di Francesco Pecoraro
[Questo racconto fa parte di Urania 451, l’ultimo numero di «Nuovi Argomenti» dedicato alla fantascienza e curato da Carlo Mazza Galanti].
Davide aveva fatto un contratto di 12 ore, per quella casa.
Il segnale acustico era risuonato una prima volta 75 minuti prima della scadenza, mentre era ancora seduto sul cesso che la sera prima aveva accuratamente disinfettato.
Occorreva uscire entro le sei e mezza, per non pagare penali.
Si infilò i sandali anti-infezione usa e getta che portava con sé e entrò nella doccia: le commessure dell’involucro erano nere di sporco: si ricordò che il suo sapone antisettico stava finendo e così pure la provvista di lenzuola e mutande e maglie. Doveva acquistarne di nuove.
Si asciugò sotto il getto d’aria calda, si vestì con una tuta aderente, si sedette nell’angolo cucina e mangiò qualcosa dalle dotazioni standard della casa, scegliendole tra quelle comprese nel prezzo: un cornetto caldo con un caffè bollente dal distributore automatico. Roba discreta. Anche la cena della sera prima non era stata male.
Fissava la finestra oltre la quale si stendeva la Città Indiscussa, dov’era nato e dove viveva in solitudine da chissà quanti anni. Oltre la plastica trasparente, sporca e rigata, osservava sovrappensiero le grandi strutture tridimensionali di cui era in gran parte costituito il tessuto urbano. Portavano, anche a grande altezza, grappoli di capsule mono-abitabili, i tubi degli impianti lasciati in vista e verniciati a colori accesi, com’era anche per le capsule. Se eri così fortunato da possederne una, pagando una somma congrua potevi farla spostare da un luogo all’altro della Città Indiscussa, della Metroregione e perfino della Nazione Identitaria, con l’unico vincolo della compatibilità degli impianti.
Doveva ricordarsi di quel posto: il riscaldamento funzionava, il cesso non era poi troppo sporco, l’acqua non puzzava in modo eccessivo di disinfettante e le razioni erano quasi mangiabili. Ah, cosa importante: la lampada da letto non era, come di norma, rotta.
Era una costruzione non recente, una delle prime di quel tipo. Al posto di un vecchio isolato risalente alla seconda metà del Ventesimo Secolo, era stata realizzata quella struttura di cellule di acciaio inox e plastica, stampate e impilate una sopra all’altra per almeno trenta piani. Questa era una singola larga due metri e mezzo e lunga quattro, con la finestra in fondo. I modelli successivi di solito facevano a meno della finestra, una cosa a cui non si era mai abituato. Preferiva spendere qualche euro in più, ma avere un po’ di luce naturale.
Prese il cellulare e digitò i suoi codici pre-impostati: richiesta di lavoro con competenze acquisite e curriculum aggiornato automaticamente ora per ora, richiesta di contratto di 12 ore fascia bassa per un alloggio singolo con cena e prima colazione, contratto sanitario e sicurezza giornaliero, rinnovo assicurazione con versamento automatico di premio per quel giorno, eccetera. Poi appoggiò il cellulare sul tavolo e proiettò le schermate di risposta sulla parete. Le esaminò sorseggiando un secondo caffè a pagamento. Offrivano le solite cose in centinaia di migliaia di posti diversi.
Impostò la ricerca con un criterio semplice: le aziende per le quali aveva già lavorato e con le quali si era trovato bene: paga buona e poche rotture di coglioni. Quel giorno non gli andava di fare esperimenti.
Da tempo il suo curriculum non faceva più menzione del Ph.D in Fisica delle particelle che aveva preso anni prima, quando la sua famiglia d’origine era ancora in grado di fornirgli risorse per studiare. Doveva non mostrarsi super-qualificato: per manovrare un muletto non serve sapere di meccanica quantistica e di solito una ditta evitava di dare lavoro manuale ai super-qualificati. A chi come lui non ce l’aveva proprio fatta a trovare un’occupazione nel proprio campo disciplinare, conveniva cancellare dal curriculum tutto l’excursus universitario. Meglio farsi riassorbire nella massa dei lavoratori di fascia bassa, i roboti, che essere riconosciuti nella categoria dei cervelli falliti. Un cervello fallito era considerato non affidabile, perché frustrato in partenza, oltre che non motivato e patetico, nella convinzione di essere sotto utilizzato, nell’aspirazione a qualcosa di più elevato e consono alla sua intelligenza e preparazione. Cancellare la menzione dei suoi studi universitari dai data-base centralizzati non era stato semplice, ma pagando l’hacker giusto alla fine c’era riuscito: ora era un Roboto Semplice (RS) con omologazione internazionale e i suoi problemi di super-qualificazione erano finiti da un pezzo.
Un bel po’ di schermate segnalarono i posti di movimentatore giornaliero di magazzino ancora liberi presso aziende che conosceva: offrivano paghe più o meno dello stesso importo, con piccole variazioni. Aveva imparato a evitare le offerte troppo basse rispetto alla media giornaliera e quelle troppo alte, perché dietro c’era di sicuro qualcosa di anomalo: di solito in cambio di una paga bassa si offriva qualche giorno di stabilità, persino una settimana, mentre una paga alta in genere te la davano per tenere ritmi insostenibili. Per le prossime 24 ore voleva qualcosa di semplice, possibilmente di già fatto. La schermata aggiornava domande, offerte e importi istante per istante: le domande tendevano a salire e i posti liberi a diminuire. Occorreva molta attenzione. Si poteva anche restare senza lavoro per quel giorno. Se mancavi una giornata di lavoro il buco veniva registrato automaticamente sul curriculum, facendoti slittare di status. L’assunzione giornaliera successiva sarebbe stata leggermente più difficile. Meno si lavorava e meno si aveva probabilità di farlo. Istintivamente cliccò sulla società di servizi Vaporsky & Luciernagas S.r.l., che era sul mercato da qualche settimana: cercavano roboti capaci di manovrare a distanza i servo-muletti di un magazzino gigantesco, largo ottocento metri e lungo un chilometro e mezzo, di generi vari destinati alla vendita on line.
Gli arrivò un ok quasi istantaneo: per quel giorno era fatta: aveva un lavoro. Seguì più o meno la stessa procedura per il contratto giornaliero di un alloggio nella stessa zona della città, la C3, dove si trovava il magazzino: la fascia di importo e tutte le altre caratteristiche erano già pre-impostate. Scelse una casa abbastanza prossima alla C3, dove secondo il suo data base personale era già stato e non si era trovato male. I contratti giornalieri ordinari, indispensabili per arrivare fino a sera, li affidò al computer: carta di connessione, tassa di esistenza in vita, tassa di occupazione dinamica dello spazio urbano, certificato di assenza di patologie infettive, carta di accettazione del sistema (senza la quale si poteva essere arrestati per sovversione), eccetera: senza il pagamento di tutti i contributi prescritti non avrebbe ottenuto il passi urbano all’uscita. Ma soprattutto rinnovò la carta di sottomissione ai Garantiti, senza la quale non si lavorava da nessuna parte.
Ogni giorno c’era qualche novità, qualche nuova clausola da sottoscrivere: ogni giorno i Garantiti riformulavano il contratto sociale a seconda delle loro esigenze e a loro piacimento: più che di contratto si poteva parlare di ricatto: o così o niente. E niente voleva dire fuori dal sistema a campare di stenti.
Il computer di Davide era impostato sull’accettazione automatica.
Rimise negli appositi scomparti dello zaino le poche cose che ne aveva estratto la sera prima – effetti personali, abiti da casa ultra-leggeri, un kindle con 100.000 volumi pre-caricati – e se lo mise sulle spalle: era un modello rigido che si adattava automaticamente alla forma del corpo, come il carapace di una tartaruga. Indossò la cintura con appesi vari piccoli attrezzi di prima necessità e il marsupio col suo equipaggiamento standard e, assicurato con una catena antistrappo, il suo life-computer cellulare, dal quale dipendeva in modo assoluto la sua vita e la possibilità di prolungarla fino al giorno successivo, suo unico vero traguardo di quel momento.
Uscì che mancavano pochi minuti alla scadenza d’uso di quella capsula, cioè prima che scattasse l’obbligo di penale, percorse il grigliato metallico del lungo ballatoio, attese a lungo l’ascensore pieno di gente, e, giunto ai grandi atri del piano zero, introdusse il suo codice personale nel dispenser, che gli rilasciò il passi urbano giornaliero da appendere al collo.
Così bardato e con tutti i ponti tagliati alle spalle, Davide si avviò verso le scale mobili della metropolitana per raggiungere il suo posto di lavoro. Per quel giorno naturalmente. Da quel momento era un cittadino fluttuante come milioni di altri esseri umani, senza casa né un posto dove rifugiarsi sino al tardo pomeriggio, con un lavoro solo per quel giorno, contrattato la mattina stessa, che alla sera avrebbero perso. La stessa cosa si poteva dire per la sua assicurazione sanitaria e per la copertura anti-aggressione: tutti i costi dei servizi appena acquistati erano calcolati al centesimo dal suo computer cellulare che provvedeva ai trasferimenti di valuta dal suo conto a quelli delle società assicuratrici. La Vaporsky nel frattempo aveva già versato, come d’uso, un acconto del trenta per cento sul salario giornaliero. Con quella somma il suo life computer cellulare aveva pagato tutte le tasse e i contributi e gli aveva già fornito il preventivo della giornata: al momento Davide era libero da incombenze economiche: aveva un margine minimo, ma nessun debito fino a sera. Bene. Così si vive, si disse. Troppe persone che conosceva si erano rovinate per aver permesso ai debiti di accumularsi oltre le 24 ore, fino a più di due o tre giorni: non erano più riuscite a recuperare e adesso si trovavano nei guai.
La città fatta di contenitori di capsule multicolori allineati lungo i vecchi tracciati otto-novecenteschi era ordinata e pulitissima, salvo qualche graffito qui e là con qualche slogan di dissenso individuale. Il dissenso individuale era tollerato. Quello collettivo era impensabile: nella massa dei Non-Garantiti (NG) di cui faceva parte Davide, non si percepiva alcuna corrente aggregativa tra individui con gli stessi problemi. «Ognuno per sé e si accetti con serenità la giusta sottomissione al più meritevole», era l’imperativo interiorizzato da tutti. E anche: «Ogni giorno è una nuova opportunità». Oppure: «Non esiste una cosa chiamata società: esistono solo individui» era lo slogan coniato nel Ventesimo Secolo da Margaret Thatcher, filosofa che si insegnava nelle scuole.
Anche le regole del costruirsi della città erano ridotte al minimo: esisteva solo l’obbligo di allineamento stradale, tutto il resto veniva lasciato alla contesa giuridica tra privati. Non esisteva alcun limite di altezza, non c’era nessun’altra norma. E tuttavia schiere di roboti NG tenevano la città in perfetta efficienza e pulizia per conto delle società private che possedevano le strade e gli edifici: per ogni tratto di marciapiede percorso c’era un pedaggio da pagare: se ne occupava il life-computer, che dialogava direttamente coi sensori in strada. Ogni tot metri percorsi equivalevano a tot centesimi. Anche quell’esborso andava messo nel quadro economico della giornata. Gli unici spazi pubblici erano ormai solo nel sottosuolo.
Una volta scesi nelle vecchie gallerie novecentesche della metro, occorreva farsi largo tra la folla dei Residenti Sotterranei (RS), gli abusivi che cominciavano a destarsi a quell’ora e già erano in cerca di qualcosa con cui fare colazione. Arrivò alla sua postazione: tramite il computer cellulare trasferì il dovuto al dispositivo dell’RS che gli aveva tenuto per tutta la notte il posto di salita in vettura, altrimenti non sarebbe mai riuscito a prendere il treno in tempo: davanti a lui c’erano solo una cinquantina di roboti, che equivalevano più o meno a 4 treni: aveva un buon margine.
– Hai trovato un buon posto per oggi? gli chiese l’RS, secondo la formula di cortesia in uso.
– Ottimo grazie. A te un buon ricovero e minestra calda, rispose Davide.
– Altrettanto, disse l’RS.
– Aspettami ancora qualche minuto, torno subito.
– Non più di cinque minuti, rispose l’RS, mentre lui si allontanava.
Si avviò verso uno spaccio della Catena Metro. Il distributore automatico aveva una gamma vasta di set-vita giornalieri e settimanali, ultraleggeri, studiati appositamente per essere infilati nello zaino e trasportati sulle spalle.
Comprò un Set Nike-Roboto per 5 Giorni, da due chili e 850 grammi.
Conteneva:
10 sacchi federa-lenzuolo ultraleggeri, solubili;
5 pezzi di biancheria intima di ricambio;
5 maglie-camicia modello lupetto multicolori;
5 paia di calze intonate alle maglie-camicia;
5 accappatoi modello super-dry leggero;
Il set conteneva anche una Tessera Web valida per lo stesso periodo, una tessera trasporti urbani, una tessera Starbuck per 10 caffè e varie altre cose più o meno utili, come una confezione di pillole anticoncezionali giornaliere, carta igienica e salviettine detergenti, un set di automedicazione, uno spray di deodorante, dentifricio e spazzolino elettrico usa e getta, eccetera.
Il fatto di avere più o meno il necessario per tutto quel tempo gli dava una sensazione di sollievo: per quasi tutta la settimana a venire era più o meno a posto.
Comprare il set completo era conveniente e il set ti sollevava dal dover continuamente fare una lista del necessario. Era più comodo adattare le proprie abitudini ad un set-vita, che acquistare di volta in volta, ogni singola cosa. Peccato non avessero ancora inventato la birra liofilizzata. D’altra parte la vita era quella, cioè era tutta lì, simboleggiata e ricompresa nel Set 5 Giorni Nike.
Ritornò verso l’RS che gli lasciò il suo posto nella fila, mentre la folla dei roboti cresceva di volume e dinamismo. Ciascuno col suo bravo zaino sulle spalle, sembravano tante tartarughe multicolori. C’era un gran viavai da e per i bagni diurni, dove potevi lavarti e fare i tuoi bisogni pagando un tot al minuto. Per molti la sosta al bagno diurno era l’unico momento di solitudine e intimità di tutta la giornata. Alle pareti degli ambienti metro, persino nelle gallerie più larghe, lungo le banchine di servizio, erano addossate e sovrapposte file ininterrotte di ricoveri individuali, molti dei quali del tipo prefabbricato gonfiabile in vendita negli spacci, assieme ai set-vita, ai dispositivi di autodifesa, alle confezioni di razioni complete, giornaliere o settimanali, e a quanto altro poteva servire. Dal momento che riuscì a salire sulla metro, gli ci volle circa mezz’ora per raggiungere la stazione più vicina al magazzino in questione. Una volta in strada c’erano da fare una decina di minuti a piedi. Controllò sul computer cellulare che il contratto giornaliero di sicurezza, in base al quale poteva chiedere on line immediata protezione poliziesca, fosse effettivamente attivo e si avviò.
[Immagine: ArtistMEF, Science Fiction City (gm)].
che noia. forse non ci arrivo io, qualcuno mi spieghi perché l’hanno pubblicato su NA (ho troppa stima di Mazza Galanti).
Tristessa per un futuro sempre più vicino.
Questo racconto mi ha fatto riflettere su una delle dottrine più accreditate in tema di economia del lavoro, ovvero quella della flessibilità dei fattori produttivi (capitale, terra, lavoro), flessibilità necessaria per massimizzare la produzione specialmente in un contesto globale e tecnologico.
Certo fa specie (e solo gli economisti “nudi e puri” sembrano non porsi il problema) osservare come dei tre fattori produttivi uno di questi, il lavoro, sia composto non da macchine o appezzamenti di terreno ma da esseri umani. La flessibilità richiesta sempre più da questo “capitale umano”, in termini temporali, geografici, esistenziali, è ben colta da questo racconto che la estremizza forse anche più del necessario, ma trattandosi di un racconto distopico ci può anche stare.
Mi è piaciuto specialmente notare come i soggetti coinvolti (i roboti) non si pongano più di tanto il problema, o quanto meno non lo diano a vedere. E’ una cosa alla quale ho pensato spesso: la crescente contrazione dei diritti e degli spazi di vita dei lavoratori riduce anche la possibilità di opporsi, induce ad una silente accettazione del “meno peggio”, meglio poco che niente, ecc..