di Slavoj Žižek
[Questo intervento è uscito su «The New Statesman». Ringraziamo l’autore per averci concesso di pubblicare la nostra traduzione italiana. Il titolo è redazionale].
Ora, mentre siamo tutti sotto choc dopo la furia omicida negli uffici di Charlie Hebdo, è il momento giusto per trovare il coraggio di pensare. Dovremmo, com’è ovvio, condannare senza ambiguità gli omicidi come un attacco alla sostanza stessa delle nostre libertà e farlo senza riserve nascoste (del tipo «comunque Charlie Hebdo provocava e umiliava troppo i Musulmani»). Ma questo pathos di solidarietà universale non è abbastanza. Dobbiamo pensare più a fondo.
Pensare più a fondo non ha nulla a che fare con la relativizzazione a buon mercato del crimine (il mantra «chi siamo noi occidentali, perpetratori di massacri terribili nel Terzo Mondo, per condannare atti simili»). Ha ancora meno a che fare con la paura patologica di molta sinistra liberal occidentale: rendersi colpevole di islamofobia. Per questa falsa sinistra ogni critica verso l’Islam è espressione di islamofobia occidentale: Salman Rushdie fu accusato di aver provocato inutilmente i Musulmani e quindi di essere responsabile, almeno in parte, della fatwa che lo ha condannato a morte, eccetera. Il risultato di una simile posizione è quello che ci può aspettare in questi casi: più la sinistra liberal occidentale esprime la propria colpevolezza, più viene accusata dai fondamentalisti di ipocrisia che nasconde odio per l’Islam. Questa costellazione riproduce perfettamente il paradosso del Super-io: più obbedisci a ciò che l’Altro ti chiede, più sei colpevole. Più tolleri l’Islam, più la pressione su di te è destinata a crescere.
Ecco perché trovo insufficienti i richiami alla moderazione sulla falsariga dell’appello di Simon Jenkins («The Guardian», 7 gennaio), secondo il quale il nostro compito è quello di «non reagire eccessivamente, di non pubblicizzare eccessivamente le conseguenze dell’accaduto. È invece quello di trattare ogni evento come un episodio di orrore passeggero». L’attacco a Charlie Hebdo non è stato un mero «episodio di orrore passeggero»: seguiva un preciso piano religioso e politico e, come tale, era parte di uno schema molto più ampio. Certo: non dobbiamo reagire eccessivamente se per questo si intende soccombere a una cieca islamofobia – dovremmo però analizzare questo piano in modo spregiudicato.
Non abbiamo bisogno di demonizzare i terroristi trasformandoli in fanatici eroi suicidi, ma di sfatare questo mito demoniaco. Molto tempo fa, Friedrich Nietzsche comprese che la cultura occidentale stava andando verso l’Ultimo Uomo, una creatura apatica senza grandi passioni o impegni. Incapace di sognare e stanco della vita, l’Ultimo Uomo non prende rischi; cerca solo comfort e sicurezza, tolleranza verso gli altri: «Un piccolo veleno di tanto in tanto: è quello che ci vuole per fare sogni piacevoli. E più veleno alla fine, per una morte piacevole. Hanno i loro piccoli piaceri diurni e i loro piccoli piaceri notturni, ma hanno riguardo per la propria salute. ‘Abbiamo scoperto la felicità’ – dicono gli Ultimi Uomini, e strizzano l’occhio». Può in effetti sembrare che lo iato tra il Primo Mondo permissivo e la reazione fondamentalista corra sempre di più lungo la linea divisoria fra chi conduce una vita lunga, soddisfacente e piena di ricchezza materiale e culturale, e chi invece dedica la propria esistenza a una qualche Causa trascendente. Non è forse questa l’antitesi fra ciò che Nietzsche chiama nichilismo «passivo» e «attivo»? Noi in Occidente siamo gli Ultimi Uomini nietzschiani, immersi in stupidi piaceri quotidiani, mentre i musulmani radicali sono pronti a rischiare tutto, impegnati nella lotta fino all’autodistruzione. Il secondo avvento di William Butler Yeats sembra rendere a pieno la nostra situazione attuale: «I migliori sono privi di ogni convinzione, mentre i peggiori sono pieni di appassionata intensità». È un’eccellente descrizione della frattura tra i liberali anemici e i fondamentalisti appassionati: “i migliori” non hanno più la capacità di impegnarsi interamente; “i peggiori” si impegnano in un fanatismo razzista, religioso, sessista.
Ma i terroristi fondamentalisti corrispondono veramente a questa descrizione? Ciò di cui sono privi è un tratto che si ritrova facilmente in tutti i fondamentalisti veri, dai buddisti tibetani agli Amish americani: l’assenza di risentimento e invidia, la profonda indifferenza verso lo stile di vita dei non-credenti. Se i cosiddetti fondamentalisti di oggi davvero credessero di aver trovato la loro via per la Verità, perché dovrebbero sentirsi minacciati dai non-credenti, perché dovrebbero invidiarli? Quando un buddista incontra un edonista occidentale, a malapena lo condanna: si limita a notare con benevolenza che la ricerca di felicità dell’edonista si sconfigge da sola. A differenza dei veri fondamentalisti, i terroristi pseudo-fondamentalisti sono profondamente turbati, intrigati, affascinati dalla vita peccaminosa dei non-credenti. È facile intuire che, combattendo l’altro peccaminoso, combattano in realtà la loro stessa tentazione.
È qui che la diagnosi di Yeats non è all’altezza della situazione attuale: l’intensità passionale dei terroristi testimonia una mancanza di vera convinzione. Quanto dev’essere fragile la fede di un musulmano se si sente minacciata da una stupida caricatura in un settimanale di satira? Il terrore fondamentalista non si fonda sulla certezza della propria superiorità e sul desiderio di salvaguardare l’identità religiosa e culturale dall’assalto della civiltà consumistica globale. Il problema dei fondamentalisti non è che noi li consideriamo inferiori, ma che loro stessi si sentono segretamente tali. Ecco perché le nostre rassicurazioni condiscendenti e politicamente corrette li rendono solo più furiosi, e nutrono il loro risentimento. Il problema non è la differenza culturale (il loro sforzo di preservare la propria identità), ma praticamente l’opposto: i fondamentalisti sono già come noi; segretamente hanno già introiettato i nostri parametri, alla luce dei quali misurano se stessi.
Paradossalmente, quello che manca ai fondamentalisti è proprio una dose di vera convinzione ‘razzista’: la certezza della propria superiorità. Le recenti vicissitudini del fondamentalismo islamico confermano la vecchia intuizione di Benjamin per cui «ogni ascesa del fascismo reca testimonianza di una rivoluzione fallita»: l’ascesa del fascismo rappresenta il fallimento della sinistra, ma al tempo stesso è la prova che c’era un potenziale rivoluzionario, il malcontento, che la sinistra non è stata capace di mobilitare. La stessa cosa vale per il cosiddetto ‘fascismo islamico’ di oggi? L’ascesa dell’islamismo radicale non è il correlativo esatto della scomparsa della sinistra laica nei paesi musulmani? Quando, nella primavera del 2009, i Talebani conquistarono la valle dello Swat in Pakistan, il «New York Times» scrisse che avevano organizzato «una rivolta di classe che sfrutta divisioni profonde fra un piccolo gruppo di latifondisti ricchi e i loro affittuari senza terra». Se, «approfittando delle condizioni difficili dei contadini», i Talebani stavano «sollevando l’allarme sulle condizioni sociali del Pakistan, che rimane largamente feudale», che cosa impedisce ai democratici liberal in Pakistan, così come negli Stati Uniti, di approfittare allo stesso modo di questa situazione e provare ad aiutare i contadini senza terra? La triste conseguenza di tutto questo è che le forze feudali in Pakistan sono le «alleate naturali» della democrazia liberale…
Che dire dei valori fondamentali del liberalismo: la libertà, l’uguaglianza, eccetera? Il paradosso è che il liberalismo stesso non è abbastanza forte per proteggerli dall’attacco fondamentalista. Il fondamentalismo è una reazione (una reazione falsa, mistificante, com’è ovvio) a un difetto vero del liberalismo, e per questo viene generato di continuo dal liberalismo. Lasciato a se stesso, il liberalismo si indebolirà lentamente da solo: la sola cosa che può salvare i suoi valori fondamentali è una sinistra rinnovata. Per far sopravvivere la sua eredità-chiave, il liberalismo ha bisogno dell’aiuto fraterno della sinistra radicale. È questo l’unico modo per sconfiggere il fondamentalismo, per togliergli il terreno da sotto i piedi.
Pensare in risposta agli assassinii di Parigi significa abbandonare la soddisfazione autocompiaciuta del permissivismo liberale e accettare che il conflitto fra il permissivismo liberale e il fondamentalismo è, in ultima analisi, un falso conflitto – un circolo vizioso fra due poli che si generano e si presuppongono l’uno con l’altro. Ciò che Max Horkheimer disse del fascismo e del capitalismo negli anni Trenta – quelli che non vogliono parlare in modo critico del capitalismo dovrebbero tacere anche sul fascismo – dovrebbe essere applicato anche al fondamentalismo di oggi: quelli che non vogliono parlare in modo critico della democrazia liberale dovrebbero tacere anche sul fondamentalismo religioso.
[Immagine: Carel Willink, Simeon the Stylite, 1939 (gs)].
Non si può dire in termini più chiari. Perché l’asse intorno a cui gira tutta questione è proprio quello: un problema interno all’Europa, alla sua cultura politica. Una patologia del liberalismo, della democrazia. Un grosso guaio per la sinistra, soprattutto. Altro che scontri di civiltà!
mi sorge un dubbio; ero sicuro di aver già letto questo articolo, forse scorciato in alcuni punti, in “La Repubblica” del 9 gennaio …
Seppure io condivida alcuni aspetti dell’articolo, tuttavia mi pare che Zizek ignori un aspetto fondamentale di quanto sta accadendo nei rapporti tra occidente ed Islam, e cioè quello dei cosiddetti “foreign fighters”: anche i presunti attentori di Parigi lo erano.
E’ un fenomeno che, al di là della sua effettiva quantificazione, chiarisce molto bene la natura del problema, la mancanza di attrattività del sistema occidentale per i suoi figli, per le ultime genrazioni che, pur facendo ampiamente uso di oggetti e concetti propri di queste società, non se ne sentono parte integrante, fino difatti ad odiare questa società e questa cultura in cui pur sono nati. Ciò non dovrebbe meravigliare, chi fece il ’68 se non i giovani della stessa società che contstavano, questa è la regola, nessuno è in grado di cambaire una società come coloro che ne sono all’interno.
Questa carenza di attrattività è condivisa da figli e nipoti di italiani e da figli e nipoti di arabi, ma da’ risultati differenti soltanto perchè la cultura familiare nel primo caso coincide con la cultura sociale, nel secondo se ne differenzia magari anche di poco, quanto basta tuttavia per porsi come una possibile alternativa.
Zizek, non considerando questo dato sperimentale, continua a sostenere l’attrattività delle nostre società, affermando che in fondo i terroristi islamici sono solo degli invidiosi, ed in questo modo compie due errori, da una parte sottovaluta la crisi del nostro modo di vivere, dall’altra sottovaluta le differenze culturali tra l’uomo occidentale e questa cultura di fondamentalismo islamico, come se la reazione a un torto debba essere unicamente di calmo disprezzo, un musulmano non è un occidentale e neanche, tantomeno, un buddista.
Alla fine, Zizek sembra limitarsi a suggerire, seppure polemicamente, il silenzio.
Sarebbe il caso che ci convinciamo, e in tempi brevi, che abbiamo problemi decisivi in occidente, problemi che dovremmo affrontare, problemi insolubili se non si abbandona il liberalismo sempre più trionfante e nello stesso tempo sempre più distruttivo e più zoppicante nei propri stessi fondamenti.
@Marchese
Sì, altri lettori ci segnalano che è uscito in cartaceo su “Repubblica”. Noi l’avevamo letto sabato in rete nella versione originale e subito chiesto all’autore (che non ci ha detto o non sapeva di “Repubblica”) il permesso di tradurla per LPLC. La traduzione quindi è diversa.
(gs)
Vorrei fare solo un commento al volo su questo articolo, che peraltro ho contribuito a far circolare.
Temo che il problema sia proprio il contrario di quello che vorrebbe qui Zizek (la cui critica dell’ideologia, per amore del paradosso, si mostra più raffinata interpretando la forma dei cessi che religioni millenarie).
Finché il marxismo, e con lui la sinistra, si ostinerà a ridurre tutte le questioni identitarie — ma sarebbe meglio usare parole filosoficamente più impegnative: le questioni che toccano il “senso” e il “sacro”, e cioè ciò che articola le forme di vita e tiene insieme le società — a mera sovrastruttura di ineguaglianze sociali, non capirà nulla né del presente né della condizione umana.
Meglio discutere partendo dai commenti di Piras, Genovese e Balibar, molto più dialettici e profondi.
Ribadisco il concetto che non è tempo di fare dell’intellettualismo come ha fatto Piras nel suo sforzo di “capire” e tutti coloro che hanno richiamato aspetti filosofici che a par mio suonano come meri esiecizi dialettici che a nulla portano. Noi occidentali, io, come Italiano, non devo capire, poiché la nostra storia ci ha plasmato con la conquista di valori che sono sulla carta costituzionale di ogni paese occidentale e ce si riassumono, in fatto di libertà di espressione, le parole di Voltaire: “Io non sono d’accordo con quello che dici, ma combatterò affinchè tu possa dirlo!” Gli Arabi hanno avuto la loro fase illuminista con Averroè e Avicenna nei secoli XI-XIII, dopo la decadenza e il ritorno ad uno stile di vita basata su concetti tribali, dove Al Sciaik, ossia l’Anziano del villaggio o gli anziani, dettavano legge. Questa è la sostanziale differenza!!! E davanti all’arroganza dei mussulmani integralisti, quelli che mandano al mercato bambine di 10-13 anni a farsi esplodere, quelli che ammazzano perche non condividono la libertà di espressione; quelli che incappucciano le donne perché non devono essere viste e poi le bastonano se vanno a scuola… cosa opponiamo? Kant? Hegel? Rispondano gli intellettuali!!!
Questo articolo mi lascia perplesso. Direi due cose brevemente, scusandomi per il tono apodittico. Il tono dell’articolo è paternalistico: è difficile da leggere per chi non sia già d’accordo.
La diagnosi dello stato delle democrazie pluraliste è poi datata per due aspetti. Ridurre il loro frastagliato paesaggio morale a un luna park edonista è farne una caricatura che non aiuta a capire. E poi Žižek non può non sapere che le classi medie e basse nelle economie mature non si divertono per nulla, in particolare in Europa. Per me, Krugman ha messo a fuoco bene il problema: http://www.nytimes.com/2015/01/02/opinion/paul-krugman-twin-peaks-planet.html?_r=0.
Gentile redazione,
non vi voglio rubare il mestiere, ma a me sembra che questo sia l’articolo che avreste dovuto tradurre per la vostra testata
http://www.truthdig.com/report/print/a_message_from_the_dispossessed_20150111
piuttosto che le solite improbabili elucubrazioni dell’ “intelletuale” Zizek
non c’è bisogno di chissà quale profondità analitica per capire perchè certe cose accadono, solo
un po’ di buon senso, di conoscenza storica e dell’attualità
forse avrebbe aiutato anche Antonio, quello del commento qui sopra, e gli avrebbe risparmiato una brutta figura
Saluti
PG
Non trovo più l’articolo con il grafico che mostra come i “Foreign Fighters” non provengono in maggior parte da paesi occidentali. Naturalmente non è statisticamente strano che ne arrivino di più da paesi islamici, ma anche tenendo conto di questo fatto banale credo che una lettura così tanto centrata sulla Crisi dell’Occidente, pur portando a deduzioni e giudizi di segno opposto, sia fuorviante.
Il problema riguarda il mondo arabo e/o islamico (inclusi p. e. molti paesi caucasici dell’Ex Unione Sovietica).
@Helena
Beh, mi pare che ti sia risposta da te, sarebbe ben strano che ne provengano più da un paese in cui i musulmani siano una minoranza da quelli in cui praticamente il 100% della popolazione è musulmana.
Tolto così il dato che ti appariva contraddittorio, la tua argomentazione contro la mia tesi appare espressa in termini puramente assertivi, naturalmente lecita, ma non mi dai argomenti per potere replicare, ognuno così rischia di rimanere della propria opinione senza dialogo.
Questo assumere i principi liberali come verità non mettendoli in discussione, questo negare la crisi complessiva dell’occidente, malgrado le mille evidenze che la cronaca quotidiana ci pone, impedisce di trovare soluzioni ragionevoli, andando così a soluzioni che tamponano la situazione senza alcuna speranza di risolverla, ma i tamponi sono già molto umidi, presto cominceranno anche loro a gocciolare, e presto il locale sarà inondato.
I concetti espressi qui, sono ripresi in termini generali già in un bellissimo libro del duemilasette, dal titolo “la violenza invisibile”. Un libro che trae ispirazione, in parte, dal famoso saggio di Walter Benjamin “per una critica della violenza”, e spiega che la violenza fondamentalista è generata da una violenza “sistemica” e una violenza “simbolica”. questi due tipi di violenza sono prodotti dalle contraddizioni interne allo stato moderno liberale, che esclude implicitamente alcuni soggetti che non aderiscono allo scambio simbolico dominante.
Francamente, molti commenti mi lasciano perplesso: che vuol dire “io non ho bisogno di capire?” qual è il principio secondo il quale i diritti sono storicamente acquisiti? é proprio capendo che i diritti si possono preservare. Nessuno dice che non ci siano garanzie costituzionali, ma se pure esistono nemici che li minacciano con la violenza, solo capendoli a fondo ci si può difendere. Noi non riusciamo a sconfiggere il fondamentalismo perché non lo capiamo, non capiamo che è generato da contraddizioni interne alla nostra stessa società, che inserisce ma non integra, che dà libertà ma non spiega cosa sia questa libertà. contrapporsi acriticamente significa perdere la guerra contro il terrorismo.
In questo articolo Zizek non attacca la libertà occidentale, al contrario la difende. La difende dal fondamentalismo molto meglio di chi si schiera ideologicamente senza riflettere sui paradossi che causano la violenza. La libertà, consiste anche nel mutare le condizioni sistemiche e le regole che- definendo lo scambio simbolico- causano emarginazione e terrorismo. é la libertà di vedere con distacco il mondo in cui si vive, di vederlo senza il ricatto di dover scegliere da che parte stare capendo che, per salvare i valori in cui si crede, bisogna ammettere che questi valori siano perfettibili e debbano essere perfezionati
@alessio baldini: sono d’accordo sul fatto che l’articolo sia difficile da leggere per chi non sia già d’accordo, ma è solo il fatto che l’autore non che crea l’impressione di paternalismo. Tuttavia non è affatto vero che zizek contrappone occidente edonista a fondamentalisti, anzi, il ritratto del fondamentalista che emerge mi pare sia proprio quello di membri delle classi basse di una società multietnica che vive conflitti profondi con lo società che li accoglie, sia interiori che materiali.
La distinzione tra “falsi fondamentalisti” che sparano e “veri fondamentalisti” che pregano se l’è inventata l’Autore, non so se confusionario o in malafede, che con questa trovatina evita di dover ragionare sul serio e spera di far la figura del pensatore originale.
Anche nella tradizione islamica è detto a chiare lettere che la vera jihad è la jihad interiore contro il peccato: il che non implica minimamente una prescrizione di non violenza e di scelta mistica obbligatoria per tutti i credenti. Allo stesso modo, il buddismo, che pure invita tutti gli uomini a uscire dal Samsara della storia e dell’individuazione, non prescrive come obbligatoria la scelta monacale e non violenta del “rinunciante”, tant’è vero che il buddismo zen fu la religione prevalente tra i samurai giapponesi, che con la non violenza c’entrano poco.
L’unica analisi utile e attuale contenuta in questo articolo l’ha scritta Nietzsche più di cent’anni fa. Se il “nuovo statista” ragiona a questo modo, il suo Stato durerà molto poco.
@Barbara Carnevali siamo sicuri che questo attaccamento e al sacro e al senso non sia qualcosa di più vicino al pensiero tragico piuttosto che alla dialettica? Varrebbe la pena di riportare alla luce la distinzione di Goldmann che contrapponeva Kant e Pascal a Hegel. Non conosco un filosofo marxista di oggi che abbia preso di più in considerazione la religione: il punto, mi sembra, non è prenderla o meno in considerazione, ma farlo per poi perderla dialetticamente (di qui la legittimità dell’interesse per i gabinetti)
Mi permetto di segnalare due scritti su http://www.lefrivista.it, che dicono cose diverse da Zizek e che forse potrebbero essere utili a
alla riflessione collettiva sulle ultime drammatiche vicende:
Non c’è alcun nesso tra Islam e Jihad? Una riflessione a voce alta.
Charlie Hebdo: i limiti della satira e la censura.
http://www.lefrivista.it
Cambiando discorso ma neanche tanto.
Leggendo articolo e commenti prima di aggiornare la mia opinione sulla questione islamica, è sorta con forza l’idea che le convinzioni di ognuno, da altri condivise o contestate, non sfuggissero alla voracità della verità. Essa è (Foucault) nel discorso, quindi anche nella biografia di ognuno (Bateson, ridondanza) e nell’ambito (convenzioni). Azzardando una sintesi si potrebbe forse proporre che non è razionalmente, quindi politicamente che abbiamo l’opportunità di sciogliere i nodi che crediamo di poter lisciare aggredendoli armati di argomenti, logica, autoreferenzialità, citazioni a favore e sfavore. È sentimentalmente che abbiamo i poteri per elevare ed evolvere verso un’universalità (per quanto possibile) all’altezza di “superare” le necessarie contraddizioni della storia. Cioè le necessarie identificazioni con le nostre emozioni. L’azione sentimentale è empatica, arriva prima e non cammina sulle parole. Che significa? Niente, per chi non può ricrearne la verità. Come per tutte le verità affermate da altre biografie a noi incomprensibili, tanto in alto quanto in basso.
@ Luca Marangolo. Direi sono d’accordo con lei: questo è lo stile tipico di Žižek. Il punto è che ha uno stile paternalistico che mi lascia perplesso. Ho già scrito quello che per me è importante, ma provo a chiarire meglio perché penso che questo articolo faccia solo confusione.
Bisognerebbe evitare di confondere occidente e diffusione del benessere materiale. Nel 2015 le classi medie di molte economie emergenti (Cina, india, Sud America, ecc.) hanno un redditto annuo e un accesso a beni e servizi che è paragonabile, se non superiore, alle classi medie delle economie avanzate. Le disuguaglianze economiche e sociali sono una cosa seria, ma la distribuzione della ricchezza e del reddito non corrisponde a divisioni etniche o nazionali e non è prodotta da un gruppo identificato di nazioni o etnie.
La seconda ragione l’ha spiegata Carnevali. Dovunque vivano, le persone cercano di condurre una vita: e per alcune è molto più difficile che per altre, per altre è addirittura impossibile. Non capisco cosa ci sia di nichilista o edonista nel tentare di condurre una vita. Su questo, aggiungerei una cosa. Più che all’incapacità di dedicarsi al trascendente (ma anche qui, che idea riduttiva e caricaturale ha Žižek della trascendenza…), arrivare a uccidere e a uccidersi in modo insensato segna l’incapacità di condurre la propria vita. Ecco, io partirei da qui.
Ho lasciato un commento frettoloso, ma lo spunto non era rivolto solo a @Vincenzo Cucinotta – anche se è lui che ha citato i “Foreign Fighters”.
Volevo semplicemente segnalare che mi pare sviante concentrarsi esclusivamente sulle dinamiche e conflittualità inerenti all’Occidente, quando la guerra c’è eccome, ma da un’altra parte – anzi: da diverse altre parti del mondo, anche laddove non ci sono state le ricadute dello sciagurato intervento militare USA come in Afghanistan e in Iraq.
Insomma le crisi sono tante, e sono tante e diverse le ragioni per cui un giovane possa volersi ribellare allo stato delle cose inbracciando l’arma e/o l’ideologia jihadista. Probabilmente una delle ragioni del successo è che “funziona” per un ceceno, un pakistano, un marocchino, un sudanese, un egiziano, e anche un ragazzo di Berlino o Parigi.
@Alessio Baldini, Mi pare che siamo d’accordo sulla fattura dell’articolo, piuttosto modestadell’articolo, segno di una certa vecchiaia e stanchezza teoretica. Però mi permetto di insistere sul fatto che a me non pare affatto che Zizek contrapponga paesi emergenti e paesi sviluppati in termini di effettiva ricchezza e distribuzione del benessere materiale. Del resto non lo ha mai fatto e sarebbe in contraddizione con il suo pensiero. Zizek parla di violenza simbolica nel senso che esiste una frizione fra diverse orizzionti significanti, culturali, che entrano in contraddizione fra di loro: la violenza simbolica è il prodotto dell’emarginazione sociale che questi ragazzi vivevano all’interno della cultura francese. Il mondo occidentale viceversa è “edonista” non perché più ricco, ma perché non pone delle regole all’interno delle quali declinare la ricchezza prodotta dal benessere materiale che trasmette, o se lo fa, lo fa male. Ciò ci pone di fronte ad un’orizzonte “post-umanista”, il che ci porta all’obiezione mossa dalla sig,ra Carnevali: l’autore è convinto che le strutture dialettiche messe che regolano i rapporti fra i diversi orizzonti simbolici, per così dire, siano il motore principale attraverso cui mutano i rapporti economici e materiali: quindi presta un enorme attenzione alla religione, alla cultura, ma solo nella misura in cui sa che sono elementi che, inevitabilmente, si dissolveranno nella dialettica tra di loro, sono “cattivi infiniti”, diciamo, e a suo modo di vedere sono sempre motori inconsapevoli degli eventi storici (di qui la dialettica fra ultimi uomini, super-uomini, e così via). Spero di essere stato chiaro.
@Helena
Due commenti.
L’uno è che il fatto che ci siano adesioni anche da altre nazioni, non cambia automaticamente il senso di ciò che avviene nelle nazioni occidentali, a meno che non si argomenti perchè. Potrebbe trattarsi di ragioni del tutto differenti e slegate tra loro.
Il secondo è che apparentemente la tua lettura alternativa che vede le adesioni dai nostri paesi europei soltanto come un fatto generale senza implicazioni per la nostra società non viene argomentata. Tu dici che la spiegazione è che funziona, ma questa in italiano non è una spiegazione, è un’osservazione ancora da spiegare.
Sì, l’aveva detto Benjamin e anche Rosa Luxembourg. Da una tiepida demorazia social-liberale gi deve passare necessariamente al fondamentalismo e ai fascismi. Ma Zizek lo dice in maniera chiare, riferendosi ai nostri tempi, in cui il liberalismo democratico, tiepido, apatico, capace di proporre sfruttamenti e schiavismi peggiori che nel passato, truffaldino, indifferente all’etica e aun’idea che assomigli al sogno di gran parte degli uomini:l’uguaglianza. Preferiscono definirsi figli dell’illuminismo (nenache della rivoluzione francese) piuttosto che creare caste di miserabili, di farli diventare davvero cittadini, uomini liberi. Hanno bisogno dei lavoratori a cottimo o quasi e le istitusioni liberali gli offrono uomini e donne anche migliori di loro, sottocosto, sperando in un futuro in cui avranno solo bisogno di vitto e di un alloggio. La liberaldemocrazia, va messa sotto accusa e va catapovolta per prima. Altrimenti i fondamentalisti, i fascismi ripenderanno quota. Lo so, è dura, sopattutto per i medio-benestanti soffrire per un certo periodo di tempo di piccoli sacrifici: la bella casa, i bei vstiti, il chirurgo plastico ogni tanto, il bilocale a Courmayer. L’altro in Sardegna o ai Caraibi.– Un passaggio della storia che implichi che i loro figli non vadano a studiare alla bocconi, o ltri istituti privati e di pregio, questo è insopportabili. Per combattere questa nuova ondata di terrorirmo feroce, dobbiamo prima consolidarci in idee innovative,egualitarie, di liberazione dal bisogno, e non di una borghesia illuminista. Non è più tempo. Pagiamo contributi alti, tasse al 30/00 per un solo salario.Dobbiamo cambiare. Dare a tutti una vita dignitosa con servizi, per i quali stiamo pagando da anni,senza trovare oggi niente che funzioni. Offriamo ai terroristi un occidente non diviso in deboli e forti economicamente, facciamo in modo di creare una vera civiltà non inserita nella globalizzazione finanziaria e nessuno avrà il coraggio di distruggere ideali di fratellanza e di liberazione dal bisogno. Non siamo migliori dei nostri attentatori, siamo solo più vili e poco interessati al NOI:
trés vaste programme…
Dobbiamo ricordarci che Nietzsche condannava il fanatismo: Le convinzioni sono prigioni. Il condizionamento patologico della sua ottica fa dell’uomo convinto un fanatico.