cropped-hannah_starkey_october.jpgdi Anna Maria Carpi

[Queste poesie sono tratte dall’ultimo libro di Anna Maria CarpiL’animato porto (La Vita Felice, 2015)].

1

In una nevicata dell’infanzia
quando non so, ma so che c’è la guerra,
siamo in campagna, prato sottocasa,
c’è mia madre che grida
dammi la mano non andare via
e al bastardino torna qui malvagio,
e lui che abbaia,
pazzo
beato
come siamo noi
perché non c’è mio padre.
Noi figli incustoditi e sconfinati.

2

Pall Mall, oh non è vuoto,
una è rimasta,
pura, silente,
non pesa niente,
è bianco e oro, i colori del sacro.
Sul pacchetto c’è scritto il fumo uccide.
Intanto però placa
la sete di un altrove.
Scatta, guizza la fiamma, la regina del buio:
la bianca fra le dita
è ancora intatta,
poi viene a me, alle labbra, come un’ostia
assurda fiala di felicità.

3

Rainotte. Nulla può più accadere.
«Per oggi è tutto,
vi ringraziamo per averci seguiti.»
Un lampo: ho spento, e non devo più nulla.
Sotto le coltri
con l’amante sonno
coi piedi tocco la felicità
tutto il corpo è speranza.
Alle tre ancora nulla, non un suono,
non c’è più il mondo,
il leviatano dorme.
Notte innocente che non sa di ore
né del primo biancore
là verso i monti sopra la ferrovia,
lo stupro della luce che ritorna.

4

Una coppia al bar della stazione,
dentro è un andirivieni,
fuori all’aperto c’è la primavera.
Da quanto insieme? Certo da non molto.
Era amore? Lo sanno? Non si guardano
guardano avanti a sé.
Anni? Sui venticinque e non distingui
chi è lei chi è lui: uguali nel vestire,
pochi soldi un lavoro
forse precario o solo una promessa.
E già due ne hanno fatti:
per non saper che fare?
Il fagotto che dorme in braccio a lei,
l’altro per terra, trotta intorno al tavolo,
poi cade, urla, e per tirarlo in piedi
ci vuole il padre – padre si dice ancora?
Posa la birra e accorre.
E lei che beve? Niente.
Torniamo a casa, Gino?

5

Accanto a me nel letto
un fruscio una spalla. Tre di notte.
Dormi non dormi?
Non glielo chiedo. Forse torna il sonno.
Se non fosse
quest’ansia senza meta,
l’inferno delle cose,
diverso il suo dal mio
così di poco, che non vale la pena
di parlarne.
Tutto sappiamo tranne cosa fare.

6

Non lo senti anche tu che non c’è più?
Il tempo non c’è più.
Tu sorridi: in che senso?
non stiamo forse andando…?
Sì, uno a uno
ma finora il tempo era anche altro
era anche un padre.
L’avevamo in comune.
Viaggiavamo attraverso i continenti
nel suo carico immane giorno e notte
e il generoso non perdeva nulla,
teneva strette a sé
le feste le sciagure il come fu e il sarà.
E’ stato cancellato.
Now life is now. Tu noi
gli altri altri
figli del nulla
e folli come pesci nelle reti
e in ogni sguardo in fuga
un “non ho tempo”.

7

«La mia massima colpa è la speranza»
dice il poeta Giovanni Giudici.
Lui, dice un saggio,
lui e Zanzotto, io altri non ne vedo,
che siano i nostri ultimi poeti?
E noi e noi? Malati?
La febbre non ci lascia,
scotta la guancia
sul cuscino fresco della speranza.

Nota

«Siamo ognuno uno scoglio, un incidente/ fra gli altri fra le cose/ fra astinenza e overdose/ e un solo grido “e io?”». Così dicevo in E tu fra i due chi sei, e che da questo trovarci diversi dagli altri abbiamo perversamente una gran gioia. E’ vero e non è vero. Dall’adolescenza fino all’altroieri ho tenuto un diario. Scenari dell’io in libertà, sfoghi, riflessioni, stati d’animo contraddittori – ma nel mio diario salta all’occhio il ricorrere dei dialoghi: amati, amici, conoscenti, incontri casuali, e tutti riferiti alla lettera, parola per parola, a memoria. La prima istanza di quel mio commento al quotidiano era colloquiale. E tale è nella mia poesia: è un percorso parallelo al diario, come già diceva il titolo Compagni corpi. L’io c’è, s’intende: fra gente e paesaggi svariati è come quella carta da gioco fatta a pezzi in L’asso nella neve e torna, in fase più malinconica, in Quando avrò tempo, ma, più lieto e più che mai solidale con i compagni, in quest’ultima visione di un animato porto.

[Immagine: Foto di Hannah Starkey (gm)].

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