cropped-ENSOR-Cavalli.jpgdi Sergio La Chiusa

[Estratto del cap. XXI del romanzo inedito “Il cimitero delle macchine” – 2003-2008]

… e siamo così esaltati che l’ingresso dell’imbianchino in Piazza Duomo ci sembra l’ingresso di un microscopico messia con il suo popolo di ultimi della terra che rivendicano schiamazzando la loro volontà di esistere: è lui, l’anacronistico Cristo di James Ensor che, stretto in una calca di marionette, mascherati e capoccioni di cartapesta, cavalca il suo somaro in una Bruxelles carnevalesca sotto un cielo di coriandoli e stelle filanti e giganteschi striscioni: “VIVE LA SOCIALE”, “VIVE JESUS ROI DE BRUXELES”. Nella Piazza tumultuosa e vociante, solidi e impeccabili sul palco riservato alle autorità, il Sindaco, il Vescovo e la loro cricca di collaboratori con pance prominenti e sante pappagorge aspettano il nuovo arrivato per inghirlandarlo con la fascia tricolore: bianco, rosso, verde, i sacri colori della patria. Due marcantoni della sicurezza hanno aiutato il Cristo a scendere dal somaro, l’hanno accompagnato tra gli applausi e le ovazioni sul palco delle autorità – Venga! Venga tra noi! – il Sindaco stringe calorosamente la mano del Cristo che si guarda intorno. Senza il suo somaro sembra perso. Vacilla sulle gambe, ora che i marcantoni l’hanno lasciato a se stesso, nelle mani curate del Sindaco e del Vescovo che si congratulano cerimoniosi con l’ospite. Non s’aspettava una simile accoglienza. Sorride impacciato. Solleva leggermente le braccia per non ostacolare i collaboratori del Sindaco che lo stanno avvolgendo nella fascia tricolore, due, tre, quattro volte sono costretti a girare intorno al Cristo, tanto s’è rinseccolito, e infine fissano la fascia con uno spillone da balia. Il Cristo tricolore è visibilmente commosso. Sono passati tanti anni e tutti si ricordano di lui e gli vanno tributando i meritati onori: la folla è in tripudio, “viva Gesù”, “viva Gesù”: c’è persino la fanfara, la banda di suonatori d’ottoni, piatti, tamburi, i bersaglieri tutti impennacchiati e ritti sull’attenti, i trombettieri che spernacchiano i loro osanna.

Il Cristo si scuote. Gli stanno parlando – Com’è stato il viaggio, Signor Cristo? Sarà molto stanco, non è vero? Era opinione comune che non sarebbe più tornato, sa, Signor Cristo? Certo, sarebbe stato opportuno avvertirci per tempo, ma come vede non ci ha colti impreparati! Appena si è sparsa la notizia del suo ritorno si è pensato di riceverla con tutti gli onori! Lei è pur sempre una celebrità, Signor Cristo, s’è tanto parlato di lei che non potevamo certo lavarcene le mani! Ma cosa c’è? Cosa guarda? – Il Cristo, tutto rinseccolito, è incantato dalle pance rigogliose del Sindaco, del Vescovo e dei loro collaboratori.

– Ah, le pance! La salute! L’abbondanza! – sorridono impacciati, si lisciano le pance, si consultano l’un l’altro con rapide occhiate, non sanno come interpretare l’interesse del Cristo. Il Sindaco riprende la parola – Ci perdoni, Signor Cristo, se in sua assenza ci siamo permessi di arraffare tutto quello che si poteva arraffare! solo perché niente andasse sprecato di tutto questo ben di Dio, s’intende, e se è capitato talvolta che si è tolto ai poveri per dare ai ricchi, è solo per rispetto dei suoi insegnamenti, ricorda la parabola dei talenti? l’ha raccontata lei, Signor Cristo, non si guardi intorno, suvvia, non sia così modesto, siamo tra amici, sia tolto a chi non ha e sia dato a chi ha, non ricorda più? non dice così la parabola dei talenti? – Il Sindaco si rivolge all’esperto. Il Vescovo conferma sorridendo con le mani tutte inanellate giunte sulla pancia – E poi, il nostro è puro spirito di sacrificio, cosa sono pochi anni d’abbondanza in confronto a un’eternità di privazioni! gli ultimi saranno i primi, pure questo l’ha detto lei, ricorda? – il Sindaco dà una gomitata d’intesa al Cristo – Certo che pure lei ne ha raccontate, eh? Ma ne riparleremo! Ne riparleremo con calma dopo pranzo! – Ma il Cristo non l’ascolta. Ha altro per la testa. Scruta con inquietudine la massa accalcata sotto il palco – Ma cos’ha? Cosa cerca? Il Pontefice? Non è potuto intervenire, non se la prenda! Il Pontefice ha molti impegni! C’è comunque il Vescovo, non va bene, il Vescovo? Cosa dice? Non è il Pontefice che va cercando? E cosa allora? Il somaro? Cerca il somaro? Ma lasci perdere il somaro, Signor Cristo, le mettiamo a disposizione una limousine con guardia del corpo, non le piace? Guardi che splendore! – il Sindaco indica una limousine su cui è distesa una miss scosciata, con nastro tricolore, minigonna e tacchi a spillo, due metri di gambe attorcigliate sul cofano – Eh, che ne dice? – posa una mano complice sulla spalla del Cristo e poi si gira verso i suoi collaboratori – Fate sparire il somaro! Fate sparire il somaro! – dice a mezza voce, e quelli, rimbrottati, chiamano due inservienti – Il somaro! Fate sparire il somaro, imbecilli! – e i due inservienti, rimbrottati, chiamano due inservienti di grado inferiore – Il somaro, imbecilli! Fatelo sparire! – e quelli si precipitano per le scale, prendono il somaro per l’imbracatura, lo portano via, in mezzo alla folla in tripudio, marmocchi sollevati che carezzano il capoccione dell’animale, le orecchie, il pelo pidocchioso della schiena, la coda, mentre il somaro, emozionato per tutte queste novità e la notorietà improvvisa, si lascia andare e va scaricando quintalate di escrementi, una via crucis d’enormi stronzi che costellano il cammino dell’animale tra le ovazioni; e infine lo sistemano nel parcheggio dei taxi, lo legano alla centralina, e non appena gli procurano un po’ di lattuga da masticare si dimentica del suo Cristo, si crede in buone mani, il somaro, lo nutrono, lo lisciano, e nemmeno se l’immagina che, esaurite le celebrazioni, lo spediranno dritto al macello comunale.

– Oh, ma non di solo pane si vive, lo sappiamo bene! Signor Cristo, non si preoccupi, riconosciamo il valore della sua opera, la nostra è una società meritocratica, per recuperare il tempo perso le concediamo seduta stante la laurea honoris causa: teologia, scienze sociali, scienze della comunicazione, medicina, giurisprudenza, eccole qui, le pergamene, se le appenda in camera, se le merita, non è certo colpa sua se non ha potuto compiere studi regolari, figlio di povera gente, si capisce – il Sindaco rilascia gli attestati e poi gli parla nell’orecchio – le confido che ci stiamo già muovendo perché le venga assegnato persino il Premio Nobel per la Pace, se l’immagina, un uomo di poveri natali come lei nell’elenco dei premiati in compagnia di personalità del calibro di Begin, Sadat, Arafat, Peres, Rabin! Premio Nobel, ci pensa, la soddisfazione! – gli rifila qualche colpetto sulla spalla per congratularsi – Certo, non possiamo garantire niente, si capisce, ma abbiamo relazioni a Stoccolma! – il Cristo capisce vagamente che si tratta di qualcosa d’importante. Sorride impacciato.

– Ah, dimenticavamo, la Piazza, cambieremo il nome della Piazza per commemorare l’evento, ci sembra il minimo, Piazza Gesù Cristo, patriota e Salvator Mundi, e magari butteremo giù quell’orribile monumento equestre e metteremo la sua statua. In sella al somaro, se ci tiene… Ma questo è niente! Venga! Venga! Abbiamo preparato un pranzo in suo onore! – e spostato il tendone dietro il palco, entriamo in un’enorme sala imbandita, lampadari Swarovski spenzolanti dal soffitto illuminano leccornie di tutti i generi: maiali interi inghirlandati di patatine novelle e rosmarino, rosari di salsicce, stracotti d’asino, costolette d’agnelli di dio alla brace, leprotti in salmì, ossibuchi, risotti, ricotte, caciotte, carciofi alla giudea, e poi composizioni di aragoste, astici, granchi vivi che muovono intontiti le chele sul ghiaccio, carpacci di salmone su letti d’uova di storione, miracolosi vassoi traboccanti di ostriche dell’atlantico, mitili, vongole, canocchie, cannolicchi e altre golosità marine, e poi carrelli zuccherosi di torte di dieci piani, torri babeliche di crema chantilly e dolciumi d’ogni genere, madonne di marzapane, giuseppi glassati, cannoli, cassate, cannoncini, crème caramel, mousse, meringhe, cibori d’ostie di cioccolato, saint-honoré, tiramisù, bignè e babà, e tutt’intorno camerieri biancovestiti che stappano orgogliosi spumeggianti bottiglie di champagne. Tutto pronto. Tutto già miracolato e moltiplicato. E mica particole di pane azzimo e pesce strasalato e puzzolente del Mar Morto. Roba sopraffina. Una tale quantità di ghiottonerie che persino a un Cristo verrebbe l’acquolina in bocca.

E infatti lo vediamo barcollare, lustrarsi gli occhi, leccarsi le labbra secche, è così stanco del viaggio che gli gira la testa. Tutto gli balla intorno. Si moltiplica. Non solo i cibi. Persino i camerieri cerimoniosi che continuano a inchinarsi, i vip in smoking, le miss in bikini, i fotografi che immortalano l’ingresso del Cristo con la fascia tricolore nella sala da pranzo, un uomo invero piuttosto invecchiato, provato, logoro, si mormora che non ci stia più con la testa! e com’è secco, poverino! e come gli tremolano le gambe! e quello sarebbe il tipo che arringava le folle? visto da vicino non è poi un grand’uomo! lo credevo più alto! poteva almeno mettersi un abito nuovo! ma da quant’è che non si lava! sa di stalla! commentano sottovoce, mentre, stordito dalle scariche di flash e dai riverberi policromi delle gocce di Swarovski, il Cristo procede nella sala con le lauree in mano accompagnato dal Sindaco, dal Vescovo e dai loro collaboratori con enormi pance che si contendono l’ospite e gli mormorano nell’orecchio  – Le faremo avere un dicastero, Signor Cristo, si occuperà della Sanità, ha esperienza in merito, ci servono persone credibili, capisce, con il suo curriculum di guaritore i cittadini avranno fiducia, se ne è parlato a lungo in parlamento, c’è persino chi ha avanzato la proposta delle Comunicazioni, Ministro delle Comunicazioni, in principio era sembrata un’ottima idea, lei sa raccontarle grosse, si capisce, ma ci si è consultati e, come dire, non ce la sentiamo, non ancora, ci sembra, come dire, il passo più lungo della gamba, lei non conosce i nuovi media, i nuovi linguaggi, insomma, bisogna prima vedere come si muove, si capisce… a proposito, come se la cava con l’inglese? e internet, lo conosce? no? vede! – il Sindaco stringe con complicità la spalla del Cristo – ma ne riparleremo dopo pranzo! dopo pranzo!

Due camerieri lo fanno sedere a capotavola, proprio accanto al carrello dei dolci. Il Cristo sente vagamente il mormorio del Sindaco e del Vescovo che se lo contendono e gli parlano contemporaneamente da tutte e due i lati, ma lui ha altro per la testa, non può più contenersi, con un movimento rapido e improvviso prende un’ostia di cioccolato e se la ficca in bocca, cioccolato puro, cacao 90%, Svizzero, il Cristo chiude gli occhi, sente il cioccolato che si scioglie sulla lingua, gli sembra di rinascere mentre quelli gli parlano di dicasteri e gli prospettano un glorioso futuro di ministro.ENSOR- Cavalli

7 thoughts on “Festa dei popoli

  1. La parte migliore, la moltiplicazione stereofonica della legione di leccornie che aspetta il povero Cristo dentro la tenda. Nel complesso un quadro come di frequente tristemente aderente del nostro Paese (e non solo).

  2. E’ da qualche mese che vi leggo, e con molto piacere. Trovo i vostri pezzi sempre di buona qualità, e a volte di qualità alta. Mi trovo ora spinto a scrivere il mio primo commento perché questo pezzo, in my opinion, è il primo post letterario di narrativa che reputo di qualità più che alta: notevole. Finalmente un vero scrittore. Vorrei avere qualche notizia in più sull’autore, Serio La Chiusa, dato che on line non ho trovato nessun libro suo.

  3. Questo articolo di un romanzo inedito, si direbbe completato ben 7 anni fa (e da allora rimasto nel cassetto? beh, io ne ho due da più tempo), mi ha molto colpita per la descrizione delle passerelle. Prima le persone, poi la parabola dei talenti, poi limousine vs somaro, poi capi di stato mediorientali, infine libagioni…

    C’è una vena satirica in questo bozzetto: lo sfarzo, il lusso, il potere, le pance grasse, gli onori, i cibi succulenti, il denaro… in una parola Mammona che cerca di blandire e corrompere il Cristo redivivo. Come immagine non è nuova.
    Quel che colpisce è lo stile caleidoscopico con cui tutto questo viene descritto.

    ps sarei curiosa di sapere come sono i carciofi alla giudea.

  4. Mi fa piacere che Le parole e le cose abbia pubblicato questo scritto di Sergio La Chiusa.
    Lo dico per la bellezza del racconto, che manifesta lo stile di Sergio, che usa le parole per dipingere un quadro, o per scolpire una scena corale, e lo fa con un pennello o uno scalpello di estrema precisione e di estrema versatilità… ecco, direi forse che la cesellatura è la tecnica con cui usa le parole per fare scaturire la scena, ma in più, rispetto alla cesellatura, ci sono i colori, grazie ai quali ci si trova immersi in un racconto a tutto tondo e dai molti risvolti cromatici.
    E lo dico anche per il fatto che gli auguro al più presto di trovare un editore che sappia anteporre il valore letterario alla commerciabilità. E questo è un augurio non solo per Sergio ma per tutti gli autori validi i cui lavori sono ancora inediti – e so che ce ne sono molti – e anche per il pubblico dei lettori a cui appartengo, che si merita ben altro tipo di scelte editoriali.

  5. Sono felice di trovare questo estratto del romanzo di Sergio su Le parole e le cose. Spero di poter leggere presto il testo integrale del romanzo che, stando a queste prima pagine pubblicate, deve essere di grande sottigliezza linguistica e di controllo minuzioso dei materiali e dei toni. Faccio i miei complimenti a Sergio.

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