di Antonio Ciocca
[Pochi mesi fa Il Mulino ha pubblicato Storia della psicoanalisi, di Antonio Ciocca. L’autore, medico, psichiatra, già professore associato di Psicologia clinica nella Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, è psicanalista, membro ordinario della SPI e Full Member IPA. Storia della psicanalisi ha, tra gli altri, il merito di saper unire autorevolezza e divulgazione, ed è tanto una rigorosa indagine quanto un appassionante racconto intorno alla nascita, agli sviluppi e all’eredità di uno dei più importanti saperi della modernità. Il volume si compone di nove capitoli: I. Sigmund Freud (1856-1939); II. L’autoanalisi; III. I casi clinici; IV. La metapsicologia e l’ultimo Freud; V. Carl Gustav Jung e la psicologia analitica; VI. I primi psicanalisti; VII. L’opera di Melanie Klein; VIII. Wilfred Ruprecht Bion; IX. Altri sviluppi.
Proponiamo la Presentazione del libro, ringraziando l’autore e l’editore per il consenso alla ripubblicazione (dbr)]
Polemiche e conflitti hanno segnato la nascita e lo sviluppo della psicoanalisi. Dapprima furono rifiutate le sue scoperte come l’inconscio, l’importanza della sessualità e la natura conflittiva dei legami emotivi – spesso sulla base di quelli che oggi ci appaiono evidenti fraintendimenti culturali; poi ne vennero contestati i metodi che in effetti non corrispondono a quelli delle scienze cosiddette dure ai quali venivano erroneamente paragonati. Grünbaum[1], il famoso filosofo della scienza, ha sostenuto che la psicoanalisi non è scientifica perché non corrisponde ai criteri di Popper di verificazione e falsificabilità e ha in particolare criticato il cosiddetto tally argument di Freud per il quale le interpretazioni/costruzioni psicoanalitiche sono valide perché confermate dai pazienti, un criterio troppo soggetto alla influenzabilità del loro giudizio. E ora, infine, vengono contestati i dati stessi su cui essa si basa, l’attendibilità della loro raccolta, la correttezza della loro valutazione. E questo è certamente l’attacco più devastante a cui sia stata sottoposta.
Un gruppo di storici e filosofi della scienza, soprattutto anglosassoni – i cosiddetti Freud scholars – hanno infatti cominciato a studiare laicamente Freud e la psicoanalisi mettendone in luce criticità e difficoltà. Tra essi Frank Cioffi (1928-2012), filosofo della scienza inglese che, in una famosa serie di conferenze alla BBC (riportate poi nel suo libro del 1998 Freud and the Question of pseudoscience) si chiese se Freud mentiva: Was Freud a Liar? suscitando accese polemiche. La psicoanalisi – essi affermano – è una pseudoscienza costruita ad arte sulla base di casi clinici alterati e manipolati. Cioffi, in realtà, riprende e sviluppa le critiche che già Ludwig Wittgenstein (1889-1951)[2], in modo non sistematico, aveva rivolto alla psicoanalisi: l’inverificabilità e la confusione tra cause oggettive e ragioni soggettive; ma soprattutto affronta Freud da storico delle idee: come nasce e viene poi abbandonata e perché la teoria della seduzione, le incongruenze presenti nei casi clinici, la natura ad hoc di certe teorie ecc.
Le polemiche hanno stimolato gli studi, e la ricerca storica psicoanalitica ha così potuto svilupparsi: gli archivi sono stati aperti, i documenti pubblicati e oggi possiamo chiederci: c’è ancora qualcosa di Freud che non conosciamo? [Falzeder].
Freud fu uno scrittore prolifico (i diciotto volumi delle Gesammelte Werke) e un corrispondente epistolare metodico. Fichtner ritiene che abbia scritto durante la sua vita circa 20.000 lettere; di esse ne rimangono più della metà e quelle pubblicate, tutte le più importanti, sono circa 6.000.
Della vita di Freud sappiamo molto, tanto che dal 1989 Christfried Tögel sta lavorando a un continuo aggiornamento del Freud Diarum (vedere il sito http://www.freud-biographik.de/frdbio.htm), una completa documentazione di tutti gli eventi databili della vita di Freud, tra cui ad esempio la ricostruzione dei suoi viaggi (posti visitati, treni presi ecc.). Le lettere a Fliess ci permettono poi una conoscenza davvero intima del periodo più critico della sua vita, quello dell’autoanalisi.
Del suo lavoro, poi, sappiamo quasi tutto. I suoi pazienti sono stati identificati e ne conosciamo quindi spesso la storia. Kurt Eissler, direttore degli Archivi Freud negli anni ’50 e ’60 li ha intervistati e questi documenti vengono man mano desegretati e messi a disposizione degli studiosi (con grande lentezza, a dir la verità). Lo studio degli appunti, diari, agende, calendari recentemente ritrovati nel Freud Museum di Londra ha permesso di avere un quadro preciso di tutta l’attività clinica di Freud negli anni 1910-1920: chi erano i suoi pazienti, la frequenza delle sedute, la durata delle terapie[3].
Abbiamo poi il ricordo e in alcuni casi la descrizione e la valutazione della propria esperienza di analisi da parte dei pazienti stessi di Freud: Joseph Wortis; Smiley Blanton; Helene Deutsch; Roy Grinker; John M. Dorsey; Abram Kardiner; la drammatica e appassionata testimonianza della poetessa Hilda Doolittle; le note che Ernst Blum prese delle sue sedute con Freud; il diario della nonna di Anna Koellreuter; il ricordo di Margarethe Walter «Gretl, classe 1916», l’ultima paziente di Freud nel 1936[4].
Insomma, dopo «le guerre di Freud» secondo l’espressione di Forrester, guerre segnate dal pregiudizio e dalla incomprensione, siamo ora a quella svolta che John Burnham ha definito come «New Freud Studies» – lo studio scientifico di Freud nel suo contesto storico.
Segnalo che la ricerca storica è particolarmente intensa nell’area germanica: l’Istituto di storia della medicina dell’Università di Tubinga fondato da Gerhard Fichtner (1934-2012) e ora diretto da Albrecht Hirschmüller e il Museo Freud di Vienna diretti da Lydia Marinelli (drammaticamente scomparsa nel 2008). Nell’area anglosassone abbiamo la Library of Congress di Washington DC dove sono conservati i Freud Archives, cioè i documenti che Freud portò con sé a Londra che poi la figlia Anna affidò alla biblioteca e il Freud Museum di Londra diretto da Michael Molnar. Tra le riviste specializzate nel settore segnalo: «Psychoanalysis and History», «Luzifer-Amor», «Zeitschrift zur Geschichte der Psychoanalyse» e «Le Coq Heron».
Questo libro è nato e si è sviluppato a seguito di varie occasioni didattiche e ne mantiene in gran parte il tono e lo stile soprattutto nei commenti clinici. Ho cercato di far tesoro della ricerca storica per presentare criticamente il fondamento clinico delle teorie e dei modelli psicoanalitici mostrando lo sviluppo e l’articolazione dei concetti psicoanalitici nel contesto dei casi clinici degli autori classici come strumenti per la comprensione dei problemi clinici che gli autori stessi si sono trovati ad affrontare e che gli autori moderni riaffrontano daccapo spesso in modo del tutto immemore dei loro predecessori.
Il taglio clinico, come è noto, tende a ridurre le differenze teoriche tra gli autori – la cui base, bisogna ammetterlo, è spesso sostenuta solo da quel narcisismo delle piccole differenze di cui parlava Freud – ma soprattutto mostra l’edificio della psicoanalisi come work in progress, cantiere aperto dove ognuno, essendo la psicoanalisi anzitutto una esperienza personale, può e deve trovare la propria strada. E questo è il vero scopo di questo libro.
[1] A. Grünbaum, The Foundation of Psychoanalysis: A Philosophical Critique, Berkeley, University of California Press, 1984; trad. it. I fondamenti della psicanalisi, Milano, Il Saggiatore, 1988.
[2] Wittgenstein era molto interessato alla psicoanalisi. Sappiamo infatti che la sorella Margarethe, a lui molto cara, fu in analisi con Freud e discusse con il fratello i suoi sogni e le interpretazioni di Freud [J. Bouveresse, Philosophie, mythologie et pseudo-science. Wittgenstein lecteur de Freud, Paris, Éditions de l’Éclat; trad. it. Filosofia, mitologia e pseudo-scienza. Wittgenstein lettore di Freud , Torino, Einaudi 1997].
[3] U. May, Freud’s patient calendars: 17 analysts in analysis with Freud (1910-1920), in «Psychoanalysis and History», 9, 2, pp. 153-200.
[4] Di ciascuno di questi testimoni la versione in volume, a cui si rimanda, riporta i relativi riscontri bibliografici [dbr].
[Immagine: Sigmund Freud (gm)].
Non ho letto il libro ma dall’impianto mi pare offra l’ occasione per ridiscutere la praticabilità dei modelli desunti dalla psicanalisi come forme cognitive, oggi.
Oltre le critiche, sviluppate intorno all’accusa diffusissima di ‘pseudoscienza’ ( ma quali sarebbero oggi le scienze non pseudo…le neuroscienze???) e ancor più oltre alla banalizzazione dei concetti psicanalitici, elenco i tre sviluppi freudiani che a me paiono attualmente saldi:
1) il cileno Ignacio Matte Blanco (in “Pensare, sentire, essere” e in “L’inconscio come insiemi infiniti”) ha allargato il campo delle peculiarità dell’inconscio freudiano sostituendo al modello pulsionale-energetico un modello logico (basato non solo su spostamento e condensazione ma soprattutto sulla compresenza di contraddittori): esiste un inconscio non rimosso (il pensiero simmetrico) che tratta ogni individuo come una classe, e che irrompe di continuo nella sfera emotiva, si ibrida con la logica asimmetrica del pensiero cosciente formando strutture bilogiche. Matte Blanco, inoltre, in “Riflesioni sulla creazione artistica”, considera l’emozione come la manifestazione dell’indivisibilità e dell’infinito.
2) Armando Ferrari, membro della società brasiliana di psicanalisi di San Paolo, nel suo “L’Eclisse del corpo”, ha recuperato la centralità della corporeità nel pensiero psicanalitico: la fisicità è il primo oggetto di indagine della mente; quest’indagine è caratterizzata in un primo momento dal rapporto duale con la madre e dal rapporto interno mente/corpo. Il corpo è oggetto originario e concreto dell’esperienza: l’unità di mente e corpo è incrinata di necessità poiché la mente avverte la percezione di sensazioni violente, marasmatiche, invasive. L’eclissi del corpo è in tal modo necessaria: l’Uno (Totalità indivisa) genera così il Bino, per la sopravvivenza stessa della mente. Ma, sul piano clinico, una psicanalisi che tenga finalmente conto della corporeità può lavorare sui vuoti di quell’eclissi.
3)sul versante della teoria della letteratura (il solo tra questi in cui io abbia una competenza), Francesco Orlando è stato il primo critico a applicare il modello di Matte Blanco all’interpretazione della testualità letteraria. Orlando, ha saputo associare ai modelli freudiani del Motto di spirito e della negazione la proposta di una logica “simmetrica” di Matte Blanco. In “Illuminismo, barocco e retorica freudiana”, Orlando grazie a Freud e a Matte Blanco, rilegge la storia della cultura letteraria europea alla luce delle alterne fortune di due antitetiche figure , la metafora e l’ironia, quali proiezioni retoriche e linguistiche della logica asimmetrica e di quella infinitizzante (o meglio delle loro diverse ibridazioni) a partire dall’epoca nuova scienza galileiana (e del Barocco) all’età di Voltaire, verificando la ricchezza cognitiva dell’ambivalenza letteraria.
4) Questa prospettiva è rinvenibile anche nel recente “Il miracolo dell’analogia” di Alessandra Ginzburg, che lavora tra psicanalisi e letteratura e che trae il suo titolo dal Il tempo ritrovato, (1927) il settimo e ultimo dei libri della Recherche di Proust. Più precisamente, dalla pagina in cui Marcel riesce a superare la paura della morte e a capire il perché della potenza redentrice della “maddalenina”. Marcel comprende cioè che “l’essere che ero stato era extratemporale: un essere che può ritrovare il tempo perduto ogni volta che il miracolo dell’analogia mi ha fatto sfuggire al presente”. Soggiace al titolo, dunque, l’idea che in ogni opera letteraria ben riuscita siano al lavoro simmetria e infinito, che l’uno e il molteplice, ossia la Totalità indivisa, appaiano nell’opera intimamente legati. L’idea cioè che in un testo letterario agisca una simmetrizzazione che rende intimamente identici i diversi, i divisi e gli opposti. L’opera appare così (grazie ai suoi isomorfismi, alle sue figure di analogia, di ripetizione, di equivalenza) come la risposta più alta alla sofferenza psichica: in breve: una sorta di auto guarigione.
Zinato, conosci i lavori di Eric Kandel?
La psicanalisi non accetta il metodo scientifico, per questo è considerata pseudoscienza, tutto qua.
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Mi colpisce che Zinato pur non conoscendo il bel libro di Antonio Ciocca abbia proposto i modelli teorici di due autori come Matte Blanco e Ferrari che in questa Storia della psicoanalisi sono giustamente citati nei suoi nuovi sviluppi. Di ambedue ho avuto modo di parlare in passato per le possibilità indiscutibili che offrono nella lettura dei testi letterari. Voglio aggiungere che il libro di Ciocca oltre ad offrire un quadro molto articolato ed oggettivo del panorama psicoanalitico, arricchisce il lettore di una serie di informazioni assai utili a comprendere il lungo cammino percorso anche grazie ai pazienti. Un’attenzione non comune che Ciocca ha appreso dalla lezione di Bion, Ferrari e Bon de Matte che mette al centro del percorso analitico la sostenibilità delle emozioni più intense come perno di quella conoscenza di sé, che troppo spesso la psicoanalisi ha sottovalutato, privilegiando le relazioni oggettuali.
La Storia della Psicoanalisi nel libro di Antonio Ciocca diventa storia di persone. I pionieri della prima generazione, i loro pazienti. Poi gli allievi che aprirono nuovi orizzonti quali la psicoanalisi infantile, la possibilità di estendere la cura analitica alle personalità psicotiche. I pensatori che, riprendendo il concetto di inconscio non rimosso, si occuparono del funzionamento della mente, abitata da emozioni e pensiero razionale, e con loro i loro pazienti. Piccoli e grandi, uomini e donne, adolescenti ed anziani. Le vicende, le relazioni che li unirono e li divisero, si dipanano nel libro di Ciocca in un contesto pregno di spirito di ricerca e di sofferenza, di dubbi e di nuove acquisizioni. Le testimonianze svelate dall’apertura degli archivi e dai racconti, note e ricordi spesso appassionati dei pazienti stessi, ci aiutano a posizionare, oggi più che mai, la vicenda della cura analitica al centro di una esperienza personale ed emotiva che ognuno compie con sé all’interno di una solitudine abitata da tanti. Di questo ringrazio l’Autore e mi auguro che del suo accurato lavoro possano fare tesoro tutti i suoi lettori, analisti e non.
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Vorrei proporre alcune considerazioni alla discussione in corso sul blog.
Emanuele Zinato, nel suo intervento così interessante e del quale condivido i punti saldi, scrive che il libro offre l’occasione di rivalutare la praticabilità dei modelli psicoanalitici come forme cognitive oggi. Pur stretto tra esigenze editoriali e didattiche che mi hanno portato ad essere forse eccessivamente essenziale – in realtà, però, non me ne dispiaccio – il mio intento è stato più radicale: presentare modelli e teorie della psicoanalisi come “forme di apprensione con il pensiero della realtà”, della realtà clinica in questo caso, secondo la citazione che Roberto Finelli ha tratto da Hegel – la realtà delle esperienze dei vari autori e delle straordinarie difficoltà che essa rivelano – come ancor oggi, naturalmente. I dati della ricerca storica, l’apertura degli archivi, la identificazione dei pazienti, le loro testimonianze ci permettono oggi come un gigantesco esperimento di follow back che mette alla prova dei fatti tutto l’edificio della psicoanalisi, che per la prima volta non appare più solo una confronto tra diverse filosofie della mente.
L’affermazione di Laura Mori a me sembra eccessiva. E’ vero che molte scuole psicoanalitiche e molti psicoanalisti rifiutano in vario modo la scienza e il metodo scientifico – da Jung a Lacan a molte teorie cosiddette postmoderne; molti altri però no, e tra essi proprio Freud – di formazione neurobiologo sperimentale, diremmo oggi- e tra i contemporanei, il principale, secondo me : WR Bion. Certo ci sono molte difficoltà. La psicoanalisi non è una scienza pesante, ma leggera, di natura osservativa, come d’altronde le scienze storiche e umane. Essa riguarda la natura inevitabilmente soggettiva della realtà umana, la cui esplorazione implica l’interazione tra osservatore ed osservato. L’autoanalisi di Freud – e la testimonianza diretta che Freud involontariamente ce ne ha dato – va messa a mio parere tra le grandi avventure dello spirito umano alla scoperta di sé con Agostino e Montaigne.
Alessandra Ginzburg accenna all’importanza dell’opera di Bion, giudizio che condivido e faccio presente che soprattutto l’evoluzione dell’ultimo suo periodo è stata misconosciuta e spesso incompresa. Il saggio che vi dedico è, a mio giudizio, il più impegnativo di tutto il libro.
Domitilla Cataldi ha colto acutamente l’anima del libro: una storia di persone, del loro desiderio di capirsi, difficoltà, successi, fallimenti.
Non sapevo che un nome citato nella discussione del blog– Laura Mori- fosse in realtà un anonimo. Me ne scuso, però il problema che l’intervento ha posto è comunque serio e la mia risposta mi sembra possa rimanere. Chissà se l’anonimo intende proseguire la discussione….
Caro Professor Ciocca, credo che la schermata del computer possa aver creato l’effetto di una sovrapposizione di identità tra la Dottoressa Laura Mori – della quale per un errore di rete deve essere saltato il commento – e l’autore che ha scritto il commento a cui – come mi pare di capire – si riferisce la sua replica – e che corrisponde allo pseudonimo “DFW vs RB”, che aveva scritto «La psicanalisi non accetta il metodo scientifico, per questo è considerata pseudoscienza, tutto qua».
Si è proprio così. Grazie della spiegazione
@ Antonio Ciocca
Nel mio commento rispondevo, senza polemica, a Zinato, per dire che tacciare di pseudoscienza non significa dichiarare nullo il contributo di una disciplina. Non ci sono scienze pesanti e leggere, alcune discipline sono scientifiche, altre no. Non per questo quest’ultime non valgono nulla. Però nel campo della psicanalisi, tale mancanza alla fine si è posta da sé, si è arrivati al dunque. Come già lei scrive Freud era un naturalista, e se si è poggiato sulle sole speculazioni è perché non aveva altri mezzi. Io scrivo da lettore, ho letto le riflessioni di Jervis, di Corbellini, e appunto del citato Kandel. Il quale ritiene tutt’ora la teoria freudiana il maggiore stimolo dato alla ricerca sulla mente, ma aggiunge con un certo rammarico che se la psicanalisi non si avvarrà del metodo scientifico è destinata alla fine. D’altronde non si capisce perché gli sperimentali sfruttino al meglio le speculazioni teoriche e invece i teorici non vogliano avvalersi degli strumenti per verificare le proprie teorie. Tale questione è fuori dalla mia portata, ovviamente, la riporto, più che altro. Inoltre non è secondaria la questione etica, poiché la psicanalisi interviene sulle persone, indirettamente tramite le idee che mette in circolo, e direttamente, tramite la pratica quotidiana.
Aggiungo, sempre da lettore, un esempio dal campo della psicologia evolutiva, disciplina che negli anni ha raggiunto anche un certo seguito popolare. Leggendo i lavori di Pievani si scopre come non solo molte tesi siano strampalate, ma che l’impianto stesso della disciplina ha seri problemi e necessita di una ricognizione da attuare sia sul piano teorico, non stravolgendo la teoria darwiniana, sia sul piano delle prove fattuali acquisibili col metodo scientifico.