di Mark Strand (traduzione di Damiano Abeni)
Winter in North Liberty
Snow falls, filling
The moonlit fields.
All night we hear
The wind on the drifts
And think of escaping
This room, this house,
The reaches of ourselves
That winter dulls.
Pale ferns and flowers
Form on the windows
Like grave reminders
Of a summer spent.
The walls close in.
We lie apart all night,
Thinking of where we are.
We have no place to go.
Inverno a North Liberty
Cade la neve, ricopre
i campi sotto la luna.
Tutta notte sentiamo
il vento sui dossi nevosi
e pensiamo di sottrarci
a questa stanza, questa casa,
agli anfratti di noi stessi
che l’inverno ottunde.
Pallide felci, fiori,
si formano sui vetri
come solenni souvenir
di un’estate consunta.
Le pareti si stringono.
Giaciamo lontani tutta notte,
pensando a dove ci troviamo.
Ogni luogo ci è precluso.
In the Mountains
Happening to sit,
For no useful reason,
In such a cold, rough terrain,
We see a snowy herringbone of firs
Flush on the nearest mountain,
And are impressed.
But a moment later
We find our gaze has strayed
To a farther, fainter range
Where only rocks break up
The crust of a plainer cloth.
And beyond,
Balanced at the end
Of sight lies a long question
Of what is sky and what is mountain.
Until, by dark, the whole scene
Folds into one simple texture
And we are deep in something else.
For though we stared at mountains
Earlier, the dark has made us
Wonder where we are, and where
We were, and who we are
Thinking of where we were,
And, even, if.
Tra i monti
Trovandoci a sedere,
senza un motivo particolare,
su un terreno così freddo e aspro,
vediamo un tweed innevato di abeti
steso sul monte più vicino,
e ne siamo colpiti.
Ma dopo un momento
capiamo che lo sguardo si è distolto
verso una cresta più fievole e distante
dove solo le rocce spaccano
la crosta di un panno più puro.
E oltre,
in equilibrio al limite
dello sguardo si trova una lunga domanda,
su cosa sia cielo e cosa montagna.
Finché, con il buio, l’intero scenario
si avviluppa in un’unica semplice trama
e ci troviamo immersi in tutt’altro.
Perché anche se prima avevamo fissato
i monti, l’oscurità ci ha portato
a dubitare di dove siamo, dove
siamo stati, e chi siamo
nel pensare a dove siamo stati,
e, perfino, se.
In the Privacy of the Home
You want to get a good look at yourself. You stand before a mirror, you take off your jacket, unbutton your shirt, open your belt, unzip your fly. The outer clothing falls from you. You take off your shoes and socks, baring your feet. You remove your underwear. At a loss, you examine the mirror. There you are, you are not there.
Tra le mura domestiche
Vuoi darti un’occhiata come si deve. Ti metti davanti allo specchio, sfili la giacca, sbottoni la camicia, slacci la cintura, abbassi la cerniera della patta. Gli abiti si staccano come una buccia. Ti togli le scarpe e le calze, resti a piedi nudi. Ti togli mutande e canottiera. Non sapendo più che fare, scruti lo specchio. Eccoti lì, tu non ci sei.
Success Story
Had I known at the outset the climb would be slow, difficult, at times even tedious, I would have chosen to walk the length of one of the local valleys, resigning myself to limited views, low thoughts, and a life that inspired none of the loftier disenchantments.
But how was I to know? The ground seemed level at first, and the walks were wide. Only gradually did I become aware of climbing; the going got rougher, I would be short of breath, pauses were frequent. Often I would have to retrace my steps until I found a more promising route.
I continued through all seasons and can recall how hopeless my venture seemed during those long winter nights and how, during the spring when my determination thawed, I would have to imagine the winter again, the cold, the discomfort.
If there were times I doubted arriving, I know now that my fears were groundless, for here I am, at the peak of my form, feeling the great blue waste of sky circle the scaffold of my achievement. What more is there? I count myself among the blessed. My life is all downhill.
Una storia di successo
Se l’avessi saputo prima che la scalata sarebbe stata lenta, difficile, a volte perfino noiosa, avrei scelto di percorrere una delle valli del posto, rassegnandomi a vedute limitate, pensieri che volano basso, a una vita che non avrebbe ispirato alcuna delle più nobili disillusioni.
Ma come facevo a saperlo? Il terreno sembrava piatto all’inizio e i sentieri erano ampi. Solo a poco a poco mi sono reso conto della salita; il cammino si fatto più arduo, mi sono venuto a trovare a corto di fiato, le pause sono state frequenti. Spesso sono dovuto tornare sui miei passi per trovare un percorso che sembrasse più agevole.
Ho perseverato in tutte le stagioni e ricordo quanto sembrasse disperata la mia impresa durante quelle lunghe notti invernali e al fatto che in primavera, quando la mia determinazione si scioglieva come neve, ero costretto a ri-immaginarmi l’inverno, il freddo, il disagio.
Se ci sono stati momenti in cui ho dubitato di arrivare, adesso so che le mie paure erano infondate perché eccomi qui, al picco della forma, a percepire la sterminata desolazione azzurra del cielo che circonda il patibolo del mio successo. Che altro? Mi ritengo un eletto. La mia vita non può che andare a rotoli.
[Immagine: foto di Stephen Shore]
Molto belle le traduzioni di Damiano Abeni, che ci ha abituato abenissimo.
Volevo chiedere, da pedante, se l’ a capo dopo il primo verso di Winter in North Liberty e di In the Mountains è di Strand oppure è capitato lì per sbaglio.