, ovviamente, accanto a tonnellate di fuffa – che però, a differenza di quell’altra, non va nelle classifiche di vendita propinate ogni settimana dai maggiori quotidiani e conformisticamente replicate nelle pile esposte nelle librerie di catena; né la si trova recensita da autori in conflitto d’interessi sui medesimi quotidiani, spesso, altettanto in conflitto d’interessi; rinvio, per questo intreccio perverso, a questo mio intervento recente: http://www.doppiozero.com/rubriche/13/201111/confidare-ancora-nei-galantuomini).
Infine, confesso, mi fa un po’ specie che Raffaele Donnarumma, che pure ha accettato di far parte del gruppo dei Lettori e non ha mai chiesto di uscirne, dichiari: «Come volete che si voti? O un po’ a caso, avendo in testa i tre o quattro libri letti (se va bene!) nell’assoluta ignoranza delle due altre dozzine in ballottaggio; o per sentito dire da amici che si stimano; o dopo aver sfogliato in libreria qualcosa. Comunque (e qui il caso cede il passo al determinismo), dando voce ai propri gusti, alla propria postura, al proprio ambiente che già in partenza, nove volte su dieci, esclude uno possa aver presenti libri di altre, chiamiamole così, aree».
Che non si voti sulla base di una lista di preselezioni (alla quale farebbe pensare l’espressione «ballottaggio») Donnarumma dobrebbe saperlo; che (di conseguenza) si voti «dando voce ai propri gusti» non c’è dubbio; che questo necessariamente escluda dal confronto «libri di altre, chiamiamole così, aree», non direi proprio (almeno non è questo il mio caso, e non credo capiti alla maggioranza dei Lettori). Ma soprattutto non vedo perché partecipare a una qualsiasi iniziativa se poi vi si deve partecipare con tutta questa snobistica souplesse; se Raffaele (nei cui confronti la stima – in base alla quale lo si è appunto invitato – non per ciò diminuisce) si annoia tanto, allora sarebbe bene che passasse la mano a qualche altro lettore, magari uno dei bravissimi 28enni di cui parla. Magari proprio a «prassi del complotto» che forse conosce di persona (ma sì, coi nicknames il complottismo viene spontaneo).
@ Andrea Cortellessa
Mi fa specie io ti faccia specie.
Facciamo un esempio: un concorso di bellezza o un concorso di dottorato. Perché il mio giudizio abbia valore, sono tenuto a sciropparmi la sfilata di tutte e cento le scosciate ragazzotte, o a esaminare tutt’e cinquanta le tesi (più le prove scritte, se ci sono, e i colloqui orali). Ora, le classifiche non funzionano così, e questo ne limita il significato. Anche ammettendo che qualcuno (tu, magari) abbia una conoscenza diretta e di prima mano di tutti i libri posti in votazione, la maggioranza dei lettori non sarà affatto in questa condizione. A me è capitato più volte, per esempio, di leggere un libro in ritardo, e dirmi: accidenti! era a questo che dovevo dare i miei 6 punti, non a quell’altro.
Poi, possiamo anche pensare che i cento Lettori siano un Corpo Mistico che compensa e trascende le mancanze dei singoli. Ma che vuoi? Sono ateo. Vedrei invece una qualche lotta fra il braccio destro e il braccio sinistro…
Stando così le cose, attribuisco alle classifiche una limitata procura. Ma, in ogni caso, una qualche procura – per lo più orientativa e informativa, come ho detto. Certo, c’è gente che, con le sfumature, ha lo stesso rapporto di Mondrian. Molte delle cose che hai scritto qui sopra sono del tutto condivisibili. Se però mi chiedi una professione di fede o un giuramento di fedeltà, o mamma!, scappo subito.
Su «ballottaggio»: ma dài, non attaccarti alle metafore. Attacca direttamente me, che ci si diverte di più! Sono onorato della medaglia per la «snobistica souplesse» (che sarebbe, invece, preoccupato scetticismo e confessione dei proprio limiti). In effetti noi ex-morti di fame abbiamo un po’ quel difetto lì, di fare i signorini. Non so affatto chi sia prassi del complotto, né quanti anni abbia: quando cerco di indovinare chi si nasconda dietro questo o quel nick, non ci prendo quasi mai. Comunque, e dietro tuo cortese invito, sono prontissimo a cedere il posto a chicchessia – purché non sia in quota Cortellessa, si capisce!
Beh, comincio a fregarmi le mani per la soddisfazione! Un post a commenti zero arrivato oggi a commenti 46 e che ha fatto scomodare un (presunto) “lacanisto-derridianoide” come Linguaglossa, Cortellessa, sia pur per complimentarsi soltanto con i difensori del suo progetto (e senza degnarsi di considerare almeno qualcuna delle critiche), e persino un precario (spero verace) e che promette scintille endo/inter/generazionali, è un bel risultato.
Se poi il fantasma di Fachinelli, che ho scongelato da «43 inverni fa», riuscisse ancora a far capire che certe «“infinite lenzuolate”» colgono la realtà più del commento “mordi e fuggi” con nick name fantasiosi ma a volte vigliacchetti, andrei in solluchero.
Ma per ora “à la guerre comme à la guerre” e cercando di mettere a frutto la mia pensione (che non mi è stata regalata né dai miei antenati né dai mie posteri precari):
@ Donnarumma
Replico solo sul tema Generazioni, che m’interessa di più. Lasciamo da parte lo storicismo. Io non uso (non approvo) «categorie generazionali». Le ritengo limitatamente utili per cogliere alcune differenze non trascurabili, ma – gratta gratta – sotto l’ideologia (sì, ideologia!) generazionale (per onestà: vizio dei vecchi quanto dei giovani, laudatores del passato vs invasati del nuovo) ci vedo un contrasto politico, purtroppo solo strisciante, proprio per assenza di lunghi in cui pensarlo, farlo esprimere e organizzarlo politica-mente. Non le ritengo né accidenti né diversivi. Non contrappongo a tali questioni «le Vere Questioni Politiche». So però che neppure la politica è un accidente o un diversivo; e senza politica (senza riflessione e organizzazione politica) anche la più virulenta rivolta generazionale (o femminista o omosessuale, ecc.) non va oltre una certa soglia. E questo è insoddisfacente e preoccupante. (Cfr. ancora il mio commento sotto il trascurato post di De Carolis). Perciò poco dialettica e poco complessa mi pare la formula che lei (sbagliando) mi attribuisce:« lei fa parte di una generazione che ha rivendicato una propria identità con molta forza, anche se non solo contro i vecchi; e ora perché vuole impedirlo ai giovani?».
Stia certo che se dei giovani rivendicassero ancora « una propria identità con molta forza, anche se non solo contro i vecchi» starei, ansimando dietro i cortei e sperando di non essere colpito da un candelotto della polizia (come capitò a Milano durante una manifestazione al pensionato Tavecchia.. .ricordo ancora il nome!), con loro.
Sono invece diffidente verso l’aggregazione di tipo esclusivamente generazionale, come ad esempio quella espressa dal manifesto TQ o dal manifesto dei pensionati, entrambi su alfabeta 2 . E sul post di quest’ultimo, un po’ pateticamente l’ammetto, avevo lasciato il commento checopio qui sotto, dove pare si veda bene che non sono per un burocratico «patto generazionale», ma semmai per un patto di lotta (politica!) tra gruppi di giovani e gruppi di vecchi, politicizzati e non rincoglioniti né da nostalgie né da futurismi:
« Ennio Abate 28 agosto 2011 alle 17:17
Salomonicamente e più amaramente:
L’errore di Campagna è stato affrontare come problema generazionale un problema politico. Sono i partiti e la loro politica deleteria che devono essere fatti saltare senza stimolare “i sessantenni” o “i giovani” a litigare fra loro come i polli manzoniani di Renzo.
L’errore di quanti gli hanno controbattutto è aver risposto alla “provocazione” con altra “provocazione”. Come di moda nello”stile blog”.
Non ho sottomano la citazione, ma ricordo che Fortini scriveva che qualcosa ( non diciamo una rivoluzione) si combina quando giovani e vecchi si trovano a combattere insieme sulle barricate.
Pare che nel mondo arabo ( al di là che lì sia in atto una primavera rivoluzionaria o meno, su cui discuterei) giovani e vecchi scendano ancora insieme in piazza».
@ Abate
“e la più virulenta rivolta generazionale (o femminista o omosessuale, ecc.) non va oltre una certa soglia”
ecco che ci risiamo… si vuole di nuovo far passare il “teorema dell’organizzazione”…
caro Abate, con tutta la stima dovuta, ma non le è bastata la scoppola che avete preso? Quand’anche si riuscisse a” organizzare” la voglia di cambiamento che c’è nell’aria, chi poi ci si metterebbe a capo?
O ha dimenticato gli scontri per l’egemonia del “movimento” che ha portato a suo tempo e in breve alla defezione della maggior parte della forza di questo movimento che prima ancora che “politico” era “culturale”: sì, proprio così CULTURALE! Le nuove idee erano il collante che teneva insieme le lotte dei giovani, delle donne, degli operai, dei vecchi e degli artisti.
Vogliamo per l’ennesima volta scrivere la storia della “generazione che ha dissipato i suoi poeti”?
E a questo proposito, ha notato come in quei momenti nascano più poeti e artisti e idee che in tutte le fasi di “riconduzione alla politica”, che vede invece i Mandel’stam finire i propri giorni in un gulag?
Faccia uno sforzo caro Abate, provi a guardare a quanto di buono si possa salvare, altro ch ecultura del sospetto!
@ Donnarumma
Caro Raffaele, non mi pare di averti chiesto «una professione di fede o un giuramento di fedeltà», sei tu che (come altri iper-critici seriali), con frasi come questa, attribuisci ai promotori & coordinatori delle Classifiche l’ambizione di costituirle o presentarle come Giudizio Universale, il che nessuno di noi ha mai pensato ovviamente. Proprio il fatto che nessuno può Leggere Tutto, e che Tutti Possono Segnalare Ciò Che Hanno Davvero Letto (magari non «sfogliato in libreria»), è il maggior limite, limite dichiarato in maniera più che trasparente e sin dall’inizio, delle Classifiche. Di converso, il fatto che proprio sulla base dei loro esiti (o di altre segnalazioni ovviamente) sia possibile (in una seconda e talora in una terza battuta, essendo la cadenza delle votazioni bimestrale e il periodo d’osservazione di sei mesi) per un Lettore leggere, ed eventualmente votare, ciò che in precedenza gli era sfuggito, era sin dall’inizio uno dei punti di forza del meccanismo.
Nel mio fervore tardo-adolescenziale mi ostino in ogni caso a pensare che duecento (o quelle che sono) segnalazioni di lettura dei vari Donnarumma siano incomparabilmente più interessanti di una classifica di vendita (e un po’ ci sformo, sì, che i famosi quotidiani non se ne vogliano dare per intesi).
Dunque se mi è concesso ti invito a restare in quota te stesso, ma a metterci uno zinzino più d’impegno se possibile.
Grazie, A.
Uno dei vari donnarumma allo (sperabilmente) unico Andrea Cortellessa
Signora Maestra!
ma io pensavo che i libri bisognava leggerli per sul serio, mica fare finta. E poi avevo anche gli esercizi di matematica! Adesso però mi impegnio di più e faccio come dice lei. Anzi, come fa lei: che si fa davvero prima.
Spero che mi promuove, e non mi mette in ginocchio sui ceci (sempre che ne siano avanzati).
@ Abate
Messa così, la seguo molto meglio: e la ringrazio. Mi pare ci siamo abbastanza intesi sul senso della categoria di generazione. Preciserei che è ideologica quanto qualunque altra (poi, uno sceglie). Solo che mi pare lei non tenga nel giusto conto un fatto che pure enuncia: al momento, non c’è nessuna rivolta generazionale in atto. Al contrario, nelle ormai quasi due generazioni nate dopo il ’68, una coscienza dei problemi che soprattutto loro devono patire è a volte piuttosto indietro, e non va troppo oltre il malcontento. Sì, ci vuole la politica a questo punto – ma prima ancora (sono d’accordo con Capastìna) ci vuole un radicale mutamento di cultura: sennò, stiamo freschi. Esiste un problema di accesso alla vita pubblica, a partire dal lavoro – c’è bisogno di dirlo? Poi, si metta l’anima in pace: qui mi pare nessuno voglia fare la rivoluzione.
Qualche dubbio sulle «aggregazioni di tipo esclusivamente generazionale» viene pure a me: ma in questo momento, sdegnarle nell’attesa della rivoluzione che unisca gli operai di tutto il mondo (metaforizzo), è come rifiutarsi di salire sulle scialuppe di salvataggio del Titanic, e invocare l’intervento degli elicotteri (che erano, all’epoca, fantascienza).
Mi sembra poi che lei sottovaluti cosa voglia dire avere oggi trent’anni: che faceva lei, all’epoca? Se io confronto la mia storia con quella di mio padre, non ho bisogno di troppi sussidi teorici per capire quel che è successo. Il che non vuol dire che darei un calcio negli stinchi a un sessantenne che manifestasse con me (e guardi che io di anni ne ho 42).
Infine, mi permetta di essere brutale. Belle, le scene in cui «giovani e vecchi scendono ancora insieme in piazza». Ce ne fossero! E ce ne sono, per fortuna, anche da questa parte del Mediterraneo. Ma i vecchi poi come lo governano questo mondo? Dai cimiteri? E i giovani quand’è che li facciamo abituare a sbrigarsela da soli? Da vecchi pure loro? Qui c’è gente che viene tenuta in stato di minorità sino ai quaranta: e non so se può calcolare l’entità del danno.
Con tanta retorica sui maestri (non parlo di lei), non vorrei si volessero tenere altri in uno stato protratto di allievi.
@ Capastina
«ecco che ci risiamo… si vuole di nuovo far passare il “teorema dell’organizzazione”…».
Se leggesse attentamente quanto ho scritto sotto il post di De Carolis, metterebbe meglio a fuoco quello che penso. Io non propongo nessun teorema. Ripropongo, invece un problema drammatico, irrisolto e però ineludibile sia per chi avesse preferenze movimentiste sia per chi avesse convinzioni partitiste. Ho infatti scritto:
« Qui il rompicapo irrisolto, che risale alla polemica tra Lenin e Rosa Luxemburg. Non pensavano e volevano entrambi il comunismo appunto come «realizzazione piena, senza trucchi e compromessi», cioè come «democrazia reale», sostanziale, contro la «democrazia formale» degli avversari, della borghesia? Ma quanto sia difficile (o addirittura impossibile?) questo passaggio dal formale al sostanziale è un problema che sta di fronte sia ai movimentisti entusiasti che ai partitisti freddi».
Lei, rileggendo la storia (penso che si riferisca al ’68-’69), commette l’errore di separare il “politico” (in minuscolo) dal “CULTURALE” (in maiuscolo). Stabilisce così una gerarchia (ribaltata rispetto a quella della tradizione togliattiana… si ricorda la polemica Togliatti-Vittorini.. suonare il piffero della rivoluzione etc?) secondo me dannosa, perché ogni cultura ha in sé una propria politica ed ogni politica contiene la propria cultura. È poi ingenuo pensare che siano soltanto o soprattutto le idee («le nuove idee») il collante sociale. Infine, la storia (per me mai riducibile a quella «della generazione» (Cfr. mia risposta a Donnarumma ) non dissipa solo i poeti. Nei gulag o nei lager o nelle Guatanamo non finiscono solo poeti o artisti.
@ Donnarumma
Su come vedo in strettissima relazione il rapporto cultura-politica ho accennato nella risposta a Capastina. Non riduca la rivoluzione a «voglia», per favore. Per quel poco di Marx che ancora mi circola nelle vene, penso che le rivoluzioni siano una cosa complessa, terribile e seria; e che non avvengono quando uno le vuole; e spesso avvengono contro le aspettative di chi le vuole in un certo modo. (Eterogenesi dei fini, etc). E neppure si dovrebbero attendere (come il Messia), col rischio di costruire una “religione della rivoluzione”, che a volte compensa le batoste della vita sociale peggio delle religioni tradizionali.
Nessun attesa, dunque, di elicotteri salvatori. Solo Apache in azione altrove e magari speriamo di no) in arrivo anche da noi.
Lei, prima d’imbarcarsi sulle scialuppe delle «aggregazioni di tipo esclusivamente generazionale», fa bene a rifletterci. Se ci salisse definitivamente, il confronto/scontro tra figli e padri, emotivamente pesantissimo, avrebbe una soluzione obbligata: uccisione simbolica o reale dei padri. Ma il problema (altro rompicapo!) è che non tutti i padri sono in egual misura persecutori o mangiatori di figli; e non tutti i figli (o fratelli) sono attivi, altruisti, solidali, erotici, rivoluzionari o smaniano per uscire dallo «stato di minorità».
Secondo me le converrebbe cercare le possibili soluzioni di questa crisi “epocale” distinguendo POLITICA-MENTE al meglio (ma è sempre una scommessa) gli amici dai nemici ( e la parte amica da quella nemica che ci portiamo dentro).
P.s.
Non posso sottovalutare «cosa voglia dire avere oggi trent’anni» (preciso: per chi proviene da certe condizioni sociali “subordinate”). Cosa facevo io all’epoca? Provavo «come sa di sale/
lo pane altrui, e come è duro calle/ lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale» come immigrato a Milano, studente-lavoratore già padre di due figli e (persino) militante di Avanguardia Operaia.
Siamo già a Nazione Indiana, caro Donnarumma. Anche lì, a un certo punto, arrivano le maestre a bacchettare i più vivaci per ristabilire l’ORDINE; anche lì i più vivaci si ribellano all’autoritarismo usando l’ironia o il sarcasmo (che questi qua odiano come i diavoli l’acqua santa). Finisce sempre che i vivaci se ne vanno annoiati (anche se spesso vengono cacciati o vengono indotti ad andarsene da numerosissime ingiustificate insolenze) e restano le maestre e i maestri… che andrebbero promossi d’ufficio a presidi, come dire, a gran maestri (nel quale ruolo dovrebbero esercitare per statuto la tolleranza e la temperanza), anche se verrebbero ben presto sostituiti da altrettanto validi rieducatori, e si risarebbe da capo…
Mi sa che è la società in generale ad aver imposto questa forma organizzativa al vivere sociale, ma internet esagera… Sempre lì si torna, all’abolizione dei blog…
Quanto alla classifica mi sono espresso a lungo in NI, dimostrando che votanti e votati coincidono in maniera quanto meno imbarazzante. Mi permetto di riportare uno dei miei interventi, da questo esaustivo thread del dicembre scorso http://www.nazioneindiana.com/2010/12/16/classifiche-pordenonenelegge-dedalus-dicembre-2010/
Condivido la tenerezza di Ama. Anche lo spirito critico di chi non si fa dire ” NON DISTURBATE IL MANOVRATORE “. Il fatto è che l’autoreferenzialità non beneficia chi è partecipe al meccanismo, ma DANNEGGIA chi non lo è, magari per ovvie questione di etica. E’ danneggia l’etica in generale, anche di chi non ha mai letto un libro in vita sua. Forse questo si sta cercando di dire, mi pare in tanti. Forse per questo si continua a pigliarsi le peggiori accuse dai maggiorenti del blog.
Per far perdere ulteriore tempo al professor Cortellessa (che tanto il mio, diovolendo, non vale nulla) ho inventato il softuèr massinanalizescion per capire chi vota chi nel premio dedalus. Risulta ciò: presi in considerazione solo i primi 5 posti delle rispettive classifiche, tra meno di duecento congiurati, una quarantina risultano piazzati o vincenti nelle varie classifiche. E lo risultano più volte, alcuni mi pare con opere diverse. Che dire?! NON SI E’ MAI VISTO CHE GIURATI E PREMIATI SIANO LE STESSE PERSONE. MA TANT’E! Cosa direste se un giudice emettesse sentenze su propri parenti’ o addirittura su sé stesso? Ecco i nomi usciti dal softuèr:
Antonella Anedda (vincente)
Giuseppe Antonelli (piazzato)
Franco Arminio (piazzato)
Andrea Bajani (piazzato)
Marco Belpoliti (vincente)
Mario Benedetti (vincente)
Franco Buffoni (vincente)
Maria Grazia Calandrone (piazzato)
Andrea Cavalletti (piazzato)
Milo De Angelis (piazzato)
Giorgio Falco (piazzato)
Massimo Fusillo (piazzato)
Marco Giovenale (piazzato)
Andrea Inglese (piazzato)
Helena Janeczek (vincente)
Nicola Lagioia (vincente)
Valerio Magrelli (piazzato)
Raffaele Manica (piazzato)
Stefano Massari (piazzato)
Francesca Matteoni (piazzata)
Lorenzo Pavolini (vincente)
Gabriele Pedullà (piazzato)
Tommaso Pincio (piazzato)
Gilda Policastro (piazzato)
Laura Pugno (piazzato)
Fabio Pusterla (piazzato)
Stefano Raimondi (piazzato)
Andrea Raos (piazzato)
Massimo Rizzante (vincente)
Domenico Scarpa (piazzato)
Tiziano Scarpa (piazzato)
Elena Stancanelli (piazzato)
Italo Testa (piazzato)
Emanuele Trevi (vincente)
Antonio Tricomi (piazzato)
Chiara Valerio (piazzato)
Giorgio Vasta (vincente)
Paolo Zanotti (piazzato)
Ps: dato che tanti di voi siete in naturale comunanza a Roma, potreste fare una nuova corrente letteraria. Per il nome potreste ispirarvi a un movimento politico di successo molto caro in oltretevere: potreste chiamarvi COMUNIONE E ALLITTERAZIONE, maanche, meno formalmente e più contenutisticamente, COMUNIONE E GIUSTIFICAZIONE.
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Mi scuso di nuovo per l’autocitazione.
Si è poi scoperto, per stessa ammissione degli organizzatori, che la votazione non è segreta, ciò che ne riduce di molto la democraticità (ciò che votano i congiurati è a conoscenza degli organizzatori; è come se il parlamento votasse sempre a scrutinio palese…). Suggerii di separare votanti da votati, come fa per esempio Flavio Santi sottraendosi alla classifica: non ci sentirono. Suggerii di diminuire al massimo a tre il numero degli scrittori in classifica, perché 50 è assolutamente ridicolo, ma più propriamente narcisistico e ridondante, dà a immaginare che il giudizio sia così importante che anche un miserabile cinquantesimo posto sia degno di considerazione da parte dello scrittore che così si piazza, che invece è facile reagisca come minimo con espressioni tipo se n’andassero a morì ammazzati… e tutta Pordenone! Non ci sentirono. Fatti loro. Quello che dovrebbe farli riflettere, però, non è il giudizio critico di blogghisti chiaramente invidiosi, ma che la classifica non se la fila nessuno, né librai né sistema editoriale; assai stranamente, vista la mediocrità degli organismi giudicativi in circolazione. Quello che è peggio di tutto, detto fuori dai denti, è che la classifica rischia di isolare ulteriormente i segnalati, specialmente i primi classificati, marchiati a vita di sospetta, assai sospetta qualità letteraria (che andrebbe in tutti i modi nascosta…. tricher avec la langue… diceva quello che si rammemorava l’altro giorno; o lo diceva Luigi Malerba?).
@ Massino
Sì, è particolarmente sadico far ri-perdere tempo a chi lo ha già perso una volta (anzi, più volte). Curioso che, secondo lei, la perfettibilità di un sistema si giudichi dal fatto che accolga o meno le modifiche che propone… lei stesso. Tanto più che continua a fondare le sue proposte di emendamento, chiamiamole così, su una descrizione del tutto distorta, e tendenziosamente tale, dell’oggetto che dice di voler emendare (mentre appunto, come diceva lei stesso, intende solo far lavorare invano chi ci lavora, cioè vuole sabotarlo).
Allora, ripeto il mantra per l’ennesima volta. Continuare a dire che «GIURATI E PREMIATI SONO LE STESSE PERSONE», e sottolinearlo a tutte maiuscole in guisa di slogan, significa non ascoltare e non voler prendere atto di quello che non solo si è risposto a lei, ma si è ripetuto sin dall’inizio sino allo sfinimento (anche qui, nel mio commento del 4.11 alle 13.31). POICHE’ una delle componenti fondamentali del progetto è quella di sondare le opinioni non solo di critici e altri lettori ma anche degli autori (i quali nella modernità hanno sempre commentato pubblicamente il lavoro dei colleghi, mentre da qualche decennio tendono a evitare di farlo per una serie di motivi che non c’è tempo qui di discutere ma che hanno evidentemente a che fare con l’egemonia culturale del mercatismo che le Classifiche sono state ideate precisamente per contrastare), e POICHE’ abbiamo la fortuna di avere tra i Lettori buona parte dei migliori autori della fascia generazionale che partecipa al lettorato, escludere d’ufficio alcuni autori dalla possibilità di essere eletti condurrebbe a 1) impoverire il Lettorato medesimo sul piano e qualitativo e quantitativo oppure 2) a poter segnalare solo autori di seconda fascia o comunque solo quelli che non sono stati considerati adeguati al ruolo di Lettori (o non hanno potuto o voluto svolgerlo). POICHE’ ovviamente nessuno dei Lettori vota per se stesso, non si può dire IN ALCUN MODO che votato e votante coincidono nella stessa persona. Fanno bensì parte dello stesso gruppo, che è cosa ben diversa (in questo senso, si è detto sin dall’inizio, il meccanismo assomiglia piuttosto a quello dei premi Oscar, nel quale per es. i maggiori registi contribuiscono – insieme agli altri addetti ai lavori del mondo del cinema – a eleggere fra loro il miglior regista dell’anno); ma questa condizione è, ripeto, apertamente dichiarata e fortemente voluta in sede di ideazione e progettazione delle Classifiche stesse.
Inoltre non è affatto vero, come dice lei non so bene in base a cosa, che il voto non sia segreto. Come nel caso dell’esclusione di un autore dall’eleggibilità, che è volontria e pubblicamente dichiarata, è lecito che i votanti dichiarino pubblicamente il loro voto, ma lo fanno di loro iniziativa. Altri preferiscono al contrario tenere segreto il loro voto, e anche questo è loro concesso. Di converso, è stato attivato un sito (nella stessa home-page di Pordenonelegge) dove i Lettori, o altri che vogliano collaborare alle Classifiche (i lettori più giovani il cui intervento Donnarumma invocava, per esempio), possono esplicitare le loro scelte motivandole sotto forma di intervento critico, intervista agli autori, ecc.
Che «la classifica non se la fili nessuno», poi, lo dice lei (sempre con lo spirito costruttivo che contraddistingue i suoi interventi). Se la filano i librai (nella fattispecie per es. le librerie Coop, che pubblicano i risultati nei loro punti-vendita), se la filano gli addetti ai lavori editoriali (nel corso di una tavola rotonda, non più tardi di un mese fa in occasione del numero zero di Roland, a Milano, l’editor di narrativa italiana Rizzoli, Michele Rossi, per argomentare il suo punto di vista ha sfoderato un’assiduità di lettura, delle Classifiche, che ha sorpreso persino me), e lo fanno – magari da lurker – anche gli operatori dei media culturali. Che questi ultimi non lo facciano pubblicamente, pubblicando appunto i risultati, è una cosa che mi incuriosisce e mi fa riflettere, sì. Ma forse dovrebbe far riflettere anche lei, e magari non necessariamente nel senso di una scarsa autorevolezza, delle Classifiche stesse, Saluti.
@ Abate
La discussione era interessante, ma lo ammetto, mi è un po’ passato il desiderio – e non certo per lei, anzi. La rivoluzione non è una voglia, ma neppure una necessità, come nota lei: e qualcuno dovrà pure volerla. A me sembra che sia caduta oltre l’orizzonte, anche solo come sogno. Come avrà notato, a riflettere prima di imbarcarsi sulle scialuppe, e peggio a riflettere sulle scialuppe, si ricevono di gran gomitate nello stomaco e botte in testa. Son sicuro che qualche sessantenne onesto ci starebbe meglio che qualche zelante coetaneo; ma dovremo pure spicciarcela tra noi, non le pare? E poi ci son modi di superare l’edipismo senza sangue vero (quello metaforico è inaggirabile): ma ci si riconcilia coi padri solo dopo averli fatti simbolicamente fuori, e qui invece siamo in uno stato coatto di dipendenza e soffocamento del conflitto. Uno dei miei crucci sono i figli più padri dei padri, i sanculotti più realisti del re. Non tema: distinguo, distinguo anche troppo.
P.S. Salvo errore, nessuno dei miei amici che abbia seguito una carriera intellettuale (l’avanguardia della precarizzazione) aveva o ha due figli a trent’anni. Sale, invece, in abbondanza: da pressione a 200/120.
@ Massino
Ha visto? per me la bacchetta, per lei il bastone (ma la carota? neppure agli sgarzolini ventottenni? solo per gli addetti ai lavori?). Del resto, cerchi di capire – e io, davvero, lo capisco – Cortellessa, in armi non solo contro il fronte esterno, ma pure contro quello interno. Certo sarebbe stato tutto più semplice se si fosse detto: guardate, le classifiche sono un modo per dare voce a orientamenti di lettura diversi dalla solita solfa delle vendite; abbiam fatto le cose, come giusto, con quelli che si conoscevano (il paragone con gli Oscar è giustissimo); ci sono i miei amici, ma pure gli amici di quegli altri, il che dovrebbe riequilibrare le parti. Qualcuno sogna il Giudizio Universale (e lo richiama anche dove altri parlano di «limitata procura»): ma no, è una cosa che ha una sua utilità, anche per la famosa questione generazionale… Poi c’è tutto questo fiorire di norme distinguo eccezioni procedurali autoapologie brocardi e codicilli. A quanto ne so, altri Lettori hanno i miei stessi dubbi e col tempo hanno maturato una lieve delusione. Ma per carità! Non lo dica in giro! Sennò ci mettono la nota sul registro. Noi comunque si fa del nostro meglio, senza invasamenti.
Ah, la conosce questa? A me è sempre piaciuta un sacco. Ecco il testo: http://www.angolotesti.it/V/testi_canzoni_vasco_rossi_1563/testo_canzone_ridere_di_te_41330.html
Cantiamo?
Ho rifiutato di fare parte del novero dei lettori delle classifiche di “Pordenone legge”, nonostante me l’avesse chiesto una persona che stimo molto. Non mi sento infatti assolutamente di “avere il polso” delle uscite librarie dell’anno, e quindi avrei votato solo per il libro di questo o quell’amico. Ma c’è di più. In generale sono contrario alle classifiche: che cosa significa che un libro ha un tot numero di voti? Può significare soltanto che quell’autore ha un numero di amici maggiore di un altro. Resta, naturalmente, il problema di una visibilità dei libri di qualità, delle piccole case editrici, etc. Ma allora perché non dirlo chiaramente? Siamo un gruppo di pressione, una lobby (so che la parola risulta antipatica, ma tant’è) che apertamente cerca di farsi largo in un mercato oligopolistico e chiuso come quello di oggi.
Gentile prof. Cortellessa,
non avendo avuto finora occasioni né d’incontro né di scontro con lei (come quelle che forse s’intuiscono negli interventi di Massino e Donnarumma), le faccio osservare spassionatamente che il suo modo un po’ ringhioso di fare il piazzista del pragmatistico pordenonelegge-Dedalus non convince.
Possibile che ogni critica, ogni contestazione, ogni osservazione, ogni suggerimento (o «emendamento») che riguardi il suo/vostro giocattolo debba essere qualificata come «sabotaggio», perdita di tempo, proposta che non sta né in cielo né in terra, perché scaturirebbe da sadismo, invidia o risentimento plebeo e si fonderebbe, di conseguenza, soltanto «su una descrizione del tutto distorta, e tendenziosamente tale, dell’oggetto che dice di voler emendare»?
Se non l’ha già fatto in sedi più riservate e se trova un po’ di tempo per questo blog (magari mi accontenterei anche di una segnalazione di opportuni link…) potrebbe spiegarci:
1. quali sono i «motivi […] che hanno evidentemente a che fare con l’egemonia culturale del mercatismo», per cui gli autori, che « nella modernità hanno sempre commentato pubblicamente il lavoro dei colleghi», oggi non lo fanno più e lo devono fare (ammesso che lo facciano…) sotto l’ombrello di pordenonelegge-Dedalus?
2. se, a suo parere, pordenonelegge-Dedalus, imitando il « meccanismo [che] assomiglia piuttosto a quello dei premi Oscar», contrasta davvero il «mercatismo» o piuttosto non ne diventi complice, magari agevolando la sua presa anche sulla residua, epigonica (come dice Averroè!) “cultura di sinistra”?
3. in base a quali criteri di «qualità» è fatta la selezione dei “Grandi lettori” (o Lettorato “migliore”); e se crede davvero che giovi a una libera discussione sui libri mantenere una gerarchia Grandi Lettori (Elettori) e “resto del mondo” ( lettori che potrebbero depositare sul sito di pordenonelegge-Dedalus i loro pareri), che mi somiglia, per la sua rigidità, a una strozzatura (inevitabile o comoda?) come quella tra autori di post e commentatori di post adottata da tutti i”democratici” blog della “ultrademocratica”(in apparenza) Rete?
4. Se ci si sia davvero tanto da gloriarsi per il fatto che la classifica Pordenonelegge-Dedalus se la filino «le librerie Coop» o gli «addetti ai lavori editoriali», cioè quelli che già di fatto sono i diretti interessati ( e forse sostenitori) della sua/vostra impresa?
Grazie.
Molte delle obiezioni che sono state mosse alle classifiche trovano una risposta in questo intervento:
http://www.nazioneindiana.com/2009/04/15/le-classifiche-di-qualita-una-risposta/
Rispetto al 2009 è aumentato il numero dei lettori, che oggi sono oltre duecento. Ora: tutto si può sostenere tranne che queste duecento persone siano solo un gruppo di amici (o tre gruppi di amici: quelli di Casadei, quelli di Cortellessa e i miei). Sono un modello rappresentativo dello spazio letterario italiano per la generazione compresa fra i trenta e i sessant’anni. Sappiamo bene che in questo elenco potrebbero figurare delle persone che non ci sono. Oltretutto alcuni lettori hanno abbandonato; altri, come Rino Genovese, hanno declinato l’invito. E tuttavia continuo a credere che il campione sia rappresentativo. Le classifiche sono imperfette e fallibili. Non debbono essere caricate di significati eccessivi, ma hanno una loro pragmatica utilità.
telegrafica @ Donnarumma
Due figli da lav-stud, cresciuti nell’immigratorio” della periferia di Milano e assieme al sale anni Settanta non furono uno scherzo. Non c’invidi.
Certo, anche voi delle classifiche! Quanto a marketing lasciate un pochetto a desiderare, eh. Avesse subito parlato Mazzoni, o Casadei… Ma altrimenti, è come scegliere a testimonial dell’Unicef Erode.
@ Genovese
La nozione di spazio letterario richiamata sopra da Mazzoni prevede entità diverse, in rapporti diversi. Davvero non vedo come si possano considerare i Lettori UNA lobby. Per il resto, come avrà capito, considero i suoi dubbi ragionevolissimi e condivisibili.
Cari amici, i lettori non saranno UNA lobby, come scrive Donnarumma, però potrebbero essere attraversati da impulsi lobbystici diversi (a mio modo di vedere anche legittimi, se fossero scuole di pensiero o di poetica differenti: poniamo, avanguardisti da una parte e non avanguardisti dall’altra). Secondo me, se non altro per diminuire l’effetto “voto per gli amici”, basterebbe pubblicare non già una classifica ma semplicemente una lista pari merito dei dieci libri che sono piaciuti in quell’anno. È infatti sconsolante vedere i risultati di quelli in fondo alla classifica. Uno pensa: “Poveretti, hanno solo due o tre amici!”.
Per quanto mi riguarda, ho accettato l’invito a far parte dei lettori proprio perché ho pensato di poter dare un mio contributo nel senso di una diversificazione di questa classifica, su cui ho anch’io delle perplessità. La mia scelta, spesso verificabile attraverso cose che ho scritto in precedenza sui testi che ho poi votato, è stata sempre quella di prediligere titoli (che ritengo validi) pubblicati da piccole case editrici, proprio perché penso che uno degli obiettivi principali di un’iniziativa del genere sia quello di porre all’attenzione libri poco considerati sia dal mercato che dagli addetti ai lavori.
Quindi, per rispondere a Rino Genevose, io posso dire che i 2 punti dati al libro di Ivan Scarcelli, ad esempio, non sono frutto di amicizia (mai visto né conosciuto). In alcuni casi mi può capitare di votare uno scrittore che conosco, magari perché ne condivido un certo percorso: non so se questo significa far parte di una lobby. E con questo vorrei rispondere alla prima domanda di Ennio Abate, poiché la mia esperienza in rete smentisce un’idea di letteratura “neutra”, secondo cui gli scrittori non si leggono e non si confrontano.
@Genovese
Premessa: non riesco a capire troppo l’accanimento attorno a questa classifica. A me pare che abbia ha l’interesse, i pregi, e i difetti di tutte le classifiche, i premi letterari, le hot hits. Ma esprimere dubbi e alimentare polemiche è un’attività in sé piacevole e quindi ben venga tutto questo rumore.
Ma il suo ragionamento però mi ha colpito, perché mi sembra l’ennesimo sintomo della scomparsa delle nozioni politiche più elementari di una sinistra che si è rifugiata in una forma di snobismo autoconsolatorio. E pericoloso.
Che cosa significa dire chiaramente «siamo una lobby»? E soprattutto, come parla? Le parole sono importanti…. Guardi che anche un partito è «un gruppo di pressione», anche una casa editrice è un gruppo di pressione, e qualsiasi casa di produzione cinematografica è una lobby. Le dirò di più: una università, non solo è una lobby e un gruppo di pressione che agisce sulle povere ed indifese masse, impedendole di sviluppare una opinione autonoma e indipendente attraverso la libera discussione di habermasiana memoria. Ma per come sono messe le cose, le università non fanno altro che cercare «apertamente di farsi largo in un mercato oligopolistico e chiuso come quello di oggi». Se ragionassimo come lei dovremmo chiudere qualsiasi istituzione culturale, e qualsiasi forma di associazione politica. Questo non è «qualcosa di sinistra» è nichilismo politico.
E’ curioso: in realtà il vero liberismo, il vero nichilismo politico oggi sta a sinistra. Poi però se si prova ad attaccare il Manifesto tutti gridano allo scandalo. Non sia mai che non si possano più leggere delle succose recensioni ai videogames appena usciti.
Condivido di Averroè la criptocitazione morettiana: le parole sono importanti. Ma servono soprattutto per distinguere. Quei gruppi di pressione che intervengono sul mercato per piazzare e promuovere alcuni prodotti (anche editoriali) possono essere detti lobby: non è una parola così terribile, dopotutto. Altra cosa sarebbero le istituzioni culturali, l’università (dove dominano le cosiddette cordate, e non dovrebbero), i partiti politici (che dovrebbero basarsi su programmi e ideologie), e così via. Quando invece si ha a che fare con gruppi di pressione, anche di tipo intellettuale, per fare avanzare sul mercato determinati prodotti e idee, questi possono essere chiamati per quello che sono. Le case editrici fanno per lo più schifo, oggi, perché separano l’aspetto puramente commerciale da quello intellettuale. L’Einaudi di un tempo, per esempio, si muoveva tenendo insieme i due aspetti. Non mi sembra affatto nichilismo politico.
@ Mazzoni
Nella mia replica @prassi del complotto del 3 novembre 2011 alle ore 12:30 avevo mosso obiezioni proprio agli argomenti esposti su http://www.nazioneindiana.com/2009/04/15/le-classifiche-di-qualita-una-risposta/.
Se potesse rispondere…
Sì invece che lo è, ed è anche molto grave, perché in questo modo la sinistra impedisce -da decenni- di fare una vera e propria battaglia culturale. Ed è, soprattutto, una forma di snobismo.
Prima domanda.
Perché non volete riconoscere che le case editrici, Einaudi in primis, e i gruppi editoriali, e «gli altri» gruppi intellettuali abbiano una loro ideologia e un programma? Guardi che qualsiasi casa editrice ha un programma culturale. Anche la volontà di vendere libri sul mercato è una ideologia e un programma culturale. Basta con questo snobismo. Lei non è d’accordo con il programma culturale di Einaudi? Benissimo, fondi un’altra casa editrice, mobiliti -come ha fatto Pordenone- qualcosa di alternativo, ma non si nasconda dietro la falsa opposizione manichea dei buoni e dei cattivi. Siamo tutti buoni o tutti cattivi, e tutti lottiamo per ottenere qualcosa.
Basta con questo snobismo. Basta con questa idea che solo la sinistra ha la cultura e gli altri fanno solo pressione e lobby. Il partito comunista era una lobby e un gruppo di pressione esattamente come lo è oggi Comunione e Liberazione. Basta con la presunzione di una gloria, di un prestigio, e di una innocenza che non esiste più e che non so nemmeno se la sinistra ha mai avuto.
C’è una lotta in corso che bisogna vincere. E per vincere non basta pensare che gli altri la cultura non ce l’hanno.
Seconda domanda.
«Altra cosa sarebbero le istituzioni culturali, l’università dove dominano le cosiddette cordate, e non dovrebbero». Ma perché si prende in giro da solo? Dove mai è esistito un gruppo di uomini non dominati da una cordata?
Per Ennio Abate
Mi perdoni, ma la sua domanda sembra presa dalla parodia del blog letterario fatta da Donnarumma. Cito:
«Alef: Dante ha scritto la “Divina Commedia”.
Bet : “Comedìa”!
Gimel : Tzè! Ha scritto la “Vita nuova”, il “Convivio”, le “Epistole” e le “Rime”, tra le quali merita particolarissima menzione lo strenuo esercizio stilistico delle ‘petrose’».
In questo caso Cortellessa, Casadei e io abbiamo parlato di un’opera minore (le “Epistole”; anzi la “Questio de aqua et terra”) e lei mi rimanda alla “Comedìa”. Noi scriviamo “il nostro progetto ha uno scopo eminentemente pratico. Le classifiche servono a dare dei consigli di lettura, a organizzare un passaparola pubblico: non vogliono certo abolire la mediazione della critica” e lei replica parlando di capitalismo, idea di qualità, Franco Fortini. I due piani del discorso non hanno alcun rapporto fra loro. E’ impossibile che io le risponda, perché non stiamo dicendo la stessa cosa.
@ Mazzoni
La perdono. Capisco l’antifona. Qui si deve parlare obbligatoriamente solo delle vostre “opere [e cordate] minori”.
Egregio dottor Cortellessa, ancora una volta lei si dimostra un mero manutentore di vecchi simulacri (quindi non il costruttore che vuol far credere di essere), che invece vanno almeno in parte distrutti, a favore dei nuovi. In questo lei si mostra un vero nichilista, che è peggio di sabotatore, nel senso che difendendo il valore ISTITUZIONALE dei vecchi simulacri, cerca di impedire l’emergenza dei nuovi (che invece, detto tra me e lei, questa è la mia impressione, la stanno già sovrastando). La modernità della quale vagheggia è finita da un pezzo, e pare finita anche la postmodernità. Riportare all’ordine delle avanguardie o postavanguardie il procedimento artistico, come fa lei nel suo quotidiano esercizio di critica praticamente ovunque in internet (ma in questo caso io, che sono ontologicamente invidioso, non la invidio affatto), equivale semplicemente a ridurlo a zero, ad annichilirlo, appunto. Ora, i libri, e gli autori, esistono per tutti, non solo per i grandi lettori. Prendiamo l’esempio di Gabriele Frasca, al quale lei ed alcuni suoi sodali parete tenere tanto. Per quello che ne capisco io, avendolo di recente un po’ studiato in rete (nelle librerie che frequento in Firenze ‘un c’è), mi pare un bell’essere umano, almeno a giudicare da quello che dice, da quello che sperimenta più o meno sulla scia di Sterne, da quello che scrive nella sua opera in divenire risultata prima nella vostra benedetta classifica, che ridefinirei in regredire. Facendolo diventare una sorta di paladino del moderno (finito!), lei e alcuni critici della sua ditta, di fatto Frasca lo escludete da potenziali fruizioni nel tempo a lui contemporaneo, e anche un po’ a quello futuro, il tempo al quale pure si rivolge: lo riconducete alla nicchia. Perché lo fate? Sicuramente perché non siete artisti, mi scuso per la leggera insolenza, ciò che vi impedisce di capire certe robe. Ma fondamentalmente, temo, perché ritenete di avere il pacchetto di controllo della ditta AVANGUARDIA LETTERARIA, o ne state per tentare una scalata, un’OPA (no una TOPA!) all’interno dei vostri vetusti dipartimenti, nei quali di solito si cercano posti al sole, all’ombra di questo o quel cattedratico (esclusi ovviamente i presenti, a partire dai meritevoli come lei, che con in mano il certificato del merito possono scegliere al giorno d’oggi di collocarsi in qualunque università del mondo). Invece le avanguardie nella società sono finite, diovolendo, anche in letteratura; non so se ne rimangono nel suo campo d’applicazione originale, quello militare. Rimangono al contrario i testi, come è sempre stato, prodotti dai costruttori di simulacri (in questo caso gli scrittori, ma lo sono gli artisti in generale, come intuì bene il filosofo baffuto), per fare spazio ai quali bisogna cancellare, demolire, rimuovere. Imbrigliare il nuovo in una griglia interpretativa vecchia, è, di fatto, impedirgli di diffondersi. Vale anche per i nuovi del passato dei quali lei pure si appassiona, da D’Arrigo a Pizzuto a Manganelli. Ma che glielo devo dire io?
In ogni caso, io ho scritto questo, non quello che ha capito lei: “ si è poi scoperto, per stessa ammissione degli organizzatori, che la votazione non è segreta, ciò che ne riduce di molto la democraticità (ciò che votano i congiurati è a conoscenza degli organizzatori; è come se il parlamento votasse sempre a scrutinio palese…) “. Se ciò che votano i congiurati non è a vostra conoscenza sono io nel torto, altrimenti lo siete voi, perché a me risulta che a scrutinio segreto i risultati sono diversi rispetto a quando si vota a scrutinio palese.
Apprendo con piacere che esistono le librerie Coop, ma nel loro sito, che ho appena visitato, non vi citano.
Lei dice: “ POICHE’ ovviamente nessuno dei Lettori vota per se stesso, non si può dire IN ALCUN MODO che votato e votante coincidono nella stessa persona “. Ma esiste o no il dubbio che si esprimano delle cordate? Se esiste lei è nel torto di nuovo, perché esiste la pratica dello scambio di voto, non solo al Premio Strega…
Mi permetta di conchiudere dicendole che di autorevolezza le classifiche ne avrebbero di più se fossero meno ridondanti; e se i loro promotori si irritassero di meno nei confronti di qualunque critica di autoreferenzialità, magari serenamente affermando che alla fine alla fine qualunque comportamento è autoreferenziale. Reverenziali (o referenziali?) saluti.
Per Ennio Abate
No, Abate. Qui si deve parlare di cose che abbiano senso. Quello che lei dice non ha senso.
E’ l’ultima volta che le rispondo. Passi una buona giornata.
Io continuo a non capire: io non ero d’accordo con la classifica, ma non sono quasi mai d’accordo nemmeno con i miei amici per la letteratura. Dov’è il problema? Che faccio, accuso di pluto-oligarco-filocapitalismo anche i miei amici?
E soprattutto: tanto per fare un esempio, della classifica della saggistica conoscevo solo 10 tra i cinquanta dei libri segnalati, eppure sono molto attento alle uscite italiane. E devo dire che sono molto felice di avere avuto la possibilità di sapere che quei libri esistono, e contento che la classifica esista, perché oggettivamente ha «una sua pragmatica utilità»
Per il resto, mi succede spesso di non essere d’accordo, ma non penso che chi non è d’accordo con me sia in accordo con le trame del potere di un mercato «oligopolistico e chiuso». C’è un limite anche alla presunzione di stare dalla parte della ragione. E soprattutto c’è una differenza tra il valore che si deve riconoscere al proprio disaccordo, e il mero risentimento. E in questi commenti mi pare di leggere soprattutto risentimento. Nessuno ha fino ad ora addotto un solo argomento letterario. Nessuno ha mai spiegato perché chi era in prima posizione non poteva stare lì. Ho letto solo una lunghissima e noiosissima discussione su procedure, concorsi, ballottaggi, criteri di valutazione, correnti politiche, mercati, case editrici.
Un consiglio agli indignados: se volete convincere anche il pubblico che vi segue dateci almeno un argomento, un giudizio su un libro, una recensione. Qualcosa. Insomma «dite qualcosa di letteratura, o di poesia», ma non fate i burocrati della situazione
@ Mazzoni
Veramente è la prima volta che mi risponde, ammesso che sia una risposta mettere il timbro”non senso” alle cose che io dico e quello “senso” (unico?) a quanto scritto da lei o dai suoi colleghi.
Non si affatichi di più. E’ stato chiarissimo.
Caro Averroè, lei mi è simpatico, ma francamente il “nichilista politico” sembra lei. Io cercavo di distinguere: sul mercato è naturale che ci siano gruppi di pressione per promuovere questo o quel prodotto; fuori dal mercato (dato che non tutto è riducibile a questo) non è affatto naturale che ci siano cordate e cose simili (anche se ci sono…). Questa la mia posizione, in fondo piuttosto semplice. Se lei mi dice: “Faccia una casa editrice, invece di chiacchierare”, le rispondo che insieme con altri amici la stiamo facendo (è la Cronopio). Per quanto riguarda ciò che dice di Frasca, che appare primo in classifica, le rispondo che lui, pur conoscendolo da una vita, non mi ha inviato il suo libro che, magari, se fossi stato in giuria non avrei votato, mentre invece avrei votato più facilmente quello di un altro autore che mi avesse inviato il suo (naturalmente, ammesso che mi fosse piaciuto). È anche la casualità pressoché inevitabile del voto che rende, a mio parere, inconsistente l’idea della classifica.
@Genovese
Anche lei mi è molto simpatico, e sono felice di poter discutere in questi toni con lei.
Sulla distinzione mercato/non mercato: l’editoria è una delle forme del mercato, come lo è il cinema, la poesia e ogni forma di arte e scrittura non protetta dal mecenatismo di corte. Non vorrà mica tornare alle corti?
E perché mai fuori dal mercato le forme di influenza non dovrebbero essere naturali? Il parlamento è il luogo in cui quotidianamente ciascuna del migliaio di persone presenti cerca di influenzare tutte le altre. E’ il regno dell’Influenza. Il teatro infinito di gruppi di pressione che nascono e muoiono spesso senza lasciare traccia. I partiti sono gruppi di pressione che provano a gestire questo teatro. Con le loro buone intenzioni, ma tali sono. E ogni volta che si parla si cerca di influenzare l’altro. Ognuno ha i suoi buoni motivi che ovviamente non sono quelli degli altri.
Se ha fondato una casa editrice combatta attraverso la sua casa editrice, ma combatta davvero: pensare che gli avversari non hanno cultura, esprimano barbarie, e sono demoni del mercato oligarchico non è battaglia, è solo una forma di autoconsolazione.
Anche perché, non è che l’editoria degli anni settanta, che ha inondato il paese con tutto il ciarpame su plusvalore, forza-lavoro ecc., forza operaia, unione sovietica ecc. ecc. fosse poi così interessante. Noi arabi siamo un po’ scemi, ma francamente non capisco in cosa pubblicare un volume su «Questioni della teoria marxista-leninista delle crisi agrarie» di Ljubosic (Einaudi 1955) dimostri di perseguire un programma culturale veramente interessante.
Le mode sono sempre esistite, e sono sempre fastidiose. La moda del marxismo di trent’anni fa’ era altrettanto fastidiosa e altrettanto “plutocratica” delle stupide mode cavalcate oggi da Einaudi and Co.
«Non mi ha inviato il suo libro»: e se li comprasse i libri, invece di aspettare che le piovano dal cielo?
La polemica continua a sembrarmi sterile: non è d’accordo (e spero per ragioni più sostanziali che il mancato invio di un suo libro da parte dell’autore)? Bene, prenda carta e penna e scriva una bella recensione piena di lodi per un libro trascurato. E’ quello che mi sarei aspettato da tutti i mormorantes di questo post. Sarebbe stato bello, invece di accusare di anarco-capitalismo o roba varia gli organizzatori di Dedalus qualcuno avesse postato una contro-recensione. Almeno anche noi qualcosa l’avremmo imparata. Nessuno l’ha fatto davvero tra gli indignados. Perché dovremmo credervi se nessuno di voi non ha provato nemmeno a dimostrare che ha letto non dico tutti ma almeno un paio dei 173 libri classificati? Dimostrateci che non siete animati solo dal risentimento. Parlate di letteratura, fateci leggere le vostre recensioni ad altri libri.
@Abate
L’invito vale soprattutto per lei: conosce la mia stima, ma fino ad ora ci ha venduto aria fritta anche un po’ puzzolente. Ci parli dei libri che a suo avviso varrebbero la Palma d’Oro. Parliamo di cose, di letteratura, di poesia, di saggistica. Ci scriva una bella recensione. Ma basta con queste elucubrazioni su procedure, strategie, associazioni esoteriche, grandi-poteri-che-controllano-il-paese. Si è sentito toccato sulla questione marxista? Provi a dimostrare che la sinistra ha qualcosa da dire sulle cose, sulla letteratura, sulla poesia.
@ Averroé
Se anche lei è arrivato, buon ultimo, a dire la sua in questo post all’inizio trascuratissimo e ora più che affollato, devo quasi autocompiacermi. Ma perché s’aggiunge alla sassaiola che di di post in post mi bersaglia?
Lei può ritenere sterili o vuote elucubrazioni gli interventi miei o di altri su Pordenonelegge-Dedalus. Lo dimostri. Non adotti la laconicità sprezzante di Mazzoni. Né cambi discorso, tentando di impormi la forca caudina (“Ci parli dei libri che a suo avviso varrebbero la Palma d’Oro. Parliamo di cose, di letteratura, di poesia, di saggistica. Ci scriva una bella recensione”).
Personalmente parlo di queste cose con delle idee in testa e non senza. E se la richiesta di parlare dei libri che per me valgono non fosse posta come un ricatto, accompagnerei volentieri la mia – legittima, ripeto, e vorrei che lo riconoscesse – polemica su Pordenonelegge-Dedalus con esempi di come io abbia letto in passato o legga saggi o poesia o altro. Ma, appunto, al di fuori di ogni inaccettabile logica classificatoria da “caccia all’Oscar o alla Palma d’oro” o di “pragmatismo finto pedagogico” e in realtà “micro-mercatista”.
(Tra l’altro, esempi di come io legga libri o scritti d’ogni tipo li trova, quando avrà il tempo o la compiacenza di controllare, sia nella mia lettera-commento a «Il professore come intellettuale» di Romano Luperini, già linkata, proprio rispondendo a lei, qui: http://immigratorio.blogspot.com/2011/08/su-romano-luperini-il-professore-come.html sia in altri post di quel mio blog).
Secondo. Non ho la vocazione né dell’incassatore, né del missionario in partibus infidelium né del kamikaze. Sto preparando, come da lei e da signorina Else sollecitato, un mio intervento sul post di Pellini, dove toccherei anche le questioni delle «mode», come le chiama lei o della cosiddetta sinistra ( di cui – si sbaglia – non sono affatto un difensore, ma un critico da posizioni – preciso – non immemori di Marx e della storia del marxismo, che lei banalizza).
Ora, però, voglio che il patto per proseguire tra noi due la discussione sia chiaro. Io finora non ho mai definito le sue opinioni né quelle di altri «ciarpame» o «aria fritta anche un po’ puzzolente». Se questo è improvvisamente il suo vero pensiero, non solo non si capisce su cosa poggia la sua stima per me, ma non vedo neppure come ci si possa confrontare o anche solo polemizzare. Lascio a lei stabilire cosa fa in questi casi un vero arabo.
@Abate
Posso solo risponderle in fretta, ma vorrei scansare ogni equivoco. L’espressione «ciarpame» non si riferiva a lei né a quello che scrive, ma a molta saggistica marxista (di valore ormai quasi solo folkloristico) pubblicata dagli anni cinquanta agli anni ottanta in prestigiosissime collane editoriali italiane; e ne ho parlato non per insultare lei, ma solo per suggerire che il mondo editoriale in cui viviamo non è l’incarnazione del Male. O se è così, lo è sempre stato.
Visto che si danno giudizi molto duri su certa letteratura contemporanea non vedo perché debba contenermi nel giudicare alcune forme della saggistica che hanno dominato la cultura italiana.
Io ho molta stima nei suoi confronti, perché dimostra sempre molto coraggio nel difendere e nell’affermare le sue opinioni, perché è custode di un pezzo di storia dell’Italia che non ho vissuto, e perché i suoi commenti partono sempre da uno sguardo molto intelligente. Proprio per questo, quando mi sembra di leggere giudizi un po’ banali, glielo dico. Come vorrei si facesse con me.
Non era affatto mia intenzione mettere in dubbio la sua erudizione. Volevo solo suggerire di spostare la polemica su un piano un po’ più concreto: parliamo dei libri giudicati, e non delle Classifiche-in-Generale o delle Hit-Parades-in-Generale. Altrimenti dobbiamo metterci a disquisire di antropologia. La polemica sui giudici o sulle procedure mi sembra sterile. Suppongo che Dedalus fosse fatta per parlare dei libri, non per costringere i lettori a parlare di sé. E qui dei centosettantatre o quanti sono libri giudicati si è parlato pochissimo. Questo era il mio disappunto.
Per il resto, non vedo l’ora di confrontarmi con lei sulla questione marxista!
@
“fino ad ora ci ha venduto aria fritta anche un po’ puzzolente” era pesante e lasciava intendere che tutti e non solo alcuni dei giudizi da me espressi sono inconsistenti.
Il “ciarpame” era sì riferito all’editoria “marxisteggiante” degli anni Settanta, ma indirettamente anche a me, che a quel “ciarpame” sarei affezionato. Non sono un erudito. L’interessante della polemica su Pordenonelegge-Dedalus mi pare proprio lo scontro un po’ confuso ma sintomatico di due modi diversi di parlare di libri: “empirico-pragmatico-testuale” (= parliamo di libri e basta) e “politico-contestualizzante”(=se parliamo di libri, non possiamo non parlare contemporaneamente del contesto – economico, politico, immaginario – in cui li leggiamo).
Chiarito questo, appena posso scrivo il mio intervento nello spazio commento del post di Pellini.
Grazie.
Corrige al messaggio sopra: @ Averroè
@ Massino
Come sempre lei si rivolge a me affibbiandomi epiteti che dipendono da un suo pre-giudizio, per carità legittimo, ma così facendo – non riconoscendomi in tale sua descrizione – faccio fatica a replicare nel merito. Per esempio non avevo capito neppure la sua obiezione sul voto segreto, è talmente paradossale che appunto non l’avevo capita. Se (ora) ho ben capito, lei reputa scandaloso che i coordinatori delle Classifiche sappiano cosa vota ogni singolo Lettore. Ma, di grazia, come faremmo a conteggiare i voti se non li raccogliessimo uno per uno?
Dopo di che, sempre per esempio, lei si fa un’idea di «Dai cancelli d’acciaio» dando un’occhiata in rete a quel che trova sul «bell’essere umano» che ne risulta autore. E, sulla base di questo attento scrutinio, con asprezza contesta chi s’è fatta l’idea – avendo letto seicento pagine fittamente stampate – che possa essere questo (che in libreria non c’è e che i giornali – tranne Alias del manifesto e l’inserto alfalibri di alfabeta2 – non recensiscono) addirittura il miglior romanzo italiano uscito negli ultimi sei mesi. Non solo, stigmatizza il fatto che costoro che hanno questa idea indichino nel libro in oggetto un esempio di AVANGUARDIA (sempre a tutte maiuscole), concetto a lei inviso e, sempre per lei, semplicemente ridicolo a menzionarsi. Ma sulla base di quale argomento formula questa obiezione? Io non mi sogno di parlare di AVANGUARDIA, a proposito di «Dai cancelli d’acciaio» (il “manifesto” della collana che ho diretto per cinque anni per l’editore Le Lettere. e all’interno della quale è stato (ri)pubblicato il romanzo precedente del medesimo Frasca, iniziava guarda caso con le parole «Il nostro non è tempo di avanguardie»). Del romanzo in questione ho scritto qui (http://premiogorky.com/text/news/stazionediposta?pid=424&version=IT), accostandolo agli altri due libri di narrativa che nella mia fallibilissima opinione sono, insieme a questo, i migliori della stagione letteraria appena trascorsa (quello di Cordelli e quello di Siti, libri invece recensitissimi e in libreria trovabilissimi, spero a loro volta non stigmatizzabili come AVANGUARDIA): la sfido a trovare nel mio scritto un qualsiasi frisson avanguardistico.
Se la smette di rivolgersi a me brandendo la bambolina voodoo che di me s’è foggiato, forse facciamo un passo avanti. Io smetterò di essere un «manutentore di vecchi simulacri», e lei un sabotatore del mio tempo e della mia pazienza. Ma mi guardo bene dallo sperare che lei mi usi questa cortesia.
@ Rino Genovese
Una piccola precisazione. Il romanzo di Gabriele Frasca, che è anche amico mio da molti anni, io l’ho pagato all’editore sessanta euro, iscrivendomi (a suo tempo) al suo gruppo di «sottoscrittori». (Che, detto per inciso, per un romanzo – anche se assai ampio – è una bella cifretta.)
…alla fin fine di questa lunga discussione la conclusione è che la classifica di Pordenone-legge è una classifica che non conta nulla per due ordini di motivi:
a) non fa vendere una sola copia in più dei 50 libri segnalati e
b) perché non c’è alcun giudizio critico che giustifichi i libri.
Un punto però vorrei metterlo in evidenza: ed è l’arroganza e la sgarberia di Guido Mazzoni il quale risponde ad Ennio Abate in tono e modo liquidatorio-intimidatorio.
È davvero strano che un cattedratico del suo stampo abbia perso le staffe davanti alle considerazioni di un lettore il quale si pone (e pone) dei quesiti comunque legittimi, che comunque non giustificano la mancanza di elementare educazione civica delle risposte.
Per il resto, auguro altre 100 edizioni di Pordenone legge e altre 100 classifiche di questo tenore. In fin dei conti, in democrazia ciascuno ha diritto di impiegare il proprio tempo e le proprie risorse intellettuali come meglio crede.
Ill. Dottor Cortellessa, non sono affatto scandalizzato, dico solo che il tipo di scrutinio da voi adoperato è suscettibile di influenzare il risultato, perché lei, ad esempio, che è, diciamo così, temuto da parte di almeno parte dei giurati, viene a conoscenza delle scelte che fanno. Se questo non le è chiaro è perché oggi viene concesso di essere intellettuali anche se si è a digiuno di categorie politiche, tanto la trama discorsiva che essi producono non conta granché (a maggior ragione…). Per far capire bene ai lettori: cosa direste se in parlamento il voto dei deputati fosse segreto ma a conoscenza del presidente del consiglio? Lo riterreste un voto democratico?
Di Frasca, essendomi fatto un’idea girovagando in rete e leggendo alcune sue cose, penso che è probabilmente di più che il miglior autore degli ultimi sei mesi (tra l’altro ha una pessima opinione del regime culturale italiano, anche peggiore della mia; tutto, non solo quello parte avversa: non sto a riportare passi…). Purtuttavia, ritengo che descrivendolo come vittima del sistema editoriale mercantilista, non gli state facendo un buon servizio. Anzi, ritengo addirittura, lo ripeto, che cercare di ancorarlo al mercato appiccicandogli il bollino di qualità sia un modo abbastanza canagliesco (in senso affettuoso) per farlo percepire come un qualunque Moresco (cito uno dei più noti geni letterari solo perché fa rima). Invece Gabriele Frasca è uno che verrà letto anche nei prossimi decenni, poco alla volta, magari a voce alta, da lettori vivi, come infatti esorta a fare anche il suo editore: ” leggetelo solo se siete ancora vivi “. Non per caso Frasca frequenta assiduamente l’invendibile Beckett…
Per il resto, se non le piace Avanguardia, lo sostituisca appunto con letteratura di qualità, o con letterarietà: vedrà che la mia sintesi, in risposta al suo evocare il moderno, non era tanto strampalata (se ne riparlerà, se capita…).
Infine, che uno si aspetti cortesia da colui che ripetutamente ha offeso al limite della decenza, mi pare il colmo. Secondo me, dovrebbe seriamente riflettere sulla opportunità di riporre bacchetta e bastone, anche senza esaminare l’opzione di finalmente cominciare a distribuir carote, come le suggerisce il sempre cortese professor Donnarumma (alle cui bonarie parole, mi permetta dottore di farglielo cortesemente osservare, non ha risposto, abbastanza scortesemente).
Per Andrea Cortellessa.
Benissimo! Se avessi saputo della cosa, avrei sottoscritto anch’io volentieri. E a scatola chiusa: per solidarietà nei confronti di chi fa dei libri non facilmente pubblicabili nel mondo editoriale odierno. Quello che non va, nella classifica, non è il primo posto a Gabriele Frasca, ma l’ultimo al vincitore del premio Strega che, all’interno di un insieme di autori in conflitto con l’industria culturale, ci sta come il cavolo a merenda, o per mostrare una certa “oggettività”, oppure solo perché quel libro è arrivato in regalo a uno dei lettori della giuria e il libro di Frasca no. Il mio consiglio – ripeto – è di pubblicare una lista di una decina di titoli all’anno pari merito.
Il problema di fondo, che rilevo in parte anche qui, è lo stesso della politica: il classismo. Nel medioevo si riteneva, almeno tra i “fedeli d’amore”, che solo i nobili di sangue fossero in grado di amare, oggi si ritiene che solo chi appartiene alle conventicole, di norma socialmente elevate, sia in grado di scrivere libri di valore. Percepisco tanto snobismo, nelle case editrici, nelle università, ecc., che non fa bene alla letteratura. Detto questo, ribadisco che fino a quando non saranno i critici ad andare a cercarsi gli autori le classifiche e le recensioni faticheranno a trovare credibilità tra gli accorti nonostante la serietà e correttezza degli ‘esaminatori’. Su questo aggiungo che le scelte per amicizia in letteratura sono comprensibili: in fondo, a parte gli opportunismi, tra scrittori non si diventa amici proprio perché ci si stima?
Limitando l’analisi alla sola narrativa, noto che 30 libri (su 45) hanno totalizzato 6 punti o meno. Questo comporta, ad esempio, che il libro di Federica Manzon citato da Flavio Santi si classifichi sedicesimo ex-aequo sulla base del voto di un giurato su duecento. Anche la differenza fra, poniamo, un sesto e un ventisettesimo posto potrebbe risolversi nel fatto che un dato libro sia stato letto da 2-3 giurati in più.
Ora, se la classifica ha, come si legge seguendo il link a Nazione Indiana, lo scopo eminentemente pragmatico di fornire consigli di lettura al lettore colto ma non specialista, è chiaro che per due terzi è inutile: il libro dell’autore x, piaciuto magari solo al giurato y, può essere una sòla, un “buon” libro come ce ne sono tanti o un capolavoro misconosciuto ben superiore a tutti quelli che lo precedono in classifica, ma se lo comprerò non sarà certo (solo) sulla base di un indicazione anonima.
Arrivare a giornali e librerie lo vedo possibile: “qualità” e “prestigio” sono parole sexy per il marketing.
Accanto allo stand dei dieci libri più venduti, che gioca su “tutti leggono Stieg Larsson, compralo anche tu e scopri cosa ci trovano” si può benissimo immaginare uno spazio per la letteratura cordon bleu “questi sono i dieci migliori libri secondo una giuria di ben duecento intellettuali, roba fina, magari non di tutti i giorni ma per quando vuoi sentirti colto e intelligente”.
E’ qui che ha senso il paragone col bio/equo all’interno dei supermercati, la contrapposizione fra scelta alternativa e politica e nicchia “lifestyle” che ti fa sentire la coscienza a posto se aggiungi le noci dell’Amazzonia al carrello della spesa. E se uno vuole si può discutere a lungo su idealismo e pragmatismo, foglia di fico e granello negli ingranaggi, indios peruviani che stanno un po’ meglio e sistema del commercio globale che non si sposta di un millimetro.
Di fronte a questo tipo di classifica, il lettore occasionale non scenderà al di sotto della top ten e, se non conosce nessuno degli autori della lista, cercherà sicurezza in quelli che hanno raccolto molti punti – trasformando, più o meno consapevolmente, un forte divario in un indicatore di differenza qualitativa: Frasca e Sortino sono incollati ed hanno staccato il terzo di 17 punti, sono senz’altro i libri migliori di quest’anno, o perlomeno i libri “indispensabili” se voglio tenere il passo colla letteratura italiana contemporanea “di qualità”.
Se ci si accontenta di far vendere un po’ di copie in più ai meglio classificati, o di mettere occasionalmente in mano un Frasca a chi di solito compra Volo e Ligabue nella speranza che abbia una conversione sulla Via di Damasco, allora questa lista magari ha una qualche utilità.
Ma non chiamiamola guida, perché una guida (ristoranti, musei, parchi) è un insieme di recensioni, e la sua affidabilità dipende da chiarezza e precisione nel descrivere caratteristiche; qui abbiamo solo titoli e numeri.
E la logica dei primi posti, che strizza l’occhio al lettore-come-consumatore, non può non lasciar perplesso o indifferente il lettore che seguendo un percorso basato su gusti e interessi personali sceglie libri in base a pareri, critiche, recensioni, passaparola che gli sembrano in sintonia col proprio sentire.
@Donnarumma
Azz… il 4 novembre ho compiuto quarant’anni e con perfetto tempismo il giorno stesso lei mi taglia le gambe, complimenti.
@ Massino
Veramente, Andrea Cortellessa non è dottore, ma professore associato (e spero di non sbagliare).
@ kojugukela 71
Beh, buon compleanno in ritardo. Ma guardi che non si perde nulla. E poi, può sempre cambiare nick e barare sull’età.
Ah, mi sono accorto che nel mio «Blog!» mancava una voce:
Samekh
Stolti! Profani! Ho già detto tutto quel che si doveva dire: http://it.wikipedia.org/wiki/Dieci_comandamenti
Dice che Cortellessa è diventato professore? Allora me ne scuso. Effettivamente potrebbe anche essere che stavo usando il dottore insolentemente, in termini un po’ canzonatori. Me ne scuso e gli faccio le mie tardive felicitazioni. Corro ad aggiornare le mie rubriche. Cionondimeno, le sue argomentazioni in questo thread, rimangono deboli e parecchio piccate.
massino, cortesemente potrebbe smettere questo tono stronzeggiante che, da anni quasi, mi tocca leggere in ogni suo post?
Io sono molto contento che vi siano queste classifiche. Seguo specialmente quelle della poesia e attraverso di loro ho letto dei libri e delle poesie molto belle di autori che non conoscevo. Grazie
SEMPRE AVENDO IN MENTE LA VECCHIA E IRRISOLTA QUESTIONE “GRUPPO CHIUSO/GRUPPO APERTO” DI ELVIO FACHINELLI (cfr. http://moltinpoesia.blogspot.com/2011/11/ennio-abate-riflessione-di-un.html)
@ Donnarumma
Secondo lei, che il galateo rispettato dagli universitari lo mastica meglio di me, mi sa dire perché Cortellessa ha risposto a Massino, ha risposto a Genovese, ma non s’è degnato di rispondere a me?
Perché l’ho chiamato prof? Perché non sono professore associato? Per una questione “generazionale”? O “di classe”?
@ Adelelmo Ruggeri
Ma dai! Non accontentarti di quello che ti mettono sotto il naso gli amici. Il “pescato poetico” di Pordenonelegge-Dedalus è parziale quanto quello, per fare degli esempi, di Cucchi-Giovanardi, “Parola plurale” (Cortellessa et alii, Sossella 2005), Piccini, Nazione Indiana, LPLC e persino dell’eretico silenziato Linguaglossa, ecc. Ed è un pescato controllato alla buona. Il “mare magnum” di poesia, similpoesia, quasipoesia, non poesia ma…, di cui parlò Berardinelli, resta insondato e disprezzato, per assenza di un coraggioso e adeguato lavoro critico. Hic Rodus…
@ Massino
per carità, non smetta né il tono (scoppiettante) né il bisturi.
@ Abate
Come dicono le nonne perbene, ci son silenzi più eloquenti di mille parole. Mi pare lei abbia le idee molto chiare sul «degnarsi» e sugli «eretici silenziati» (sempre che siano eretici, e sempre che riescano a zittirli). Le domande retoriche rispettano il galateo, ma in che guaio vuole ficcarmi? In questo thread si è fatta già abbastanza ammuina (come diceva la mia, di nonna). All’orizzonte, non scorgo Damasco: nessun Saulo si paulizzerà. Resto fedele alle limitate procure.
Ci sono professori associati bravissimi e simpaticissimi; ma alla fine, preferisco i professori dissociati (e persino quelli asociali, per citare un mio amico). Per fortuna, qui non ne mancano.
“Ma dai!” cosa? Ennio.
E allora torno a dirlo; seguendo queste classifiche, specie quelle di poesia, ho letto dei libri davvero belli di autori che non conoscevo, e che nessuno mi ha messo sotto il naso.
Come quando lessi una tua raccolta che mi piaque molto e che nessuno mi mise sotto il naso. La lessi semplicemente e mi piacque.
E dunque grazie ancora a chi compila queste classifiche
Adelelmo
@ ad.
Caro Adelelmo,
ripeto: ma dai!
La mia raccolta, quella di Donato Salzarulo, quelle di tanti altri/e non te le ha messe mica sotto il naso la classifica pordenonelegge-Dedalus…
Siamo seri. Guarda alla foresta (mare magnum etc) non all’albero. Guarda alle dinamiche gruppo aperto/gruppo chiuso. Leggi quel pezzo di Fachinelli e applicalo a LPLC.
E sst! Se no, ci accusano di essere degli invidiosi e di farci pubblicità in modi impropri utilizzando gli spazi commenti di LPLC, NI, ecc. dov’è d’obbligo applaudire i Grandi Autori ammessi a scrivere i post o tacere.
Ciao
E
@ Ennio Abate
Non è che se non si risponde con l’«@» in cima non si risponde in altro modo. O lei legge solo i commenti che iniziano «@me»? In un commento (4 novembre, 13.31) ho detto che ringraziavo un altro commentatore il quale «ha avuto la pazienza di replicare a chi accusa questa cosa di non tenere conto delle “cose esterne” che, come sappiamo, “esistono realmente” (sarebbe chiedere troppo, certo, rinviare questi impazienti di professione a informarsi sul lavoro di chi di noi s’impegna politicamente, in separata sede, partecipando a movimenti lavorando a riviste ecc., prima di indicarli al pubblico ludibrio come mandarini sibariti incuranti di tutto)».
E se pure non l’avessi fatto in questa forma, potrei non avere il tempo per risponderle circa questioni di merito che sono complesse e pretenderebbero interventi articolati. Per es. lei il 6 novembre alle 10.15 mi chiede «1. quali sono i “motivi […] che hanno evidentemente a che fare con l’egemonia culturale del mercatismo”, per cui gli autori, che “nella modernità hanno sempre commentato pubblicamente il lavoro dei colleghi”, oggi non lo fanno più e lo devono fare (ammesso che lo facciano…) sotto l’ombrello di pordenonelegge-Dedalus?». Al di là del fatto che nella domanda lei include anche la risposta («ammesso che lo facciano»), lei nel citare le mie parole salta l’inciso che premetteva come su quest’argomento non fossi disponibile a costruire un discorso argomentato («per una serie di motivi che non c’è tempo qui di discutere»). Se su ogni singola parola pronunciata si deve aprire un contenzioso storico-filosofico, non si discute con una persona ma, appunto, intenzionalmente o meno si sabota il tempo che ha a disposizione.
E veniamo al sabotatore principe, cioè @ Massino.
che si lamenta io avrei «ripetutamente offeso al limite della decenza». Non mi pare di averlo fatto, almeno in questa sede (ma sono sicuro che ora andrà a spulciare negli archivi di Nazione indiana: segno ulteriore dello squilibrio fra i nostri rispettivi tempi a disposizione). Mi pare che, di contro, lei qui mi definisca «mero manutentore di vecchi simulacri», «un vero nichilista, che è peggio di sabotatore», uno che «cerca di impedire l’emergenza dei nuovi» ecc. ecc. Veda lei.
Più mi preme rispondere @ kojugukela 71,
il cui presupposto (che queste Classifiche mirino a trasformare le proprie indicazioni in dati di vendita molarmente osservabili) non solo da noi non è mai stato dichiarato, ma è anche palesemente inverosimile. Nessuno pensa che «Dai cancelli d’acciaio» di Frasca, per dire, potrà mai scalzare Faletti o Volo dal loro risibile trono; di conseguenza non «strizziamo l’occhio al lettore-come-consumatore». Al contrario, pensiamo che organizzare questo sistema contribuisca all’ingenerarsi (leggio: riformarsi) di una gerarchia di valori, *alternativi* a quelli di mercato, che possano pesare in termini di prestigio sociale. Quello cioè, piaccia o meno ad Abate, in virtù del quale negli anni Sessanta Feltrinelli pubblicava Arbasino e Manganelli, Einaudi Volponi, Garzanti Pasolini ecc. ecc. Nessuno dice, e non mi si metta in bocca quel che ho detto, che Frasca (o Siti, o Cordelli) siano *come* Manganelli, Volponi e Pasolini. Ma quel sistema di valori, quella doxa di giudizio condiviso, quell’omeostasi fra ciò che *è mercato* (cioè *per il mercato*) e ciò che è *nel mercato* (cioè esiste *malgrado* la pressione del mercato) negli ultimi decenni è completamente saltata – il che fa sì, tra l’altro, che oggi gli autori di qualità facciano sempre più fatica a trovare sedi di pubblicazione all’altezza. Prova ne sia che un libro di grandissimo valore letterario, e di grandissimo impatto politico, come «Dai cancelli d’acciaio» 1) non si trova in libreria, 2) nessuno si sente in dovere di recensirlo, 3) non entra in alcun dibattito pubblico.
Quello che lei dice, che cioè il lettore «seguendo un percorso basato su gusti e interessi personali sceglie libri in base a pareri, critiche, recensioni, passaparola che gli sembrano in sintonia col proprio sentire», è o sarebbe giustissimo e sacrosanto. Se solo, per es., il sistema che un tempo forniva «critiche, recensioni» ecc. fosse ancora oggi attendibile, il che però chi ha ideato e porta avanti questa cosa delle Classifiche, purtroppo, non crede affatto (sebbene si sforzi di fare del tutto per propugnare i valori letterari in cui crede *anche* tramite i mezzi tradizionali: io ho linkato qui, per es., quello che ho scritto e pubblicato in merito a Frasca). Diciamo che le Classifiche tentano di grammaticalizzare e sistematizzare quello che lei definisce il «passaparola». È il passaparola di duecento fra scrittori, critici e altri addetti ai lavori, persone che hanno un passato e un presente e i cui nomi sono pubblici. A me non pare tanto poco, come strumento. Dopo di che, come abbiamo sempre detto, liberi di servirsene (ma non di infamarlo e vituperarlo a man salva, questo no).
Per tornare al vituperatore e all’infamatore massimo, @Massino
Lei dice che «descrivendolo [Frasca, per l’appunto] come vittima del sistema editoriale mercantilista, non gli state facendo un buon servizio». Non so se l’ho descritto come dice lei. Mi limito a constatare (anzi, me lo fa notare lei, guardi un po’) che il suo libro non è disponibile nelle librerie della Toscana, per esempio. Oppure che, a fronte di paginate intere dedicate a Faletti dal giornale a cui collaboro, il medesimo giornale non pensi di riservare neppure una colonna a «Dai cancelli d’acciaio». Significa creare un nuovo “caso Moresco”? Non lo so, francamente spero di no (e anche su questo, come sopra, non mi va di discutere). Però intanto noto che Moresco proprio per questa strada (e Antonio Franchini lo ha confermato, nell’intervista contenuta in «Senza scrittori») è arrivato alla principale collana di narrativa del paese, che pubblica con grande visibilità i suoi libri nuovi e recupera quelli pubblicati altrove in passato. Se un giorno la SIS decidesse di riservare (almeno) il medesimo trattamento a Frasca, per es., io sentirei di aver assolto al mio compito. Anche tramite le Classifiche.
Senti Ennio, io la penso come ho scritto sopra: grazie a queste classifiche, specie quelle di poesia, ho letto dei libri di autori che non conoscevo davvero molto belli. Che ve ne siano altri ancora di molto belli è naturale che sia così. Altrimenti si faccia una classifica con sette miliardi di lettori, quanti siamo sulla terra, e non ci si pensi più. Adelelmo
Va beh ormai qua si sfiora la mitomania. Se si arriva, ora non ricordo neanche più da chi, a dare pari autorevolezza a chi propone Milo de Angelis e a chi promuove Giuseppe Conte, stiamo freschi. Come al solito, chi dice di voler fare la rivoluzione a tutti i costi finisce col fare i giochi della reazione. E nel frattempo, la letteratura vada pure a puttane. Credo che ormai non ci sia più molto da rispondere. Finalmente ho capito i partiti, e sinceramente, malgrado l’interesse suscitato da alcune obiezioni del solo Ennio Abate – tutti gli altri di parecchie spanne sotto terra – ho capito che quest’opposizione non ha credito. Qua ognuno cerca il proprio posto sulla scialuppa e dà di gomito a chi glielo contende, e credere che lo si faccia per il Bene e la Verità non è di alcuno sconto alla piccolezza dell’azione. Addio.
P.S: mi riferisco naturalmente all’anti-cordata anarchica de noantri, da Abate a Linguaglossa a Massino a chi per loro.
dimenticavo, @ Massino
La cosa più insultante che lei dice è talmente grottesca e paradossale che, al solito, leggendola una prima volta non ne avevo nemmeno percepito il tasso di offensività. E cioè quando lei scrive che io in qualità di co-coordinatore delle Classifiche sarei «diciamo così, temuto da parte di almeno parte dei giurati» dal momento che vengo a «conoscenza delle scelte che fanno».
L’aspetto grottesco di questa cosa è che secondo lei, che so, Massimo Raffaeli o Raffaele Donnarumma o Daniele Giglioli avrebbero «paura» di me e voterebbero, di conseguenza, solo in modo tale da farmi piacere. È una realtà parallela che mi piacerebbe esplorare. Mi ci vedo proprio, in effetti, nottetempo andare a Senigallia a tagliare le gomme all’auto di Raffaeli perché si rifiuta di votare per Frasca, per esempio.
L’aspetto paradossale è che lei pensa (o mostra di pensare, al consueto scopo inqualificabilmente infamatorio) che ogni singolo voto, di duecento con-giurati, venga prezzolato personalmente da me, o da Casadei o da Mazzoni, alla stregua di quello che avviene in Parlamento (segno, questo suo presupposto delirante, che è proprio vero che le categorie di pensiero berlusconiane si sono da tempo infiltrate nella mente stessa delle persone). Sa che per relizzare questo infame progetto nella mia vita dovrei fare *solo* questo? I voti, se proprio vuole che glielo dica, vengono inviati da ciascuno dei Duecento al segretario delle Classifiche, Massimo Gezzi, che con essi – e con molto lavoro – compone appunto le Classifiche. Devono essere conosciuti anche dai coordinatori, i voti dei singoli, perché può spesso capitare che ci si sbagli, votando per es. come opera nuova quella che è invece una riedizione, o che si voti per un’opera uscita più di sei mesi fa, o (come avviene spesso) una stessa opera venga votata per due categorie diverse. Non è detto che Gezzi si accorga di tutto (anche lui non fa *solo* questo nella vita, sa?), e come si dice otto occhi vedono meglio di due. Dopo questo controllo il segretario consulta i votanti “problematici” per ridistribuire le loro segnalazioni o correggerle, di concerto ovviamente con loro, ove sia stato commesso un errore.
È un meccanismo complesso, che richiede lavoro (molto) e fiducia reciproca (pure molta). Lei ci nega del tutto la seconda, e non è una novità, ma il suo disegno paranoico prevede che il primo sia non solo molto superiore a quello già gravoso che è, ma anche infinitamente superiore a quello che sia concepibile riservare a questa cosa. Ma, ripeto, tutto dipende dalla diversa concezione che si può avere, e si ha, del tempo a disposizione.
None, gli è un problema di democrazia! Quando le passa l’arrabbiatura si consulti con qualche esperto di votazioni e di meccanismi elettorali, ne conoscerà qualcuno? Ma ora ‘un ci ho tempo per rispondere. Magari le faccio lo scherzo di non risponderle proprio… E meno male che mi ero scusato due volte per l’errore dottore professore…
Ps: non mi lamento mai, figuriamoci per il suo comportamento che confermo insolente, per il passato e per il presente… senza andare a ricercare le puzze d’appoggio…
@Lorenzo Marchese
il nome che si è dato è lo stesso di un bellissimo personaggio del romanzo ” i fannulloni ” di Marco Lodoli (detto en passant, anche lui trova ridicola la classifica di qualità, che tra l’altro… una classifica di cinquanta autori a botta per categoria, le domando umilmente, lei la definirebbe, logicamente parlando, di qualità o di quantità?). Mi dispiacerebbe magari se dietro il nome di penna ci fosse lo stesso stimabilissimo Lodoli… in ogni caso mi salti pure quando incontra un mio commento, non mi offendo.
@Abate
che ci diamo del lei? Comunque mi sa che smetto… mi diverto poco a fare da sostegno marketing a iniziative che fuori dalla polemica in rete ci hanno poco peso… però non è ancora tempo… che dici, la sostanziale accusa che mi fa Cortellessa di disporre di troppo tempo per oziare nelle letture e nelle riflessioni invece che nell’azione, sarà catalogabile come accusa fascista?
il nome che mi sono dato? intende “lorenzo marchese”? è il mio vero nome, sono uno studente universitario a pisa, di cui basta googlare in 2 secondi per confermare l’identità. alter ego di marco lodoli? scusi la schiettezza, ma ce la fa?
detto en passant, ricordo la circostanza del giudizio di lodoli:
http://www.nazioneindiana.com/2011/03/05/classifiche-pordenonelegge-dedalus-febbraio-2011/
lodoli ha stroncato in toto la classifica di qualità perché il romanzo da lui molto apprezzato (“a cosa servono gli amori infelici” di gilberto severini) aveva preso un solo voto. una critica di ampio respiro, devo dire.
definirei la classifica di qualità piuttosto che di quantità, ma magari esplicito il mio pensiero un’altra volta. qui mi limito a dire che non è solo il numero a fare la quantità, e che la qualità ha mille forme e grazie a dio si realizza più spesso di quanto non si voglia far credere talvolta. e che ci sono tanti tipi di qualità, e che insomma il nome sta lì anche a contrapposizione delle orrende classifiche dei libri sui giornali, dove sta in testa chi più vende (un nome con funzione critica, per dirla breve).
per finire, e mi rendo conto di aver oltrepassato i limiti della buona educazione, io non voglio saltare i suoi commenti, perché l’ho fatto finora. e forse anche perché lei mi sembra un tipo cui “è cortesia esser villano”.
@Cortellessa
Se sei d’accordo passo al tu,
Non ho detto che l’obiettivo fosse di scalzare Faletti o Volo dalle classifiche. Ho detto che l’obiettivo sembrava essere quello di entrare negli spazi del mercato con una patente di qualità – in modo di arrivare di tanto in tanto anche al lettore occasionale facendo appello a considerazioni di status o prestigio sociale, e magari partire da questo per cambiare le cose dall’interno. Questo approccio ricorda molto quello con cui alcune centrali d’importazione del commercio equo hanno giustificato la loro entrata nella grande distribuzione (mentre altre ne restano fuori, e continuano ad essere presenti solo nel circuito delle botteghe). Le posizioni tue e di Abate sono sostanzialmente isomorfiche a quelle espresse nel dibattito di allora.
Se l’obiettivo primario sono i “gatekeepers”, e se questi ormai puntano su, pubblicano e recensiscono solo quello che promette un ritorno, dubito una lista del genere possa farli sentire in colpa; sarà efficace solo quando il prestigio conferito sarà monetizzabile, magari con una bella fascetta per il vincitore di Pordenonelegge.
Mi sembra ottimistico pensare che questa iniziativa – che abbandona l’aspetto difficile della critica argomentata per quello facile di nomi e numeri – possa riformare gerarchie perdute. Al massimo avrà l’impatto esterno (in termini di vendite o prestigio) che ha la vittoria o la finale ad un premio letterario che non sia lo Strega.
Ma oh, buona fortuna.
Posso essere d’accordo sul fatto che il sistema che fornisce critiche e recensioni non sia attendibile, ciò non toglie che per me – che potrei essere il lettore forte ma non specialistico per cui sembrava fosse stata pensata – una classifica di questo genere rimane opaca.
E’ più interessante di una classifica di vendite? Mi pare un paragone fuorviante.
Un lettore appena smaliziato capisce i motivi che portano il tal libro alla sua posizione, e difficilmente usa la classifica come indicazione, anche se può capitare che acquisti libri che ne fanno parte.
Insomma, sa “leggere” le classifiche di vendita per quel che sono.
Io leggendo la vostra non ci riesco. Mi vengono in mente le stesse cose di Genovese: poveretti quelli in fondo che hanno pochi amici, casualità del voto (chi ha letto chi?). Anche il punteggio di Frasca e Sortino, molto più alto rispetto agli altri, non è “il passaparola di duecento fra scrittori, critici e altri addetti ai lavori”, è espressione del voto di 10-15 persone al massimo. Gli autori che si piazzano verso il fondo sono stati letti da pochi o apprezzati da pochi? E se il voto di Frasca è l’espressione di un gruppetto di accesi sostenitori che lo apprezzano, quanti altri invece l’hanno letto e non votato? Oppure, se degli autori presenti nella lista ne ho letti una decina, ed ho ovviamente maturato su di loro opinioni mie, come faccio a sapere chi li ha votati, o che altro ha votato chi li ha votati, o rispetto a chi li ha preferiti (o viceversa, se altri giurati li hanno letti ma hanno preferito altro, cosa e perché).
Idealmente la critica presuppone un analisi abbastanza sofisticata da permettere anche al lettore lontano (ideologicamente, esteticamente, per concezione della letteratura) dal critico di farsi un idea; il passaparola presume un certo grado di conoscenza e fiducia personale.
Ma questa riduzione aproblematica a numeri e posizioni incoraggia il lettore consumatore piuttosto che quello consapevole – non ci pensare, fidati, abbiamo scelto per te, prova il primo classificato.
Che è come dire prova il vincitore del tal premio – può incuriosirti e andar bene come indicazione una volta che hai voglia di provare qualcosa di nuovo, ma l’esperienza ti dice che il libro che preferisci spesso si ferma alla longlist…
Poi se uno ha abbastanza tempo/denaro/voglia/fiducia da riuscire a leggere qualcosa di tutti i nomi che non conosce, meglio per lui.
@ chemicheni 93 (che mi pare di capire coincida con kojugukela 71; io già faccio fatica coi nick “normali”, figurarsi con quelli a identità multipla…)
Finalmente leggo una critica che entra nel merito, anzi nel merito del metodo. Mi pare di capire che la tua diagnosi del punto in cui siamo giunti è ancora più catastrofista della mia – ed è tutto dire – se pensi che questa iniziativa non possa neppure contribuire (in parte, ancorché minima, ma se lo facesse anche infinitesimamente varrebbe la pena insistere) a «riformare gerarchie perdute».
Vuol dire che per te siamo già in un sistema sostanzialmente a “due velocità” (che però, a differenza della distribuzione alimentare con la quale porti avanti il paragone, non ha ancora neppure cominciato a costruire e coordinare una rete alternativa a quella di sistema, voglio dire una rete che funzioni e sulla quale l’acquirente critico e consapevole possa fare affidamento; il lavoro che sto iniziando a fare dentro TQ, peraltro, va proprio in questa direzione: verso un coordinamento, cioè, dei punti di vendita indipendenti, che consenta di collegare a loro realtà produttive parimenti indipendenti).
Mentre è chiaro, hai perfettamente ragione, che il dispositivo Classifiche si fonda sul presupposto che non ci si sia ancora arresi a questo step. Infatti i libri che mappa sono quelli del mainstream, come detto, *insieme* a quelli che del mainstream non fanno parte a pieno titolo (ma, appunto, non hanno ancora preso la strada dello scisma distributivo).
Ecco, mi piacerebbe ragionare proprio su questo punto. Secondo me, infatti, e credo di poter parlare anche a nome degli altri coéquipiers, arrendersi a quella che somiglia da vicino a un’evidenza, e così definitivamente passare a un sistema “a due velocità”, può essere considerato anche una misura di sano realismo (e se così stanno *davvero* le cose ogni mese passato indugiando in questa zona di transizione, diciamo così, è un mese perduto) ma sigla anche la parola fine su una stagione, che è poi quella in cui mi sono formato (tu non so quanti anni abbia, e se le sigle «93» o «71» alla tua età alludano; a quale, in questo caso?), in cui ci si ostinava a credere a un’idea di cultura, e di letteratura, che fosse almeno idealmente “per tutti” (altro che l’AVANGUARDIA di cui si va cianciando).
Istituire una specie di “serie B” della letteratura (che però coinciderebbe, su un altro piano, con la “serie A”: rendendo allora definitivamente vera quella cosa fantastica, esistenzialista e persino vagamente evangelica, che dice Sartre in «Che cos’è la letteratura»: che siamo nella letteratura quando «chi perde vince») significa in prospettiva abdicare alla possibilità che anche un solo consumatore di Volo *davvero*, un giorno, per sbaglio, legga Frasca.
È probabilmente già così; ripeto, ci sono cose che vado facendo che si fondano in sostanza su *questo*, non dichiarato presupposto. Ma psicologicamente – o sentimentalmente, se vuoi – non mi sento ancora disposto a pensare il futuro di me stesso, e soprattutto delle generazioni a venire, in un mondo fatto in questo modo.
Lorenzo Marchese, Pasolini diceva che sotto i 25 anni si è può perdonare anche i fascisti, figuriamoci se non perdono le sue gratuite insolenze giovanili; dato che ci sono mi permetto di farlo anche verso quelle un tantino isteriche rivolte a Marco Lodoli, una delle più belle coscienze in circolazione, che in ogni caso le consiglio di leggere, prima o poi, ne vale davvero la pena, magari dopo compiuti i 26…
già, dando magari per scontato che io non abbia già letto lodoli, vero?
comunque, verso lodoli ho solo fatto notazioni a partire da dati, che chiunque può consultare e valutare in maniera opportuna
e chiudo qui, sperando che qualche altro giovane o vecchio abbia più voglia di me nell’insultarla come lei merita. io, purtroppo, non sono abbastanza giovane da non stancarmi subito.
@ Cortellessa
Non sono un “impaziente di professione”. Frequento alcuni blog per polemizzare contro posizioni che mi paiono politicamente ambigue e per cercare persone con cui condividere una ricerca critica meno ambigua e più coraggiosa. Seguo e sono informato del suo lavoro (nel 2005 ho letto e scritto su «Parola plurale»), come di quello di altri di LPLC. Non credo lo sia lei del mio. Apprezzo la sua intelligenza, ma non l’impianto filosofico-politico che utilizza. E perciò critico, come sto facendo, la SCELTA POLITICA di “alternativa interna” al sistema editoriale (capitalistico per me) che è alla base della classifica di Pordenone legge-Dedalus. Sì, il mio intento è di riaprire «un contenzioso storico-filosofico» (e politico) disinvoltamente messo da parte dagli “alternativi” come lei ed altri negli ultimi decenni. Quel contenzioso era ancora problema vivo almeno in alcuni degli autori da lei citati (Volponi e Pasolini) e nel, per me fondamentale, lavoro di Fortini. Ora è deriso o rimosso. Ma io ed altri restiamo convinti che sbarazzandovene (o ignorandolo) finitee per lavorare a favore del re di Prussia. «Una gerarchia di valori, *alternativi* a quelli di mercato» non si può fondare sulla «qualità». Un’analisi approfondita dell’odierno capitalismo ( termine del tutto assente dalle vostre riflessioni, mi pare) mostra abbondantemente che esso si alimenta sia di prodotti (nel caso libri) di buona o alta qualità sia di prodotti di bassa o infima qualità. Mi scusi, ma cosa risolve se un giorno riuscisse a ottenere che«un solo consumatore di Volo *davvero*, un giorno, per sbaglio, legga Frasca»? Per me, quasi nulla. E perciò critico. Criticare, però, per me non significa infamare o vituperare «a man salva», ma impegnarsi nel “duello” con altri per vedere – qui ci vuole – quali parole corrispondono davvero alle cose (del capitalismo d’oggi). Tentare di riportare l’attenzione a questi problemi dei padri” (Volponi, Pasolini, Fortini) vuol dire fare dei discorsi senza senso? E’ tutto da dimostrare. E se vi insisto, non mi sento un “sabotatore del tempo altrui”, ma uno che semplicemente ha memoria di certe cose e tenta di farle ricordare o conoscere a chi le ignora del tutto. Di tempo tutti ne abbiamo poco. Ma se uno frequenta un blog, è perché gli interessa confrontarsi e misurarsi con gli altri; e mette in conto che deve spenderci delle ore. Credo, comunque, che, se le mie domande fossero venute da un suo pari grado o un suo studente o fossero state poste in un “gruppo chiuso” (ancora Fachinelli!), lei avrebbe risposto subito.
@ prassi del complotto
In un’epoca in cui tutte le etichette appaiono svuotate di senso, lei sembra preoccupato di appiccicare quelle vecchie appena può. È un errore. L’ «anti-cordata anarchica de noantri» non esiste, è un suo fantasma (non avrà a che fare col suo nick name?).
Io, Massino e Linguaglossa siamo tre persone distinte. Finora non ci siamo mai incontrati di persona, ma soprattutto parliamo ciascuno in proprio. La pensiamo diversamente su varie questioni. E può verificarlo. Se va in questo stesso blog al post della Brogi, s’accorgerà che io e Massino non concordiamo affatto sulla valutazione storica degli anni Settanta, del PCI e di Fortini. Se va sul sito della Lietocolle libri (qui: http://www.lietocolle.info/it/la_nuova_poesia_modernista_italiana_1980_2010.html), troverà numerose riflessioni di Linguaglossa sulla poesia in dialogo/confronto con altri e anche una mia riflessione sul suo “La nuova poesia modernista italiana”. Se leggerà attentamente, vedrà che ci sono cose che ci avvicinano e altre che ci distanziano. Non abbia paura. I nostri complotti sono alla luce del sole.
@ Massino
Il lei è di prammatica su LPLC e per un riflesso condizionato l’ho usato anche con te.
@ Ennio Abate
Ma di che parla? O meglio, si capisce benissimo di che parla, e sarebbe anche stimabile una tale intransigenza filosofico-politica se riuscisse a esprimersi in proposte di lotta efficiente, ma poi non venga a farmi l’esempio di Pasolini, per favore. La cui compromissione con la macchina del capitalismo assorbitutto, che giustamente lei aborrisce, può essere letta solo in due modi: cattiva fede, ingenuità e/o illusione. A meno che non si ammetta che ci possano essere posizioni più complesse – e più azzardate e più strategiche – del tirarsi fuori del cerchio magico del mercato per tirar pietre ai cattivi. Se conosce Fortini saprà anche quanto tutto ciò ingeneri tragedia, e paralisi, in un onesto intellettuale. Per quanto riguarda la presunta vecchiaia delle etichette eccetera eccetera, le rimando volentieri il sospetto. E cercherò di spiegarmi nel modo più semplice possibile, come ha fatto lei nella risposta a Cortellessa, con due osservazioni: 1. se il mito dell’autonomia dell’arte può averci insegnato qualcosa, oggi che è solo uno spauracchio della cultura di massa, è che le energie di emancipazione di un’opera si mettono in moto, anche a distanza di tempo, malgrado le contingenze materiali, i compromessi coi cattivi, malgrado perfino il contesto ideologico in cui detta opera nasce. Il problema è che l’opera in qualche modo deve emergere, deve essere rilevata e protetta da chi ha il potere di rilevare e proteggere, cosicché ne rimangano tracce nel tempo, al pari della celebre zanzara incastonata nell’ambra. E oggi non esiste alcuna opposizione intransigente – intransigente come la intende lei – al sistema totale dell’editoria che possa garantire non dico la sopravvivenza negli anni, ma perfino la circolazione stagionale di un’opera di grande valore. Pizzichi sulla pancia, quindi, organizzazione, mimetizzazione, perché l’avversario è troppo potente per poterlo affrontare senza prendere a prestito qualcuna delle sue armi. Capisco l’eroismo, lo stoicismo, di chi decide di affondare con la propria nave: ma lasci ai giovani di tentare prima tutte le scialuppe, mettere in salvo almeno donne e bambini, prima della resa sacrificale. Qualcuno dovrà pur sporcarsi le mani perché qualcun altro – lo Scrittore – possa dare alla luce un libro in totale indipendenza di spirito. Questo non è tradimento e non è badare al proprio ombelico, è realismo strategico. Se poi lei crede che si possa, a piccoli lanci di pietre alla rinfusa, lapidare il Leviatano, saluto un sognatore. Io preferisco la lucida freddezza di chi il Leviatano lo aggira, lo distrae, lo attrae in trappola, lancia colpi mirati. 2. seconda osservazione: l’operazione sulla “poesia modernista italiana”, che lei con riserve appoggia, a me pare se non una pagliacciata una terrificante svista critica. E non credo di essere solo. L’esempio di Giuseppe Conte parla per tutti. Il critichese che ho avuto occasione di saggiare lo conferma. Qua non si tratta di “qualità” o “non qualità” del discorso critico. Si tratta di scelte di campo, e di linguaggio, a mio avviso sbagliate, deliranti, che non vedono ciò che studiano ma si parlano addosso, che preferiscono l’inautentico, l’autoreferenziale, il corrivo presentandolo come autentico, impegnato, sublime, con un po’ di pepe da indignazione a prescindere. Come sui manuali in cui Montale è un ermetico, per capirci. Se poi lei preferisce la forma della rivolta, ancorché vuota o completamente fuori rotta, ai contenuti e all’efficacia della rivolta, sarebbe interessante capire le motivazioni di una scelta così diversamente politica. Per me, questo è un cattivo servizio non solo alla poesia, ma al pensiero tutto, al linguaggio che possa ancora essere un’arma, a quella che Fortini un tempo avrebbe chiamato “la verità” – lui sì che forse sapeva di cosa stesse parlando.
Bisogna imparare a valutare le cose non in base ai princìpi, magari ingiusti, o ai metodi, magari fallaci, ma ai risultati. Molte critiche a questa classifica possono essere giuste, ma anche i difetti contribuiscono a qualcosa di molto singolare, inaspettato. Personalmente, non esercito tutte le volte il mio diritto di voto, per il semplice fatto che spesso non leggo nessun libro recente di letteratura italiana – ma mi chiedo, in che misura una specie di uomo-macchina che leggesse tutti i libri di tutti e quattro i gruppi sarebbe in possesso di una prospettiva migliore della mia ? Sarebbe, semmai, un pazzo da rinchiudere in un manicomio. E chi critica la casualità e l’occasionalità delle letture, deve ammettere che tutta la conoscenza, in un modo è nell’altro, è soggetta al caso. Insomma, in tutto questo Mar Morto intellettuale la classifica mi sembra un’eccezione, una lista di libri e di scrittori memorabili, a differenza delle altre classifiche basate sulle vendite. E’ la fotografia di una parte della letteratura, votata alla ricerca, all’invenzione. Quando leggo la quarta parte, “altre scritture”, mi si scalda sempre il cuore, è quello il genere di cose che mi piace leggere e mi piace scrivere, e mi piace guardare i nomi e i titoli di libri, lo trovo molto istruttivo, a volte ho letto dei libro solo perché erano in questa lista, inoltre ritengo che i cinque minuti che ci si mettono a leggere la classifica siano molto più proficui di ore e ore passate a leggere recensioni e saggi noiosissimi. E poi, guardate i primi quattro di questo mese: Frasca, Giglioli, De Signoribus, Pincio. Che volete di più ? Insomma, considerata come un congegno collettivo, una machina che produce una critica letteraria molto agile e sintetica…la classifica è una delle cose migliori che si siano mai fatte in Italia
Ho letto con attenzione questi scambi di opinione e francamente mi confermano la difficoltà di discutere quanto tra persone sicuramente serie c’è una “zavorra” di livorosi provocatori i quali sono il più delle volte poeti falliti, narratori falliti, critici falliti. Certi nomi, molti dei quali vilmente anonimi ricorrono anche in altre discussioni, come vera e propria schizofrenia nella rete.
L’iniziativa delle Classifiche non è certo perfetta e neanche “scientifica”, però mi è parsa subito una bella provocazione. Sicuramente non attesta con i voti nessun tipo di primato, non ha una grandissima ricaduta in libreria, ma pone all’attenzione dei lettori alcuni libri che sono volutamente rimossi dal mercato editoriale. Altro che mafiosità! Se fosse una “mafia” sarebbe sicuramente una “mafia” perdente. Le cricche, che pure ci sono, sono altre. I nemici della buona letteratura, che pure ci sono, sono altri. Si pensi per esempio al “baricchismo” postmoderno e a Baricco, non a caso sostenitore dello stronzetto di Firenze. Questi sono i veri nemici del libro di qualità, della buona letteratura, della cultura e della politica di questo paese, no le Classifiche! Ammetto di aver votato (non sempre esprimo un giudizio) scrittori che sono miei amici (De Signoribus, Arminio, Bajani, Covacich,Severini, Pavolini), cosa ci sarebbe di male? Ho votato degli amici che giudico tra i migliori scrittori del Paese. Qualche Morselli ci sarà pure in circolazione, ma non mi pare che nel sommerso ci siano tali e ingiustificate assenze.
PS. Ho scritto “quanto” nella prima riga per svista.
@Ennio Abate
Per ora (r)esisto…
http://accademia-inaffidabili.blogspot.com/2011/11/ore-8.html
@ Ennio Abate
Però al di là del tempo noto che, se io le rispondo, lei non ne tiene conto e continua a bersagliare lo (pseudo)interlocutore con i medesimi strali inviatigli prima della sua risposta. Così, se ne convinca la prego, non mette tanta voglia di parlare con lei ai possibili interlocutori appunto. Le ho detto che altrove, con altri strumenti e altre compagnie, io non «derido» e non «rimuovo» proprio nessun «conflitto», nessun «contenzioso storico-filosofico». Vada a leggersi qualche numero di «alfabeta2», la prego. Per esempio lo speciale sull’editoria dell’inserto «alfalibri» di ottobre: dove si capisce, spero, per quale motivo mi illudo che anche questa iniziativa – che a lei pare derisoria e aconflittuale – contribuisca (a suo modo, coi suoi strumenti, con la sua compgnia) al «contenzioso» che le sta a cuore.
Se poi lei è convinto che nello «stato di cose presenti» non contino nulla la letteratura, la poesia e l’arte – e dunque nulla o «quasi nulla» conta, se un giovane venga indotto a cimentarsi con Frasca anziché continuare a consumare Volo – allora forse mi perdoni ma ha sbagliato luogo di discussione.
@ prassi del complotto
1. Se « le energie di emancipazione di un’opera si mettono in moto, anche a distanza di tempo, malgrado le contingenze materiali», conceda tempo anche alla mia « intransigenza filosofico-politica», tanto più che di questi tempi un po’ tutti ( non solo io) manchiamo di « proposte di lotta efficiente»;
2. Ho scritto: « Quel contenzioso era ancora problema vivo almeno in alcuni degli autori da lei [Cortellessa] citati (Volponi e Pasolini) e nel, per me fondamentale, lavoro di Fortini». Ho citato Pasolini non come esempio di anticapitalismo coerente, ma come scrittore che ragionava ( o tentava di ragionare) ancora “all’ombra di Marx”. Ovviamente come scrittore anticapitalista e comunista (critico) guardo a Fortini e condivido quasi tutte le critiche che mosse all’amico e antagonista in «Attraverso Pasolini».
3. Sì, «l’opera in qualche modo deve emergere, deve essere rilevata e protetta da chi ha il potere di rilevare e proteggere». Concordo. Ma il problema è stabilire chi oggi rileva e protegge e se lo fa o lo può fare davvero. Se manca un’opposizione reale (duttile o intransigente), la prima preoccupazione dovrebbe essere costruirla o ricostruirla. I giovani per me possono progettare di aggirare, distrarre, attirare in trappola il Leviatano, ma lo conoscono? E sarebbe opportuno (sempre per me) che siano essi i primi a chiedersi se quei «pizzichi sulla pancia», quella «mimetizzazione» costruiscono vera opposizione o, come temo, lavorano per il re di Prussia. Lasci poi perdere eroismo, stoicismo e capitani che affondano con la propria nave. Qui affonda l’Italia e a me pare miope e di uno spiritualismo, questo sì sacrificale ed elitario, (altro che «realismo strategico»!) «sporcarsi le mani perché qualcun altro – lo Scrittore [ah, la maiuscola!] – possa dare alla luce un libro in totale indipendenza di spirito». Meno genio, mi pare che dicesse Fortini. E soprattutto mai sacrificarsi per far venir fuori un Genio letterario o un Eroe. Abbiamo bisogno di altro…
4. Sulla «poesia modernista» lei se la cava con le sputacchiate. Io no. Leggo i libri classificati e anche quelli non classificati. Che ci vuol fare, io sono un contrabbandiere: leggo Cortellessa, leggo Zinato, leggo Linguaglossa. Ho letto sia il primo libro di Linguaglossa, «La nuova poesia modernista italiana» misurando vicinanze e distanze ( http://www.lietocolle.info/it/ennio_abate_su_la_nuova_poesia_modernista_lettera_riepilogativa.html) sia quello appena uscito «Dalla lirica al discorso poetico», che discutiamo giovedì a Milano alla Palazzina Liberty. E ci ragiono su. Non sputo.
Grazie Emanuele. Approfitto della tua presenza per coinvolgerti in un esempio di quella che altri considera “autoreferenzialità” e che per me è solo un sistema sano e disinteressato in cui anche gli scrittori concorrono a “dare dritte”. Per me Trevi, da quando ho l’età della ragione, è per l’appunto uno che “dà dritte”. Non so neppure (e lui forse lo sa ancora meno di me) se quella che lui scrive, e ha sempre scritto su giornali e riviste, sia “critica letteraria” – ma insomma per quella viene seguito, da tanto tempo, da me e tanti altri. Ora, dal momento che da una decina d’anni a questa parte a sua volta lui pubblica dei libri che non so se si possano definire (e lui forse lo sa ancora meno di me) di “narrativa”, per questo dovrebbe smettere di “dare dritte”? Oppure i suoi libri, che a me piacciono e alcuni pure molto, non dovrebbero essere segnalati da una cosa come le Classifiche? Ma quale utilità si ravvede in questo aut-aut amputatorio?
Un esempio di “dritta” di Emanuele, lui neppure se lo ricorderà, è quella che anni fa mi diede relativa a un libro allora introvabile, «La corsa dei mantelli» di Milo De Angelis. Ora lo ha ripubblicato Marcos y Marcos, finalmente l’ho letto, e l’ho fatto con una febbre speciale proprio perché Emanuele me ne aveva parlato, a suo tempo, con quell’entusiasmo particolare e indefinibile. Non che avesse saputo dirmi *perché* andava letto quel libro, neppure io in poche battute ora saprei farlo per la verità, ma aveva espresso un’energia, un’«intensione» che era riuscito a trasmettermi in modo abbastanza travolgente. E che pochi giorni fa ha contribuito al piacere, fortissimo, che ho provato nel leggere finalmente questo testo.
Ecco, per continuare a rispondere
@ chemicheni 93 e kojugukela 71,
naturalmente l’astrazione di una classifica, di una pagina web, non può restituire in tutta la sua forza questa energia e questa febbre (tra l’altro, nello specifico, credo che neppure si possa votare, «La corsa dei mantelli», dal momento che è una riedizione – anche se fra i Duecento forse il solo Emanuele lo aveva già letto). È un surrogato, certo, un succedaneo virtuale.
(I punteggi che relativizzano le segnalazioni, @ Rino Genovese, hanno certo delle controindicazioni ma servono appunto a tentare di graduare quell’energia, quel calore.)
Ma dobbiamo considerare che il vero passaparola, quello energetico e “intensionale”, è qualcosa di raro, rarissimo. Io, le occasioni in cui mi sono stati trasmessi *davvero, le posso contare sulle dita di una o due mani.
E invece questo succedaneo, questo tè freddo in plastica, arriva con regolarità, ogni due mesi, disponibile a tutti. (A me, fra l’altro, il tè freddo in plastica piace un casino.)
che bella la classifica con 7 miliardi di giurati, come la mappa 1 a 1 di Borges, come l’organigramma antielitista della RAi in cui son tutti direttori. e poi l’accusa del porcellum a cortellessa mazzoni & c., un parlamento di giurati nominati e non eletti democraticamente. e pensare che non li ho letti neppure tutti i commenti! vorrei che questo thread non finisse più. “classifica di qualità”, neanche “matrimonio felice” è un ossimoro così bello…
@ Sergio Garufi
Lo dici perché ti stai per sposare? In tal caso, congratulzioni vivissime!
già fatto andrea, sono sposato alla causa, quella che mi vogliono intentare per conflitto d’interessi, in quanto votante e votato. per tacere del fatto che mi sarei pure votato da solo, se non mi fosse stato impedito; sesto fra cotanto senno a me non basta!
no, io dicevo sposato a Chiara! (Baci)
Riprendo dal link a nazione indiana citato in colonnino i miei punti fermi dopo anni di botte e risposta con Cortellessa & altri:
– chiamasi “Dedalus” invece che “Galois” o “Vico” perche’ il punto di partenza e di arrivo e’ letterario
– l’ “aria di famiglia” e’ appositamente ricercata perche’ il gruppo di lavoro condivide un mestiere e una “formazione culturale”, con le ovvie e poche mosche bianche cooptate piu’ o meno per caso
– ogni giurato segnala quel che legge e spesso legge solo cio’ che gli viene inviato dai generosi uffici stampa delle case editrici medio-grandi.
E poi una mia considerazione personale: In definitiva si tratta di un sondaggio orientato che non ha alcuna pretesa di oggettivita’ (questa dedalusianamente rifuggita, direi) e complementa la classifica di mercato invece che proporre un diverso paradigma.
Aggiungendo al discorso, a freddo: sarebbe stato interessante provare a fare un’operazione simile al Dedalus su basi galoisiane (e sono sicuro che avremmo trovato citata molta piu’ roba di genere, dal fantasy ai manuali, dai videogiochi alle arti applicate), ma nei miei anni di contatto con gente dal background tecnico-scientifico e interessata a questioni letterarie, ho spesso riscontrato nostalgia delle radici creaturali umaniste (alla Sinisgalli o, idealmente, alla Gadda) piu’ che voglia di lavorare sulla letteratura partendo dalla specificita’ dei nostri studi (alla Asimov).
A freddo, rimane il dubbio che il Dedalus escluda davvero una fetta troppo grossa di conoscenze e di approcci alla letteratura, sia dal punto di vista estetico che -come sembra predominante in questi ambiti dall’avvento di Cortellessa & co. in rete- politici.
Vorrei far notare all’ottimo Sergio Garufi, del quale raramente si legge una parola invano, che se non può votare sacrosantissimamente per sé medesimo è perché il sistema di votazione non è a scrutinio segreto (sì, classifica di qualità è uno splendido ossimoro) .
@ Angelo Ferracuti
Ritengo che parlare di scrittori “falliti” sia improprio, io direi semplicemente scrittori ‘frustrati’ (e molti di loro hanno buoni motivi per esserlo), altrimenti bisognerebbe chiarire se il fallimento per lei consiste nel non essere presi in considerazione o nell’aver scritto libri mediocri. In questo secondo caso, che spero e credo sia quello giusto, bisognerebbe motivare perlomeno con due parole (per esempio io ritengo mediocre un libro solo se banale emotivamente e intellettualmente o linguisticamente ‘vacuo’ e penso che altri giudizi certi non si possano dare sui libri dei contemporanei). Ma motivare significa ‘dover leggere’.
Per il resto sono d’accordo con lei (non su tutti gli amici che ha votato).
@ Angelo Ferracuti
Sono incorso nel suo stesso errore con l’ultima frase, ma mi creda volutamente, perché le mie critiche non sempre anche autocritiche, so bene quanto sia difficile essere severi con se stessi.
Se classifica di qualita’ e’ un ossimoro, scrittore fallito e’ una tautologia.
@Sergio Garufi
Bella, e regge dal punto di vista ‘logico-analitico’ se con ‘scrittore’ si intende lo scrittore di classifica. Mi piace la sua autoironia, ma del resto lei ha fatto la gavetta ed essa è molto utile a chi ha necessità primariamente esistenziale di esprimersi in forma creativa.
@Cortellessa
Beh no, quello che intendevo io è leggermente diverso. Mi scuso se mi dilungherò in discorsi abbastanza banali.
In primo luogo, le classifiche di vendita aggregano le scelte di diverse tipologie di lettori, che alla letteratura chiedono cose diverse, e possono vivere come passione, interesse o passatempo. Ho due amici che stimo molto, uno legge due-tre libri l’anno, l’altro legge quasi solo saggi storici o testi scientifici: è chiaro che la volta che comprano un romanzo lo giudicano in base ad aspettative diverse dalle mie. La maggioranza dei lettori in Italia è “debole”.
E’ qui, alla radice, che bisognerebbe lavorare, se si vuole la cultura (letteraria, che ve ne sono d’altre) per tutti. Un altro mio amico, scoprendo Fenoglio, scoprendo Bianciardi, se ne è uscito con un “però, se la scuola non mi avesse allontanato dalla letteratura italiana!”.
Perché il lettore che inizia a leggere, diciamo, più di un libro al mese, si crea un gusto, fa le sue scoperte, cerca interlocutori che sente affidabili, le classifiche lo influenzano poco e le recensioni solo se ha sviluppato un rapporto di fiducia con chi le ha scritte.
In secondo luogo, le classifiche di vendita premiano il minimo comun denominatore. Quando vogliono una lettura leggera e senza troppe pretese Giuliano, Sarah, Emma, Moussa, Andrea, Raffaele e Piercarlo si comprano I Delitti del Sudoku che con sette copie va nella classifica dei best-seller.
Magari i loro rispettivi libri da isola deserta – Mentre Morivo, The Easter Parade, Red Shift, La Stagione della Migrazione a Nord, L’Uomo senza Qualità, La Cognizione del Dolore e L’Osceno Uccello della Notte – si fermano ciascuno ad una copia e non entrano in classifica, ma nessuno dei nostri amici si aspetta che I Delitti del Sudoku sia “migliore” di uno qualsiasi di questi libri che non ha letto.
Fin qui, tutto normale e fisiologico. Del resto – apro inutile OT personale – io ho avuto un compagno e un paio di amici appassionati di jazz (e li ho presentati io gli uni agli altri, non viceversa, evidentemente me li cerco). Una volta chiesi al mio (ex) compagno di suonarmi un pezzo rock-blues che mi piaceva, e lui me ne fece una versione straziata con note allungate all’infinito, per farmi elegantemente capire quanto struttura e melodia fossero banali.
Mi rendo conto che i miei gusti musicali sono “popolari”, ma chissenefrega, non mi sento colpevole nei confronti dell’arte se non compro il disco di Haden e Rubalcaba.
Guardare una classifica di vendita – di popolarità – e vedervi il male o lamentarsi perché non riflette un idea di qualità mi sembra bizzarro.
Detto ciò, rimangono ovviamente gli aspetti problematici legati allo strapotere del mercato. Uno, espresso sinteticamente da Helena Janeczek, che quei libri per aspirazione inequivocabilmente “popolari” che raggiungono le vette delle classifiche oggi non sarebbero più l’equivalente del panino col salame o della torta d’erbe della nonna, ma piuttosto del wurstel fatto cogli scarti e insaporito chimicamente.
Il secondo è quello che svisceri tu in articoli come quello che hai linkato, e sono sostanzialmente d’accordo. Guardando anche ad altri mercati mi sembrano tendenze diffuse ovunque. La corsa alle vendite porta a scelte anche miopi e controproducenti – ad esempio so di libri che contro l’ espressa volontà delle autrici sono stati pubblicati con titoli accattivanti e copertine color pastello per accodarli al vagone “chick-lit” quando in realtà il contenuto era molto diverso e si rischiava sia di mancare il vero target che di fare un buco nell’acqua in quello ritenuto più lucroso.
E’ chiaro che anche l’etichetta di qualità (sia essa fondata o meno) per una grande casa è solo uno strumento da accentuare o minimizzare o qualificare (“a staggeringly ambitious book that’s also eminently readable”) a seconda della strategia di marketing. Certo qualche direttore editoriale “galantuomo”, qualche casa dal nome prestigioso oggi assorbita in macrogruppo editoriale magari riescono ancora mantenere autonomia ed identità pubblicando cose in cui credono o dando agli autori qualche libro di tempo per crescere, ma esempi come quello della cieca rincorsa al target mi sembra confermino che queste tendenze operano ormai a livelli molto più profondi rispetto a quello che può influenzare questa lista.
Ora, se il senso della lista è di essere una celebrazione, un “pride” per chi soffre per la marginalizzazione di certa letteratura – addetti ai lavori, studenti di lettere, persone con un interesse forte per la letteratura italiana- è una cosa.
Se si vuole raggiungere cerchie più ampie di lettori non specialistici che potrebbero essere interessati, classifiche, graduatorie, numeri sono una via che non mi convince.
@Trevi
Cosa mi dicono i primi quattro di questo mese? Ma estendiamo pure ai primi tre di ciascuna delle classifiche, e aggiungiamo i podi del mese linkato da Marchesi: che, fatta parziale eccezione per la poesia che ha un giro più “ristretto”, si tratta in maggioranza di nomi noti a chi legga con attenzione le pagine culturali di qualsiasi giornale (non solo Alias o Alfabeta). Che di molti di loro ho letto qualcosa. Che c’è un notevole divario numerico (indicatore di entusiasmo?) fra di loro e quelli che si classificano più in basso. Che quindi posso limitarmi a leggere autori noti (fra virgolette, se vogliamo) e sperimentare l’occasionale outsider che si inserisce, la fotografia dello stato di cose rappresentata dal podio equivale a una “critica letteraria agile e sintetica”. Anche perché, visto che leggo in varie lingue, fra classici che mi mancano e autori che scopro seguendo percorsi/interessi ed entusiasmi vari non è che sia a corto di libri da leggere.
Mi sembra che altrove, quando si sono create liste o classifiche con metodologia simile, ci si è quasi sempre occupati di periodi di tempo molto più estesi (cosa che le rende più autorevoli), e spesso si è chiesto ad almeno una delle persone che hanno votato per il tal libro di argomentare la sua importanza.
Qui i 6 punti di un libro potrebbero essere l’espressione dell’entusiasmo di x(che ammiro),y (neutrale) z (che per me non è affidabile), o di 2 che assegnano 3, 6 che danno 1… un po’ cambierebbe se lo sapessi, no?
Ot2
Ho quarant’anni. Il primo pseudonimo, frutto dell’ispirazione del momento, era una variante esotica di quei nickname molto “basic” – Long John Silver 82, Fiorellino 91 – che tanto inquietano la coscienza civile di svariati blogger e commentatori. Poi mi sono abbassato l’età per trarre in inganno Donnarumma, che è gerontofobo e fan di Edipo (spero almeno non gli piaccia il jazz) ma adesso torno ad uno pseudonimo più congeniale ai miei anni e alla mia…ehm saggezza.
@Ennio Abate
Caro Ennio, sono più di dieci anni che tu e io collaboriamo in varie situazioni tutto sommato marginali e anzi proprio militanti – tu vecchio ribelle e io, quasi-vecchio, docente universitario (ma, se mi permetti, un po’ ribelle pure io). Faccio anch’io parte del gruppo di lettori di Pordenonelegge fin dal suo inizio. E quindi stai attaccando anche me, che sulla carta potrei essere l’epitome del male con cui polemizzi (insegno persino in un’università privata, come sai). Ci sto dentro, al gruppo di Pordenonelegge, con piena convinzione perché la classifica che ne viene fuori a mio avviso segnala opere interessanti, tra le più interessanti, che si pubblicano in Italia. Io credo che il valore di questa iniziativa sia innanzi tutto pragmatico: aiutare i lettori (e i critici) a orientarsi nel casino che è la produzione letteraria italiana.
Però intendiamoci: dietro quel pragmatismo c’è altro, agisce un principio che ha a che fare con qualcosa che non si può non chiamare estetica. Quello che si dovrebbe dire ad alta voce è che i ‘valori’ esistono, magari non in senso assoluto, ma in senso relativo sì. Faccio un esempio. Ho scritto la postfazione a una tua raccolta di poesie, Ennio, con sincero entusiasmo, perché mi riconosco in molti aspetti della tua opera. Quello che scrivi mi piace – in parole povere. Però – dai – se prendiamo 100 critici (di qualsiasi scuola) e 100 lettori di poesia (quale che sia il loro gusto: basta che sia gente che davvero legge poesia) e gli sottoponiamo Donne seni petrosi di Ennio Abate e l’ultima raccolta di Eugenio De Signoribus, sono sicuro che tu saresti battuto, per lo meno, 190 a 10. Io starei con i 190, va da sé. Lo stesso direi per un libro di critica di Giorgio Linguaglossa e uno di Emanuele Zinato: chi sappia un po’ di critica, non credo dubiti nemmeno per un secondo sulla gerarchia dei valori in gioco.
Sono più di dieci anni che io e te discutiamo del tuo relativismo blandamente nichilista. E’ legittimo che tu abbia dei dubbi sui valori condivisi dalla critica ufficiale istituzionale (io forse ne ho molti più di te, se è per quello), però non credo che sia utile estremizzare certe posizioni. Il rischio, tra l’altro, è che in questo modo gli opposti si tocchino: e che Ennio Abate vada a braccetto con Antonio D’Orrico. Questi – a ben vedere – in fondo fa qualcosa di simile a quello che fai tu (con vantaggi personali infinitamente superiori a quelli che puoi trarne tu, beninteso): dichiarare la grandezza di certa letteratura di consumo in opposizione ai ‘pregiudizi’ della critica ufficiale.
Detto in parole povere, può darsi che i voti di Pordenonelegge siano un modo per provare a recuperare un po’ di razionalità entro un sistema in cui il mercato, la gesticolazione scomposta, la sparata fanno premio sulla ricerca (da intendersi in un paio di sensi almeno), il dialogismo paziente, il pensiero ponderato. E tutto questo nasce dal basso, ed è fatto da gente che non ci guadagna un bel nulla. Boh, continuo a vederci molto di buono. Non è la rivoluzione, si può discutere di tanti dettagli pratici (e teorici), ma è sempre meglio di D’Orrico e delle classifiche commerciali.
@ Massino
Grazie del Brecht di «Scritti teatrali» linkato. Vale la pena riportarne un brano anche qui su LPLC a vantaggio di qualche disperso meno “fratello amorevole” di altri (ma che malinconia dover risalire alla PBE del 1962 per ascoltare qualche “banalità anticapitalista”!):
«Si dice: “ questa o quell’opera è buona “; e s’intende senza dirlo: “ buona per l’apparato “. Ma quest’apparato è determinato dalla società esistente, e assimila solo ciò che gli permette di sussistere in questa società. Si potrà dunque discutere di tutte le novità che non abbiano un carattere minaccioso per le funzioni sociali di quest’apparato, quella cioè del divertimento serale. Non si potrà invece discutere di tutte quelle novità che tendono a fargli mutare funzione, vale a dire situare diversamente l’apparato nella società, per esempio connettendolo alle istituzioni d’insegnamento o ai grandi organi di pubblicazione. Attraverso l’apparato la società assimila ciò che le serve per riprodursi. Così, nel migliore dei casi, l’apparato lascerà passare una “ novità “, che porti al rinnovamento, ma non mai al cambiamento della società esistente, buona o cattiva che sia la forma di questa società.
I più evoluti non pensano nemmeno a cambiare l’apparato, perché sono convinti di avere a disposizione un apparato che serve ciò che essi liberamente inventano, un apparato, dunque, che si trasforma da sé con ogni loro nuovo pensiero».
@ Cortellessa
Mi procurerò lo speciale sull’editoria dell’inserto «alfalibri» di ottobre e,se mi parla, commenterò.
(Lei, nel frattempo, trovi il tempo di meditare su «Gruppo chiuso, gruppo aperto» di Fachinelli che insisto a suggerire a tutti; e, se le parla, ne dica qualcosa…). Veda, però, che le mie sono risposte quanto le sue. Quel tanto di indigesto o sgradevole che trova nelle mie (e io nelle sue) dipende dalla diversa e forse contrapposta rielaborazione del «contenzioso storico-filosofico». Scontriamoci lealmente su questo. E, per favore, non mi mtta alla porta (come hanno fatto di recente quelli di NI, è vero Massino?), dando ad intendere che per me non contano letteratura, poesia e arte e che ho «sbagliato luogo di discussione» . Il conflitto sia (è) in ogni luogo. E anche su LPLC fanno bene alcune voci “plebee” a interrompere ogni tanto quelle dei “patrizi” ( e viceversa, perché la verità non è ancora nella saccoccia di nessuno).
@Paolo Giovannetti
Caro Paolo, tu quoque…tra i “patrizi” (Grandi lettori) a buttar sassi contro i “plebei”!
Benvenuto, comunque. Non posso però inchinarmi né al tuo pragmatismo (non bieco ma sorretto, come credi, dai valori in senso relativo), né alla gerarchia dei valori di cui ti fai difensore.
Per vari motivi.
Non so se hai letto tutti gli interventi di questo post, ma i “plebei” che, oltre a me, vi si aggirano (Massino, lo stesso Linguaglossa, Bertoldo e altri…) hanno sollevato numerosi appunti sul’utilità della classifica di Pordenonelegge-Dedalus, sull’efficacia dei risultati raggiunti, sulla validità stessa delle procedure adottate. A me non paiono obiezioni infondate o dettate solo da invidia o risentimento. E potrebbero, mi auguro, portare ad un ripensamento dell’iniziativa.
Quanto a me, proprio perché ci conosciamo e di tanto in tanto collaboriamo in forme “militanti”, non capisco come fai a vedere nel tuo amico Abate, che ogni poco (criticamente!) si richiama alla lezione di Fortini e tenta di non perdere di vista Marx, il portavoce di un «relativismo blandamente nichilista» o accusarlo di «estremizzare». Sei sicuro di parlare della stessa persona?
Trovami un solo scritto o qualcosa, in cui io abbia dichiarato « la grandezza di certa letteratura di consumo in opposizione ai ‘pregiudizi’ della critica ufficiale» e che mi possa far accostare a questo D’Orrico, di cui ignoravo persino il nome.
Come non vedere, invece, il danno che viene ad una ricerca critica e poetica oggi balbettante dalla tua/vostra rigida volontà di stabilire in maniera “avanguardistica” una gerarchia di valori? Basandola poi – insisto su questo; ed era la domanda che ho posto anche a Cortellessa ed è stata trovata “senza senso da Mazzoni – su un criterio di «qualità» del tutto empirico e per nulla fondato su quella razionalità a cui tanto ti appelli, perché è affidato al gusto incontrollato di singoli, di quei cento o duecento “autonominatisi” Grandi Lettori.
Il danno per me sta nel fissare e stabilizzare troppo presto e in questi modi dubbi e appunto disinvoltamente “pragnatici” una “nostra” Serie A e Serie B tra gli “scriventi”, quando contro le Serie A e le Serie B eC irrazionali e gerarchizzanti del sistema di mercato, sarebbe non dico razionale ma necessario non “fotocopiarle”, ma organizzare qualcosa per rendere almeno le “nostre” gerarchie provvisorie, fluide e permettere scambi tra l’alto (universitario), il medio (“militante”) e il basso (“anarchicheggiante”) ; e viceversa.
E’ questo che io ho sempre sostenuto nelle mie riflessione sul «mare magnum» della produzione “poetica” di massa o i «moltinpoesia», su cui abbiamo avuto modo di confrontarci e che sembri aver dimenticato.
Avrei molto da obiettare sull’esempio serie A/ serie B che fai tra i nomi Abate/De Signorisbus e Zinato/Linguaglossa, ma al momento, per una tua riflessione e sperando di poterne parlare anche con altri, mi preme chiarire solo questo punto: io parto dalle gerarchie (meglio: dal sospetto verso le gerarchie) e miro ad una loro “fluidificazione”, come appare da questi due passi di un mio vecchio scritto del 2000 (Poesia moltitudine esodo), che, a parte il termine negriano su cui ho maturato crescenti riserve) non mi sembra affetto né da relativismo né da estremismo:
1. «Quanto all’estetica, è vero che il massimo di resistenza al bello della moltitudine si concentra proprio su questo livello; e non si tratta di resistenza semplicemente corporativa. Al momento penso che non si debbano negare differenze di qualità (fra i testi o fra le facoltà degli individui) empiricamente valide o rifiutarsi di stabilire delle gerarchie fra bello e brutto, riuscito e non riuscito. Ma di impedire che esse da provvisorie diventino permanenti e sempre più immemori della violenza che comunque fissano a livello simbolico (e quasi sempre a vantaggio dei pochi in nome dei molti). Potranno ‘eccellenza’ e ‘mediocrità’ avere un altro senso (includente e non escludente)?
Non si può comunque continuare a difendere in poesia una qualità neutra, una bellezza neutra, che continuano ad avere connotati elitari o sono estensioni “democratiche” di valori nati dai modi di vita delle élite oggi impraticabili. I modelli di questa bellezza neutra, continuamente riusati e quindi convalidati socialmente (attraverso la scuola e oggi sempre più i mass media), diventano indiscussi e automaticamente con la loro evidenza materiale impediscono di porre
il problema di una qualità e di una bellezza comuni, di tutti e per tutti.»
2. «Il pensiero elitario (liberale, razzista, classista o sessista) [vive di] gerarchie. Quest’ultimo,
contrapponendo irrimediabilmente fra di loro le differenze esistenti e usando a tal fine meccanismi di potere (anche linguistici), le rende “naturali”, le fissa e ostacola i processi che le sviluppano e contaminano in permanenza. Una moltitudine va pensata come cooperazione sempre mutevole di singoli. Essi si valorizzano per separazione e contrapposizione (non eliminiamo per carità i conflitti, ma è la guerra che li impedisce!) e non individualisticamente ma cooperativisticamente. Non credo neppure che una prospettiva moltitudinaria debba abbandonare l’ipotesi di una possibile unità delle differenze o di una base comune pur nelle differenze. E in poesia? Perché non pensare alla fecondità degli scambi, delle contaminazioni, delle dialettiche (non più a senso unico) fra riuscito e non riuscito, fra livelli qualitativamente alti, medi, bassi?».
Paolo Giovannetti afferma che tra un libro di poesia di Ennio Abate e uno di De Signoribus, a priori il suo “voto” va al secondo e che tra un libro di critica di Linguaglossa e uno di Emanuele Zinato il suo “voto” va al secondo…
1) Davvero, mi sorprende questo ragionamento… c’è, interiorizzata nella mente di Paolo Giovannetti, una gerarchia a priori delle “fonti” (diciamo così), per cui lui legge i libri già avendo in mente una gerarchia dei valori… beh, diciamo che la cosa si commenta da sola…
2) Sulla classifica di Pordenonelegge, non ho veramente nulla da dire perché (scusatemi la franchezza) ritengo che non conti proprio nulla: per fortuna il pubblico sceglie di comprare in libreria i libri che vuole… e per fortuna, direi, visto il discredito che i “critici” di professione si sono guadagnato. Per fortuna, direi, visto che il pubblico è fatto di persone intelligenti che ragionano con la propria testa (e certo non con quella dei critici di professione)…
3) riguardo a un signore, tal “prassi del complotto”, che rivolge epiteti insultanti al mio libro «La nuova poesia modernista italiana», che dire? non credo che l’abbia letto (o che gli interessi leggerlo) perché se lo avesse letto tenterebbe quanto mai un ragionamento intelligibile…
4) riguardo alla quarta accusa di far parte di un complotto de’ noantri insieme ad Abate e a Massimo, insieme ai quali concorderei il nostro piano di battaglia (non capisco per che cosa), la cosa, che dire? mi diverte…
Mi sa che in giro c’ènno persone che stanno poco bene, anche persone le quali pensano che gli scrittori debbano riuscire… Me ne dispiaccio per loro. Bernhard diceva che tutti siamo falliti, anche Shakespeare…
Linguaglossa è la prima volta che lo leggo proprio in questo post: voglio rimanere fuori dal feroce dibattito sulla poesia, ché d’altra parte tutta questa smania di scriver poesie in non la capisco; però mi sembra che Linguaglossa adoperi argomenti interessanti, non così facilmente liquidabili imitando il linguaggio di un altro importante professore, l’ex mini stro Brunetta.
Abate l’ho incontrato su Nazione Indiana, pochi mesi fa, a volte si va d’accordo, altre meno, parecchio meno, come risulta anche qui in LPLC.
Il problema è che alcuni di voi siete turbati, troppo turbati, dal fatto che ci sono persone che pensano in maniera diciamo così eterodossa.
@ Donnarumma
Se una volta tanto non le dispiacesse di smettere di giocare qui in LPLC (serie A) e venire a fare i suoi tiri su un campetto di serie B o C (questo lo lascio stabilire a Cortellessa o a Giovannetti), la inviterei sul blog Moltinpoesia. Non so se si divertirà come in LPLC. Ma ci terrei ad ascoltare le musiche di Mozart e le sue parole anche lì. Sempre per quella faccenda della fluidificazione del campionato.
Ci può raggiungere all’url: http://moltinpoesia.blogspot.com/2011/11/ennio-abate-glossa-linguaglossa.html#comments
Un caro saluto
@ Abate
Grazie dell’invito: la raggiungo appena posso. Guardi però che come calciatore sono una vera chiavica.
P.S. Il Kyrie eleison mi è venuto in mente per uno sguardo a tutto quanto il thread nel suo protrarsi. Persino il Papa ce l’ha con l’accanimento terapeutico.
E’ un po’ ridicolo parlare di serie A, serie B e serie C quando in effetti si e’ rane in uno stagno, come lo e’ il letterario di questi tempi, ma la letteratura (la poesia in particolar modo) e’ ancora una pratica sociale. Dunque, buona parte del giudizio che si tramandera’ ai posteri si sta formando nei contesti delle antologie, citazioni incrociate, buoni uffici, apparizioni nelle classifiche che mano mano si compilano. Che il consesso letterario riproduca buona parte dei vizi di altri parlamenti e’, ahinoi, tara storica che condizionera’ il recepimento di tutto cio’ che e’ stato prodotto negli ultimi 15 anni, di come e’ stato diffuso e di come e’ stato interpretato o portato avanti. Occorrerebbe anche qui un esproprio tecnocratico, se non fosse che lo spread dell’insignificanza, a guardare dal fondo dello stagno, appartiene sempre ad altri invece che a noi stessi. http://www.youtube.com/watch?v=w2M9aeMBV1w
segnalo un articolo interessante (con relativa discussione, vagamente cerebrale) su alcune questioni sollevate qui a proposito della classifica.
http://www.nazioneindiana.com/2011/11/15/fare-lobby/
@ fu Gius Co e Larry Massimo
Fu Gius Co scrive: «Dunque, buona parte del giudizio che si tramandera’ ai posteri si sta formando nei contesti delle antologie, citazioni incrociate, buoni uffici, apparizioni nelle classifiche che mano mano si compilano. Che il consesso letterario riproduca buona parte dei vizi di altri parlamenti e’, ahinoi, tara storica che condizionera’ il recepimento di tutto cio’ che e’ stato prodotto negli ultimi 15 anni, di come e’ stato diffuso e di come e’ stato interpretato o portato avanti. Occorrerebbe anche qui un esproprio tecnocratico, se non fosse che lo spread dell’insignificanza, a guardare dal fondo dello stagno».
Ineccepibile. Il Forum dei parlamentini tende a moltiplicarsi come una metastasi tumorale, in ciò riepilogando e ripetendo nel proprio DNA tutti i vizi e le fobie dei parlamentini che vogliono assurgere visibilità e alla stabilità della propria clonazione.
Dissento peraltro dalla sua affermazione, secondo cui ciò condizionerà il recepimento degli utimi 15 anni – ritengo invece che il tutto confluirà velocemente verso il nulla… ritengo altresì che la nostra epoca meriti l’oblio, con tutti i suoi presunti capolavori (eletti dai vari parlamentini) e le corti dei miracoli dei gagliardetti e dei militanti vestiti a festa (camicia nera, camicia verde, camicia rossa, camicia bianca etc.. fate voi) e dei cortigiani sempre pronti a bacchettare con il nuovo idioletto brunettiano trasposto nel sinistrese della pseudo sinistra (che si ritiene unta dal proprio Signore).
Non c’è alcun dubbio distinti Signori, lo spettacolo offerto dai Cento Elettori dei 100 libri è davvero uno spettacolo indecoroso. E che l’intellettualità dei Cento Elettori non si accorga del ridicolo di una classifica autoreferenziale, questo è un dato di fatto che la qualifica…
Dei primati in classifica credo che non interessi a nessuno se non a solleticare il narcisismo di ciascuno.
@ Linguaglossa
Con tutto il rispetto, qualche opera notevole io in 15 anni l’ho fortunatamente letta. Ritengo i libri di Antonio Moresco e di Milo De Angelis i catalizzatori in prosa e poesia del quindicennio appena trascorso. In valore assoluto, diranno gli studiosi del futuro.
Peraltro, avere piu’ gruppi di pressione a farsi la guerra anche in web, ognuno radicato su posizioni diverse, e’ il sale della democrazia anche letteraria, contro l’opacita’ del settore e tutti i vizi che anche lei denuncia. Io metto sullo stesso piano qualitativo il Dedalus ed il gruppo meno amalgamato che, a partire dalla poesia nella piccola editoria e poi sul web (Anterem + Bertoldo + Guglielmin + Linguaglossa + Marotta + numerosi altri) propone valori differenti. A volte succedono transizioni inattese: la poesia di Cristina Annino e’ l’ultimissimo caso che sta coagulando consenso trasversale fra i gruppi, in attesa di un eventuale sbocco nell’editoria maggiore. I libri di Luigi Di Ruscio e di Franco Arminio hanno anch’essi un discreto consenso trasversale.
Voglio dire: nonostante le magagne, qualcosa “emerge”. Quando noi, presi singolarmente, esprimiamo le nostre opinioni anche in siti come questo, facendo pesare i nostri orientamenti e le nostre intenzioni, siamo piccole pedine che comunque contribuiscono a formare cio’ che emerge dalla societa’ letteraria italiana ed e’ destinato a restare.
Dividerci in serie A, serie B e serie C in base alla qualita’ della propria occupazione (accademico di rango piuttosto che maestro di scuola elementare; editor alla Mondadori piuttosto che factotum della propria piccolissima casa editrice; autore pluritradotto piuttosto che autore che si autopubblica) e’ un retaggio di classe che il web inizialmente aveva superato, ma che e’ poi stato rimesso al centro del discorso dall’arrivo in web degli operatori cartacei espulsi da quel circuito.
@ Il Fu GiusCo
“un retaggio di classe che il web inizialmente aveva superato, ma che e’ poi stato rimesso al centro del discorso dall’arrivo in web degli operatori cartacei espulsi da quel circuito”.
Meglio dire che il Web ha temporaneamente mascherato. Veda che a “dividerci in serie A, serie B e serie C” anche in base alla “qualità [supposta superiore] della propria occupazione” sono in prevalenza proprio quelli che in serie A di fatto ci sono e fanno di tutto perché il Campionato sia appunto così suddiviso.
Le gerarchie ci sono e un sorrisetto o una pacca sulle spalle non le aboliscono.
Ed è forse anche giusto che ci siano, come continuamente ci ricorda Averroè.
Resta da vedere se quelle esistenti siano le migliori e insuperabili. Cosa sostenuta a spada tratta dagli “aristocratici” classificati in Serie A e contestata dai “plebei” che si ritrovano in serie B o C.
Se poi, fresco di morte, un Di Ruscio, classificato per quasi tutta la sua vita in C o in B, ottiene di salire in serie A grazie a Cortellessa che in serie A (o B… non so) più o meno ci sta, a me fa piacere. Ma una rondine non fa primavera. Di tanto in tanto una cooptazione dello scrittore “in ombra” è prevista, è nell’ordine delle cose. Basta che sia rispettato il silenzio sui meccanismi mai limpidi con cui procede il Campionato.
@ Abate
Lei si sbaglia sul web, che e’ uno strumento tendenzialmente virtuoso perche’ -nelle mani di chi vuole ed e’ capace- fa trasparenza invece di opacizzare. Uno dei motivi per cui i “serie A” non sono percepiti tali, e’ la qualita’ estetica -principio di tutti questi discorsi letterari- non di “serie A” loro riconosciuta. Il facente veci della poverta’ estetica e’ ancora troppo spesso un politicamente gridato “anti” (anticapitalismo, antiberlusconismo, antimercato).
@Il fu GiusCo
Tendenzialmente in una visione lineare e progressista della storia tutto può essere virtuoso. Il Web però non è “nelle mani di chi vuole ed è capace”. E non si sa se sta rendendo più trasparente le nostre menti o opacizzandole. Senza demonizzarlo, prendo sempre più in considerazione i suoi critici. Sulle sue ambivalenze consiglierei la lettura (una specie di doccia fredda per certe visioni entusiaste oggi in calo) di Carlo Formenti. Un assaggio del dibattito in corso lo trova qui:http://isintellettualistoria2.myblog.it/archive/2011/10/07/benedetto-vecchi-dialogo-tra-carlo-formenti-e-franco-bifo-be.html. Ne do un stralcio:
” Il primo, Franco Bifo Berardi, privilegia una prospettiva «antropologica»; il secondo, Carlo Formenti, è un filosofo di formazione. Entrambi però non nascondono che il loro dialogo punta a contribuire a una critica dell’economia politica della Rete. Il libro che hanno mandato alle stampe – L’Eclissi, Manni editore, pp. 96, euro 10 – suscita interesse e anche significativi dissensi, a partire, per esempio, dal diffuso pessimismo antropologico che scandisce il loro dialogo. L’aspetto tuttavia più interessante del volume è racchiuso nel sottotitolo – «Dialogo precario sulla crisi della civiltà capitalistica» – perché affronta direttamente molti dei nodi che la crisi globale ha messo in evidenza”.
Ovviamente si tratta di un punto di vista anticapitalistico arretrato e fuori moda. Ma farebbe bene a gettarci un’occhiata.
abate, la suddivisione in serie a, b e c che tu fai, con quanto ne consegue, non mi sembra avere molti riscontri nella realtà webbica, né in questo sito né in altri che ho visitato.
potresti darmi qualche esempio concreto di tale suddivisione? premetto che non prenderò per buone indicazioni generiche; gradirei posts, nomi e riferimenti precisi. in caso contrario, mi riterrò autorizzato a considerare i tuoi posts come affascinanti suggestioni e null’altro. sperando voglia soddisfare la mia richiesta, ti saluto=)
@ linguaglossa
… io ritengo altresì non che la nostra epoca – che come ogni epoca un giorno sarà pur un’epoca, almeno fino alla fine dei tempi – ma lei stesso meriti l’oblio. D’altronde mi pare che lo abbia già conseguito in vita, quindi le consiglio di non affannarsi. Sommamente grottesco è lo spettacolo di chi cerca consistenza nell’inveire contro tutto ciò che inconsapevolmente incarna. Non c’è storia, dottor Linguaglossa, se lei ci è, ci è proprio male. E qui chiudo le comunicazioni.
@noia teoretica (ex prassi del complotto)
Linguaglossa merita solo l’oblio? Il confino no? L’olio di ricino? La stella gialla? La deportazione? La fustigazione? La fucilazione? La camera a gas? Ragioniamoci. Non è che ci si deve limitare sempre dentro il perimetro della buona educazione. E che cazzo!
@ Marchese
Caro Marchese,
rileggi, per favore, più attentamente quanto ho replicato a Il Fu GiusCo (17 nov 2011, ore 17,39).
E prova tu a dimostrarmi gentilmente che non ci sono “molti riscontri nella realtà webbica, né in questo sito né in altri che ho visitato” della suddivisione in serie A,B,C.
Portami, cioè, le tue argomentazioni o prove che un egualitarismo (dell’intelletto?) è cosa fatta, non diciamo nell’intera società italiana o europea o mondiale, ma almeno in alcuni luoghi come le università o il Web o in LPLC.
Poi ti prometto che replicherò al tuo intervento in misura adeguata all’impegno che impiegherai in questo scambio di opinioni che desidero TENDENZIALMENTE paritario. Al momento non lo sento tale. Sarò esagerato, ma mi sembri un giudice che intima « posts, nomi e riferimenti precisi» a un imputato. E la voglia di rispondere non mi viene.
abate, salti un passaggio. io non ho mai affermato che un egualitarismo (dell’intelletto?) è cosa fatta nell’intera società culturale. semplicemente perché io NON HO un’opinione formata come ce l’hai tu; per il fatto che io non ho prove sufficienti per dimostrare una cosa simile.
poiché tu invece lo affermi a più riprese con una certa sicurezza, ne deduco che ci siano prove concrete da cui parti. nomi, posts, passaggi ripetuti: quello che, in sostanza, aspetto da te per avere più chiara la questione, ed eventualmente per convincermi che quanto asserisci ha elementi di verità.
dunque, non prendere la richiesta di spiegarti come un atto inquisitorio: è una domanda seria, perché non trovo, al momento, la tua posizione convincente. hai l’occasione di farmi capire quello che vuoi dire: non ti viene già più voglia di rispondermi?=)
@ Marchese
Salti tu un passaggio. Nella replica a Il Fu GiusCo (17 nov 2011, ore 17,39) ho indicato un libro, L’Eclissi, Manni editore; e ho fornito anche un assaggio del suo contenuto. Se davvero vuoi prove concrete, chiarirti, formarti un’opinione, basta leggerlo. Ne sanno più di me. Perciò l’ho consigliato. Se poi ci tieni ad avere anche le mie considerazioni, ti prometto che, dopo che tu l’avrai letto e mi dirai cosa ne pensi. ti risponderò. E siccome non so se altri sono interessati alla questione quanto te, autorizzo la redazione di LPLC a darti il mio recapito elettronico per approfondire ulteriormente la questione.
sì, in realtà ci tenevo ad avere una tua opinione, più che ad avere un quadro complessivo. sennò avrei cliccato il link prima di intervenire e sarei stato in silenzio.
ti ringrazio molto della segnalazione, proverò a cercare il libro, ma mi interessa la spiegazione di “patrizi e plebei”, “serie a e serie b” nella circostanza virtuale; credendo che sia una questione che può interessare a molti, magari, una spiegazione pubblica. tanto non si deve mica insultare nessuno, non c’è niente da nascondere=)
@ Marchese
Allora provo a risponderti subito, sempre in attesa però di riparlarne in futuro. La suddivisione in Serie A, B, C o in “patrizi e plebei” è ovviamente metaforica e polemica. A me è venuta in mente dopo alcuni episodi di censura ed esclusione in cui sono incappato sul Web (ma la cosa è capitata anche ad altri). In sostanza ci siamo visti respingere da parte di alcune redazioni di blog degli articoli (senza spiegazioni o con spiegazioni insufficienti). O siamo stati trattati da troll, da disturbatori, per aver sostenuto opinioni dissonanti da quelle dei redattori del sito o degli autori dei post. Mi è capitato qui su LPLC. E, se ne hai seguito il suo percorso dalla nascita ad oggi, trovi facilmente la “documentazione” nei precedenti post; o, in questo stesso, stabilirai facilmente chi ha fatto la figura del “plebeo” e chi dell’”aristocratico”. Il peggio, e in forma politicamente davvero sgradevole, mi è capitato, nel settembre scorso e a proposito della questione della guerra in Libia, sul sito di Nazione Indiana (Cfr.http://www.nazioneindiana.com/2011/09/08/le-parole-e-le-cose-2/#comments). Da allora – me ne sono accorto in due recenti occasioni – sono stato messo al bando. L’ultima: dopo la tua segnalazione (16 novembre 2011 alle 11:00) ho lasciato sul post di NI da te indicato un breve commento solo per segnalare la discussione in corso in questo post di LPLC e mi è stato subito cancellato.
Ora, al di là del caso o dei casi personali, più numerosi di quanto si creda, secondo me non ci si può illudere su una maggiore democraticità del Web. Anche qui, come del resto prima della sua apparizione in qualsiasi aggregazione (partito, associazione, gruppo) organizzato attorno a un qualsiasi progetto (culturale, politico, religioso, economico) la doppia spinta inclusione/esclusione è drammaticamente e a volte tragicamente presente. Ed è per questo che ho più volte chiesto di discutere questo articolo-anticaglia del ‘68 di Elvio Fachinelli «Gruppo chiuso gruppo aperto?» (http://moltinpoesia.blogspot.com/2011/11/ennio-abate-riflessione-di-un.html) che metteva ben a fuoco quelle dinamiche che gli “aristocratici” di turno preferiscono gestire in segreto ( o in segreteria) senza che si faccia troppo clamore e che i “plebei” mirano quantomeno a mettere in luce. Tieni conto che il meccanismo inclusione/escusione in una società complessa è complesso: quelli che qui su LPLC hanno giocato (ripeto metaforicamente) il ruolo di “aristocratici”, in altri ambiti (universitari, editoriali, politici, ecc.) sono costretti, pur essi, a darsi da fare come “plebei”.
Speriamo che se ne ricordino… e abbassino la cresta.
ti ringrazio molto della spiegazione=)
@ Massino
Lei ha ragione, a pretendere una tara di sangue: è cosa così rara tra noi decadenti occidentali, di questi giorni, che quando ci viene voglia di tortura dobbiamo andare a sfogarci all’estero, o tutt’al più sbrigarcela in famiglia. Ma io sono un giovine smidollato, e ricuso la violenza – solo perché la vista del sangue m’impressiona, ovvio. Invece questi vecchi combattenti, eh!, che arzilli, tra una trincea e l’altra, tra il cadavere spezzato di un Compagno e una carica di tritolo messa sotto il culo del Potere, di Ogni Potere, hanno un sacco di tempo da dedicare anche a noi surfisti della rete. Loro sì che sono al fronte, armati di kalashnikov e modem adsl, a combattere “la guerra quella vera”, a prepararci la rivoluzione per cena. A nome di tutti noi luridi consumatori, grazie.
… quando, durante la guerra giudaica, gli ultimi ribelli giudei si ritirarono nella fortezza di Masada per tentare un’ultima disperata resistenza, i romani si trovarono di fronte ad un problema insolubile: come fare per superare le mura della fortezza? Allora, il generale Vespasiano (il futuro imperatore) fece costruire una piattaforma mobile alta 83 metri e larga 210 metri.
Quando i romani avvicinarono la mega costruzione alle mura, i ribelli, vistisi finiti, presero la decisione di suicidarsi tutti per non cadere vivi nelle mani del nemico.
Così, i romani entrarono nella fortezza di Masada senza perdere un soldato, ma trovarono soltanto cadaveri ammassati gli uni sugli altri.
Così è la situazione attuale della poesia, vale lapena di entrare nella cittadella turrita della Poesia? Vale la pena stringere un assedio? E anche se un ipotetico vincitore vincesse, che cosa troverebbe al suo interno? Citroverebbe soltanto cataste di morti.
Ritengo, quindi, inutile porre l’assedio alla cittadella turrita della Poesia perché il suo interno è una scatola vuota: non c’è nulla, solo silenzio, il silenzio del guardasigilli Caronte che traghetta le anime dei morti sull’altra sponda del fiume. In verità, sono tutti morti. Sono morti senza saperlo.
Cari amici, dobbiamo prendere atto che siamo diventati tutti EPIGONICI, l’epigonismo è la nostra condizione esistenziale, ontologica direi. Ecco perché è oggi impossibile una nuova avanguardia (e già il termine si è caricato di filisteismo e di doroteismo di sinistra dei rampolli della borghesia pariolina, quella stessa che vuole decretarmi l’«oblio»… adepti ed incauti inquisitori del giardino dei finzi contini).
Oggi, l’interminabile filiera di epigonismo esige una lunga, anzi, lunghissima attesa nelle sale d’aspetto della cittadella turrita della Poesia… un lungo, anzi, lunghissimo digiuno di idee e di azione del pensiero… un esercizio diuturno di ascetismo epigonico…
…un giorno, circa di un anno, fa un giovane poeta romano (Faraòn Meteosès) mi chiese se, a mio avviso, fosse possibile ripristinare una nuova avanguardia oggi. Risposi che, a mio avviso, era possibile proclamare una nuova avanguardia. Doveva essere un gruppetto di “arditi” i quali avrebbero dovuto diffondere all’Ansa e a tutti i mezzi di comunicazione che il giorno X alle ore 18,30 sotto l’Arco di trionfo di Costantino in Roma si sarebbe riunita l’avanguardia letteraria Z che avrebbe proclamato la propria nascita, e che alle ore 18,35 tutti i membri del Gruppo si sarebbero suicidati in pubblico, davanti ai turisti distratti e agli oziosi pedoni romani, in mezzo ai centurioni fasulli in cerca di turisti e ai fotografi abusivi…
Questa, dissi, è l’avanguardia che mi auguro possa sortire fuori dal tombino della nostra epoca mediatica. A mio avviso, aggiunsi, l’avanguardia non può resistere più di cinque minuti perché verrà scavalcata dai potentissimi motori e rotori della civiltà mediatica e dalla velocità dei suoi mezzi di locomozione-informazione.
E allora, che cosa ci resta da fare? mi chiese Faraòn Meteosès…
gli risposi che una vera avanguardia deve disporre liberamente la propria morte, deve programmarla ed attuarla in piena libertà, sotraendosi alla (falsa) libertà coscrittiva della comunicazione social-mediatica. Un atto eroico, dunque, perfettametne inutile, perfettamente superfluo, perfettamente in-sensato.
E il Gruppo 93? mi chiese il poeta.
Beh, quella è un’altra cosa, si tratta di una faccenda di ufficiali giudiziari, di ufficiali dell’aviazione teorica e di pubblicitari della poesia… – risposi.