di Giacomo Raccis
[Il numero 7 della rivista «Orlando Esplorazioni» è dedicato al rapporto tra giovani lettori e scrittori nella piena maturità. A un campione eterogeneo formato da una settantina critici, studiosi e lettori esperti della generazione più giovane, tra i diciannove e i trentanove anni di età, è stato chiesto di rispondere con tre nomi alla domanda «Chi tra gli scrittori che oggi hanno tra i quarantanove e i sessantanove anni continueremo a leggere in futuro?». Sondaggio e commento redazionale sono un documento storico interessante: recano traccia del gusto letterario di una generazione che si è formata, almeno in parte, in un’epoca postletteraria; raccontano come questa generazione concepisce la critica, con quali metodi e categorie la pratica, con chi si identifica, che rapporto ha con la cultura, con i generi letterari, con i padri (e con le madri).
Pubblichiamo di seguito la classifica degli scrittori più citati, la lista dei lettori coinvolti e un intervento di Giacomo Raccis, che ha curato l’iniziativa insieme a Paolo Di Paolo]
Classifica
1. Michele Mari
2. Walter Siti
3. Antonio Moresco
4. Valerio Magrelli
5. Erri De Luca
6. Aldo Busi
….Stefano Benni
….Alessandro Baricco
….Sandro Veronesi
….Elena Ferrante
7. Eraldo Affinati
….Maurizio Maggiani
….Emanuele Trevi
….Paolo Nori
8. Ermanno Cavazzoni
….Daniele Del Giudice
9. Wu Ming
….Antonio Pennacchi
….Francesco Piccolo
….Antonella Anedda
….Patrizia Valduga
….Franco Arminio
….Giuseppe Montesano
10. Milo De Angelis
….Antonio Franchini
….Marcello Fois
….Carmine Abate
….Roberto Amato
….Antonio Ferrara
….Beatrice Masini
….Sandro Onofri
….Francesco Permunian
….Vitaliano Trevisan
….Luca Rastello
….Gabriele Frasca
….Laura Pariani
….Tommaso Pincio
….Diego De Silva
….Andrea De Carlo
….Gianrico Carofiglio
….Mario Benedetti
….Luca Doninelli
….Andrej Longo
….Tommaso Ottonieri
….Daniele Benati
….Susanna Tamaro
….Andrea Molesini
….Mario Fortunato
….Fabio Pusterla
….Pino Cacucci
….Nicoletta Agnello Hornby
….Margaret Mazzantini
….Paolo Dal Colle
Critici interpellati
Carlo Baghetti, dottorando
Filippo Maria Battaglia, giornalista
Teresa Bava, editor
Marco Bellardi, dottorando e critico
Matteo Bianchi, dottorando
Giorgio Biferali, dottorando
Raoul Bruni, ricercatore e critico
Domenico Calcaterra, critico
Sonia Caporossi, critico
Emmanuela Carbè, dottoressa di ricerca e scrittrice
Massimo Castiglioni, blogger
Andrea Caterini, critico
Andrea Chiurato, ricercatore
Andrea Cirolla, critico
Carolina Crespi, scrittrice e blogger
Marco Cubeddu scrittore
Giulio D’Antona, giornalista e scrittore
Martina Daraio, dottoranda e critica
Raffaella D’Elia, scrittrice e critico
Alessio Di Martino, scrittore
Riccardo Donati, ricercatore, insegnante e critico
Giovanni Dozzini, operatore culturale
Francesca Fiorletta, critica letteraria e blogger
Margherita Ghetti, dottoranda
Gloria Ghioni (Criticaletteraria), dottoressa di ricerca e blogger
Giorgio Ghiotti, scrittore
Alessandro Giammei, dottorando
Francesco Leto, scrittore
Francesco Longo, scrittore e giornalista
Antonio Loreto, ricercatore, poeta e critico
Lorenzo Marchese, dottorando e critico
Giusi Marchetta, insegnante e scrittrice
Francesco Marocco, scrittore
Daniela Mazzoli, poetessa
Silvia Mazzucchelli, dottoressa di ricerca e critico
Michela Monferrini, scrittrice
Marco Mongelli, dottorando e critico
Iuri Moscardi, dottorando e blogger
Francesco Musolino, critico e blogger
Simone Nebbia, critico e blogger
Filippo Nicosia, editor e libraio
Giorgio Nisini, docente universitario
Raffaello Palumbo Mosca, ricercatore e critico
Saverio Pazzano, insegnante e critico
Sergio Peter, scrittore
Andrea Pitozzi, dottore di ricerca
Matilde Quarti, critica e blogger
Alessandro Raveggi, scrittore e insegnante
Stéphane Resche, dottore di ricerca e insegnante
Paolo Rigo, dottorando
Ilaria Rossetti, scrittrice
Silvia Rossi, dottoranda
Davide Saini, critico
Emanuela Sebastiani, traduttrice
Damiano Sinfonico, dottorando e critico
Manuela Spinelli, dottoressa di ricerca e insegnante
Nadia Terranova, scrittrice
Orlando Trinchi, giornalista e blogger
Michele Turazzi, editor e critico letterario
Giovanni Turi, critico e blogger
Davide Valtolina, critico
Guido Vassallo, blogger
Alberto Volpi, critico e poeta
In principio sono Michele Mari, Walter Siti e Antonio Moresco. Poi vengono Valerio Magrelli e Aldo Busi. Che in realtà arrivò tra i primi. E anzi, proprio su questo sfasamento cronologico ci sarebbe da ragionare. Perché a guardare l’esito del sondaggio condotto tra critici e lettori forti di un’età compresa tra i 20 e i 39 a proposito della generazione di scrittori che oggi di anni ne hanno invece tra i 50 e 70, un fatto emerge in maniera lampante. Sui gradini del podio non si trovano gli autori più anziani e per questo affermati unanimemente, bensì compaiono tre romanzieri che sono sì stati monumentalizzati in vita, ma pure risultano ancora al centro del dibattito letterario e latamente culturale. Moresco, Siti e Mari sono scrittori “attuali”. Ogni volta che deve uscire un loro libro la critica tutta, cartacea e su web, discute, dibatte, fa previsioni e sentenzia, replicandosi poi – per smentire o confermare – non appena i volumi escono. Che le classifiche di vendita riflettano solo in parte questo andamento non deve poi stupire troppo: per quanto unanimemente riconosciuti come Autori, con maiuscola d’obbligo, Mari-Siti-Moresco, vera e propria triade delle patrie lettere, restano comunque autori potentemente letterari, non del tutto adatti a un pubblico nazional-popolare, che arriva a loro spesso per vie traverse (un premio, una trasmissione televisiva).
D’altra parte, il senso del sondaggio – o piuttosto del gioco – era proprio questo: sfidare il giovane critico chiedendogli di mettere in campo una serie di parametri che possano tornare utili per produrre una previsione attendibile su quali scrittori di questa macro-generazione leggeremo – o si leggeranno – ancora tra trenta o quarant’anni. C’è chi ha risposto valendosi dei principi unici e assoluti della qualità – ricordando che solo quella resiste al tempo, mentre il buon artigianato è destinato a essere rimpiazzato dall’evolversi delle mode e dagli stringenti meccanismi editoriali; c’è, chi al contrario, si è affidato esclusivamente alle leggi del mercato, nominando apocalitticamente solo autori con tirature mediamente a cinque o sei zeri; c’è infine chi ha interpellato anche parametri più specifici, che ineriscono alle diverse strade per cui si può arrivare alla canonizzazione di uno scrittore – dall’inclusione nelle antologie scolastiche all’abilità di costruirsi una figura e uno stile di scrittura imitabili ma mai pienamente sostituibili.
Esito di questa articolata rete di ragionamenti è allora la classifica che abbiamo riportato e che offre una fotografia sincera, e per questo anche spietata, della percezione che la generazione più giovane della nostra critica letteraria ha di quella che è invece la generazione più matura della nostra letteratura. Ed è proprio questo cortocircuito generazionale a dare i risultati più sorprendenti e significativi.
Gli scrittori in questione, infatti, vivono a quest’età una fase delicata: molto del loro percorso letterario è già stato compiuto. Il tempo delle potenzialità si è esaurito: dopo i cinquant’anni si deve piuttosto cominciare a gestire quanto già fatto di buono. Correggere, o addirittura cambiare strada ormai è impossibile. E chi si accorge di essere arrivato distante dalla traiettoria che aveva immaginato agli esordi, non può far altro che prenderne atto. Difficile è infatti, a quest’altezza, rinunciare alla propria identità letteraria, per quanto lontana dalle aspettative. È forse anche per questo che autori che hanno esordito ormai venticinque o trent’anni fa, quando i critici più giovani ancora non “vigilavano” sul panorama letterario, appaiono oggi fuori contesto, buoni per le classifiche (come De Carlo) o per un pubblico molto di nicchia – di una nicchia ancora più piccola della platea già esigua dei lettori forti (è il caso di Daniele Del Giudice). E in certi casi è un peccato, perché alcuni di questi scrittori – e penso ad esempio a Sandro Veronesi – per capacità di scrittura, stile e abilità nell’inventare storie e situazioni, hanno ancora molto da insegnare a tanti narratori di questi anni, che pure, probabilmente, non li prendono a modelli plausibili.
La legge del tempo è inesorabile. E chi ha esordito in anni ormai lontani già comincia a vedere gli esiti del proprio percorso. E questo vale tanto per chi si è progressivamente distaccato dalle ambizioni letterarie degli esordi – come Alessandro Baricco, che “sopravvive” non tanto per la bontà assoluta dei suoi libri, quanto per aver ritagliato il proprio profilo di intellettuale “pop” anche sui caratteri della propria scrittura narrativa –, quanto per chi ha costruito un percorso coerente e letterariamente nobile, accettando gli alti e bassi della fama e del successo pubblico – come nel caso di Maurizio Maggiani o dello stesso Aldo Busi, che scontano, forse, rispetto a questa generazione di critici, una “distanza” culturale. Unica eccezione del panorama: Stefano Benni, che non sembra risentire del passare degli anni – per non dire dei decenni. Pur essendo tra i più “vecchi”, per anagrafe ed esordio, in questo canone generazionale, il suo nome ricorre in tanti pareri. Merito di una scrittura originale, che ha saputo imporsi rapidamente a tutti i livelli, al punto che i racconti di Bar sport o del Bar sotto il mare, oltre a essere letti dai ragazzi di tante generazioni, appaiono già oggi nelle antologie scolastiche (da dove spesso passa la “classicizzazione” di uno scrittore).
Prevale così il cortellessiano criterio del floruit e dominano la classifica quegli autori la cui maturità letteraria è avvenuta – almeno pubblicamente – in anni in cui i lettori e critici interpellati già cominciavano a farsi un’idea del mondo attraverso i libri e i loro autori. Il discorso vale per Mari, Moresco e Siti ma, per un incrocio di ragioni, anche per il quarto classificato, Valerio Magrelli. Esordiente giovanissimo, nel 1980, in poesia, che è rimasta per vent’anni la sua prima e unica vocazione, dall’inizio degli anni duemila Magrelli ha cominciato a praticare anche la prosa, poetica e narrativa, ottenendo grandi attenzioni dalla critica. Magrelli vive così, da alcuni anni, una nuova “giovinezza” letteraria, che mostra sotto una nuova luce anche il suo lavoro poetico, connotato sempre più in senso “civile”. Se oggi Magrelli sembra presentarsi sotto le insegne del poeta nazionale è anche per questo doppio profilo, che se non lo renderà un “maestro” di domani, senz’altro rende la sua voce molto più prossima rispetto a quella di altri coetanei che sembrano appartenere a un altro tempo.
La prossimità culturale e letteraria tra chi scrive e chi legge, tuttavia, non è sinonimo di scontata presenza nei canoni di domani. Andrà notato, infatti, che nella classifica c’è chi ottiene pochi voti nonostante dimostri una rilevanza indiscussa nel panorama presente. In questo caso i motivi sono da ricercare nella natura ancora in progress dei rispettivi percorsi di scrittura, come anche a precise scelte poetiche o “di genere” che nella messa a distanza di questo esercizio critico appaiono minoritarie – è il caso di Franco Arminio o Emanuele Trevi – oppure al fatto di inserirsi in una tradizione stilistica e narrativa di cui questi autori non sono i primi artefici – come nel caso di Paolo Nori o di Ermanno Cavazzoni, “nipotini” di Gianni Celati.
Un’ultima nota, amara purtroppo, dev’essere riservata infine all’assenza delle scrittrici, dai primi posti della classifica, ma più in generale dal panorama letterario. Più di un critico, nel fare le proprie scelte, ha lamentato la mancanza di voci mature e riconoscibili tra le donne di questa generazione. Le uniche donne presenti si esprimono in poesia, dove le differenze di genere sembrano appianarsi. In prosa, non c’è autrice che sia riuscita nell’impresa di coniare un nuovo genere o stile del narrare. Chi sembra averlo fatto – almeno dalla prospettiva miope dell’oggi – come Elena Ferrante, compare nella classifica solo grazie a un cavillo di regolamento, dacché non si può stabilire la sua età anagrafica. Peraltro, parte dei motivi che hanno portato più di un critico a votarla saranno senza dubbio riconducibili all’indiscutibile interesse che in questo preciso momento la sua identità misteriosa suscita nel milieu.
Eterogenea, sfaccettata, per non dire intimamente “spezzata”, la generazione “adulta” della nostra letteratura si mostra allora, oggi, anche sbilanciata in maniera preoccupante in direzione della produzione maschile. Una famiglia problematica e moderna – e moderna perché problematica –, quella dei cinquanta-sessantenni, non c’è che dire, destinata però a crescere dei figli che, salvo rari casi di dialogo diretto (peraltro viziato da un’ammirazione spesso incondizionata ed epigonale), finiranno per cercare altrove i propri interlocutori, interrompendo quel dialogo generazionale che fonda qualsiasi tradizione letteraria.
Molto interessante. Quest’approccio generazionale potrebbe essere sviluppato ancora su più fronti. Mi chiedevo solo: con quale criterio sono stati scelti i critici?
[Ne approfitto per chiedere anche: esiste un modo per contattare la redazione di Le parole e le cose?]
Cara Denise, la scelta è avvenuta sulla base dei contatti raggiungibili da me e Paolo Di Paolo: la nostra preoccupazione non era tanto di ottenere un campione esaustivo (cosa che no sarebbe stata in alcun modo possibile), ma piuttosto di fornire una panoramica attendibile, nella sua innegabile e inevitabile parzialità.
Le persone coinvolte nell’indagine possono essere considerate lettori forti a vario titolo, per ragioni di studio, di lavoro o di semplice interesse (pur testimoniato da un’attività “critica”); a noi interessava questo elemento, associato all’età anagrafica, che ci ha permesso di fornire questo ritratto di una generazione attraverso la sua “complementare”.
Il lavoro resta per sua natura in progress, ma questi risultati sono già interessanti, a prescindere dalle mie considerazioni.
Ai fini di una corretta ricerca, preciso che i quattro narratori del collettivo Wu Ming hanno 41, 42, 45 e 51 anni. Solo 1 su 4, dunque, è over 50. La media, invece, è appena sotto i 45.
I Wu Ming sono over 50? Ne dubito…
Io credo che pochissimi di questi nomi rimarranno nella memoria degi lettori e degli italiani. In Italia non abbiamo mai avuto grandi romanzieri, sesi escludono i grandi dell’800 , mentre ,per starna contraddizione si continuano a scrivere almeno 10 romanzi al giorno. Il romanzo è una cosa difficile da costruire, comporta una visione del mondo, la capacità di delineare personaggi intensi.
Rimarrà forse Tabucchi, Sostiene Pereira.
Per quando riguarda le donne., vi ricordo le grandi autrici del secindo dopoguerra:Ortese, Morante, ,le poete. Più recenti:F.Ramondino, G.Castaldi, M.Mazzucco, E.Rasy.,Nadia Fusini.
Vi rammento l’antologia di Genna: Tu sei lei.
Un’ idea forte, un’accurata scelta delle autrici anche di più. Tu Sei Lei funziona così bene proprio perché otto scrittrici (spiace che in queste poche righe non ci stiano i nomi) assolutamente diverse e personali si ritrovano in sintonia ad aggirare le sabbie mobili dell’identità di genere per esplorare ed esprimere una calda, tormentata, vitalità biologica e psicologica. Grande ricchezza di linguaggio (anzi, degli otto linguaggi), sensibilità innovativa, sintesi di forma e sostanza
Dannatamente brave. Per parlare delle italiane. Per quanto riguarda le straniere,abbiamo premi Nobel e tante tante di grande rilievo.
Grazie Giacomo, senza dubbio è interessante a prescindere. Ma a mio avviso lo sarebbe ancora di più se ci fosse un criterio chiaro di scelta dei “critici”, che vada quindi oltre le conoscenze personali. Il carattere modesto dell’esperimento, mi si dirà, non lo richiedeva. Ma mi spiego. Mi sto rendendo conto che nell’ambiente letterario (o direi più generalmente editoriale) molti meccanismi sono attivati dalle “conoscenze” piuttosto che da criteri trasparenti; questo esempio, benché certamente condotto in buona fede e con nobili obiettivi, mi riconferma il trend dominante. Ancora faccio fatica a comprendere perché praticamente nessuno dell’ambiente letterario protesti per questo o cerchi quanto meno di invertire la tendenza (i “criteri” trasparenti, in luogo delle “conoscenze” personali). Il fatto per esempio che sia impossibile a una persona qualunque – ma, ontologicamente, c’è forse qualcuno che non sia qualunque? – contattare senza filtri la redazione di questa rivista, riconferma ulteriormente il trend, perché presumo che per farlo dovrei “conoscere” qualcuno. Lo dico senza alcun intento polemico, ma con sincero desiderio di porre una questione che, dal mio piccolo punto di vista, trovo decisamente trascurata. Potrebbero peraltro esserci degli elementi che io stessa trascuro, in quel caso sarei felice se me li si facesse notare. In ogni caso grazie, e buon lavoro
Ricordo ancora ,tra le donne, Giovanna Mozzillo, che scrive nella tradizione partenopea di Rea e Striano.
Ah Striano, dimenticato ma bello!
Attenti al romanzo, ci vuole una forte costruzione e sfumature ,dettagli, personaggi. Io spero non dover leggere più romanzi banali, superficiale e di cui non resta nulla.
@Wu ming 2: grazie per la precisazione! Abbiamo comunque tenuto buona l’età del maggiore.
@Gloria: ricordo soltanto che la nostra indagine non era confinata alla terra del romanzo, ma spaziava su tutti i campi della parola letteraria (creativa), motivi per cui si trovano i nomi di Magrelli, De Angelis, Valduga o Anedda.
@Denise: concordo sulla questione della trasparenza, ma devo ribadire che le votazioni dei critici interpellati (che comunque, per aree geografiche e ruoli professionali coprono un campo molto eterogeneo, e per questo attendibile, dell’area della critica) sono state fatte su precisa raccomandazione di essere obiettivi e di non affidarsi agli impulsi del cuore, non indicando tre scrittori che “si vorrebbe” venissero letti tra qualche decennio ma quelli che, con buona probabilità, si leggeranno in futuro, a prescindere dai gusti personali.
Ultima precisazione: non è stato segnalato nel cappello introduttivo di questo post, ma gli scrittori soggetti a indagine sono quelli con un’età compresa tra i 49 e i 69 anni (anni di nascita tra il 1966 e 1946), motivo per cui non compaiono nomi quantomeno “papabili” come Domenico Starnone o Francesco Pecoraro.
Ho votato:
Milo De Angelis
Eraldo Affinati
Emanuele Trevi
il primo perché mi sembra un poeta straordinario e autore di raccolte molto importanti sia per i lettori “comuni” che per certi poeti ispiratisi a lui (Benedetti, per esempio). Il criterio, non so quanto trasparente, era quello di ciò che per me vale in versi.
Affinati e Trevi praticano forme di scrittura al di fuori del romanzo, fra reportage, saggio e autobiografia, che al momento mi interessano nelle mie ricerche di dottorato. Inoltre penso scrivano bene (non meglio di alcuni dei primi in classifica, certo …). Non conosco personalmente nessuno dei tre.
Aggiungo: mi sono chiesto perché De Luca e Stefano Benni siano così in alto: anche per questo, la classifica mi sembra dare buoni spunti.
Concordo con Denise sulla scarsa trasparenza dei criteri di selezione dei critici e/o lettori forti (che cosa vuole dire?).
Caro Giacomo,
complimenti per il tuo lavoro. Tuttavia mi dispiace dover dire che non capisco bene il senso di questa iniziativa. Non solo: il fatto è che mi sembra un modo per incoraggiare dinamiche pubblicitarie e autopromozionali. Per questi motivi, come già sai, io ho rifiutato di partecipare. Cerco di spiegarmi meglio qui, ma mi scuso fin da ora per la sintesi e i toni abbastanza diretti.
Quando mi hai proposto di rientrare fra i critici votanti, hai usato una parola che torna anche in questo intervento: «È una forma di gioco», mi hai scritto; «il senso del sondaggio – o piuttosto del gioco» si legge qui.
Ma, mi chiedo, la critica letteraria ha bisogno di un gioco? A cosa serve, cosa ci dice?
Non voglio negare l’importanza dei sondaggi sociologici in letteratura. Ce ne sono stati, ce ne saranno. Me ne vengono in mente molti che per i miei studi sono stati utilissimi, e ne nomino un paio in modo disordinato: le “Cinque domande sulla critica” di Allegoria (non ricordo il numero, un paio di anni fa); buona parte di quelli degli anni Sessanta su “Nuovi argomenti”; l’inchiesta sull’Ermetismo di “Primato” (1940 o qualcosa del genere). La storicizzazione si fa anche usando i sondaggi, penso. In tutti i casi che ho citato, però, agli interpellati venivano fatte delle domande precise, elaborate, complesse. Che senso ha chiedere soltanto tre nomi «che resteranno»? La critica dunque è scommessa senza argomentazione, pura classifica? Un sondaggio di questo tipo o è rigoroso e argomentato, o non serve a niente. Anche la tua conclusione, d’altronde, ai miei occhi cade nella facile retorica del discorso «padri-figli», usato in modo forse superficiale (come spesso avviene, perché è un discorso di moda). Si può pensare che tu voglia criticare i meccanismi di una società letteraria basata su quelle che chiami «le mode, le amicizie, le conoscenze dirette», finendo poi col replicarli.
Infine: scusami per la parola, e non prenderla come un’offesa, ma trovo un po’ buonista la frase «Un’ultima nota, amara purtroppo, dev’essere riservata infine all’assenza delle scrittrici». Penso anche io che la scarsa presenza di donne nel discorso critico-letterario sia un problema, e che sia arrivato il momento di porvi rimedio. Non credi che un sondaggio più articolato avrebbe potuto sviluppare domande su questo, forse? Mi permetto anche di segnalare che questa lamentela è in contraddizione con il fatto che, su sessantatré votanti, soltanto diciannove sono donne. Come mai questa scelta? Infine «in poesia le differenze di genere tendono ad appianarsi»? Non saprei, sinceramente.
@Denise
Quando trovi un mondo che funziona in base a regole chiare e trasparenti, del tutto meccanico, nel quale i rapporti umani non contano nulla, per favore fammelo sapere. Buona fortuna.
Giacomo e Lorenzo: non mi riferisco soltanto ai criteri di voto degli autori da parte dei “critici”, ma ai criteri di scelta dei critici stessi da parte di chi ha ideato l’esperimento. Si converrà che “critico letterario” è un’espressione importante, e ben diversa dall’espressione “lettore forte”. Non chiamerei critico letterario un semplice lettore forte, e questo non certo per sminuire le capacità di giudizio del lettore forte, ma perché si tratta di due entità sostanzialmente differenti. Io sono una lettrice forte ma non mi definisco critica letteraria per il sol fatto di leggere molti libri e di saper distinguere fra un libro buono e un libro mediocre. Questo mi è riconfermato dal commento di Lorenzo, che a indicazione dei propri criteri utilizza riferimenti arbitrari, quali “mi interessa per la mia tesi”, o “l’ho votato perché mi sembra un autore straordinario”. Questi non sono giudizi argomentati, non sono per intenderci i giudizi che mi aspetterei da un critico letterario, ma sono giudizi arbitrari, basati cioè su semplici gusti personali, di un lettore appassionato.
Ovviamente, nulla vieta che si propongano semplici giudizi personali. Ma allora a mio avviso bisognerebbe specificarlo esplicitamente, evitando accuratamente di chiamare in causa, però, la critica letteraria, dalla quale mi aspetto argomentazioni e criteri di scelta ben esplicitati.
@Claudia
Chiedere di specificare in modo trasparente il criterio di scelta, per quale ragione dovrebbe automaticamente implicare l’adozione di un metodo “del tutto meccanico”? Non scorgo alcun nesso fra i due passaggi.
Mi chiedi un esempio. Nazione Indiana ha utilizzato come metodo per contattare la redazione e, fra l’altro, per proporre nuovi scritti, un forum pubblico in cui chiunque può scrivere sottoponendo il suo contributo per essere giudicato pubblicamente, in modo argomentato, dai redattori. Il processo se pubblicare o meno qualcosa, dunque, è immediatamente trasparente, e almeno potenzialmente non soggetto a personalismi di varia natura. Penso che iniziative di questo genere siano fondamentali se vogliamo impedire che il contesto letterario ed editoriale non somigli più al meccanismo chiuso e autoreferenziale che non di rado mostra di essere. Serve più consapevolezza, non solo per innalzare il livello qualitativo delle scelte ma anche per contrastare le forme di, passatemi il termine, “clientelismo letterario” per nulla rare. Dico tutto ciò con il sincero desiderio di condividere una perplessità della quale nessuno sembra curarsi. (Ovviamente non faccio alcun tipo di accusa di favoritismo all’iniziativa di cui stiamo parlando qui).
Anche io, tempo fa, non volli votare per le classifiche di “Pordenone legge”. Condivido le osservazioni di Claudia Crocco. E vi direi: smettetela con queste stupidaggini delle classifiche!
A proposito di donne, uno dei nomi che ho fatto è quello di Sandra Petrignani ma non lo trovo. Forse non bastava un votante solo per entrare nell’elenco. L’esperimento è molto romano e poco senese, da romano non ci vedo niente di male.
@Claudia
Avevi una risposta in sospeso per me? non la vedo ..
@denise
Io sono una lettrice forte ma non mi definisco critica letteraria per il sol fatto di leggere molti libri e di saper distinguere fra un libro buono e un libro mediocre. Questo mi è riconfermato dal commento di Lorenzo, che a indicazione dei propri criteri utilizza riferimenti arbitrari, quali “mi interessa per la mia tesi”, o “l’ho votato perché mi sembra un autore straordinario”.
Questi non sono giudizi argomentati, non sono per intenderci i giudizi che mi aspetterei da un critico letterario, ma sono giudizi arbitrari, basati cioè su semplici gusti personali, di un lettore appassionato.
Ci diamo del tu, se non ti secca? ero in treno, andavo di fretta, come la scrittura su blog e la vita reale spesso impongono. Mi dilungo, premettendo che sarò arbitrario al massimo grado, proprio perché, come d’altronde tu auspicheresti, non voglio usare troppo le stampelle di altre parrocchie. Io valuto in base al mio gusto e alle mie capacità critiche, apparentate a quello: e tutti i miei strumenti sono parziali, appassionati e faziosi, per quanto cerchino una ragionevole coerenza sulla base di una formazione umanistica si spera non troppo raffazzonata. Se non ci intendiamo su questo punto di partenza, il dialogo si ferma a un punto morto – si evita pure di leggere il mattone qui sotto.
L’etichetta “critico letterario” per quanto mi riguarda, e soprattutto se applicata a me, lascia un po’ il tempo che trova e meriterebbe parecchia discussione. Per dire, e mi farei domande simili per distinguere un “vero” poeta da uno che si pubblica su Facebook: si è critici letterari, o aspiranti tali, se si pubblicano interventi su blog e riviste? Se si ha un certo tipo di pubblico e un seguito più o meno nutrito? Se si viene pagati per commentare? Per autoinvestitura? Di questo sarebbe molto interessante parlare, perché i criteri per esercitare la critica (ed essere definiti come persone che la esercitano) sono indubbiamente mutati rispetto a pochi anni fa, anche per la mutazione delle piattaforme, del pubblico di riferimento, del linguaggio medio con cui essere certi di essere capiti dal proprio pubblico. Ne hanno scritto in parecchi, non ripeto nozioni altrui ma si può approfondire con qualche link. Ne è un esempio indiretto, credo, l’attribuzione delle attività ai vari votanti: mi si definisce “dottorando e critico” (non è una definizione che mi sono dato da solo, preciso), poi leggo di Alessandro Giammei, che conosco, e mi fa strano vederlo solo come “dottorando”, considerate le sue molteplici attività di poeta, critico e studioso di poesia contemporanea ecc. ecc. Non lo dico per svalutare il lavoro di Giacomo e di Di Paolo, ma solo per evidenziare che la questione delle patenti è complessa, con un esempio fra tanti.
Il punto centrale, tuttavia, è che se si va di fretta è un po’ difficile stendere un saggio critico o una riflessione lunga ed elaborata sulle proprie motivazioni. Chiedo scusa per la prolissità, non vorrei invadere troppo spesso questo spazio commenti.
-segue-
“è che se si va di fretta è un po’ difficile stendere un saggio critico ” ( Marchese)
E allora fermatevi, per la miseria, scrivete, lasciate un giorno o due tra le bozze e poi rileggete e riscrivete!
è quello che sto facendo e che faccio di solito. Volevo postare qui alcune delle cose su cui sto riflettendo da mesi, ma ho qualche problema con la pubblicazione della seconda parte del mio commento. Calma e gesso, ce la faremo …
@Denis
Chiedere di specificare in modo trasparente il criterio di scelta non implica una meccanicità del metodo, certo. Non intendevo questo. Ma prendiamo l’esempio che tu stessa poni: Nazione Indiana, il forum. In ultima istanza, sono i redattori che decidono se un articolo sia pubblicabile o meno, e lo fanno in base al proprio giudizio estetico. Neanche il loro, a ben pensarci, è un giudizio meccanico. Non ci sono regole universalmente valide per un buon pezzo letterario o critico. Certo, si può argomentare, ed è necessario farlo: penso che i redattori di LPLC lo facciano, quando viene loro proposto qualcosa.
I loro indirizzi email sono facilmente rintracciabili. Molte persone contattano LPLC attraverso facebook. Insomma, i mezzi ci sono.
@Lorenzo
Hai ragione, scusami. È che poi mi sono accorta del fatto che avrei creato una digressione non interessante, mettendomi a discutere con te di Benedetti e De Angelis, e ho cancellato quella parte del commento (pensando di inviartelo in privato, come probabilmente farò).
@ Alessandro
La cosa del «poco senese» non l’ho capita.
“e allora fermatevi, per la miseria” è per me candidato al miglior fraseggio in topic LPLC del 2015, DFW vs RB (lava i piatti come un dio)
Marchese è un pusher letterario. Anche quando è in treno (anche quando il treno è in ritardo).
La questione delle patenti: alcune persone prendono le parole e le definizioni per quello che sono, altre ci credono veramente.
@Claudia
Una rivista di stampo senese, generalmente, ragiona in un modo; una di stampo romano ragiona più come “Orlando”. A Siena Luperini, Mazzoni; a Roma Ferroni, Cortellessa. A Siena Allegoria, Fortini; a Roma Alfabeta, Moravia. È un po’ come DC e Marvel se vuoi, o Apple e Samsung. Va da sé che questa cosa, detta così, tradisce la mia romanità. E anche, per dirla ferronianamente, una tendenza all’ecologia sorniona che mi pare salutare. Mi appello alla grave e saggia gnòme del commento qui sopra.
Ero abbastanza sicuro che le reazioni per lo più sarebbero state queste. Le solite. I criteri di scelta, i criteri dei criteri… Che noia. E’ un gruppo casuale, ovviamente, come quello delle interviste che si fanno per strada. Un passaparola via mail, contatti più o meno vicini, solo per fare un esperimento. Avremmo dovuto fare un bando pubblico per scegliere i lettori/critici/blogger/insegnanti ecc.? Una legge elettorale? Non è una classifica istituzionale, non è nulla più che un esperimento. Non riusciamo ad avere un po’ più di leggerezza, almeno in questioni letterarie? Ci interessava capire quali nomi venivano fuori, a freddo, sulla generazione di mezzo. Quella che in Francia vanta Carrère e Houellebecq. Tutto qui. Quelle che hanno risposto sono persone diverse tra loro, in larga parte non si conoscono tra loro e sono poco conosciute “fuori”. Non c’entrano né Roma né Siena, c’entra che Raccis ha lanciato l’esca nei suoi dintorni milanesi e bergamaschi e io in quelli romani-toscani-calabresi-siciliani, dove potevo arrivare. E’ solo un sondaggio, rilassiamoci. Parziale come ogni sondaggio.
@Alessandro
Permettimi di dire che mi sembra una semplificazione eccessiva. Sarà che io, invece, non mi sento legata ad alcuna città.
(Comunque «Alfabeta» è stata una rivista importante; «Allegoria» non mi pare sia stata fondata da Fortini).
@Paolo Di Paolo
«Non riusciamo ad avere un po’ più di leggerezza, almeno in questioni letterarie?»
In effetti no, non mi interessa la leggerezza soprattutto sulle questioni letterarie.
«Ci interessava capire quali nomi venivano fuori, a freddo, sulla generazione di mezzo. Quella che in Francia vanta Carrère e Houellebecq. Tutto qui.»
Benissimo. Forse, a mio modesto parere, questo non è il modo migliore per capirlo. Senz’altro persone diverse da me la penseranno diversamente e ne saranno entusiasti, come è normale che accada. Dal momento che il sondaggio è stato diffuso su un blog, si espone a eventuali critiche: mi sono permessa di farne una. Tutto qui.
«Non c’entrano né Roma né Siena»
Sono d’accordo.
Claudia, non serve nemmeno l’entusiasmo. E’ solo per capire quali nomi venivano fuori da un drappello di persone giovani che nella vita si occupano di letteratura.
Claudia, hai ragione: scelgono i redattori. Ma sono tenuti a giustificare pubblicamente le loro scelte, perciò il loro giudizio stesso si espone alla critica, deve essere circostanziato. Non basta dire “mi piace” o “non mi piace”. E no, non è meccanico: ma il fatto che non sia meccanico non implica automaticamente che criteri un po’ più trasparenti siano possibili. Ho scritto a LPLC anche via facebook – a questo punto è diventata una questione di principio, voglio vedere fino a che punto sia possibile scrivere qualcosa senza passare per l’investitura di qualche “conoscenza” – e il mio messaggio non è stato neanche letto.
@Paolo. Sull’invito a “rilassarsi” e a non prendersi troppo sul serio, che noia questi criteri ecc. Fra tutte le ragioni addotte, questa è la più debole di tutte. Appartiene al registro del “e fattela na risata” con cui in Italia, com’è noto, si è soliti recepire ogni obiezione, richiesta di chiarimento o quant’altro. Cioè siamo sempre nel registro “spaghetti e mandolino”. Per carità, liberi di farlo. Ma io libera di preferire esperimenti di qualità.
Lorenzo, il fatto che non ci sia una definizione condivisa di “critico letterario” non significa che lo può essere chiunque. Sarebbe come dire che, siccome non sappiamo definire che cos’è l’amore, allora l’amore non esiste oppure che siamo un po’ tutti innamorati.
Dico ciò perché, in effetti, noto che categorie quali “scrittore”, “artista”, “critico” sono diventate oggi abusatissime, e leggere “critici letterari” in cima a una lista di nomi in una rivista come LPLC che in genere – non sempre – ha un buon livello qualitativo, mi ha immediatamente incuriosita, suscitandomi perplessità. Ci andrei piano con le definizioni. Non penso che un critico debba ostentare una neutralità che di fatto non può esistere. Dico che dovrebbe giustificare le proprie asserzioni. Così come chi ha fatto l’esperimento avrebbe dovuto giustificare i criteri con cui ha stilato quella lista di critici: mi è stato confermato infatti che si trattava di conoscenze personali.
Non so se hai visto, per esempio, che ultimamente è stato bandito un concorso della critica letteraria. Leggi i criteri: quando li ho letti mi sono commossa. Si parla di argomentazione e di verificabilità delle proprie tesi http://www.inrealtalapoesia.com/premio-per-la-critica-irlp-2015-ii-edizione/.
Mi scuso se ho monopolizzato un po’ i commenti, chiudo perciò qui i miei interventi.
@Denise
Dal momento che controllo io la pagina facebook di LPLC, sono certa del fatto che non ci sono messaggi da parte tua. Inoltre non c’è nessun messaggio non letto: ho appena ricontrollato. Forse facebook considera il tuo profilo a rischio spam e non ti permette di scrivere a LPLC? A volte capita, purtroppo.
Posso anche dirti con certezza che ho inoltrato articoli proposti via facebook (da parte di persone che non conoscevano nessuno in redazione) che sono stati pubblicati. E viceversa: ci sono articoli scritti da persone già entrate in contatto la redazione che sono stati rifiutati (anche miei, per esempio).
Per quanto riguarda De Angelis, mi aveva colpito il fatto che nella proposta iniziale di Giacomo i poeti sembrassero avere uno spazio minoritario. Io credo, con altri (con Claudia Crocco stessa che è intervenuta, per dire), che la poesia oggi sia estremamente vitale e che resistano ancora poeti fra i 50 e i 70 anni capaci di scrivere libri importanti: ma che il mandato sociale della poesia e la sua fortuna come genere siano decaduti (uso il verbo in modo neutro). Così, anche tra i lettori forti di questo “gioco” vedo che sono in pochi a tenere in grande considerazione i poeti, se ritengono che i prosatori come Siti, Mari o Moresco siano superiori di parecchie lunghezze: e a parte Magrelli, il primo poeta considerato è la Valduga, quindici posizioni dopo. Questo dipende dalla scarsa fruibilità della poesia oggi? Dal fatto che il romanzo viene visto come uno strumento più affidabile per raccontarci la contemporaneità dicendo qualcosa di originale, o dal fatto che la poesia è un medium perdente perché troppo elitario, troppo bisognoso di lenta assimilazione o troppo distaccato dalla cronaca? Non ho delle risposte nette, tanto meno in questo spazio. Ma credo che come documento sociologico questa graduatoria possa funzionare in tal senso. Volendo scegliere un poeta, così, ho pensato a De Angelis per la sua capacità di versificazione che “oltrepassa” una dizione metrica (evitando sia il manierismo delle forme chiuse come Frasca o Valduga, sia il cosiddetto verso libero) e procede come un discorso per accostamenti molto precisi e sfuggenti di situazioni, cose, persone. Mi colpisce inoltre di De Angelis che parli dell’attualità, degli anni ’70 soprattutto (pensavo a “Somiglianze”, 1976, e “Millimetri”, 1983), partendo da una sfera privata e tragicamente pagana delle esistenze comuni, con una tensione analogica inesausta. Ne ha scritto, parlando di una poesia nonostante le apparenze molto esatta e “concreta”, Eraldo Affinati in un breve saggio che s’intitola “Patto giurato” (1996) e nella breve postfazione all’antologia di De Angelis “Dove eravamo già stati” (2001, Donzelli). Rimanderei a lui, o ad altri più recenti (Mazzoni, Borio, Crocco …), perché non sento di avere molto di interessante da aggiungere a riguardo. Né penso di dover essere originale se mi si chiede di esprimere un giudizio di valore sulla posterità, con quanto di azzardo comporta; va ricordato che la domanda iniziale infatti era “di chi pensi che parleremo fra 50 anni?” e non “chi sono i più bravi sulla piazza per distacco?”. Ecco, penso che di De Angelis si potrebbe continuare a parlare.
-terza parte. Sono saltati i corsivi, mi scuso per la lunghezza ..
Per gli altri due, anche qui, ci sto lavorando. Non vorrei mettermi qui a stendere papiri, la mia mail è facilmente reperibile e se mi scrivi posso passarti delle riflessioni cui sto lavorando, sull’argomento delle scritture in prosa che si propongono come storiografie del presente, contro un romanzo avvertito come ingannevole, innocuo, e contro una (vera o presunta) perdita d’incidenza della poesia: insomma, una ricognizione sugli esiti della cosiddetta non-fiction. Affinati e Trevi sono stati fra i primi in Italia a imboccare questa strada, con esiti direi buoni; do qualche accenno.
In breve, Affinati mi pare interessante per il suo carattere anacronistico (nato nel ’55) e per la sua tematizzazione dell’”ossessione del conflitto” nel presente. La metaforizzazione della guerra e la mediazione di traumi storici distanti indicano che il conflitto deve essere portato nell’interiorità “piuttosto che contro qualcuno o qualcosa” secondo schemi contestatari violenti di matrice novecentesca. Il desiderio di riallacciarsi alla Seconda guerra mondiale viene da parte di uno che non ne ha fatto esperienza, se non per racconti, anch’essi mediati e tronchi, in parte di testimoni mancati. L’esempio citato più spesso è quello della madre di Affinati, che, leggiamo in Campo del sangue, ha rischiato di essere deportata ad Auschwitz, ma si è salvata buttandosi dal treno in corsa. Dalla sua storia, Affinati assume su di sé la condizione dello “scappato” alla tragedia, chiamato però, doppiamente, a un dovere di ricognizione storica e di comprensione umana, compiuto con il viaggio, quarant’anni dopo lo sterminio, sui luoghi delle vittime. Alla colpa della sopravvivenza si sposa l’angoscia, ben più schiacciante, del vivere in un’epoca priva di traumi e di conflitti in cui pure, nonostante ciò (o proprio per questo?), non si riesce a trovare né la felicità né una ragione per l’esistenza. Con un’ambiguità che lo rende un importante precursore, Affinati sceglie la sua tradizione e, ossimoricamente, il suo trauma storico: l’opzione del trauma diviene volontaria e in una certa misura arbitraria, laddove all’inverso il trauma è teoricamente “la traccia di un evento depositatosi nel corpo in quanto non ha potuto essere accolto nel linguaggio” (D. Giglioli, “Senza trauma”, 2011), un onnipresente rimosso di cui secondo logica non possiamo disfarci. Come sintomo altrettanto importante, la sensazione del posticcio si annida sempre nella poetica del primo Affinati, svela il pericolo di una scelta che ha ragioni intime, fragili perché di coerenza estrema.
Al di là delle ambiguità, pochi hanno teso il senso di colpa generazionale a una volontà di perfezionamento morale con l’ostinazione di Affinati: e praticamente nessuno fra gli scrittori della sua generazione. Se si pensa per un paragone a narratori come Pier Vittorio Tondelli, Andrea Pazienza, Enrico Palandri, si ha la percezione che essi appartengano a un’altra epoca. In effetti il loro lavoro più significativo, come in parecchi intellettuali cresciuti nell’ambiente del DAMS di Bologna, sta nella cerniera fra gli anni ’70 e ’80, e c’è una distanza di interessi, vedute, stili: tanto Affinati è monacale e maniacale, saldo nell’esigenza di incidere nel dibattito pubblico coi suoi romanzi (non come intellettuale engagé, altra presa di distanza dalla tradizione del Novecento), intriso della grande tradizione letteraria russa (come nel saggio Veglia d’armi. L’uomo di Tolstoj, 1992) e del novel americano da Hemingway in poi, tanto gli altri hanno fruito e praticato forme alternative ed eterodosse di racconto, l’hanno rinnovato in una dimensione orale, apparentemente disimpegnata, ribellistica, scegliendo di escludere il passato prossimo dai loro interessi. Tanto Tondelli, Palandri e gli altri hanno esordito giovani, mettendo al centro il loro processo di crescita e dannazione (e, nei lavori seguenti, il lento e inconcluso processo di maturità), tanto Affinati, sin dal suo esordio tardivo, ha sottolineato la necessità di uscire dai vincoli della gioventù e di una “letteratura giovanile” qualsiasi, per svolgere in piena coscienza una funzione di tramite generazionale, in contrapposizione all’estraniato disimpegno di molti suoi coetanei. Nella parabola di scrittura romanzesca degli anni ’90, poi superata dalle scelte compiute negli anni Zero, possiamo già trovare un discorso di ambiguo perfezionamento interiore e di rapporti difficili con il secolo più violento della storia umana. A rileggere Affinati, viene il sospetto che la sua migliore scrittura già apra la strada a una spinta etica ed engagée della letteratura italiana di questi anni, divenuta qualitativamente significativa, e che nella sua complessa nostalgia possiamo scorgere anche qualcosa di noi, che viviamo la guerra solo appropriandocene a distanza.
@Denise. No, no, lungi da me il “fattela ‘na risata” (ho scritto di recente su sarcasmo e ironia preventiva che inquinano ogni dibattito). In questo caso dico solo che è un esperimento parziale, un tentativo. Niente di più. Da prendere quindi con le molle e forse con leggerezza. Era proprio, ripeto, la curiosità di vedere quali nomi venivano fuori, come fosse un sondaggio telefonico con sconosciuti, il cui unico tratto rilevante era il loro occuparsi di letteratura italiana.
Dall’ultimo intervento di Di Paolo comprendo meglio la natura di ‘divertissement’ del sondaggio, che non aveva (mi pare di capire) alcuna pretesa euristica, semmai qualche ambizione statistica o sociologica di superficie. Ciò lo salva da altre critiche. Detto questo, resta per me da capire perché non sia stato possibile interpellare su questo argomento critici veri: fra Auerbach o Contini e il sondaggio telefonico con sconosciuti che si occupino di letteratura italiana (ma si occupino in che senso? Ormai un dottorato non si nega più a nessuno, suvvia…), forse, un compromesso si poteva trovare.
@Stefano Giazzon
A parte il fatto che non credo si possano paragonare le persone interpellate a sconosciuti estratti a caso dall’elenco telefonico (fossi in loro, mi risentirei…).
Quello che forse non è passato, è il criterio generazionale del sondaggio: la generazione entrante guarda e riflette sulla generazione più matura della nostra letteratura. Cosa emerge da questo cortocircuito?
Aspettiamo ancora un commento che provi a concentrarsi su questo e non sulla legittimità o l’opportunità del sondaggio.
dei critici “veri”, da Cortellessa a Onofri ecc., conosciamo già le preferenze. Che senso avrebbe avuto?
Capisco solo ora che il mio commento non viene pubblicato perché troppo lungo.
L’avevo scritto ieri sera, lo riaggiorno all’evoluzione della discussione.
Ci tengo, con Paolo, a ribadire la natura di gioco di questo esperimento, non tanto perché sia necessario prendere con ironia le questioni letterarie, quanto perché sarebbe opportuno, di tanto in tanto, provare a impiegare nuove formule di discorso critico – pur riconoscendone tutti i limiti e le parzialità, come in questo caso -, che rendano la materia anche più comunicabile ed evidente. In questo caso, e mi riferisco a Claudia e a Rino Genovese, la classifica, discutibile per tanti versi, colpevole di ridurre a nomi e numeri una materia invece ricca e complessa, ha tuttavia il merito di rendere immediatamente visibili alcune dinamiche, alcune posizioni, alcune gerarchie forse. È una maniera senz’altro provocatoria e scandalistica, ma ha il pregio di poter far nascere una discussione, o quantomeno qualche domanda (del tipo: davvero Veronesi e De Luca così in alto?). Questa, perlomeno, era l’idea con cui io e Paolo abbiamo affrontato la cosa.
[detto per inciso, poi: io credo vivamente che con la critica e con la letteratura si debba anche giocare e scherzare, levandosi un po’ di quella convinzione di avere a che fare con una materia auratica e sacra – atteggiamento, questo, che è tra le prime cause della situazione “di riserva” della nostra critica oggi]
Sempre a Claudia dico anche che un sondaggio non ha lo scopo di porre rimedio a nulla, né alle percentuali di donne lette e apprezzate nella nostra letteratura, né ad altro: certo può scegliere che domande suscitare. A noi interessava lanciare un sasso nell’ampio stagno della generazione 50-60, senza porre distinzioni di genere. Dai risultati pensiamo si possa cominciare a ragionare. E non vedo come la mia chiusa “buonista” – in cosa, davvero non capisco? – possa impedire questo ragionamento o altri.
Altro inciso: le mie considerazioni sulla situazione della poesia e delle poetesse si basa proprio sugli esiti del sondaggio, in cui compaiono più poetesse che romanziere. La mia conoscenza nel campo è purtroppo molto limitata. Se il quadro è molto più complesso e non ho saputo vederlo, me ne assumo la responsabilità.
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Ancora. La questione delle consorterie è davvero sgradevole: ha già detto tutto Paolo. Ma mi lascia basito la frase di Claudia “si può pensare che tu voglia criticare i meccanismi di una società letteraria basata su quelle che chiami «le mode, le amicizie, le conoscenze dirette», finendo poi col replicarli”. In che modo li replico: votando i miei amici? O facendo votare i miei amici? Dici che faccio parte di una cricca, alla quale ho rivolto la mia unica attenzione? Se sì, ti prego, indicami qual è, che magari riesco anche a farmi fare delle raccomandazioni…
Ultima cosa, sempre per Claudia: la questione “padri-figli”: può essere che io l’abbia posta in termini superficiali o impressionistici. Se mi dici perché secondo te lo è, posso anche darti una risposta più argomentata e meno impertinente. Altrimenti, così, non so che risponderti.
Per Denise: la questione dell’etichetta di “critico”, onerosa e ingombrante, merita in effetti una spiegazione. In questo caso abbiamo voluto usarla nel suo senso più ampio, estendendola a tutte le persone che hanno un rapporto professionale con i libri, perché li studiano, li producono, li scrivono o li commentano. Per queste ragioni abbiamo ritenuto che un loro parere potesse essere ragionato e affidabile, e in questo senso critico. Anche per il profilo intellettuale e professionale degli interpellati, ai quali abbiamo chiesto di fare tre nomi di autori che secondo loro tra trent’anni si leggeranno ancora (e non di tre autori che loro vorrebbero che tra trent’anni si leggano ancora), crediamo che i loro voti possano considerarsi l’esito di riflessioni e ragionamenti lunghi e tormentati, per alcuni anche l’esito di veri e propri studi. Anche in questo senso il loro voto è un voto da “critici”.
Nell’elenco degli interpellati poi la macro-etichetta è stata sostituita da un’indicazione professionale più precisa. In questo modo ci è sembrato di non far torto a nessuno. Men che meno alla parola “critico”.
E non parlavo di divertissement, ma di esperimento. Quando vado in una scuola superiore chiedo ai ragazzi: quali scrittori italiani viventi conoscete? È comunque un dato. Non conta? Così questi lettori particolari, diciamo più attrezzati, fra i venti e i quaranta anni, hanno detto la loro. Perché non dovrebbe essere preso in considerazione?
@ Giacomo Raccis
Mi sono limitato a citare, parafrasandole, parole del commento di Paolo Di Paolo (intervento del 5 maggio, ore 11.41), pertanto non io ho inteso offendere chicchessia.
Certo che ho capito che la vs analisi spaziava nei territori narrativi e poetici, ma io ho risposto solo sui limiti del romanzo italiano e sullascarsa presenza delle donne. Ho cercato di aggiungere. Citando un’antologia e alcuni(pochissimi) autori che ho letto con entusiasmo. non ho rispettato la divisione generazionale. Si può scrivere un breve p.s.? I migliori libri che ho letto in quest’ultimo periodo sono:Stoker, Le benevole, Gordimer, Tabucchi tutti), Libertà di Franzen e molti altri stranieri. Seguo un altro metodo,che è quello di Auerbach e Spitzer. Poi contestualizzo.
Si può impostare diversamente il commento qui?
Errore:Stoner di Williams. Splendido
@ Claudia&Paolo
Ragazzi, ma certo che Roma e Siena non c’entrano niente: le categorie ontologiche DC e Marvel mi parevano sufficienti a evitare l’imbarazzo. Fuori dallo scherzo però una radice culturale diversa tra i due esperimenti (quello qui sopra e quello di qualche anno fa su Allegoria) esiste, ed è inquadrabile nella storia e nella geografia della cultura italiana recente. Se uno prende i sondaggi del verri dantan e quelli del verri recente, per dire, e li mette a confronto, si accorge che dove prima c’era l’impronta di una linea anceschiana (avrei detto bolognese ma non vorrei fare l’antipatico) a un certo punto arrivano esigenze diverse, più legate al postmodernismo militante degli anni Novanta che ha raggiunto la redazione intorno al passaggio di millennio. Ripeto, non ci vedo niente di male. La cosa interessante è proprio l’arbitrarietà, altrimenti faremmo fare questi sondaggi da demos, al televoto o con la giuria demoscopica di sanremo. Che palle assurde sta trasparenza, ma che è? D’altronde non mi sottraggo alla chiosa della chiosa: Fortini non era estraneo alla fondazione de L’ombra di Argo, no? Moravia invece lontanissimo da Alfabeta, la quale sì è stata una rivista importante (forse dovevo scrivere Alfabeta2 per tenere in equilibrio l’equazione da bar).
“Quello che forse non è passato, è il criterio generazionale del sondaggio: la generazione entrante guarda e riflette sulla generazione più matura della nostra letteratura” (Raccis)
Ma è ristretto e miope proprio questo criterio generazionale o intergenerazionale. Gli ante-nati da considerare (letterari, ma perché solo letterari?) si possono ridurre a quelli della generazione appena precedente?
Quanti *morti* valgono più di molti *viventi* sulla cresta dell’onda?
Secondo me va rimesso in discussione.
Se l’obiettivo di una qualsiasi classifica un po’ seria è tentare di fissare gerarchie di qualità (accademica o semplicemente “militante” o “indipendente”) appena affidabili e che orientino i lettori, è indispensabile estendere lo sguardo ad archi di tempo e a nomi che non siano solo recenti e spiegare le ragioni delle scelte.
E’ faticoso, ma serve.
Purtroppo le questioni continuano a riguardare solo i presupposti dell’indagine e non i suoi contenuti…
Ribadisco che il nostro interesse – in questo senz’altro militante – era proporre un punto di vista – parziale e ridotto come quello di una classifica – sul presente, cioè su quella materia che è ancora in movimento perché composta da persone viventi.
Avremmo anche potuto allargare il sondaggio agli autori morti ma nati dopo il 1920, o a quelli che hanno già raggiunto i settant’anni, o a quelli nati sopra o sotto il Po. Tutto sarebbe stato possibile. Ma sarebbero state altre classifiche.
A noi interessava osservare, dal punto di vista della generazione più giovane dei critici, la generazione più vecchia degli scrittori. Senza per questo pretendere di proporre una gerarchia. La spietatezza della votazione ha obbligato gli interpellati a ridurre a zero i discorsi che spesso intervengono a mitigare, sfumare e talvolta anche confondere i giudizi: hanno dovuto fare tre nomi e questo è l’esito delle votazioni.
Parliamo di questo, per favore.
E se non ritenete legittima la nostra impostazione, lasciate perdere il sondaggio.
@ Giacomo
Caro Giacomo, secondo me non puoi sostenere nello stesso post di star facendo della critica militante e allo stesso tempo decretare che non si possano muovere obiezioni alle basi da cui stai muovendo. Delle due l’una, scegli. Non sono poi del tutto convinto circa il valore militante delle classifiche: la statistica mi sembra oggi molto più accademica.
Complimenti comunque per aver fatto un lavoro che, come avrebbe detto Moretti, guarda da lontano la letteratura a noi più vicina e che offre dei risultati su cui riflettere. Aggiungo però che forse la dimensione riflessiva avrebbe già dovuto essere inclusa nella domanda che si pone all’intervistato, altrimenti si rischia di pontificare su dei dati raccolti, senza avere criteri oggettivi in mano. Personalmente non vedo questa prossimità culturale tra scrittori e lettori di cui tu parli, anche perché i classificati appartengono ad aree culturali molto diverse: si arriva a conoscere Wu Ming, Baricco e Walter Siti per ragioni molto diverse. In particolare, occorrerebbe chiedersi quanto pesa sulla nuova generazione di critici il giudizio della generazione precedente di critici, che senza far nomi (tu ne hai fatto uno) ha tra i 40 e i 60 anni adesso, più o meno la stessa età degli autori compresi nel sondaggio. A me questo sembra un fattore abbastanza determinante, credo che il contatto con buona parte degli autori in classifica sia fortemente mediato.
Non condivido lo stracciamento di vesti generale. È chiara l’intenzione di Di Paolo e di Raccis: fotografare una percezione. Nessuna pretesa scientifica, evidentemente. È utile però, all’interno di un quadro orientativo, ragionare sul perché buona parte degli interpellati converge su alcuni autori. E sarà più interessante, un domani, spiegare eventuali ribaltamenti gerarchici.
@Domenico. bravissimo, “fotografare una percezione”. Non potevi dirlo meglio.
Ho scritto Domenico, intendevo Damiano…
Una puntualizzazione: nella domanda del sondaggio «Chi tra gli scrittori che oggi hanno tra i quarantanove e i sessantanove anni continueremo a leggere in futuro?» il soggetto del “continueremo” non ho ben compreso chi è il soggetto del “continueremo”? Essendo gli autori tutti italiani ho dato per scontato che il soggetto sia composto da lettori italiani, ma quale tipo di lettori? Tutti gli italiani capaci di leggere? O Tutti gli italiani che leggono in modo abituale letteratura? O solo tutti i critici letterari? O solo tutti gli accademici che selezionano autori e brani da far comparire nelle antologie scolastiche e universitarie di storia della letteratura?
La mia impressione è che forse la domanda era formulata anche con l’intenzione di chiedersi quale possa essere un futuro canone letterario degli ultimi 50 anni circa (e dunque un insieme di autori su cui possono concordare critici, accademici e lettori di letteratura legata a una cultura alta), però in effetti la domanda sembrava anche essere formulata chiedendosi se questi scrittori avevano anche la forza per affermarsi (magari mediante anche forme derivate come cinema, fumetti ed altri media) anche a un insieme di lettori più ampio legato alla cultura popolare di massa e a logiche industriali e di consumo che, come è noto da tempo, non necessariamente implicano standardizzazione e manipolazione delle coscienze delle masse passive ma (penso alle riflessioni di Walter Benjamin e di Edgar Morin) può essere anche fonte di elevazione di cultura e di valori per le masse in quanto esse desiderano in modo attivo queste elevazioni.
Poi certo, bisogna ammetterlo, che le opere di Jane Austen e Tolstoj possano favorire un aumento di lettori non abituali di letteratura “alta” grazie a nuovi adattamenti cinematografici o a videogiochi ispirati ad esse forse può non cambiare molto a certi critici, mentre è più che certo che l’opera omnia di Fabio Volo non verrà in futuro inclusa nel canone degli ultimi 50 anni (anche se qualche brano sarebbe un documento più che interessante per capire certi aspetti della società di oggi), comunque sarebbe stato interessante aggiungere a questo gruppo di studiosi le domande “Quali scrittori oggi sono i più sopravvalutati dal mercato? E quali sono quelli più sopravvalutati dai critici?” E viceversa “Quali scrittori oggi sono i più sottovalutati dal mercato e quali tra i critici?” Già le risposte al presente sondaggio possono dare qualche suggerimento per rispondere a queste domande ma io troverei più interessanti queste domande dirette, tanto per capire se ci sono oggi autori che avranno domani una fortuna simile a quella accaduta per Carducci o per Quasimodo, esaltati da riconoscimenti pubblici e dalla critica e nel giro di vari decenni ben presto ridimensionati, o se viceversa ci sono oggi autori di cui si aspetta che siano evidenziati molto di più, come è successo in passato a Gadda, che anche nelle antologie scolastiche più recenti stranamente sembra non venire ancora considerato, come fa invece la critica, tra i cinque maggiori prosatori italiani del Novecento.
Non chiamerei “esperimento” quel che è alla meglio un “sondaggio d’opinione”. Nel merito, mi pare che Riccardo Rossi colga nel segno: i giovani masticano quel che gli arriva già apparecchiato in tavola, nelle aule d’università o nelle redazioni di giornale. Così si fa il canone, del resto, no?
@ GiuseppeC
ma dici che nelle aule di università si parla davvero di Veronesi e De Luca?
Io credo che la parte più interessante di questo sondaggio siano proprio gli esiti di giudizi che arrivano evidentemente smarcati dai condizionamenti dei lettori-critici-professori più anziani. Tra l’altro su Siti, Moresco e Mari non sarei tanto sicuro che la ricezione arrivi mediata dal filtro di qualcuno.
Mi spiego meglio. Le influenze sono probabilmente tre: i rapporti, personali nell’ambiente di residenza o di elezione; la pubblicistica di riferimento, inter ed intra-generazionale; l’università, sia come luogo di crescita che come modello di vita adulta. Non solo l’università, dunque. Visto che di sondaggio si parla, l’elenco diviene a mio avviso interessante dal sesto posto in poi, fatta cioè la tara alla direzione ed alla intensità del vento, cioè alle influenze alle quali tutti siamo esposti nostro malgrado nel contemporaneo.
Nelle aule delle università, per fortuna, non si parla di Veronesi e De Luca, ma i tempi sono vicinissimi, vista l’attuale situazione. Entrando nel merito, non mi capacito del fatto che, mentre trovano posto Baricco e Tamaro, non venga nemmeno considerato Luciano Cecchinel.
@Lorenzo
Sì, in effetti lo penso anche io (che la poesia sia ancora viva ecc).
@Giacomo
Quella frase sui padri e i figli è superficiale perché riprende un discorso di moda, lo applica a una situazione scontata, non la analizza, non ci dice niente. Non metto in dubbio che tu avessi in mente un discorso più complesso, ma non riesco a intravederlo in questa prefazione. Comunque, ho avuto modo di spiegarmi con te in privato; lo farò anche in pubblico.
Sto preparando un questionario che parte dal tuo sondaggio (come già sai: questo è un modo per annunciarlo). Cercherò di ampliare la discussione, estendendola ad altre persone che hanno meno di trentacinque anni e sono interessate alla letteratura contemporanea. Pubblicherò qui (sul sito, non nei commenti) quello che verrà fuori.
A presto, dunque,
Claudia