cropped-54ad5ec87790a_large.jpgdi Mauro Piras

Si sente già il suono che cresce, il brontolio in lontananza, che diventerà sempre più vicino, forte, ossessivo. Già conosciamo queste voci. L’Islam invade l’Europa. La civiltà europea è rammollita dalla ricerca del benessere, si fa sopraffare da chi crede veramente nei propri valori. La democrazia è minacciata. L’Occidente è minacciato. La democrazia è minacciata, ergo l’Occidente è minacciato. L’Islam è incompatibile con la democrazia. Il fanatismo è dentro l’Islam. E così via.

Conosciamo queste voci. Ci hanno frastornato per anni dopo l’undici settembre. Ci hanno fatto perdere la lucidità, e hanno fornito il collante ideologico che ha sostenuto una guerra insensata, che ha solo aggravato e moltiplicato i problemi. Hanno giustificato l’uscita dallo stato di diritto (leggi speciali sulla sicurezza, tortura ecc.). Alimentano quotidianamente la destra (Le Pen, Salvini) che scarica sull’odio per il nemico esterno le inadempienze del sistema sociale. Sono coltivate amorevolmente da intellettuali di sinistra che o vogliono mostrarsi apocalittici (un intellettuale non apocalittico annoia, e non vende) o vogliono cullarsi nel senso della decadenza, guardando il mondo dal loro Grand Hotel Abisso. E così tutto sembra coerente.

Del resto lo hanno fatto capire bene anche “loro”. Hanno attaccato un giornale, satirico, proprio perché faceva satira. Quindi hanno voluto attaccare la democrazia: la libertà di espressione, la libertà religiosa, la tolleranza, la critica. La serie di altri attentati simili, benché meno gravi, dei mesi passati lo conferma: una scuola, un parlamento, un centro culturale. Obbiettivi diversi rispetto a quelli dei grandi attentati di Al Qaeda degli anni duemila. Lì, in primo luogo, è stato colpito un simbolo del capitalismo globale, del dominio globale sul mondo esercitato dal capitalismo delle multinazionali, dagli Stati Uniti. E poi, nelle stazioni, è stata colpita la vita ordinaria del benessere occidentale. Qui, invece, si colpiscono istituzioni democratiche, in modo esplicito. Quindi la guerra contro la nostra civiltà è la guerra contro la democrazia. Bisogna essere accecati dal buonismo per non rendersi conto che l’Islam si sta scagliando contro i “nostri” valori. Che è una guerra tra noi e loro.

Descritta così, questa guerra è già stata vinta da loro. Così come era già vinta dai nazisti la guerra contro gli ebrei quando gli ebrei erano costretti a rinchiudersi unicamente nella loro identità ebraica, sotto l’attacco feroce del fanatismo nazista, che li perseguitava in quanto ebrei, togliendo loro la libertà di essere altro, cittadini liberi, agnostici, scettici, nichilisti, indifferenti, edonisti, o qualsiasi altra cosa. Se io adesso, per difendere la democrazia, devo essere schiacciato sulla mia “identità” occidentale, sui miei “valori” occidentali, perdo la libertà di essere altro. E quindi “loro”, in questa arcaica e grottesca logica amico-nemico, hanno già vinto la guerra: la loro interpretazione diventa anche la mia. Io perdo la libertà di mantenere separati gli ambiti, la lucidità di ragionare con cautela e distinguere. La civiltà europea è minacciata, quindi bando alle esitazioni dell’intelligenza e affrontiamo con coraggio il nemico, armiamoci e difendiamo i “nostri” valori.

Propongo invece una moratoria, una specie di disinfestazione del pensiero. Dovremmo bandire dal vocabolario politico e sociale alcune parole: “Occidente”, “occidentale”; “valori”; “noi”; “loro”. E poi vedere che cosa si può dire di quello che accade con le parole che restano.

Si può dire questo. Alcuni fanatici islamisti hanno massacrato delle persone inermi e pacifiche, solo perché queste hanno criticato la loro religione. Questi fanatici probabilmente vogliono mostrare anche che la libertà e la democrazia sono un male, e vogliono distruggerle. (Avevano probabilmente in mente una intuizione di questo genere: «la libertà di coscienza è il più diabolico dei dogmi, perché significa che ciascuno deve essere lasciato libero di andare all’inferno secondo la propria inclinazione». Una cosa detta qui in un linguaggio un po’ vecchio, perché risale a qualche secolo fa, ed è stato detto da un… ahi, come non dire qui “occidentale”? Mah, diciamo che era europeo, che era francese, cristiano, calvinista: Théodore de Bèze, 1554. Ma insomma, non importa da dove viene questa idea, è un’idea che ha avuto un suo successo, in molte forme.) Quindi, dicevamo, il nemico, a quanto pare, è una società in cui si è liberi di pensarla come si vuole, in cui tutto è dissacrabile, in cui un gruppetto di disegnatori e giornalisti brillanti può mettere alla berlina Maometto, insieme a tutto il resto (il Papa, il Presidente ecc.). Una società quindi in cui non c’è autorità consacrata per definizione superiore agli individui in carne e ossa. In cui possono convivere persone con sensibilità morali molto diverse, coscienze religiose e caustici spiriti liberi, e riescono a stare a fianco perché, è vero, hanno un po’ “buttato giù” le loro credenze, hanno accettato l’idea che si può vivere anche se esistono al mondo persone che quelle credenze le esecrano. E accettano di incrociarle, queste persone diverse, di conviverci, di farci persino delle cose insieme. Quindi una società in cui è possibile vivere anche se il totem della propria identità non viene continuamente alimentato da sacrifici umani. Forse, in questa pratica terra terra di bricolage morale, di accomodamenti e compromessi, di vite buone inventate alla meno peggio, anche provando le vie più contraddittorie, di ricerca del benessere quotidiano, di paura di essere troppo duri e troppo autoritari, dal momento che non si sa bene perché lo si dovrebbe fare, a che fine, con quale vantaggio, beh, forse in questa società traluce un sentimento di pietà per l’inettitudine umana, per la sua inadeguatezza, per il suo bisogno di essere rispettata nell’instabilità del desiderio e della sofferenza. E quindi questa pietà senza enfasi coltiva l’illusione di un mondo più vivibile, meno spigoloso, in cui non ci si debba scontrare furiosamente per affermare i grandi… ah, qui bisognerebbe mettere “valori”, ma non si può, quindi metto “obbiettivi”, più neutro. Ma perché un obbiettivo dovrebbe comportare il sacrificio della vita di una persona?

Messo così, mi piace questo mondo. È il mondo dell’aldiquà, ma senza chiedere a tutti di diventare atei. Chiediamo semplicemente a tutti di non massacrarci gli uni con gli altri. Ed è anche il mondo dell’equilibrio macchinoso, instabile, difettoso, della democrazia liberale. Di questa congiunzione difficile tra due parole, democrazia e liberalismo, che hanno chiesto il sacrificio di cinquanta milioni di morti (almeno) per essere unite. La democrazia è dimessa, è poco appetibile, è grigia, e poi è anche sempre inadempiente. Le abbiamo capite queste cose, tutti i raffinati critici della democrazia ce lo hanno ricordato in tutti i modi. E la libertà individuale è atomizzante, favorisce il capitalismo e la ricerca sfrenata del benessere ecc., abbiamo capito anche tutte queste belle cose. Però quando ti confronti con i veri nemici di questo mondo (quello che ho cercato di descrivere), e cioè con i veri nemici della democrazia, cioè della vita vivibile nell’immanenza, nell’aldiquà in attesa di sapere come finirà di là, ti rendi conto che queste critiche o sono chiacchiere o sono fiancheggiatrici. E qui capisco che linguaggio possiamo parlare, finalmente. Se ci sono dei nemici da combattere, con i mezzi che la ragione (accesa dalla pietà per la vita, sì, ma sempre ragione, lucida e analitica) ci consiglia, sono i nemici della democrazia. Cioè i nemici di una società in cui l’istanza ultima sono gli esseri umani dati, in carne e ossa, e non qualche idea generale che si spaccia per qualcos’altro con nomi altisonanti. Questi nemici non sono necessariamente islamici, né necessariamente religiosi. L’intelligenza si vergogna di se stessa, dopo le esperienze storiche del Novecento, a dover ancora ricordare questo.

Belle parole, mi si dirà, ma se ti attaccano devi rispondere. D’accordo. “Porgi l’altra guancia” è un principio morale molto discutibile. Soprattutto, non è un principio di giustizia. Mentre è in nome di una idea di giustizia che vogliamo difendere una società democratica e liberale. Però bisogna rispondere sfuggendo alla logica amico-nemico, e alla contrapposizione noi-loro (parole, appunto, che non avrei dovuto pronunciare). Se il nemico è chi vuole distruggere la democrazia con la violenza e con l’imposizione di un ordine etico coatto, le risposte, anche con l’uso della forza, sono dettate dalla democrazia stessa: ciò che deve essere combattuto, nelle pratiche, e dove occorre anche con la legge, con l’uso della forza pubblica (all’interno degli stati), e con l’uso della forza militare (all’esterno, nel diritto internazionale), non è la religione, non è l’Islam, ma è ogni condotta che violi il principio dell’eguale rispetto di individui liberi, intesi concretamente, come persone in carne e ossa. Se i cittadini delle democrazie liberali, quelle più vecchie, ma anche quelle più giovani che si stanno formando con grandi tensioni in parti del mondo esterne al cosiddetto “Occidente”, prendono coscienza che questa è la posta in gioco, allora cade la retorica della “debolezza etica” della democrazia. Questo è il mondo etico che difendiamo: la vita delle persone concrete, la convivenza confusa di vite diverse, e anche la ricerca del benessere, di queste persone concrete. Se ci crediamo, non ne facciamo una crociata. E non dividiamo di nuovo il mondo secondo “culture”, “religioni” e “civiltà” (altra parola da bandire), non cadiamo nella logica del nostro nemico, non ci facciamo imporre da lui un’identità. Ma guardiamo il mondo nella sua particolarità.

 (Torino, 8 gennaio 2015)

[Immagine: Misure di sicurezza sotto la Torre Eiffel (Foto Reuters)]

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59 thoughts on “La democrazia non è l’Occidente

  1. Molto bene Mauro, applausi. Aggiungerei delle considerazioni non secondarie sulla questione sociale che c’è dietro certe scelte che si presentano come politico-religiose – l’enorme disagio dei giovani delle “banlieues” provenienti dall’immigrazione, di seconda e terza generazione, che si riappropriano di un’identità culturale passando dal rap all’islamismo. È la questione postcoloniale, che inevitabilmente induce a reintrodurre quel concetto di Occidente (da cui, da un altro punto di vista, dobbiamo sbarazzarci) ripensando criticamente a ciò che è stato – o è ancora? – il colonialismo occidentale.

  2. Siamo d’accordo: occorre combattere la violenza adeguatamente e proporzionalmente. Combattere la violenza per quella che è e non perché è islamica. Togliamo le barriere religiose e mettiamo a nudo la concretezza dell’azione violenta: Chi uccide non è che un assassino e non un islamico. Ma c’è sempre un “ma”. Chissà perché queste azioni contro la democrazia provengono da una formazione mussulmana? NOn è che nel mussulmanesimo c’è la catechesi che insegna che tutto ciò che è occidentale e quindi la libertà di pensiero, di creazione, di critica, di libertà di rispettare le sacre feste o meno, la libertà di essere liberi ed esprimere se stessi come meglio ci aggrada assumendosi le proprie responsabilità? Io ho il sospetto che questa catechesi esista, ma non perché abbia studiato il corano, ma perché vedo come si comportano i mussulmani in Italia: sgozzano le figlie se si fidanzano o vestono “all’occidentale”; mandano le mogli velate rubando loro l’identità di essere donna, la libertà di essere anche civettuole; i tentativi di far togliere il crocefisso dalle scuole; i pecoroni di insegnanti italiani che no fanno il presepio nelle scuole per non offendere i mussulmani ecc… ecc… Abbiamo già dimenticato queste cose? E la recente notizia dell’uccisione di 2000 africani da parte delle truppe islamiche di Boko Haram in Africa, uccisioni fatte in nome di Allah, le abbiamo dimenticate o sono un effetto collaterale dialettico? Quindi smettiamola di fare gli intellettuale davanti a lalascnikov che sparano in nome di Allah e della augurata morte della libertà da parte, guarda caso dei soli mussulmani. Non mi risultano che i Cinesi lo facciano in nome del Tao o di Buddha; gli indiani in nome di Vishna ecc. Sono solo i Mussulmani e l’Islam che stanno creando questi problemi al mondo intero. Si dice che sono gli integralisti, ma da parte dei moderati non mi risultano che nei confronti di Boko Haram e di Al Bagdhadi dell’ISIS siano state emesse delle Fatwa. La Fatwa, guarda caso è stata enmessa nei confronti di Samam Rashdi, ma non nei confronti di chi compie stragi. E’ comodo dire che quello non è ISLAM , allora diomostralo emettendo coerentemente con la dottrina mussulmana nei confronti di chi bestemmia la Fatwa. Allora i moderati saranno credibili. E poi che significa “moderato” ? Uno che non è ancora arrabbiato a sufficienza? Costoro, gli isamisti, e parlo di quelli che vivono in occidente, fino a che non scendono in piazza come noi abbiamo fatto nei confronti dei terroristi comunisti e fascisti, per me, non meritano la totale fiducia. Continuino pure a fare la loro vita, ma chi deve controllare deve controllare fino in fondo.

  3. Antonio, dovresti includere nelle tue fonti qualcosa che non sia Il Foglio o La Padania.
    Ti sfuggono alcuni fatti:
    – il terrorismo degli integralisti finora ha ucciso molti più musulmani che occidentali;
    – i musulmani in Italia hanno organizzato diverse manifestazioni di piazza contro l’Isis;
    – sono state emesse diverse Fatwa contro le azioni violente, contro il reclutamento di terroristi, etc.
    Di solito questi fatti emergono nei talk show di seconda serata in quei trenta secondi in cui fanno parlare le associazioni culturali musulmane, e si perdono nel mare di retorica dei vari leghisti e degli integralisti cattolici di turno che sproloquiano per il resto della trasmissione (del resto l’audience vive di polemica), quindi se non ne sei a conoscenza sei in parte scusato.

  4. Vorrei ringraziare @ Mauro Piras per questo intervento. Vorrei solo aggiungere una cosa. Proporrei di usare “Europa” come termine, perché aiuta a chiarire i problemi che abbiamo di fronte e a pensare a soluzioni possibili. D’altra parte, i terroristi e le loro vittime sono europei e il problema che abbiamo di fronte è Europeo – le analogie con 9/11 con aiutano.

    Le società democratiche europee non soffrono di una malattia morale o culturale, come continuano a dire i politici e i commentatori della destra autoritaria e chi gli fa eco a sinistra. Su questo bisogna che si faccia di più per chiarire, descrivere e immaginare il progetto morale e il frastagliato paesaggio etico delle società democratiche.

    Il malessere vero in Europa è generato dalla crescente disuguaglianza e ingiustizia sociali, come osserva @ Rino Genovese. Le società democratiche e liberali si tengono insieme solo se le persone appartenenti a ogni gruppo sociale percepiscono di vivere in una società giusta che garantisce uguali diritti ed opportunità. E anche su questo malessere economico bisognerebbe smetterla di fare eco alla destra autoritaria.

  5. Bell’articolo, Mauro. In effetti, bisognerebbe comprendere che il concetto di “identità come essenza immutabile di un sistema di valori” ha un senso solo se detto da una persona che autodescrive il proprio “puro” sistema religioso o culturale all’interno di esso, mentre uno storico o un sociologo non può che notare che tutte le religioni e i sistemi di valori portati dalle varie comunità di persone hanno più volte modificato aspetti di essi che prima erano ritenuti indiscutibili. Penso non solo a cose come il fatto che la Chiesa Cattolica ancora negli anni ’50 vietava la libertà religiosa e ammetteva al massimo la tolleranza quando i non cattolici erano troppo numerosi o potenti (ad esempio il concordato in Spagna fino agli anni ’60 negava ogni culto e propaganda non cattolico) ma anche a certe affermazioni razziste ed antisemite di Voltaire, allo schiavismo dei padri fondatori americani, o il colonialismo britannico. E si pensi che in Svizzera il voto alle donne è stato ammesso solo nel 1971… Insomma, non si capisce proprio quale sia questa “identità immutabile” dell’ “Occidente”…

    Io peraltro penso che molti danni siano stati fatti anche a causa di certe visioni della storia e delle materie umanistiche in generale anche come vengono insegnate a scuola, dove di fatto non viene mostrata la storia dell’uomo secondo una prospettiva mondiale (anche se è bene naturalmente che non enciclopedistica in un multiculturalismo appiattente che dà uguale spazio agli “europei” e a ciascuna delle centinaia di tribù dell’Oceania) ma invece viene data una storia identitaria dove vengono messi al “centro” i presunti “antenati culturali” con relative “radici” (classiche, cristiane, illuministe) di “noi” della “civiltà occidentale” e dunque “noi” a Salamina eravamo i Greci in quanto portatori della democrazia (in realtà in Grecia non votavano donne e tantomeno gli schiavi, e non avevano grandi opinioni degli stranieri ma ovviamente non importa) e “noi” a Lepanto eravamo i cristiani (in realtà la flotta europea era di soli cattolici, di un Europa infiammata da guerre di religione a differenza del più tollerante impero ottomano). Insomma, basterebbe dare un’occhiata alla storia dell’Andalusia o alla più vicina Sicilia per smetterla di retroproiettare “identità pure” millenarie che solo di recente si sarebbero scontrate con danni per i presunti “valori superiori nostri”.

    Una domanda: secondo te il principio dell’ “eguale rispetto di individui liberi”, oltre a dover essere difesi nelle comunità che li accettano, possono essere anche “imposti” a comunità che non li hanno ancora accolti ? Quando nell’articolo dici che è bene combattere “con l’uso della forza militare (all’esterno, nel diritto internazionale)” le violazioni di questi principio intendi solo quando uno stato compie queste violazioni verso uno stato democratico o anche verso uno stato solo perché che non è democratico al suo interno?

  6. La cosa mi fa piacere. SE si sono avute reazioni di questo tipo non ne ero a conoscenza. Aggiungo solo una cosa: la risoluzione del problema paranoico dell’ integralismo in ambito Islam l’hanno i mussulmani moderati. A noi solo il compito di prevenire gli attentati e le stragi.

  7. Senz’altro non dobbiamo pensare ‘noi’ stessi come un indifferenziato ‘Occidente. Ne’ compiere l’errore di identificare il radicalismo fondamentalista con l’Islam. Non abbiamo ragioni per credere che il fondamentalismo sia maggioritario nel mondo musulmano. Ma non abbiamo neppure ragioni per pensare che l’Islam moderato e riformatore sia maggioritario. Semplicemente esiste un Islam quotidiano che non è né l’uno né l’altro. In questi anni stiamo però assistendo al fatto che l’impostazione fondamentalista ha più forza d’attrazione e di contagio, e lotta per divenire egemonica. C’è un altro fatto di cui dobbiamo prendere atto: a tutt’oggi anche l’Islam moderato è, quanto a concezioni della libertà di parola e religiosa, molto più restrittivo rispetto ai principi incarnati dagli stati democratici. In definitiva, considerando le sue diverse componenti radicali, moderate e quotidiane, l’Islam pare essere una galassia religiosa ad oggi ancora poco secolarizzata. L’esperienza europea ci insegna peraltro che il processo di secolarizzazione non è né veloce né lineare – non è questione di un pugno d’anni o decenni – ed ha avuto una sua tappa decisiva nelle guerre di religione, che hanno avuto sempre anche la forma di guerre civili. Anche se oggi molti mettono in dubbio il processo stesso della secolarizzazione, e vedono anche nella cosiddetta società ‘occidentale’ un’inversione del suo senso, sembra plausibile pensare che invece l’Islam stia attraversando qualcosa di analogo, e che la commistione tra guerra civile e guerra religiosa che già ha investito il medio oriente si stia estendendo all’Europa.
    Se stiamo assistendo a un processo di secolarizzazione, allora non possiamo ragionevolmente aspettarci che in capo a qualche decennio si concluda. In altri termini, se sono corrette le previsioni demografiche che vedono la popolazione di origine musulmana avviarsi a diventare maggioritaria in Europa verso la metà del secolo, dobbiamo aspettarci che l’effetto di questa crescita sia anche una tendenziale compressione degli spazi di libertà sulla scena pubblica. Certamente i principi democratici ci impongono di impiegare le nostre energie anzitutto in direzione del dialogo, di politiche pubbliche e educative volte a favorire l’evoluzione moderata e secolarizzata del mondo musulmano. E tuttavia dobbiamo anche essere consapevoli che queste politiche illuministiche comportano processi educativi lenti, che devono incidere non solo sulle credenze ma anche e soprattutto sulle abitudini quotidiane, processi che si svolgono nell’arco di secoli. Questo ci pone anche di fronte ad una responsabilità politica forte, perché le decisioni collettive da prendere per fronteggiare la situazione che si va creando non possono essere commisurate unicamente sul lungo periodo, ma devono tenere conto della contingenza attuale, del rischio di una guerra civile Europea, e delle previsioni ragionevoli sullo scenario dei prossimi decenni e sugli effetti dell’evoluzione demografica e dei processi migratori. La politica classica ci insegna che il demos democratico va tenuto distinto dall’etnos, ma che determinate modificazioni quantitative nella composizione dell’etnos possono determinare alterazioni qualitative nelle politiche del demos. La domanda allora è semplice: fino a che punto lo stesso impegno per una forma di vita democratica che includa libertà di parola libertà religiosa, e incardinata sul principio del dialogo, ci impegna anche ad intervenire politicamente sulla modificazione quantitativa dell’etnos, in particolare quando è ragionevole attendersi che questo possa avere effetti di breve periodo che mettono a rischio quei principi?

  8. Caro Piras,
    a forza di bandire parole pericolose si ritroverà il vocabolario vuoto. Sul piano politico, questa strage è un contraccolpo dello sciagurato utilizzo della carta etnico-religiosa da parte dei governi occidentalisti (pure il nostro), contro i governi di Assad e Gheddafi: i salafiti europei che colà massacrano allegramente tornano in patria [sic] e si tengono in allenamento.
    Ma pretendere che sia possibile integrare sul serio in una nazione europea milioni di stranieri appartenenti a una cultura così diversa è un autoinganno. Diceva de Gaulle (scusi la citazione dinosaurica) che chi crede all’integrazione di interi popoli ha “un cerveau de colibri”.
    Su un altro piano, è la stessa pretesa (auto)ingannevole di costruire gli Stati Uniti d’Europa senza badare al fatto elementare che un popolo europeo non esiste (anche se almeno, la civiltà europea esiste, o meglio esisteva). E concludo con un’altra citazione dinosaurica: “on ne fait pas l’omelette avec les oeufs durs”.

  9. Sono due giorni che non riesco a staccare il cervello e rimugino su queste questioni. Mi fa molto piacere che tu Mauro abbia scritto questo pezzo, che mi e ci aiuta molto. Hai ragione, non ci sono altre soluzioni: la democrazia e le sue libertà garantiscono la vita concreta e diversa di molti uomini, concreti e diversi. La democrazia è una forma di umiltà. E’ molto bello, è molto vero.

  10. E quindi, mi scusi, in virtù di questo riconoscimento del singolo, cosa propone? Bombardamenti ad personam?

  11. Tento di riassumere con parole mie il contenuto dell’articolo, scritto come sempre con ammirevole efficacia da Piras.

    “A me piace tantissimo il sistema di democrazia liberale in cui vivo.”

    Ecco, mi pare che questo riassuma il tutto, e che l’attentato di Parigi sparisca dalla scena, tranne per un aspetto, che il fatto che dei feroci omicidi colpiscano proprio un simbolo di questo sistema politico, lì dove si esprime appieno la libertà di stampa, viene assunto come una conferma della bontà del sistema così attaccato.

    Un po’ pochino direi, soprattutto per giustificare l’entusiastica accoglienza da parte di alcuni dei commentatori.
    Ed in ogni caso, siamo al punto di partenza, come Piras e tantissimi altri hanno tutto il diritto di sentirsi così a loro agio in questo mondo, lo sono anche i concittadini di Piras che invece o sono catastrofisti, o sono troppo critici, o pensano ad una società differente. Piras si spinge fino al punto di definirli fiancheggiatori, ma fiancheggiatori di chi? Piras non lo dice, ma proprio per questa omissione, non può che intendere che siano fiancheggiatori degli assassini di Parigi: complimenti, Piras, proprio un bell’esercizio di democrazia!

  12. Non e’ certo la prima volta che mi trovo d’accordo con le tue analisi, Mauro. La violenza e’ sempre figlia dell’ignoranza, di cui ogni religione rivelata e’ responsabile, rendendo eterodiretti i suoi adepti. Anche questa violenza, come ogni altra, va combattuta con i mezzi dello stato di diritto. Il nostro occidente non e’ infatti ne’ solo Voltaire, ne’ solo colonialismo. E’ -anche purtroppo il fanatismo cattolico dell’inquisizione mai del tutto sopito, nonostante gli imbellettamenti di superficie alla papa francesco. Solo un paio di decenni or sono, a Parigi venne distrutto un cinema dove si proiettava il film di Godard “Je vous salue Marie“. Ricordate?

  13. Caro Rino,
    grazie. Condivido la tua aggiunta sulle seconde e terze generazioni di algerini in Francia.

    Cara Marina,
    grazie :)

    Caro Antonio,
    faccio mia la risposta alle sue osservazioni scritta da David.
    Aggiungo solo che se si pensa che l’Islam in quanto tale, a causa delle azioni terroristiche, sia fonte di fanatismo e violenza, questo si poteva dire benissimo anche del Cristianesimo all’epoca dei roghi degli eretici.
    Comunque è vero, come dice lei, che la soluzione del problema del fondamentalismo devono trovarla prima di tutto i musulmani, dentro la loro cultura. Ma questo vuol dire che noi, come interlocutori, dobbiamo lasciare aperta questa porta, non trattarli tutti come dei fanatici.

    Caro Imbriano,
    merci.

    Caro David,
    grazie per questa replica e per le informazioni.

    Caro Baldini,
    grazie a lei. Condivido la sua seconda e terza osservazione.
    Sulla prima: ovviamente, la mia proposta di evitare certi termini è solo provocatoria. Quello che vorrei indicare è questo: certi termini vengono usati come delle entità sacre che dobbiamo difendere. Anche “Europa” rischia di diventarlo, se si intende “la nostra civiltà europea, ecc.”. Io penso che dobbiamo difendere dei principi di condotta morale, delle norme della convivenza politica e sociale, delle istituzioni, perché tutte queste cose permettono una vita più tollerabile. Non penso che questo, per quanto nato (in parte) in Europa, in Occidente, sia un patrimonio solo degli occidentali o degli europei. Penso che sia qualcosa di cui ci si può appropriare in molti modi, da molti luoghi, e per questo va quanto più sganciato da una forte identità culturale “occidentale”, “europea”. Anche perché queste non sono omogenee. Quando ci si sposta su un piano culturale generale, “Europa” vuol dire una cosa diversa per un materialista o per un cattolico. Se però “Europa” diventa il patrimonio da difendere dagli attacchi dei barbari, quei due si uniranno nella crociata.

    Caro Michele,
    grazie. Non condivido però la critica che muovi all’educazione scolastica su questo terreno. Ormai sia i docenti che i manuali, su queste cose, hanno un atteggiamento molto riflessivo e critico verso la cosiddetta “civiltà europea”, quindi la scuola non trasmette così tanto questa visione così coerente e identitaria.
    Sulla tua domanda: ho trattato questo punto in modo molto veloce e superficiale. La questione è molto complicata. Quello che voglio dire è che nella politica internazionale seguire i principi della democrazia vuol dire che l’uso della forza può essere giustificato a condizioni solo molto limitate, fondate sul principio della indipendenza degli stati e del rispetto dei diritti umani fondamentali. Questi due principi non sono facili da conciliare. Ma uno solo di loro non basta, perché renderebbe le cose molto arbitrarie. Di più non aggiungo perché sarebbe troppo lungo.

    Rispondo agli altri commenti domani.
    mp

  14. Scrive Piras:

    “Ma perché un obbiettivo dovrebbe comportare il sacrificio della vita di una persona?”

    Di solito perchè la detta persona si mette di traverso.

    Per esempio, se una “persona concreta”, nel suo “bricolage morale”, fatto “di accomodamenti e compromessi,”, alla ricerca di una “vitA buonA inventatA alla meno peggio, anche provando le vie più contraddittorie” e nel legittimo perseguimento del suo “benessere quotidiano”, resta incinta e il bambino non collima con i suoi “obiettivi”, che fa?
    Be’: “sacrifica la vita di una persona”.

  15. Non pretendo di avere argomenti miei in pro o in contro di questo articolo. Mi limito a rinviare a quello di Ostellino sul “Corriere della sera” di ieri. Vi si dice esattamente il contrario. E io, nel mio piccolo, sto con Ostellino.

  16. (Interrompo temporaneamente le risposte ordinate ai commenti, per anticipare una risposta a un commento che mi ha sollecitato particolarmente)

    Caro Ravera,
    grazie per l’indicazione. Ho letto l’articolo di Ostellino, riporto qui il link per chi è interessato a leggerlo:

    http://www.corriere.it/editoriali/15_gennaio_10/buonismo-che-ci-acceca-5b07abd8-9890-11e4-8d78-4120bf431cb5.shtml

    È un articolo mediocre. Molto. È solo uno sfogo contro l’Islam, totalmente dettato dalla logica “amico-nemico”, “noi-loro”. “Noi siamo diversi”, cioè siamo nel giusto; e loro sono fanatici per definizione, perché non hanno fatto le cose che abbiamo fatto noi, cioè guerre di religione, separazione tra religione e politica, illuminismo ecc., e quindi non sono nel giusto. Gli islamici moderati sono complici perché sono semplicemente il “brodo di coltura” del fanatismo.
    Non c’è un argomento, nell’articolo di Ostellino, ma solo una serie di affermazioni apodittiche. Tuttavia, voglio fare finta che queste tesi siano state argomentate, e rispondere con degli argomenti.
    Come prima cosa, accetto due premesse di tutti quelli che ragionano secondo questo schema; sono due premesse che ritengo sbagliate, ma le accetto “for the sake of the argument”, per mostrare quanto questo modo di ragionare sia inconsistente.
    Le due premesse sono: 1) la democrazia è l’occidente, cioè la democrazia si identifica con la civiltà occidentale; 2) quindi, l’attacco alla democrazia lanciato dagli islamisti come attacco all’occidente ci impone una risposta come difesa della nostra identità occidentale.
    Se accettiamo queste premesse, cerchiamo però di capire che cosa è la democrazia con cui l’occidente si identifica. Diciamo, per semplificare, alcuni valori: libertà individuali, eguaglianza delle persone, critica e libertà di espressione, tolleranza. Poche parole chiave per riassumere qualcosa di molto più ricco, lo sappiamo, ma insomma questi sono valori fondamentali. Questi valori escludono comportamenti ascrittivi, cioè discriminatori nei confronti di individui solo sulla base della loro appartenenza a un gruppo. Comportamenti come questi: le donne sono inferiori agli uomini in quanto donne; i neri devono servire i bianchi in quanto neri; i musulmani sono intolleranti in quanto musulmani. Un comportamento ascrittivo non solo viola la libertà degli individui e la loro eguaglianza, perché non tiene conto delle loro singole scelte e dei loro singoli comportamenti, ma li definisce solo sulla base dell’appartenenza al gruppo; e perché li discrimina rispetto a chi non appartiene al gruppo. Ma viola il principio della libera critica, perché questo si basa su distinzioni, e non su giudizi sommari (detti anche “pregiudizi”, quelli contro cui lotta l’illuminismo occidentale). E, ovviamente, viola il principio di tolleranza. La tolleranza infatti parte proprio dal presupposto che non posso condannare una persona solo perché appartiene a una cultura o a un gruppo che io non condivido. Qui invece viene rifiutato il gruppo in toto, e i singoli che ne fanno parte vengono condannati con un processo sommario.
    Quindi, dire che i musulmani in quanto tali sono intolleranti è antidemocratico. A questo punto, delle due l’una: o l’occidente non è la democrazia, o la democrazia non è l’occidente.
    Nel primo caso, la lotta per difendere l’identità occidentale diventa una lotta per difendere noi contro loro, e non conta più che venga condotta anche con ragionamenti (e conseguentemente con mezzi) antidemocratici come quello descritto sopra. Questo è naturale, perché ogni lotta per difendere una identità in quanto tale non ha niente a che fare con una lotta per difendere la democrazia, dal momento che l’identità diventa il bene superiore cui sacrificare anche la democrazia.
    Nel secondo caso, la lotta per difendere la democrazia non ha bisogno di diventare una lotta per affermare la propria identità, non si è costretti a ragionamenti e comportamenti antidemocratici, e si distingueranno i fanatici dai moderati, sulla base della realtà, non di un giudizio ascrittivo, aprioristico e frutto del puro pregiudizio secondo cui l’Islam è fanatico per definizione.
    Queste due conseguenze sono le uniche conclusioni possibili del ragionamento. Io preferisco la seconda.

  17. A Mauro: sono contento che a quanto ne sai a scuola si sia da qualche tempo abbandonato nella didattica questa concezione identitaria della storia, io mi basavo in effetti più che altro su certe difese da parte dei professori della presenza nelle scuole superiori di ogni tipo di insegnamenti di lingue e letterature greche e latine e di letteratura italiana difesi come “mantenimenti di un patrimonio che fonda la *nostra* comunità” (ad esempio il linguista Serianni in varie sue interviste enfatizzava spesso questa funzione della letteratura). Patrimonio che però sembra non includere ad esempio poeti arabi presenti nel medioevo nella “nostra” Sicilia per quasi tre secoli.

    Al di là di questioni specifiche di didattica, io riterrei che si dovrebbe dare un valore pubblico a certe espressioni culturali non in quanto “traccianti un confine tra noi e gli altri” ma in quanto fanno conoscere valori e saperi utili a tutti i cittadini, anche a chi non si riconosce in certe “identità” dominanti nella comunità di cittadini. Insomma, una cosa è valorizzare Dante e Michelangelo per i loro valori artistici condivisibili anche da musulmani, atei o buddhisti, un altra cosa è l’obbligo dall’alto di preparare un presepe nelle scuole, al massimo lo permetterei se fosse proposto dal basso da alcuni bambini ma senza che ogni altro bambino sia obbligato a partecipare, insomma io sarei contrario a certi eccessi come impedire a studenti di indossare a scuola veli islamici, crocifissi al collo o cose simili. Mi interessava sapere tu come la pensavi sulla questione di far mostrare simboli del proprio culto in pubblico e compiere attività legate in qualche modo ad essi.

  18. Caro Piras, sono d’accordo con lei. Mi rendo conto che quanto ho scritto è formulato male e si presta ad equivoci. Ci mancherebbe altro che pensassi all’Europa in termini etnici o che la identificassi con la democrazia o con la civiltà.

    Con il riferimento all’Europa volevo solo sottolineare l’aspetto locale di quanto sta accadendo, che risulta da una serie di problemi tutti europei (qui seguivo un po’ l’analisi fatta dall’antropologo Scott Atran in un’intervista alla BBC).

    Se capisco bene ciò che suggerisce Piras nel suo articolo, sono d’accordo. A preoccuparmi non sono l’Occidente o la civiltà, ma è il pericolo di derive etniche all’interno dei paesi europei. Per me è importante leggere questo attentato nel contesto di derive etniche alimentate da fantasie identitarie e fantasmi persecutori. Per la dinamica, il modo di operare e alcune delle motivazioni, questo attentato mi ricorda molto quello compiuto dal fondamentalista cristiano Anders Breivik ad Utøya nel 2011. Utøya e Parigi sono due segnali gravi per un’Europa che rischia di disgregarsi sotto la pressione del fallimento delle politiche economiche e del riemergere di movimenti e partiti politici con tendenze populiste, autoritarie ed etniche.

  19. «Se il nemico è chi vuole distruggere la democrazia con la violenza e con l’imposizione di un ordine etico coatto, le risposte, anche con l’uso della forza, sono dettate dalla democrazia stessa». Mi perdonerà l’estensore dell’articolo per la parzialità della estrapolazione ma ciò che queste righe suggeriscono è esattamente la democazia come ‘valore’ da salvaguardare contro chi non ne riconosce lo statuto. Ovvero, una volta di più, una antinomia schmittiana ‘amico/nemico’ che è, per chi ancora non se ne fosse persuaso, insopprimibile quando in gioco non ci sono opinioni personali ma interi dispostivi giuridico/politici. Il diritto vuole, pretende, impone che le parti siano nette. Siano appunto ‘controparti’. Nel mondo ideale di cui scrive l’estensore persino un terrorista deve avere il suo posto in quanto latore di un ‘suo’ punto di vista da garantire. Ma ciò non è attuabile come dimostrano i fatti (e già Wittgenstein diceva che il “mondo è l’insieme dei fatti”) di Parigi e le righe sopra riportate.

  20. Errore, chiedo scusa: non mi ero accorto di aver già ricevuto una risposta e ho rispedito il mio commento. Ora ho letto la risposta, ho riletto l’articolo e ho pensato che, insieme, potrebbero comparire sotto un unico titolo: “ISTRUZIONI PER UN SUICIDIO”. Il suicidio di Spinoza, di Voltaire, di Rousseau, di Kant, di tutto l’Illuminismo… Guardi, caro Piras: dopo averLa letta questa volta, non mi resta che chiederLe di cancellarmi dalla Sua mailing list: grazie.

  21. SEGNALAZIONE

    Io non mi dissocio
    Karim Metref

    Karim Metref, educatore e blogger che vive a Torino, ha scritto una lettera di risposta a questo articolo (http://www.internazionale.it/opinione/igiaba-scego/2015/01/07/non-in-mio-nome) di Igiaba Scego.
    http://www.internazionale.it/opinione/karim-metref-2/2015/01/09/io-non-mi-dissocio

    Cara Igiaba,
    in questi giorni saremo messi sotto torchio e le prossime campagne elettorali saranno fatte sulla nostra schiena. Gli xenofobi di tutta Europa vanno in brodo di giuggiole per la gioia e anche gli establishment europei che non hanno risposte da dare per la crisi saranno contenti di resuscitare il vecchio spauracchio per far rientrare le pecore spaventate nel recinto.
    Da ogni parte ci viene chiesto di dissociarci, di scrivere che noi stiamo con Charlie, di condannare, di provare che siamo bravi immigrati, ben integrati, degni di vivere su questa terra di pace e di libertà.
    Ebbene, anche se ovviamente condanno questo atto come condanno ogni violenza, non mi dissocio da niente. Non sono integrato e non chiedo scusa a nessuno. Io non ho ucciso nessuno e non c’entro niente con questa gente. Altrettanto non possono dire quelli che domani dichiareranno guerra a qualcuno in nome di questo crimine.
    Tu dici: “Oggi mi hanno dichiarato guerra. Decimando militarmente la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo mi hanno dichiarato guerra. Hanno usato il nome di dio e del profeta per giustificare l’ingiustificabile. Da afroeuropea e da musulmana io non ci sto”.
    Io con questa gente sono in guerra da trent’anni. Li affrontavo con i pugni all’epoca dell’università e con le parole e con le azioni da allora e fino a oggi. Sono trent’anni che li combatto e sono trent’anni che il sistema della Nato e i suoi alleati li sostengono regolarmente ogni dieci anni per fomentare una guerra di qua o di là.
    Anche io sono afroeuropeo, sono originario di un paese a maggioranza musulmana ma non mi considero un musulmano: non sono praticante, non sono credente. Ma anche io non ci sto. Non ci sto con questi folli, non ci sto quando lo fanno a Parigi ma non ci sto nemmeno quando lo fanno a Tripoli, Malula o a Qaraqush.
    Non sto con loro e non sto con chi li arma un giorno e poi li bombarda il giorno dopo. Non ci sto in questa storia nel suo insieme e non solo quando colpisce il cuore di questa Europa costruita su “valori di convivenza e pace”. Perché dico che questa Europa deve essere costruita su valori di pace e convivenza anche altrove, non solo internamente (ammesso che internamente lo sia).
    Tu dici che questo non è islam. Io dico che anche questo è islam. L’islam è di tutti. Buoni o cattivi che siano. E come succede con ogni religione ognuno ne fa un po’ quello che vuole. La adatta alle proprie convinzioni, paure, speranze e interessi. Nelle prossime ore, i comunicati di moschee e centri islamici arriveranno in massa, non ti preoccupare. Tutti (o quasi) giustamente si dissoceranno da questo atto criminale. Qualche altro Abu Omar sparirà dalla circolazione per non creare imbarazzo a nessuno. La Lega e altri avvoltoi si ciberanno di questa storia per mesi, forse per anni. E noi ci faremo di nuovo piccoli piccoli, in attesa della fine della tempesta. Come stiamo facendo dopo questi attentati (forse) commessi da quella stessa rete che la Nato aveva creato per combattere una sua sporca guerra.
    Loro creano mostri e poi, quando gli si rivoltano contro, noi dobbiamo chiedere scusa, dissociarci e farci piccoli. A me questo giochino non interessa più. Non chiedo scusa a nessuno e non mi dissocio da niente. Io devo pretendere delle scuse. Io devo chiedere a questi signori di dissociarsi, definitivamente, non ad alternanza, da questa gente: amici in Afghanistan e poi nemici, amici in Algeria e poi nemici, amici in Libia e poi… non ancora nemici lì ma nemici nel vicino Mali, amici in Siria poi ora metà amici e metà nemici… Io non ho più pazienza per questi macabri giochini. Mando allo stesso inferno sia questi mostri sia gli stregoni della Nato e dei paesi del Golfo che li hanno creati e li tengono in vita da decenni. Mando tutti all’inferno e vado a farmi una passeggiata in questa notte invernale che sa di primavera… Speriamo non araba.

    • Karim Metref è un educatore e blogger che vive a Torino.

  22. Caro Ravera,
    non capisco in che senso un tentativo di argomentare (nella mia replica al suo commento; ammetto che invece il testo del mio intervento è più “emotivo”) le possa sembrare un suicidio della ragione.
    La ringrazio comunque e provvedo a esaudire la sua richiesta.
    Cordialmente,
    mp

  23. grazie. fra tutte le posizioni che ho visto in giro, quella di Metref mi sembra finora la più giusta. Dire che la sottoscrivo forse sarebbe un’appropriazione indebita, perché concretamente non appartengo al “noi” che Metref tratteggia – un “noi-e-loro” vagamente più critico delle dicotomie di Ostellino, e che pure persiste, e su questa persistenza si tende il problema in tutta la sua spinosità.
    Ma la sua posizione mi sembra la meno forzata, la più schietta perché rispettosa delle verità storiche, meno prona a una narrazione compiacente (e di narrazioni compiacenti ai “valori dell’Occidente”, che tornano nel lessico giornalistico come la gramigna, in questi giorni, troppe ne vedo, benché le parole “istinto di conservazione” e “paranoia da accerchiamento, sottese a tutte queste riflessioni, non compaiano significativamente quasi mai).

  24. Caro “Hume1”.
    concordo con il suo giudizio iniziale sulle tensioni che vive l’Islam in quanto, probabilmente, investito da un processo di secolarizzazione.
    Quanto alla sua domanda finale: non so quanto dare credito agli scenari apocalittici secondo cui tra cinquant’anni la popolazione di origine musulmana sarà maggioritaria in Europa. Però anche se questo fosse vero, il problema è che le democrazie restano tali se sono coerenti con i propri principi. Che non sono solo principi di tolleranza e dialogo, ma anche principi di rispetto dei diritti individuali. Se gli stati democratici europei saranno stati capaci, al loro interno, di preservare tanto il pluralismo religioso e culturale, quanto le libertà individuali e l’eguaglianza dei cittadini, allora il fatto che tra cinquant’anni la popolazione di origine islamica sia maggioritaria non cambierà molto le cose. In ogni caso, politiche di immigrazione che regolino gli ingressi in funzione non solo delle esigenze economiche ma anche del mantenimento dell’equilibrio sociale non sono contrarie per principio ai fondamenti della democrazia (del resto, su questo terreno l’Europa non è per niente aperta, in questo momento). A me sembra che la partita la si stia perdendo, in realtà, come ha anche osservato Baldini nei suoi commenti, sul fronte dell’eguaglianza dei cittadini: in generale, e in particolare per quel che riguarda l’integrazione sociale ed economica, non solo culturale, delle minoranze.

    Caro Buffagni,
    certo, non si può parlare togliendosi le parole di bocca. La mia era una provocazione per invitare a usare con cautela concetti che io stesso considero essenziali nel lessico politico: valori, identità, Occidente ecc.
    Integrare degli immigrati dispersi nel territorio non vuol dire integrare interi popoli. Continuo a ripetere che non capisco dove è questa invasione dei musulmani. Non mi risulta che adesso siano la maggioranza in Francia, dove pure sono molto di più che da noi. Si tratta semplicemente di integrare degli individui e delle comunità in una società democratica. E, come ho detto sopra, una politica democratica di integrazione non esclude una politica di controllo dell’immigrazione (suggerisco su questo di leggere Michael Walzer). Se però il paese che deve integrare gli stranieri si chiude in un irrigidimento identitario, come sta facendo la Francia ultimamente, allora questo contribuisce a impedire l’integrazione degli stranieri. Ammetto, certamente, che queste chiusure identitarie forti sono causate ampiamente anche dai fallimenti della democrazia sul lato della giustizia sociale. Niente è facile.
    Non ho aperto nel mio testo la questione dell’unità europea, quindi non la discuto qui per ragioni di spazio.
    Quanto al suo secondo intervento: è una buona obiezione, la sua. Parliamo pure di valori, come ho detto sopra. I valori possono entrare in contrasto con il bene di altri. Però sulla questione dell’aborto le cose non sono così semplici. Lei non può dare per scontato che abortire sia uccidere un’altra persona, dal momento che su questo le coscienze morali si dividono. Se lei pensa che le donne che abortiscono siano semplicemente delle assassine, lei non applica il principio di tolleranza che ci impone di riconoscere quando c’è un disaccordo non componibile. Allo stesso modo, è dogmatica la posizione di chi afferma che chi è contrario all’aborto è antidemocratico. Non è così. L’aborto è probabilmente una questione moralmente intrattabile (nel senso di irresolubile), una sorta di conflitto tragico, quindi se in un paese una maggioranza modificasse il suo punto di vista e abolisse l’aborto, questo non sarebbe una negazione della democrazia in quanto tale. Segnalerebbe un cambiamento della sensibilità. Io difendo l’esistenza di una legge che renda possibile l’aborto legale, ma non penso che chi la attacca sia un fanatico antidemocratico. Penso che sia una coscienza morale diversa dalla mia.

    Caro Daniele,
    grazie, mi fa piacere soprattutto che tu abbia colto questo significato fondamentale.

    Caro Cucinotta,
    in primo luogo, lei ha ragione su un punto: quel “fiancheggiatori” è eccessivo, frutto di uno stato d’animo e dello stile, se vogliamo. Non volevo dire fiancheggiatori degli assassini, ma di chi è contrario ai principi democratici in generale, però usare quella parola è stato un errore perché la si interpreta come ha fatto (giustamente, in un certo senso) lei. Quindi chiedo scusa.
    E’ ovvio che la mia idea di democrazia, quella che difendo e in cui mi piace (o piacerebbe) vivere, come dice lei, contiene anche i critici della democrazia. Però il fondo di quello che voglio dire è questo: contro il fanatismo si tratta di difendere la democrazia, e non la nostra identità di europei, occidentali, o che altro, contro un’altra identità. Per fare questo, bisogna evitare di trasformare lo scontro in scontro tra civiltà. E poi bisogna anche riconoscere quanto la democrazia fa e ha già fatto, pur con una critica che nasce dai suoi stessi principi (mai realizzabili del tutto, in fondo), altrimenti la critica che considera la democrazia un fallimento totale dovrebbe portare coerentemente a buttarla via.

    Caro Giorgio,
    grazie. Sei, come sempre, un kantiano. Tuttavia non ti seguo fino in fondo: la violenza non nasce necessariamente dall’essere eterodiretti. Anche i quaccheri, da un punto di vista kantiano, non sono moralmente autonomi. Eppure sono profondamente pacifisti. Io non credo che il rapporto con la religione in generale vada definito a partire da una presunta superiorità della ragione.

    Caro Baldini,
    grazie per il chiarimento, sono del tutto d’accordo.

    Caro Giacomo
    per quanto con una battuta, lei solleva un problema serio, che nasce da una mia formulazione decisamente infelice. Ho cercato di dirlo anche nella risposta a Michele Dr. Per come ho detto le cose sembra che io proponga, in certi casi, la guerra per “esportare la democrazia”. Perché le ho dette male.
    Volevo dire questo: difendere la democrazia non vuol dire difendere solo la tolleranza e il dialogo, ma soprattutto difendere una condizione di cittadini liberi e eguali. Dentro un singolo stato, questo significa che l’uso della forza è legittimato solo coerentemente con la tutela di questa condizione. Anche all’esterno, nella politica internazionale, uno stato democratico deve essere coerente con questo suo principio di legittimazione. Questo però non vuol dire che può usare la forza contro altri stati se questi non sono democratici, cioè se al loro interno violano i principi di eguaglianza e libertà. Perché questo significherebbe violare l’indipendenza degli stati, che si giustifica in quanto garantisce l’indipendenza di popoli (per quanto questo concetto sia problematico), che hanno culture diverse. Tuttavia, le democrazie non possono stare a guardare quando ci sono violazioni massicce dei diritti umani: qui rientra in gioco la considerazione degli individui. E in tali casi devono chiedersi se è legittimo l’uso della forza contro gli stati o i poteri che perpetrano queste violazioni.

    Caro Luca O.,
    se è vero che la democrazia è un valore, e può essere difesa come tale, la sua difesa non rientra nella logica amico/nemico, che io rifiuto come chiave di lettura del mondo sociale. Questa logica è però valida se a confrontarsi sono forti identità, il cui unico obbiettivo è affermarsi come identità, anche a spese di altre. La difesa della democrazia è semplicemente la difesa di un sistema di legittimazione del potere, che permette di far convivere anche identità diverse, purché queste non vogliano sopraffare le altre. Il terrorista non ha spazio nella democrazia, come non ha spazio semplicemente qualsiasi criminale o violento, perché vuole sopraffare gli altri.

    Caro Ennio Abate,
    grazie per la segnalazione, merita una riflessione seria.

    Chiedo scusa per la lunghezza, ma volevo chiarire alcune ambiguità causate dallo stile poco argomentativo del testo.
    mp

  25. Caro Piras,
    grazie per la replica cortese. Le rispondo in due punti, molto rapidamente.

    1. Integrazione. Guardi che il problema non è l’Islam o il buddismo o il cattolicesimo, è la cultura e l’identità, cose profonde, resistenti e antiche. In particolare, questo scontro è con gli arabi, non con l’Islam in quanto tale (gli indonesiani non sparano a Parigi, e neanche i pakistani). Poi, siccome non ci sono atei in trincea, una bandiera serve sempre, e l’Islam si presta bene perchè è una religione guerriera, gli attentatori sono anche islamici, o islamisti se preferisce. In Francia ci sono, se non vado errato, otto milioni di stranieri (o francesi di origine straniera). Integrarli tutti o anche solo in maggioranza è impossibile, perchè a) non vogliono loro b) non vuole la grande maggioranza del popolo francese. Per integrarli tutti, bisognerebbe prima disintegrare sia loro sia i francesi de souche, frullarli nel Girmi democratico, e poi rifarli a sua immagine e somiglianza, appiccicandogli l’etichetta del controllo qualità di SOS Racisme. Ci si sta provando da quarant’anni, e il risultato è questo. Io direi di smettere, di cercare di limitare i danni e invertire la tendenza per il futuro. Le segnalo en passant che de Gaulle mollò l’Algeria appunto perchè temeva che avvenisse questo, cioè che il suo villaggio natale, Colombey les Deux Eglises, diventasse Colombey Les Deux Mosquées. Lei può trovarlo un esito favorevole, ma le faccio notare che se ci si prova, e se una notevole quantità di francesi non è d’accordo, non si arriva a una dibattito o a un referendum, si arriva a una spaventosa, orripilante guerra civile su base etnica, religiosa, e nazionale. In confronto, le guerre di religione del Cinquecento sembreranno una partitella scapoli ammogliati.

    2. Le facevo l’esempio dell’aborto non per aprire un dibattito sulla sua liceità morale, l’opportunità giuridica di consentirlo, etc. Ho scelto questo esempio perchè è un caso evidente in cui persone normalissime e peraltro più che miti ammazzano una persona affatto innocente* per il semplice fatto che le ostacola nel perseguimento di un loro legittimo obiettivo, uno degli obiettivi che secondo lei sono più innocui dei valori e altri paroloni. Non è così. Per noi uomini, uccidere è normale: normale nel senso debole di consueto, corrente, una cosa che si fa da sempre e sempre si farà. E’ difficile uccidere di persona, specie corpo a corpo; è difficile uccidere quando uccidendo si rischia di venire uccisi; è difficile uccidere vedendo che si uccide, perchè si devono superare forti inibizioni; ma uccidere senza vedere, uccidere per interposta persona, è facilissimo e normale. E infatti si uccide, si uccide tutti, democrazie comprese, che uccidono all’ingrosso e al dettaglio (Hiroshima? Nagasaki? Falluja? si ricorda?). E’ meglio non espungere questo dato dalle nostre equazioni e programmi storico-politici, altrimenti le incognite si moltiplicano, e la soluzione non la troveremo mai.

    * non ho voglia di iniziare un dibattito sul tema: “il feto è persona o no?”. Ognuno la pensi come vuole. Trovo difficile credere che qualche donna sia così perfettamente convinta che tra feti e bambini non c’è parentela o analogia alcuna da non avere la minima esitazione o dubbio prima della cura. Se c’è, l’esempio non si attaglia a lei, e la finiamo qui.

  26. A Mauro:

    faccio un po’ “l’avvocato del diavolo” di roberto buffagni:

    quando tu dici a lui “Se lei pensa che le donne che abortiscono siano semplicemente delle assassine, lei non applica il principio di tolleranza che ci impone di riconoscere quando c’è un disaccordo non componibile” questo discorso vale anche se al posto delle “donne che abortiscono” ci fossero “bianchi che uccidono i neri” (o che uccidono gli ebrei, o altre minoranze…), immaginando una società quindi in cui parte della popolazione non ritiene che certi individui siano da riconoscere come aventi diritti al pari degli altri? Certo, oggi i neri e gli ebrei sono ritenuti individui aventi diritti come ogni altro individuo, ma se in futuro sorgesse un “disaccordo non componibile” su di essi o altre minoranze arrivando a una legislazione che toglie a loro i diritti? Rimarrebbe una società democratica, ma solamente con un “cambiamento della sensibilità”?

    Per la cronaca, io ho una mia posizione particolare sull’aborto, che presupporrebbe non considerare equivalenti situazioni come una minorenne violentata e una donna che all’ottavo mese all’improvviso vuole abortire perché preferirebbe avere una figlia femmina e non un maschio come quello che sta aspettando, ma evito di esporla per non divagare sull’argomento qui trattato della difesa della democrazia…

  27. Credo che i musulmani abbiano fatto bene a fare in rete quel “Not in my name”. Bene perché serve a ribadire una cosa banale che però per molti banale non è e a rispondere a garbati leader politici che affermano che siamo circondati da gente pronta a sgozzarci sul pianerottolo di casa. Hanno fatto bene perché oggi la comunicazione ha, purtroppo, le sue necessità. E’ una scelta comunicativa efficace.

    Ma: chiedere ai “musulmani moderati” in Italia, in Francia, in Europa, di dissociarsi sarebbe come se i tedeschi negli anni ’70 avessero chiesto agli italiani tutti di dissociarsi dal brigatismo nero e rosso.

    Il che non ha significa che non si debba cercare di togliere il brodo di cultura intorno ai terroristi, isolarli e far loro capire che non hanno dietro le masse (di musulmani, in questo caso). Ma questo è un lavoro che spetta a tutti noi, non ai musulmani in particolare, soprattutto se il sottotesto della richiesta di prendere le distanze è “discolpati, è la tua cultura che produce questo”. Se ragioniamo così, ogni cultura passerebbe il tempo a chiedere scusa per tutti gli orrori che ha prodotto, “noi” per primi.

  28. Daniele Lo Vetere scrive:

    “Se ragioniamo così, ogni cultura passerebbe il tempo a chiedere scusa per tutti gli orrori che ha prodotto, “noi” per primi.”

    E infatti è proprio quel che da un pezzo accade a “noi”, ad opera dei ceti dirigenti, dei media, etc.

  29. Grazie, Piras, della cortese risposta.
    Mi permetta dopo un primo intervento provocatorio, di essere un po’ più esplicito.
    A me pare che lei con la consueta abilità separi il destino dei principi della democrazia liberale dalla sorte dell’occidente. Ciò le serve per riconfermare la superiorità del nostro sistema politico con il vantaggio di non legarlo alla concreta politica condotta dai nostri cari paesi occidentali.
    Con questa separazione, lei ottiene due risultati, l’uno è quello di far diventare la superiorità del nostro sistema politico non falsificabile, perchè lei potrà sempre dire che i principi sono giusti, sono le concrete realizzazioni, sempre suscettibili di correzioni e perfezionamenti, ad essere sbagliate.
    L’altra è la simmetrica, che anche la concreta politica statale viene sottratta ad ogni possibile giudizio perchè, pur in mezzo a mille errori, trae la sua legittimazione dal fatto di essere basata su principi giusti.
    Credo alla fine che era quello che molti che qui la leggono volevano sentirsi dire, finalmente possiamo dire di essere superiori negandolo, perchè, è vano fingere di ignorarlo, il sistema politico che lei così strenuamente difende, ci appartiene fino al midollo, e le critiche che si possono sollevare al suo interno non possono che limitarsi ad aspetti marginali e contingenti, le altre, con una lettura di comodo, vengono classificate come eversive dell’ordine democratico, ed il cerchio così si chiude.

    Io darei una lettura del tutto differente che posso soltanto riassumere senza poterla adeguatamente argomentare nell’angusto spazio di un commento.
    Ebbene, il problema che abbiamo di fronte non è a carico dell’islam, il problema è proprio la crisi profonda in cui versa il nostro innominabile occidente. Non si doveva aspettare questo attentato per rendersene conto, la crisi è lì di fronte ai nostri occhi, nei suoi molteplici aspetti di crisi economica, di crisi geopolitica con gli USA che vanno inseguendo quegli stessi paesi che una volta egemonizzavano, di crisi di valori e di crisi esistenziali dei singoli individui.
    Cosa ci dice di nuovo allora questo attentato, se lo mettiamo assieme al fenomeno dei cosiddetti “foreign fighters”, i figli di immigrati di origini arabe che corrono a combattere per l’ISIS?
    Ci dicono che la nostra società non appare a loro attraente, che abbiamo fallito non tanto nell’integrazione concetto che ci porterebbe ad ulteriori complicazioni, ma nella semplice accettazione, nel sentirsi ragionevolmente felici nelle società occidentali. Si potrebbe discutere se i giovani autoctoni non siano altrettanto fuori posto qui e se il differente loro comportamento non sia correlato alla differenza nel punto di partenza, così che i discendenti da arabi hanno una cultura aggiuntiva a cui possono aggrapparsi per disperazione, mentre quelli italiani da sempre non hanno sfogo collettivo per la loro disperazione.
    L’errore più grande che potremmo fare è duplice, o intraprendere una stupida battaglia contro l’Islam, oppure anche soltanto nei confronti della fascia fanatico-militare, ed in questo senso sarebbe pericoloso proprio farlo in quanto paladini del nostro sistema politico, assunto non come da noi preferito, ma come superiore in assoluto.
    Se come io penso, il problema è dell’occidente, allora non è che dobbiamo continuare sulla stessa strada, che poi si sostanzia principalmente nell’andare in gior per il mondo a razziare tutto ciò che è razziabile , ed ogni volta che qualcuno resiste sparargli contro pretendendo di essere missionari della democrazia, ma dobbiamo mettere ordine a casa nostra, cosa che non significa naturalmente essere contro la democrazia, ma intendere la democrazia in modo differente. Ma qui sono costretto a fermarmi per ovvie ragioni.

  30. Caro Piras,
    Lei ha delineato marcatamente quello che considera democrazia, condannando platealmente tutto ciò che ne esuli. Per quanto io sia contraria a qualunque forma di distizione così forte (l’antitesi “noi-loro” viene a ricrearsi automaticamente, anche se sotto altre spoglie), potrei essere d’accordo con lei nell’affermare che sia giusto difendere tutto ciò che pone la vita al centro: vita intesa come vita naturale (ergo non uccidere) e vita intesa come vita sociale (ovvero convivenza, comunità). Il suo discorso, a mio avviso, pecca però di eccessivo ottimismo. Lei parla della democrazia odierna come di un paradiso, un aldiquà dove le identità possono finalmente svanire per lasciare spazio a relazioni spoglie di qualunque pregiudizio, dove l’unico obiettivo è la libertà, di espressione, di vita, di benessere. Parla di questa democrazia come di un orizzonte senza religioni, senza ideologie, senza roccaforti in cui rinchiudersi e da cui muovere guerra agli altri. Ma questa democrazia, questo paese non sono altro che un'”Isola che non c’è”, un’altra ideologia dietro la quale ci piace nasconderci. Un’altra ideologia da difendere nell’infinita battaglia tra ideologie, tra persone.
    La situazione delle democrazie odierne, in qualunque parte del mondo, è una situazione catastrofica, oserei dire distopica, che fa acqua da tutte le parti (sì, anche le vagheggiate democrazie nordiche si sono lasciate indietro la loro parte di vergogna, se si pensa al tasso di suicidi, il più alto di Europa) e invece di difenderle a spada tratta, bisognerebbe guardarsi bene attorno e rimboccarsi le maniche, a partire dalle forme di democrazia più basse, a partire dai “collettivi” di giovani, a partire dai condomini, a partire dalla famiglia.
    Questi discorsi sono pericolosi, poichè solidificano convinzioni ottuse su quello che è “giusto” e “libero” rispetto a ciò che è “sbagliato” e “opprimente” (ancora “noi-loro”), alimentano conflitti.
    Detto questo, ovviamente, non voglio schierarmi contro nessuno, nè contro di lei (lungi da me) nè contro le democrazie, ma nemmeno contro i paesi non democratici. La forma di governo perfetta non esiste, non ne abbiamo mai avuto nemmeno un assaggio, non possiamo immaginare un mondo in cui tutto funzioni, per questo non possiamo condannare le altre forme di governo a priori. Faccio discorsi generali per mantenere il tono del suo articolo, perchè, com’è ovvio che sia, io sono contraria alla violenza, alla dittatura, al totalitarismo, alla religione all’interno dello stato (e qui verrebbe da fare un altro paragone tra “noi” e “loro”, ma me li sono mangiati finora, quindi continuo a tacere), ma non posso essere contraria a forme di governo che abbiano obiettivi diversi dalla democrazia che stiamo sperimentando concretamente, molto diversa dalla democrazia da lei vagheggiata.
    Il mondo della satira è il mondo della democrazia; il mondo reale, al contrario, non lo è.

  31. La democrazia parlamentare, per quanto doverosamente perfettibile, come e’ di per se’ previsto nelle sue Costituzioni, e’ indiscutibilmente la migliore forma di organizzazione sociale. Incrollabile la mia adesione al concetto di Citoyen, integrato da quello di Weltbürger. Insopprimibile il sentirmi piu’ di casa nell’attuale Berlino multikulti che a Teheran o a Citta’ del Vaticano, dove parimenti l’aggettivo “relativo“ e il sostantivo “relativismo“ suonano sinistramente pericolosi! Non mi sembra quindi che Mauro nella difesa delle nostre democrazie sia il “mastro Panglos“ di turno…

  32. Democrazia e’ anche la nostra bistrattata scuola Italiana, dove si formano, seduti accanto, i nostri figli con quelli originari da altri continenti. Giocando insieme, crescendo insieme (e in Italia per il momento avviene in genere davvero e ne ho esperienza sia come padre che come insegnante), difficilmente si avra’ da adulti la voglia di massacrarsi a vicenda nel nome di un dio diverso. So che altrove e’ diverso ma io posso soprattutto riferirmi all’ambito in cui interagisco direttamente come cittadino responsabile, per quanto mi compete, dell’erogazione di un servizio pubblico…

  33. Cari amici, fino a mercoledì non potrò rispondere ad alcune delle ultime critiche, che esigono una risposta, me ne scuso.
    Una sola cosa, rapidamente:
    Caro Michele, non esiste un disaccordo ragionevole (che ho definito forse in modo impreciso “non componibile”) sullo statuto ontologico del fatto che uccidere un uomo è uccidere un uomo; esiste invece un disaccordo ragionevole sullo statuto ontologico dell’aborto: è uccidere un essere umano o no?
    Ma giustamente non è il caso di discutere qui questo problema.

  34. Caro Buffagni, l’Occidente esiste, l’Islam esiste io sono italiano, le identità esistono ecc… Ma a me piacciono molto le identità imperfette e slabbrate, quelle che si perdono ogni giorno e ogni giorno si riconquistano. Io voglio essere italiano, torinese, europeo, e non lo sono mai a sufficienza. L’identità è anche una tensione e un’utopia. Posso così sentirmi diverse cose e avendo colto la provvisorietà della mia stessa identità mi riesce di rispettare le altre e sono curioso delle altre.

    Se uno straniero mi invita a ragionare sull’italianità, sui difetti dell’italianità, lo faccio, provo ad assumere su di me anche difetti che magari non ho, provo a riflettere sulla vischiosità del familismo amorale, sulla tendenza a creare cricche e micromafie, mi assumo la responsabilità della mia identità.
    Se però uno straniero mi pianta un dito sotto il naso e mi sputa addosso velenosamente qualcosa come “la mafia l’hai prodotta tu, italiano, dissociatene”, io lo mando a quel paese.
    Questo secondo modo di ragionare non porta da nessuna parte, dunque, non passiamo il nostro tempo in sterili accuse e controaccuse fra culture e proviamo ad andare costruttivamente da qualche parte.

    Poi lei voleva dire che in Occidente c’è troppo relativismo, autoflagellazione ecc… capitolo interessante ma troppo complesso. Io però non parlavo di questo. Spero di essermi spiegato meglio.
    Saluti

  35. C’è una costante in tutti gli interventi fatti nel commentare l’articolo di Piras: l’intellettualismo. Ed è strano tutto questo perché le riflessioni fatte allontanano dalla realtà l’oggetto della discussione. La realtà qual è? Forse il mussulmano clandestino che s’arrangia per far passar la nottata? No! E’ forse il mussulmano che spaccia o quello che fa il ramadam? NO! E’ il mussulmano armato di kalaschnikov che ammazza, in nome di Allah perché non sopporta la libertà di espressione e di critica, perché vede nell’occidente il nemico da abbattere, perché secondo il mussulmano armato, i guai loro sono colpa delle multunazionali, degli americani sfruttatori, e di tutti gli europei ed infine, di Roma, del Papa, centro della cristianità. Contro costoro che come abbiamo visto non esitano a sparare e a farsi ammazzare, così dall’altra parte hanno a disposizione 72 vergini da sverginare ecc. cosa dobbiamo fare? Discutere o difenderci adeguatamente? Tutto qui, L’inellettualismo lasciamolo alle sedute salottiere, perché c’è poco da discutere in quanto il problema è antico: due culture agli antipodi con valori differenti.

  36. Gentile Antonio,
    molto concretamente: ad ognuno di noi cittadini il dovere di tutelare la società dove viviamo: controlli, manette e carcere (luogo che separando e non torturando rende almeno innocui) per i terroristi e politiche di intelligente integrazione per togliere il terreno sotto ai piedi di chi sfrutta il senso di emarginazione degli immigrati. Lo stato di diritto ha la forza di difendersi senza alterare i propri principi. Mi perdoni: la cultura che investe sulla formazione civile delle nuove generazioni o che afferma principi sanciti dalla Costituzione non mi sembra sterile intellettualismo ma “arma” efficace a tutela del consorzio civile…

  37. @Antonio.

    I terroristi che hanno ucciso sono francesi (linguisticamente), borderline sociali (sociologicamente), paranoici (psicologicamente), musulmani, ma di ritorno, credo che in antropologia si chiami reidentificazione o qualcosa di simile (religiosamente), criminali (penalmente), ecc…
    Un bell’intreccio, questa loro identità aberrante. Oppure no, ha ragione lei. Sono musulmani. Stop. Lei allora è un cristiano stop. La prego, non mi faccia notare che ci sono cristiani cattolici, ortodossi, copti, protestanti (e le mille loro sette); non mi faccia notare che ci sono cristiani che parlano italiano, francese, inglese, finlandese…, che ci sono i maschi e le femmine, cristiani, che ci sono i tifosi della Roma e dell’Arsenal, cristiani, che lei non la pensa come il suo vicino (cristiano), in politica.
    Io ho deciso: lei è cristiano. A rigore stiamo dalla stessa parte. Siamo la stessa sostanza. Sono infatti battezzato e cresimato.
    Ma penso che a lei faccia specie essere identificato con me, questo intellettuale da salotto. Che bel pasticcio.

  38. E’ bene, nel momento in cui si formula un’argomentazione di qualunque tipo, prima concepire nel dettaglio qual è la propria posizione nel mondo attuale, in modo da non screditare automaticamente tutto ciò che è diverso. Ciò è particolarmente importante quando si va a ribadire il discorso egemone.

    Affermare la superiorità di un sistema solo perché ciò sembra essere indiscutibile e normalizzato nel contesto contemporaneo non dovrebbe cancellare di fatto la consapevolezza che questo sistema sia comunque l’espressione di un contesto specifico, adottando termini universalisti che di fatto mettono a tacere tradizioni e concezioni ben diverse. Definire un sistema quello più desiderabile solo per la mancata analisi di altre forme di convivenza presenti nel mondo contemporaneo è purtroppo l’espressione ultima del privilegio Occidentale.

    ‘Why is it that aggression in the name of God shocks secular liberal sensibilities, whereas the act of killing in the name of the secular nation, or of democracy, does not?’, ha scritto Talal Asad qualche hanno fa, tentando di contestualizzare il fanatismo contemporaneo in seguito alle proteste causate dalla ripubblicazione delle vignette danesi.

    In tempi in cui l’Occidentale formula tutto, persino la razionalizzazione più desiderabile dei diritti umani e la loro realizzazione, forse sarebbe un bene stare ad ascoltare tutti quegli intellettuali ‘Orientali’ che da decenni si rapportano al sistema egemone e offrono soluzioni a cui gli ‘Occidentali’ non avevano ancora pensato.

    Perché ‘the West’ and ‘the Rest’ smetteranno di essere tali non quando avremo abolito i termini per descrivere una diversità di tradizioni, ma quando il pensiero Occidentale egemone si sarà messo in discussione dopo aver ascoltato e inglobato parte dell”Altro’. Fino ad allora, qualunque tentativo di imporre un sistema neoliberale che ‘noi’ ci ostiniamo a riconoscere come unico e migliore sarà solamente un altro triste tentativo imperialista che andrà ad alienare ulteriormente tutti coloro che in questo occidentalismo che non accetta negoziazioni non possono riconoscersi.

    Delle voci diverse il cui scopo è raggiungere un universalismo condiviso esistono già; basta fermarsi ad ascoltare.

  39. @ Lo Vetere

    credo però ci sia un problema in quanto dici sopra. Vittorio Emanuele Parsi ha citato un religioso bosniaco musulmano accoltellato per aver cercato di dissuadere i suoi fedeli dal partecipare al jihad internazionale. Chi ha la parola pubblica, chi è partecipe di una comunità più prossima ha una possibilità maggiore di intercettare quelle persone che possono intraprendere la lotta armata. Per questo ha senso che i “musulmani moderati” prendano posizione pubblica, non è solo un fatto comunicativo. Così come negli anni ’70 aveva senso che politici, sindacalisti, giornalisti e intellettuali si opponessero alla lotta armata, pure in forma ugualmente critica verso lo Stato. Così come alcuni italiani si sono dissociati dalle guerre in Irak e Afghanistan, oppure contro gli accordi che stipulò il governo italiano con la Libia per incarcerare i migranti eccetera. Così come auspico che i cristiani italiani si dissocino da certe posizioni della Chiesa.

  40. Aui,

    cosa caspita stai dicendo? A parte che Talal Asad è uno studioso che in questo saggio
    http://politics-of-religious-freedom.berkeley.edu/files/2011/05/Is-Critique-Secular-Blasphemy-Injury-and-Free-Speech.pdf

    a un certo punto afferma che la rivoluzione francese ha inaugurato il nazionalismo, il razzismo e il genocidio, vorrei capire come è possibile affermare che il pensiero occidentale, qualunque cosa sia, non si mette in discussione ed esattamente cosa significa inglobare parte dell’altro e fare negoziazioni. Negoziare cosa?

  41. SEGNALAZIONE

    @ Antonio
    11 gennaio 2015 a 10:41

    Sull’Islam NON aveva ragione la Fallaci

    http://www.matteogracis.it/sull-islam-non-aveva-ragione-la-fallaci/

    “[…] Ma per punire con giustizia occorre il rispetto di certe regole che sono il frutto dell’incivilimento, occorre il convincimento della ragione, occorrono delle prove. I gerarchi nazisti furono portati dinanzi al Tribunale di Norimberga; quelli giapponesi responsabili di tutte le atrocità commesse in Asia, furono portati dinanzi al Tribunale di Tokio prima di essere, gli uni e gli altri, dovutamente impiccati. Le prove contro ognuno di loro erano schiaccianti. Ma quelle contro Osama Bin Laden? “Noi abbiamo tutte le prove contro Warren Anderson, presidente della Union Carbide. Aspettiamo che ce lo estradiate”, scrive in questi giorni dall’India agli americani, ovviamente a mo’ di provocazione, Arundhati Roy, la scrittrice de Il Dio delle piccole cose: una come te, Oriana, famosa e contestata, amata ed odiata. Come te, sempre pronta a cominciare una rissa, la Roy ha usato della discussione mondiale su Osama Bin Laden per chiedere che venga portato dinanzi ad un tribunale indiano il presidente americano della Union Carbide responsabile dell’esplosione nel 1984 nella fabbrica chimica di Bhopal in India che fece 16.000 morti. Un terrorista anche lui? Dal punto di vista di quei morti forse si.
    L’immagine del terrorista che ora ci viene additata come quella del “nemico” da abbattere è il miliardario saudita che, da una tana nelle montagne dell’Afghanistan, ordina l’attacco alle Torri Gemelle; è l’ingegnere-pilota, islamista fanatico, che in nome di Allah uccide se stesso e migliaia di innocenti; è il ragazzo palestinese che con una borsetta imbottita di dinamite si fa esplodere in mezzo ad una folla. Dobbiamo però accettare che per altri il “terrorista” possa essere l’uomo d’affari che arriva in un paese povero del Terzo Mondo con nella borsetta non una bomba, ma i piani per la costruzione di una fabbrica chimica che, a causa di rischi di esplosione ed inquinamento, non potrebbe mai essere costruita in un paese ricco del Primo Mondo. E la centrale nucleare che fa ammalare di cancro la gente che ci vive vicino? E la diga che disloca decine di migliaia di famiglie? O semplicemente la costruzione di tante piccole industrie che cementificano risaie secolari, trasformando migliaia di contadini in operai per produrre scarpe da ginnastica o radioline, fino al giorno in cui è più conveniente portare quelle lavorazioni altrove e le fabbriche chiudono, gli operai restano senza lavoro e non essendoci più i campi per far crescere il riso, muoiono di fame?”[…]

    Nota
    Lo stralcio è da una lettera aperta di Tiziano Terzani datata ottobre 2001, in risposta all’articolo “La rabbia e l’orgoglio” di Oriana Fallaci, che la scrittrice aveva pubblicato all’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre. Mi è stato segnalato da un amico su FB.
    Mi pare opportuno segnalartelo visto che nel tuo ragionamento il problema sarebbe soltanto “il mussulmano armato di kalaschnikov che ammazza, in nome di Allah perché non sopporta la libertà di espressione e di critica, perché vede nell’occidente il nemico da abbattere, perché secondo il mussulmano armato, i guai loro sono colpa delle multunazionali, degli americani sfruttatori, e di tutti gli europei”.
    No, il problema è anche ” l’uomo d’affari che arriva in un paese povero del Terzo Mondo con nella borsetta non una bomba, ma i piani per la costruzione di una fabbrica chimica che, a causa di rischi di esplosione ed inquinamento, non potrebbe mai essere costruita in un paese ricco del Primo Mondo”. [E.A.]

  42. Caro DFW, a naso ti direi che i terroristi hanno così poco a che fare con l’Islam (e molto di più a che fare con la marginalità sociale, la patologia psicologica, forse persino la realtà virtuale dei videogiochi) che ribadirei la mia opinione.
    Però la cosa che mi interessa di più è cercare di capire non tanto come fermarli (cioè, anche, sì, fermarli, bisogna difendere i cittadini che vivono e lavorano in pace), ma come disinnescare l’adesione al terrorismo. Rifletterò su quanto dici.
    Saluti

  43. Abate,

    questo significa fare confusione. Il fanatismo religioso non ha nulla a che vedere con le disparità economiche, con l’imperialismo, il colonialismo, tutto quello che ti pare. Data una religione, qualsiasi religione, ci sono fanatici che portano avanti le loro idee con la violenza. Questo è accaduto per qualsiasi gruppo religioso. Non è che i terroristi di Parigi sono terroristi perché ci sono anche i bombardamenti su Gaza. Sono terroristi a prescindere, e lo sarebbero diventati a prescindere. L’uomo d’affari è uno che a volte viola le regole in posti in cui non c’è una democrazia efficace che fa rispettare le regole. Se per altri costui è un terrorista, che si adoperino per impedirgli di costruire ciò che non è bene sia costruito, così come in Italia dopo anni siamo faticosamente riusciti a darci delle regole, per quanto imperfette, sulle cose che si possono costruire. Le centrali nucleari sono in tutta Europa, e non sono state imposte. La risposta a sproloqui come quelli di Oriana Fallaci non è la melassa terzomondista fatta con tutto l’amore possibile, sono ragionamenti precisi e coerenti. Il fanatico musulmano è un guaio anzitutto per i musulmani, quelli sani di mente, la maggioranza.

  44. @ Lo Vetere

    sul come il piano personale si intreccia con quello ideologico siamo d’accordo. Alcuni brigatisti soffrivano la clandestinità per cose banali, come non poter andare allo stadio. Però appunto, non ci fossero stati ideologi della lotta armata e la mistica romantico-risorgimentale della resistenza non avrebbero partecipato a quei gruppi. I ragazzi giapponesi alienati si ammazzano, poiché circola la cultura del suicidio. Se cominciasse a circolare una cultura violenta verso gli altri lo diventerebbero. Non c’è molta differenza tra un ragazzo che si taglia le vene per un 4 in matematica e uno che comincia a frequentare un gruppo neofascista e poi prende a calci un barbone. La differenza la fanno le persone e le idee che incontrerà.

  45. buongiorno,
    nell’ultimo paragrafo, riferendosi a quelli che considera i nemici della democrazia, scrive che bisogna combatterli “con l’uso della forza militare” all’esterno, in poche parole legittimando interventi militari in qualsiasi parte del mondo, a patto che siano rivolti contro “chi vuole distruggere la democrazia con la violenza”. è una motivazione un po’ approssimativa e presuntuosa per giustificare lo scoppio di una guerra nel mondo contemporaneo, in cui non è più lo strumento abituale per la risoluzione dei conflitti (ormai se si vuole danneggiare un rivale lo si fa a suon di sanzioni economiche, non con bombe e cannoni, fanno troppo rumore). chi decide chi sono i nemici della democrazia? chi stabilisce quali stati, pseudo-stati o organizzazioni politiche son degne di essere eliminate? credo che sia abbastanza chiaro come di questo principio ci si possa appropriare un po’ a piacimento e strumentalizzarlo, benchè a prima vista, secondo gli schemi di pensiero in voga, sia assolutamente ineccepibile.
    eppure mi pare che ce ne sia appropriati per giustificare le spedizioni in Medio Oriente post 11 settembre, che avevano appunto come obiettivo quello di salvaguardare la democrazia e che in questi giorni possiamo finalmente constatare che non hanno assolutamente contribuito a questa causa. lei giustamente nel secondo paragrafo definisce questa guerra come “insensata”, ma inciampando quindi in una contraddizione alla fine del pezzo, dove giustifica una guerra di quel tipo.
    concludo che non sono d’accordo nemmeno sulla proposta di abolire, tra le tante da lei indicate, la parola “civiltà”. con questa parola si descrivono quelle variegate unità storiche, composte da migliaia di sfaccettature e che popolano il flusso del tempo, rincorrendosi l’un l’altra, arricchendosi dall’incontro ma inevitabilmente anche scontrandosi. è la parola che permette di descrivere nel migliore dei modi la storia di lungo periodo, quella che conta di più, perciò non la abolirei solo perché qualcuno la usa a sproposito.

  46. a Daniele Lo Vetere.

    Le identità non sono un dato, sono un radicamento nel passato che si protende verso il futuro, anche e soprattutto il futuro in cui il titolare della carta d’identità anagrafica non ci sarà più.

    Per farla molto corta. Il problema di questi giovani francesi di origine araba che hanno ammazzato una ventina di persone a Parigi è il seguente:

    a) sono sradicati dal passato dei loro antenati e della civiltà araba

    b) non sono riusciti a gettare nuove radici nel passato della civiltà (ex) francese e (ex) cristiana in cui vivono, perchè

    b 1) l’integrazione e assimilazione di stampo repubblicano non ha funzionato per loro come invece funzionò per i loro padri e nonni (erano pochi, l’identità repubblicana francese era infinitamente più strutturata, solida, ed efficacemente incarnata, per loro, nel tessuto sociale operaio e popolare delle banlieues, allora feudo comunista, proletario e nazionalista, oggi non luoghi extraterritoriali dove fanno legge i caid arabi della droga e gli imam, la polizia, la legge e l’istruzione pubblica non entrano, e da cui i francesi sono scappati in massa )
    b 2) l’identità multiculturale ed europoide farlocca che gli viene proposta dai powers that be odierni si riduce, in buona sostanza, al vivere per consumare, mediocre pillola rivestita di volgarità nichiliste ben illustrate dai disegni di “Charlie Hebdo”, un giornale satirico che invece di far ridere fa vomitare: e dunque gli fa schifo (en passant: li capisco benissimo, fa schifo anche a me)

    c) senza radici nel passato non c’è protendersi verso il futuro, specie quel futuro (arrivato ieri l’altro, per loro) in cui il titolare della carta d’identità anagrafica non ci sarà più. Un uomo senza radici nel passato e senza una via verso il futuro che scavalchi la sua morte personale è un disperato, dentro l’anima ha un inferno di dolore e disgusto e una fame di senso così divorante che ingoia il primo cibo che gli mettono nel piatto senza badare ai trigliceridi e al colesterolo.

    d) dunque questi ragazzi si sono reinventati, con il bricolage caro a Piras, una identità più o meno artificiosa (che caspita dovevano fare? drogarsi e stare buoni? candidarsi al parlamento UE?): nuovi padri, nuove radici, un nuovo futuro sovrapersonale. Li hanno trovati nella loro religione (ogni religione è il seme della cultura e della civiltà che da essa si sviluppa come pratica sociale) interpretata senza tanti riguardi per la filologia: non erano sottili teologi conla passione dei distinguo gesuitici, erano ragazzi con l’assoluto bisogno di un senso al loro vivere, e necessitas non habet legem.

    e) poi naturalmente sono intervenuti, come sempre intervengono, il contesto politico e ideologico, e i relativi strumentalismi. USA, Francia, Inghilterra (e, vilmente e autolesionisticamente, anche Italia) hanno destabilizzato i regimi di Assad e Gheddafi, servendosi di milizie salafite finanziate da Arabia Saudita e Qatar. I detti ragazzi hanno trovato un’occasione per mettersi alla prova, per dimostrare a se stessi e agli altri di non essere chiacchieroni ma uomini e donne coerenti e valorosi, e per imparare a combattere sul serio. Sul campo, nelle file di una milizia spietata formata in gran parte da criminali comuni reclutati nelle galere, in guerre civili terrificanti per crudeltà, hanno avuto due battesimi cruciali: il battesimo del sangue, e il battesimo del sangue innocente (dopo aver vinto l’inibizione a uccidere e la paura di essere uccisi, hanno vinto anche l’inibizione a uccidere gli inermi, i deboli, gli innocenti).

    f) quel che è seguito è noto.

    Aggiungo solo che, grazie anche alla copertura mediatica mirabolante dedicata alla vicenda in tutto il mondo, questi ragazzi diventeranno grandi eroi, nelle banlieues francesi come nei bazar di tutto il mondo arabo anzitutto, e poi forse anche musulmano in generale (speriamo di no, un miliardo e trecento milioni di persone sono tante). Riuscire, in tre, a mandare nel pallone ottantottomila robot, sembra Leonida alle Termopili…i due fratelli che fanno la sortita a mitra spianato contro un esercito, sembra Castore e Polluce, “Il mucchio selvaggio” di Sam Peckinpah…risparmiare la vita al tipografo per il suo gesto di pietà verso il ferito, sembra “La Gerusalemme liberata”…

    Come campagna di reclutamento per l’ISIS, niente male, complimenti.

    Se poi qualcuno pensa che a problemini esistenziali come quello vissuto dai ragazzi di cui sopra si risponde con più assistenza pubblica, più manifestazioni contro il razzismo, più “democrazia”, più politically correct e più “amore più forte dell’odio”, condito dal bacio omosessuale fra arabo e francese*, buon per lui che crede ancora a Babbo Natale e dunque è molto giovane. Speriamo che abbia una lunga vita davanti.

    *Come mossa politico-diplomatica e affermazione identitaria della propria cultura occidentale con libertà di coscienza ed espressione incorporata, inalberare quella vignetta alla marcia repubblicana è una trovata magistrale. Hanno infatti ritirato la loro adesione, dopo averla vista, il ministro degli esteri marocchino e il re di Giordania, rappresentanti dei celebri “islamici moderati” che oggi sono i cocchi di tutti i benpensanti. Bravi, avanti così, ancora uno sforzo per diventare veramente repubblicani.

  47. @DFW vs RB
    11 gennaio 2015 a 18:17

    1.
    « Non è che i terroristi di Parigi sono terroristi perché ci sono anche i bombardamenti su Gaza. Sono terroristi a prescindere, e lo sarebbero diventati a prescindere »

    «Per quanto riguarda quella musulmana, come non chiedersi perché il suo fondamentalismo – che pareva essere escluso da una organizzazione non piramidale delle sue chiese – sia scoppiato in queste forme mortifere, particolarmente oggi. Maometto esiste dal Settimo secolo e da allora in poi l’atteggiamento dell’impero ottomano, per esempio nei confronti degli ebrei, è stato di gran lunga più tollerante e tendente all’assimilazione di quello della chiesa cattolica, che ha voluto le crociate e lo ha investito di maledizioni e improperi, senza che questi portassero a nessuna Jihad, anzi, il famoso “feroce Saladino” era un interessante pacifista. L’estremismo dell’ammazzare tutti i non fedeli al profeta appartiene ai nostri giorni, ed è molto più serio cercarne le origini nelle forme coloniali e non coloniali adottate dall’Occidente che in un passo o l’altro del Corano» (L’AMBIGUITA’ DELLE PIAZZE FRANCESI di Rossana Rossanda – 9 gennaio 2015 http://fondazionepintor.net/islam/rossanda/piazze_francesi/)

    2.
    «L’uomo d’affari è uno che a volte viola le regole in posti in cui non c’è una democrazia efficace che fa rispettare le regole. Se per altri costui è un terrorista, che si adoperino per impedirgli di costruire ciò che non è bene sia costruito, così come in Italia dopo anni siamo faticosamente riusciti a darci delle regole, per quanto imperfette, sulle cose che si possono costruire».

    A volte, eh! E l’Italia è in testa alla classifica nel rispetto delle regole, eh!

    3.
    «Ciò che Max Horkheimer disse del fascismo e del capitalismo negli anni Trenta – quelli che non vogliono parlare in modo critico del capitalismo dovrebbero tacere anche sul fascismo – dovrebbe essere applicato anche al fondamentalismo di oggi: quelli che non vogliono parlare in modo critico della democrazia liberale dovrebbero tacere anche sul fondamentalismo religioso» (I fondamentalisti e gli Ultimi Uomini di Slavoj Žižek)

  48. Caro Buffagni, userò alcune delle parti del suo testo in classe per riflettere sul retroterra psicologico, sociale, culturale che ha prodotto quei terroristi. Sono interessanti e condivisibili. L’assenza di futuro e la solitudine dell’individuo al di fuori di un senso sono un argomento molto forte e credo inoppugnabile.

    Però su un punto, capitale, non possiamo proprio essere d’accordo: per lei si dovrebbe “tornare” ciascuno alla sua identità, ciascuno a casa propria. Vede, nessuno ha più una casa propria. Il nichilismo associato al consumismo è ciò che tutti dobbiamo affrontare, è una sfida educativa e politica. Sinceramente, non vedo perché dovrei affrontarla solo con gli allievi “europei” invitando i musulmani a farlo nella stanza accanto.

  49. @ Abate

    1) io non pretendo tanto, però non mi puoi rispondere con Rossana Rossanda o con qualsiasi altra fonte accecata dalla propria ideologia al punto che farebbe risalire al colonialismo o alle colpe dell’Occidente o del capitalismo pure i raffreddori.

    Se vai sulla pagina di Maometto su wikipedia vedi che c’è un paragrafo che si chiama La umma e l’inizio dei conflitti armati.

    2- a volte sta a significare che di per sé l’uomo d’affari non è un problema, quindi il mettere sullo stesso piano crimini compiuti da uomini d’affari e crimini compiuti da fanatici è, quando non una mossa retorica, un errore. A meno che chi lo fa è fanatico a sua volta e pensa che anche gli uomini d’affari siano il male, come certi fanatici comunisti in effetti hanno pensato e tutt’ora pensano.

    3- di Horkheimer conosco solo il passo del grattacielo, quello nei cui scantinati stanno i miliardi di animali ammazzati, e in cima i miliardari che si godono la bella vista. è un passo dolente, non c’è che dire. Solo non capisco il senso di citarlo in questo thread, dato che qua non si fa altro che parlare in modo critico di capitalismo e di democrazia liberale. Se però con parlare in modo critico intendi che il risultato è abbandonare il capitalismo e la democrazia liberale allora è un po’ diverso.

  50. Caro Lo Vetere,
    grazie, mi faccia poi sapere che cosa ne dicono i suoi studenti.

    Guardi però che io non ho detto, perchè non lo penso, che si dovrebbe tornare tutti “a casa propria”, ciascuno alla propria identità originaria. L’identità originaria scolpita nel marmo non solo non esiste più, ma non è mai esistita. Come dicevo sopra, le identità sono radici che si protendono verso il futuro sovrapersonale. “Si protendono”, cioè si muovono. Certo, per muoversi verso il futuro ci vuole una base nel passato: e ciascuno deve cercarla, quella base, nel passato suo, perchè già è difficile così, figuriamoci nel passato altrui (quello capita ai colonizzati, per esempio a noi italiani che ci emozioniamo di più per la guerra di secessione USA che per il Risorgimento).
    Ritengo impossibile l’integrazione di popoli interi di diversa cultura, perchè le differenze a) ci sono b) è bene che ci siano c) non sono riducibili, a meno che non si voglia ricorrere a mezzi che mi fanno schifo (esempio: la differenza tra gli amerindi e le popolazioni anglosassoni emigrate in America del Nord è stata ridotta a mezzo genocidio. L’operazione è riuscita, ma il paziente o fa il marginale o gestisce casinò).

    Si può e si deve discutere insieme di tutto. Poi viene il momento di smettere di discutere, e di decidere e agire, e lì cominciano i dolori.

    Se mi permette un suggerimento, ai suoi allievi faccia vedere un film molto bello, l’ “Andrej Rublev” di Tarkovskji. C’è un meraviglioso apologo che dice tutto il necessario su identità, civiltà, radici, crisi e ritrovamento delle —
    E’ l’apologo della campana.
    Russia, periodo dei torbidi. I feudatari sono in lotta fratricida tra loro, e spesso qualcuno di loro, per prevalere contro il rivale, si allea con i Mongoli, che invadono, saccheggiano, massacrano.
    In un villaggio, il principe dà ordine di fondere una campana. Nella tradizione russa, la campana è insieme la voce del popolo, la voce della verità e la voce di Dio. Il maestro fonditore è morto, c’è solo un apprendista che ha visto fare ma non ha fatto mai. Fondere una campana è molto difficile. Se sbaglia la fusione e la campana non squilla, il principe gli fa tagliare la testa. Il ragazzo ci prova. Organizza tutti gli abitanti del villaggio perchè lo aiutino nell’opera, e siccome ci troviamo nel film di un vero patriota russo, quando la campana viene issata e percossa, la sua voce squilla limpida e pura nel cielo della Santa Madre Russia.

    N.B.: Tarkovskji era molto vicino ai vertici della classe dirigente sovietica, e aveva capito che la disgregazione dello Stato, della società, dell’ideologia erano tali da rendere impossibile o addirittura dannoso ogni tentativo di riforma, come si vide pochi anni dopo. Nessuno sapeva da che parte cominciare a metterci le mani, in quel verminaio. Con il suo meraviglioso apologo, Tarkovskji dice la sua: si improvvisa con quel che c’è, ragazzi. Non c’è altro modo. Coraggio.

  51. Era un po’ che non leggevo un suo pensiero… Completamente d’accordo con lei!
    Con affetto, dalla Germania
    Giulia Sciurti

  52. Come promesso, rispondo su alcuni punti importanti sollevati dagli ultimi interventi.

    Caro Abate,
    un breve commento sulla lettera di Metref: ma se Metref si dice non musulmano, perché dice “noi”? La sua posizione mi sembra giusta, considerato che afferma di avere sempre lottato contro i fondamentalisti, e inoltre di non sentirsi musulmano. Quindi non ha niente a che vedere con chi uccide in nome di Allah. Sarebbe come se un ateo italiano dovesse dissociarsi da un crimine commesso in nome del cattolicesimo (faccio un esempio che storicamente adesso non ha senso, ma giusto per capirci). Mi sembra però di conseguenza che lui sbagli a dire che i musulmani che si considerano moderati non dovrebbero dissociarsi. A me sembra che la loro posizione sia diversa: credono nell’Islam, e quindi per loro può essere urgente affermare che la loro religiosità non è intollerante. Come mi sembra scorretto “esigere” dai musulmani moderati una presa di posizione, così mi sembra scorretto dire che non dovrebbero prendere posizione. In entrambi i casi non c’è nessuna fiducia nella libertà di giudizio delle persone direttamente interessate.
    Ovviamente Metref (come tutti quelli che hanno sollevato simili critiche) ha invece ragione a dire che l’Occidente non può alzare il dito accusatore e moralizzare, perché ha gravissime responsabilità storiche e politiche. Ecco perché non ha senso scivolare nel conflitto tra civiltà o identità: non esiste l’identità buona e l’identità cattiva, già pensarlo significa perpetuare la guerra.

    Caro Buffagni,
    la difesa delle identità, secondo me, non è affatto in contraddizione con il liberalismo, perché questo potrebbe permettere di aprire gli spazi per farle fiorire, queste identità. Ciò che è incompatibile con il liberalismo è la lotta per affermare la propria identità come valore ultimo.
    Certo, nella società si uccide e c’è sempre la violenza. Stiamo solo cercando di chiederci, modestamente, quale regime politico abbassa il livello della violenza. E difendere un ideale di democrazia liberale in questo senso non vuol dire accettare tutti i crimini commessi dalle democrazie.

    Caro Cucinotta,
    nessuno ha detto che il nostro sistema politico è superiore agli altri in assoluto. Io ho detto semplicemente che un certo ideale di democrazia liberale, che ha anche una sua parziale e imperfetta realizzazione, è per me preferibile. Uso questa formula, perché non credo che la scelta per la democrazia sia in assoluto la più razionale e la più morale (come farebbe un kantiano, per esempio, o come fa Habermas). Penso semplicemente che se si crede nell’idea di eguaglianza di individui liberi, la democrazia liberale sia un sistema che permette di pensare la realizzazione di questa eguaglianza. Forse mi sbaglio, ma non vedo come altri sistemi politici storicamente dati (socialismo reale, teocrazie, monarchie tradizionali, sistemi tribali, fascismi; la lista è incompleta, vi chiedo di allungarla) possano fare questo meglio.
    Però la sua critica iniziale è ben pensata. In effetti, nella difesa dei principi in quanto tali, usati anche per criticare le “democrazie reali”, c’è il rischio di immunizzare l’idea di democrazia. Su questo lato, però, l’onere della prova è dalla parte di chi dice che i principi democratici in quanto tali generano il dominio “imperiale” dell’Occidente sul mondo.

    Cara Eleonora,
    io non ho difeso una realtà idilliaca, di cui è facile dimostrare che non esiste: ho difeso un ideale di società. E non l’ho fatto “condannando platealmente tutto ciò che ne esuli”. Al contrario, volevo combattere l’equazione democrazia=occidente perché è questa che genera la condanna dell’altro. Io difendo dei principi, cercando di pensarli come “aperti”, non necessariamente legati alla “nostra” identità occidentale, in modo che chiunque possa appropriarsene, se vuole. E ho cercato di esplicitare una parte del senso di questi principi, senso che secondo me esclude qualsiasi superiorità verso altre culture. Ovviamente, essendo un ideale può essere considerato di nuovo come una delle tante ideologie, come dice lei. Ma questo è generico. Contano i contenuti e le attitudini. Io non metto sullo stesso piano chi difende degli ideali ma rispetta le persone, da una parte, e chi propone degli ideali che giustificano l’uccisione delle persone; chi ragionevolmente ascolta il punto di vista dell’altro, e chi impone fanaticamente il suo. Ho cercato solo di proporre il primo punto di vista, contro una deriva identitaria che invece rischia di escluderlo.
    Come ho detto sopra a Cucinotta, chi critica la democrazia dicendo che è radicalmente, tutta, da buttar via, ha l’onere della prova di dimostrare con i fatti non solo questo, ma anche che il fallimento della democrazia reale discende necessariamente dai principi della democrazia.

    Caro Antonio,
    qui nessuno sta dicendo che non ci si deve difendere quando si è attaccati. Si sta cercando di far capire che i nemici non sono i musulmani in quanto tali, e che i “buoni” non sono gli occidentali in quanto tali. Ma se si accetta la sua crociata contro l’intellettualismo, si finisce invece dritti in questa guerra tra buoni e cattivi.

    Caro Aui,
    questi giochini sono noiosi. Chi difende la democrazia, e non l’“identità occidentale”, ha anche condannato le guerre criminali, gli atti imperialisti ecc. dell’Occidente. Stia sicuro, è sceso in piazza anche contro quello.

    Caro Mattia,
    sul punto generale che sollevi hai ragione, è già stato sollevato: si tratta di un mio errore di formulazione. Ho cercato di riformulare la cosa in termini più chiari nelle risposte del 10 gennaio (19:01), in particolare in quella a Giacomo, a cui ti rimando.
    Sulla parola civiltà, come sulle altre, la mia è solo una provocazione: certo, le civiltà sono proprio quello di cui tu parli. Però quando ci sono queste situazioni di conflitto, la parola civiltà viene usata come un’arma di guerra: “noi combattiamo per difendere la nostra civiltà che, ovviamente, è superiore alla vostra”. Ecco perché mi viene da bandirla.

    Grazie Giulia! :)

    Ringrazio tutti per gli interventi e le critiche.
    mp

  53. La ringrazio per la risposta, devo dire che ha chiarito alcuni punti che, a mio parere, non risultavano chiari nell’articolo. Vorrei solo precisare che io non ho voluto criticare la democrazia in assoluto, ma solo la democrazia che siamo riusciti a ricreare. Certo, bisogna ammettere che è ben difficile immaginare una democrazia perfetta (come d’altrinde una qualunque forma di governo e di società) solo per il fatto che richiederebbe agli uomini di cambiare la loro natura o, perlomeno, le loro abitudini. Questo lo credo alquanto difficile. Forse dovremmo cercare di creare una forma di governo a misura e a prova di duomo, invece che cercare di far entrare a tutti i costi l’uomo in una forma che non lo rispecchia.

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